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Autore: Chevalier1    03/08/2023    5 recensioni
Nata quasi per caso come una raccolta di one shot, iniziata con i turbamenti di una piccola Oscar alle prese con la scoperta di essere una bambina, è diventata di fatto una serie di notti agitate lungo la cronologia dell'anime.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Oscar si svegliò avvolta dalle braccia di André che dormiva sul prato.Pensò alla metafora delle schermaglie d’amore che tante volte aveva incontrato nella letteratura: da esperta di schermaglie in senso proprio, inesperta d’amore, si disse che il combattimento cui era stata addestrata nulla aveva a che fare con quanto aveva vissuto quella notte. Condizionata com’era dalla memoria di quel precedente drammatico e violento, se l’era aspettata più aspra, più rude e invece si era rivelata pervasa di appassionata delicatezza. Si chiese se André avesse avuto bisogno di trattenere il proprio istinto, di negarsi qualcosa per insegnare con dolcezza al corpo di lei, irrigidito da decenni di postura militare e senso del dovere, ad assecondare la vibrazione di corde sconosciute di cui ignorava l’esistenza. Un corpo che conosceva schiaffi, lividi, ferite, dolore, fatica. Un corpo allenato a resistere, a non lasciarsi andare, all’impassibilità, un corpo che fino a quella notte aveva ignorato la tenerezza. Se non ci fosse stata Nanny le sarebbe mancato persino il senso di un abbraccio.

Il corpo del Colonnello Oscar François de Jarjayes aveva memoria, esperienza, immaginario di armature, di corazze, di colletti rigidi, l’esatto opposto di quel che le sarebbe servito per abbandonarsi a onde sconosciute. Era un corpo allenato a schivare, a difendersi per non soffrire, a resistere in silenzio, un corpo abituato all’urto e disabituato al tatto, governato da una mente addestrata all’autocontrollo, all’autodifesa, al riserbo, alla resistenza: una memoria di cui restava traccia in tante cicatrici sulla pelle e nell’anima.

Nonostante tutte le sue armature Oscar François de Jarjayes, nel chiuso della propria stanza, non aveva potuto impedirsi di chiedersi talvolta, da innamorata prima di Fersen e poi di André, come sarebbe stato assecondare il desiderio istintivo di essere toccata dalle mani di un uomo, pelle contro pelle, ma scoprendosi quella fantasia aveva provato imbarazzo, incapace di superare anche solo col pensiero il baluardo delle proprie barriere. Si era immaginata impacciata, a disagio, incapace di rispondere all’istinto altrui.

E invece tutto era accaduto, sull’argine della Senna, in una notte di lucciole e luna, in mezzo alle fucilate alla lettera eppure con una naturalezza che mai avrebbe immaginato, di cui si era lei stessa stupita, vedendo quelle barriere cadere a una a una obbedendo alle regole misteriose di un istinto che non sapeva di avere: non che le fosse venuto semplice all’inizio sgelare quel corpo ghiacciato da decenni di autocontrollo, abbandonarsi alle sensazioni nuove che le mandava, eppure lo aveva fatto. Si era svegliata nelle braccia di André, appoggiata al suo petto scolpito e nudo senza il minimo disagio al ricordo di quanto avvenuto, anzi con la certezza appagante di essersi trovata al posto giusto con l’uomo giusto, di più con l’unica persona al mondo in grado di smontare il suo carapace di autoprotezione e razionalità: intanto perché sapeva che quel baluardo c’era e poi perché sapeva come si era formato.

Nelle mani esperte di André, forti e gentili, si era sentita protetta, amata, sicura - nonostante il naturale timore di rompere una barriera più psicologica che fisica, irrigidita dall’essere rimasta eretta troppo a lungo, e di spiegare le vele verso lidi sconosciuti da sempre rinnegati - perché in quell’unione non c’era stata ombra di forzatura: André l’aveva presa per mano e guidata a poco a poco per mari ignoti, inebrianti; l’aveva condotta, con amore non solo con passione, a scoprire il lato nascosto dei loro corpi, fino a farli diventare uno come le loro anime erano già da tanto, forse da sempre, da prima di prenderne coscienza.

Aprendo gli occhi Oscar François si disse che avrebbe voluto fermare il tempo e rimanere per l’eternità lì cullata al ritmo del respiro addormentato del suo uomo bellissimo, non dover più affrontare la battaglia e la malattia, fermarsi in quel punto esatto della linea del tempo ad assaporare la sensazione, fin lì mai considerata, di una vita che si potesse anche godere. Ma poi incrociò il risveglio nell’iride smeraldo di lui e si sentì pronta ad affrontare tutto, forte come mai prima dentro di sé, con una voglia di vita dirompente nonostante la consapevolezza di camminare sull’orlo del baratro, perché non più sola. In quell’istante comprese anche che il coraggio luminoso che sentiva dentro di sé prevedeva, nell’essere due, un lato in ombra: la preoccupazione per lui.

Fu lui a scacciarla con un abbraccio giocoso e un bacio che furono l’inizio di un’altra ora d’amore senza più le ansie della prima volta: un amore pieno di passione cui abbandonarsi, un amore scacciapensieri. Anche se i pensieri sarebbero tornati, con le prime luci dell’alba. Sapevano entrambi che quello che stava iniziando, sotto il macigno di quell’ordine ingrato: «soffocare la rivolta con ogni mezzo», non era il giorno adatto per vivere un amore, ma almeno erano insieme e tanto bastava.

Si immersero fino al ginocchio tra i ciottoli del fiume per lavarsi schizzandosi come da bambini, si lasciarono asciugare al vento e rivestirono le proprie uniformi e con esse i propri doveri.

Per la prima volta in vita sua Oscar sentì di indossare le insegne del suo ruolo consapevole di sé in un modo nuovo. Se prima di quel momento l’uniforme la faceva sentire sicura perché nascondeva il suo corpo di donna, quella mattina se la sentì aderire addosso, per la prima volta, come una seconda pelle, come l’involucro naturale del corpo che conteneva. In quella sensazione ebbe la certezza che, nel diventare una cosa sola con André, aveva finalmente riunito anche la propria anima divisa, sanato il conflitto interiore che si portava dentro dalla nascita. Non aveva più motivo di chiedersi chi fosse Oscar François de Jarjayes, ora lo sapeva: la donna e il soldato avevano smesso di esprimere una contraddizione. Non aveva più bisogno di un titolo e di un grado dietro i quali ripararsi.

Cavalcarono appaiati verso la caserma senza parlare, Oscar aveva già deciso che quello che aveva da dire lo avrebbe detto davanti a tutti. Dopo una vita passata a nascondersi, quella era l’alba di un giorno di chiarezza e libertà e della determinazione a conquistarsele. Gli andò incontro decisa ad affrontarlo, consapevole del rischio, certa di ciò che voleva, avendo scelto da che parte stare.

Padre perdonatemi, non lo faccio contro di voi ma per noi

***

Quella muta richiesta di perdono, con parole più formali, era giunta al destinatario tramite uno scarno biglietto la sera prima. «Padre, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me, perdonatemi se vi ho dato dei dispiaceri».

Le asciutte righe d’addio di sua figlia avevano lasciato al Generale Jarjayes un senso di ineluttabile finitezza ancora più grande di quanto non avesse fatto l’ordine di servizio che gli aveva dato la certezza che la situazione del Paese fosse sul punto di precipitare nella guerriglia per le strade. Davanti al suo mondo che crollava, prima che si separassero, aveva sentito l’esigenza di attestare ad André tutta la propria stima, pur non arrivando a concepire per via dell’ostacolo del rango una relazione tra lui e Oscar: un modo di scusarsi per la notte drammatica di qualche tempo prima, in cui aveva minacciato entrambi con le armi. Provava rimpianto per non aver avuto la forza di salutare la figlia: troppo difficile affrontare un addio a voce con lei. Sentiva che non sarebbe bastato l’animo a nessuno dei due. Stava pensando a quello davanti al ritratto di lei quando quelle righe erano giunte a destinazione. Lì per lì aveva reagito con una fiammata al confine tra la rabbia e la disperazione: «Non ti perdonerò mai, Oscar, mai!», un attimo dopo si era pentito di quell’anatema al quale nemmeno lui credeva, dettato solo dal dolore per la lacerazione che quelle poche righe significavano.

Si sarebbe voluto rimangiare quella frase dal sen fuggita a voce alta, non appena lo sgomento sul volto di Marie, l’anziana governante per cui provava un affetto filiale, gliene aveva restituito l’enormità. Con uno sguardo addolcito si rivolse allora alla governante, mettendole le mani sulle spalle: «Sono grandi, ormai. Che Dio li protegga, Marie, da questi tempi bui. Prega anche tu, a te Iddio darà ascolto più che a me».

Di lì il Generale, turbato, prese la porta e a grandi passi, quasi con urgenza, andò a raccogliersi nella cappella di famiglia in fondo al parco. Chiese perdono a Dio e a sua figlia di quelle parole definitive. Capiva che contraddicevano quello che dentro di sé le aveva augurato un istante prima di leggere il messaggio: di vivere secondo il suo cuore. Mentre egli non riusciva a placare la lacerazione che sentiva nel proprio: non poteva rinnegare sé stesso, le proprie convinzioni, i valori del mondo in cui era vissuto e di cui si sentiva ancora parte; e contemporaneamente non voleva che accadesse qualcosa di male ai due giovani che aveva cresciuto. Chiese a Dio, se del caso in cambio della propria vita, che gli venisse risparmiato lo strazio di trovarseli di fronte in battaglia, ora che quelle poche righe secche gli avevano confermato quello che già sapeva: Oscar e André si sarebbero amati, e questo in fondo dentro di sé lo aveva già accettato; Oscar si sarebbe schierata con il proprio uomo dalla parte del popolo contro i privilegi dell’aristocrazia, sul fronte opposto a quello del padre nella divisione che stava spaccando la Francia, e questo gli era duro da digerire perché voleva dire che sua figlia avrebbe tradito il suo casato e ne avrebbe rinnegato il nome. Una ferita aperta per il Generale che aveva fatto della fedeltà alla Corona una ragione di vita. Sentendo di trovarsi dalla parte perdente della storia, recitò il confiteor e tornò sui propri passi verso il palazzo.

Rientrando in casa, invece di ritirarsi nei propri appartamenti il generale spiccò una rosa rossa dal roseto e andò a bussare alle stanze della moglie. Madame Marguerite che stava ricamando in poltrona alla luce della lampada a olio, trasalì quando sentì bussare con decisione a quell’ora poco consueta. Si alzò con un filo di preoccupazione, immaginando che potesse trattarsi di una cameriera con un messaggio urgente da Versailles. Non fece in tempo a comprendere di essersi sbagliata che si sentì cingere per la vita e si vide porgere la rosa con un gesto galante memore del tempo andato, mentre la voce del marito, baritonale e intonata, vestiva i panni del recente Don Giovanni di Mozart solo per lei: “Deh vieni alla finestra, o mio tesoro...”.

Madame arrossì come una ragazzina a quel corteggiamento che le ricordò la gioventù.

Il generale quella notte fece l’amore con la donna della sua vita con l’ardore e l’emozione della prima volta. Sostenuto dalla forza della disperazione nella consapevolezza che avrebbe potuto essere l’ultima, ma fece di tutto perché lei non arrivasse a capirlo. Voleva lasciarle un ricordo spensierato. Se tutto fosse finito l’indomani, le sarebbe rimasta quella notte. Dormirono abbracciati come non facevano da anni.

Il Generale la lasciò all’alba, attento a non svegliarla. Come faceva in gioventù prima di ogni missione.

Tornò nei propri appartamenti e vestì l’uniforme pronto ad andare incontro al dovere, qualunque cosa gli riservasse.

Passando a cavallo davanti alla cappella bianca in fondo al parco gettò una muta preghiera alla croce di ferro che la sovrastava, nera: «Signore, se dovete prendere qualcuno di noi nella battaglia che ci attende, prendete me. Per il resto, sia fatta la Vostra volontà».

*Non me ne voglia Javier Marìas, uno dei più efficaci narratori dell’animo umano.

(Per il titolo preso in prestito)
   
 
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