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Autore: aletheiamal    06/08/2023    1 recensioni
Una donna cammina per le strade di una città sconsacrata pensando alla sua vita e alle tragedie che la circondano, a ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà.
“Era stato un suono chiaro, improvviso, come quello di un campanellino in mano ad un chierichetto.
Una volta ritornata nel suo appartamento non era riuscita a pensare ad altro se non a quella che ormai nella sua mente era diventata un’orchestra, una cacofonia di suoni, l’impossibilità di ignorare quell’essere umano.
Il giorno dopo era entrata nel piccolo negozio di calzature e sacrificando i guadagni dell’ultimo mese aveva comprato quegli stivaletti.
Ed ora, in quel vicolo buio, camminava."
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I fari

CAPITOLO I - LA DONNA SENZA VOLTO

Come la sua ombra, l’eco dei suoi passi la seguiva per la strada stretta.
La notte aveva trascinato con sé un'aria umida e appiccicosa, che prima scivolava sulla sua pelle come una lurida carezza, e poi la afferrava, quasi volesse stringerla a morte.
Lei sapeva che una volta uscita da quello stretto vicolo, un piccolo capillare di una città infinita, sarebbe riuscita a respirare meglio.
L’odore nauseante che rimaneva appiccicato alle pareti di quegli alti palazzi avrebbe lasciato posto a quello delle strade principali (smog, gas di scarico ed il dopobarba da quattro soldi usato dagli impiegati), e svoltare ed entrare nel suo cuore pulsante avrebbe significato ritornare nel mondo degli esseri umani, immergersi di nuovo nella fiumana di volti sconosciuti e stanchi, così stanchi dei cittadini che popolavano quell’immensa metropoli.
Nel mezzo del vagabondaggio che era diventata la sua vita a volte sulla metrò la donna tentava di esplorare i volti dei pendolari esausti sulle carrozze, si insinuava tra i loro corpi stanchi cercando disperatamente il loro sguardo.
Il suo non era altro che il misero tentativo di immaginare la moltitudine di storie che si celavano nei loro occhi umidi, nella linea delle spalle stanche, nella mezzaluna triste delle labbra.
Erano uomini fatti di carne e spirito, la loro tristezza e il loro sconforto li rendevano infelici ed umani, li avvicinavano l’uno all'altro.
Li invidiava tutti.
Quando le capitava di scorgere il proprio riflesso nello specchio riusciva a vedere solo l'abbozzo di un essere umano: la massa grassa, la cartilagine, le ossa fragili, i tessuti della pelle la ricoprivano come fossero un sudario, non c’era altro che materia.
Un corpo sconsacrato.
Nessuno aveva mai alzato lo sguardo verso di lei e nel movimento frenetico di quella vita c’erano momenti in cui si domandava se qualcuno potesse veramente vederla.
Forse dopo tutti quegli anni anche lei era diventata uno spirito tormentato invisibile agli occhi dei vivi, pronto ad infestare castelli e grandi roccaforti, ma relegato ad una carrozza umida e sporca.
Eppure lei guardava, studiava, analizzava quasi ossessivamente, i suoi occhi erano sempre spalancati come due fari di un’automobile in una strada buia.
Ma nessuno le riservava la stessa cortesia e rimaneva una profilo immobile, un osservatore tormentato.
Voleva urlare fino a strapparsi le corde vocali.
Non vedi che in questo momento io ti sto vedendo?
Ma la donna rimaneva in silenzio e i pendolari di quella metropoli restavano rinchiusi nella loro personale tragedia.

***
Aveva comprato quelle scarpe poche settimane prima.
Erano due stivaletti di cuoio che certamente potevano sembrare insulsi a prima vista, ma dal suono così distinto.
Li aveva intravisti in una vetrina anonima di un negozio vicino al proprio appartamento e, se la prima volta non vi aveva fatto troppo caso, la seconda invece ne era rimasta abbagliata.
Il destino aveva voluto che durante una mattinata grigia si scontrasse con una donna che stava uscendo da quello stesso negozio: non ricordava molto di lei se non l’impressione lasciata sul proprio bulbo oculare di un blando tailleur ed una ricrescita scura, e poi li aveva visti, no…
No, non li aveva visti.
Li aveva sentiti.
Tac, tac, tac.
Il rumore di quelle scarpette così insignificanti, il sordo rimbombo di un tacchetto di cuoio contro il cemento del marciapiede, la sagoma della signora che si allontanava sempre più lontano e svaniva nel traffico della strada congestionata, ma che rimaneva così presente, così viva, il tac tac tac.
Era stato un suono chiaro, improvviso, come quello di un campanellino in mano ad un chierichetto.
Una volta ritornata nel suo appartamento non era riuscita a pensare ad altro se non a quella che ormai nella sua mente era diventata un’orchestra, una cacofonia di suoni, l’impossibilità di ignorare quell’essere umano.
Il giorno dopo era entrata nel piccolo negozio di calzature e sacrificando i guadagni dell’ultimo mese aveva comprato quegli stivaletti.

Ed ora, in quel vicolo buio, camminava.

***
Nei momenti di solitudine che permeavano la sua esistenza, nei lunghi viaggi che la riportavano a casa, si chiedeva che cosa una persona normale avrebbe fatto al posto suo.

Il silenzio gravava sempre su di lei quasi fosse un macigno ed ormai aveva imparato a trascinarlo con sé, esausta, Sisifo reincarnato.
In quegli istanti di sconforto un groviglio di parole le scendeva per la gola e le artigliava il petto come un animale selvatico, facendosi spazio tra le sue membra.
Se solo avesse avuto più coraggio (o più amor proprio) lo avrebbe detto, avrebbe dato voce al suo desiderio.
Ditemi che io esisto.
Ma alla fine rimaneva in silenzio, sulla lingua solo bile e saliva, acide come la sensazione che sentiva nel petto.
In piedi nel vagone, invisa a se stessa, avrebbe voluto scavare con le unghie nella pelle sottile del proprio petto, strappare i pezzi di tessuto che la ostacolavano e andare sempre più in fondo, sempre più giù.
Avrebbe superato i polmoni, lo stomaco, si sarebbe strappata l’intestino dalle viscere, avrebbe raggiunto le parti più nascoste della sua carne.
Si sarebbe liberata da tutto ciò di cui non aveva bisogno.
Avrebbe potuto lasciare i contenuti di quella donna qualunque sul pavimento del vagone, era sicura che i netturbini avrebbero ripulito senza problemi quella bizzarra massa informe.
La donna respirò profondamente.
Tutto quello ora non aveva più importanza perché in quel momento era all’aria aperta, e camminava, camminava, camminava. 
Tac, tac, tac.
La luna si stagliava in quel cielo color cancrena, la sua patetica luce appena visibile tra le nuvole e lo smog.
Tac, tac, tac.
La donna marciava a ritmo con il battito del suo cuore, un rumore costante nelle orecchie ed un eco lontano dal petto.



Note di nessuno
Non sono una scrittrice ma amo scrivere, e questa è la prima volta che faccio leggere qualcosa di mio a qualcuno.
Vorrei poter migliorare quindi se avete apprezzato questo primo capitoletto ditemi pure ciò che vi è piaciuto, e se lo avete detestato, ancora meglio! 
Ditemi cosa invece non vi è piaciuto e cosa trovate si possa migliorare.
Vi ringrazio per aver letto e per avermi dedicato il vostro tempo.
- Aletheia

   
 
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