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Autore: aelfgifu    11/08/2023    4 recensioni
Sei mesi della vita di Brian Cruyfford.
[La storia inizia dal cap. 4 di “Un anno dopo - A Parigi e ritorno”]
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brian Cruyfford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Hier, in deze wereld'
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2. Un malessere misterioso 

 

Era successo nell’ultima partita prima di Natale, un fuori casa con l’Everton. A dieci minuti dallo scadere, sull’1-1, mentre gli avversari si spingevano tutti in avanti su rimessa lunga del loro portiere, aveva intercettato un passaggio impreciso ed era partito in contropiede da metà campo, dribblando Jenkins e Salford, saltando letteralmente Stuart Randell, passando il pallone dal destro al sinistro e beffando Lewis che si era buttato dal lato sbagliato. Gol. Ma Brian non se n’era nemmeno accorto; nel momento stesso in cui la palla era partita filando verso la rete, una fitta da togliere il respiro gli aveva trapassato la spalla destra, aveva visto tutto nero ed era crollato a terra perdendo i sensi, proprio lì, poco fuori dall’area di rigore dell’Everton. Quello che era successo dopo lo aveva saputo dai giornali e dai suoi compagni. (Titolo maligno di uno dei giornalacci della domenica: “Cruyfford del ManUtd sviene per la gioia di segnare un gol”. Il Guardian: “Brian Cruyfford segna e sviene al Goodison Park”).

Era stato portato in ospedale e trattenuto ventiquattr’ore per accertamenti, ma tutti gli esami avevano dato esito negativo. Insomma, era svenuto sul campo mentre segnava un gol, senza nessuna ragione apparente. Lui aveva spiegato di avere avvertito una fitta fortissima alla spalla destra prima di svenire, ma le lastre non avevano evidenziato nulla. Si era fatto male alla spalla destra cinque anni prima, in uno scontro aereo, ma tutto era andato a posto velocemente, non era rimasta neanche una traccia di quel vecchio infortunio, quindi i medici escludevano che si potesse trattare del ritorno di un trauma. Lo avevano rimandato a casa con la raccomandazione di non sforzarsi troppo e di riposarsi. E lui così aveva fatto.

Nei giorni di Natale era rimasto a casa, steso sul divano, imbozzolato in una coperta, con la paura che il mancamento potesse ripetersi da un momento all’altro.

Solo la sera del 31 dicembre si era fidato ad andare a una festa con amici, ma aveva evitato di bere anche solo un sorso d’alcool. L’anno nuovo era arrivato così. 

A metà gennaio era quasi dimenticato dello svenimento ed era partito per Amsterdam, pensando a quanto sarebbero state belle le vacanze; e invece, a Schiphol gli era successo di nuovo. Mentre si avviava verso l’uscita del terminal, un dolore terribile alla spalla destra lo aveva colto di nuovo di sorpresa. Era inciampato nei suoi stessi piedi, aveva visto nero e non era caduto a terra solo perché aveva fatto leva sulla maniglia del trolley, che gli era servito da punto di appoggio. Stavolta però non era svenuto: dopo qualche secondo aveva ripreso il controllo, ma aveva avvertito un sudore ghiacciato invadergli tutto il corpo, piante dei piedi comprese.

Aveva passato dieci giorni dai suoi, senza andare da nessuna parte. A Kejzer che insisteva per uscire a far serata in compagnia, “come ai vecchi tempi”, aveva dovuto dire che si era preso l’influenza.

 

*** 

 

Con la ripresa degli allenamenti, aveva cominciato a sentire un piccolo fastidio alla spalla destra. Un fastidio sopportabile ma costante, che non gli dava noia più di tanto. Ne aveva parlato al medico della squadra, e avevano fatto nuove analisi; TAC, ECG, risonanza magnetica, angiografie, quel dolore unito al precedente svenimento faceva temere qualche problema a livello cardiovascolare, ma anche stavolta gli esami medici non avevano rilevato niente. Gli ortopedici consultati avevano escluso la presenza di traumi a carico della spalla. Il dottor Campbell gli aveva perfino prescritto un paio di sedute di psicoterapia, perché “forse c’è qualcosa che ti angustia e che non è ancora venuto fuori”. Così s’era fatto due o tre chiacchierate col dottor Sinclair, uno scozzese poco più vecchio di lui con una gran massa di capelli rossi e il viso disseminato di lentiggini. Insieme a Sinclair avevano ripercorso tutte le situazioni che forse potevano avere avuto un ruolo nei suoi recenti malesseri, dalla morte di Stijn all’eliminazione dalla Champions in semifinale della primavera precedente. 

“Mio fratello è morto tanti anni fa, e per la delusione della scorsa Champions sarei dovuto stare male molto prima” aveva obiettato, di fronte allo sguardo azzurro e interrogativo dello psicoterapeuta. 

“Be’, non è detto” aveva replicato Sinclair “il nostro corpo ha una memoria formidabile, e ogni ferita, ogni trauma, ogni dispiacere finisce per venire fuori, anche dopo anni, anche per vie traverse.  Esistono studi che dimostrano la correlazione tra eventi stressanti o traumatici e l’insorgenza di patologie serie come disturbi cardiaci o tumori. Di solito il malessere viene  fuori in un momento di minor resistenza; molti reggono la vita con i denti fino a che c’è da combattere, ma una volta raggiunto lo scopo, ops! inciampano per strada e si fratturano tibia e perone.  Oppure urtano contro lo spigolo di un mobile e si fratturano un piede. Distrazione loro o implorazione del loro corpo che dice: basta, non ne posso più, fammi riposare?” 

“Ma io non posso riposare, dobbiamo vincere il campionato e la Champions e…” 

“… e il Pallone d’Oro” aveva completato Sinclair, serafico. 

Lui gli aveva rivolto un’occhiata furiosa. 

“Sì, certo, anche il Pallone d’Oro, perché no?” aveva esclamato con aria stizzita.

“Ti è molto dispiaciuto non averlo preso lo scorso anno?” 

“Che domande, certo che mi è dispiaciuto. Ma non c’era storia, Schneider l’anno scorso ha fatto meglio di me”. 

“E?” 

“E cosa?” 

“È successo qualcos’altro negli ultimi tempi?” 

“Mah… no” 

“I tuoi cari stanno bene?”

“Sì, mia madre e mio padre stanno bene”.

“Dispiaceri nella vita sentimentale?” 

“In questo momento non ho  una relazione”. 

“Ma vorresti averla? C’è qualcuno nei tuoi pensieri?” 

“No”. 

 

*** 

 

Al rientro, turno casalingo con il Tottenham, non era successo niente. Brian aveva tirato un sospiro di sollievo. Per un mese era andato tutto più che bene. Negli ottavi di finale della Champions, contro i suoi vecchi compagni dell’Ajax, aveva anche segnato un gol e si era divertito a leggere le osservazioni di un commentatore sportivo: “Se non proprio il Pallone d’Oro, è assai probabile che Cruyfford quest’anno vinca la Scarpa d’Oro”. 

Magari, si era detto.

E poi, il 25 febbraio, nel derby con il Manchester City, era successo di nuovo. Sullo 0-0, a cinque minuti della ripresa, aveva avuto uno scontro in area, era stato strattonato un paio di volte, e più che cadere era scivolato, ma una volta a terra  aveva avvertito di nuovo il dolore alla spalla, improvviso e lancinante, e la testa aveva cominciato a girargli vorticosamente.

Senza neanche accorgersene, si era messo a gridare dal dolore, mentre era lì steso in terra; il gioco si era fermato, mentre compagni e avversari lo fissavano trasecolati. L’arbitro si era avvicinato e aveva fatto per estrarre il cartellino giallo contro Subraman del City, quello che lo aveva strattonato. Subraman aveva protestato vivacemente, com’era da aspettarsi. Anche Brian aveva urlato, con tutto il fiato che aveva, come se questo potesse aiutarlo a espellere il dolore che gli era esploso dentro: “Lo lasci stare! Lo lasci stare! Non è stato lui”.

Lo avevano dovuto portare fuori dal campo e sostituire perché non aveva avuto neanche la forza di rimettersi in piedi. I sanitari della squadra avevano escluso il ricovero in ospedale, visto che si era ripetuto un caso dall’eziologia incerta ma la cui ragione organica era più o meno stata esclusa; e tuttavia negli spogliatoi, mentre fuori la partita proseguiva, Brian li aveva pregati, con le lacrime agli occhi: “Per favore, datemi qualcosa; per favore, datemi qualcosa”.

Non sa nemmeno se gli abbiano dato un analgesico, un sedativo, o tutte e due le cose insieme.  Fatto sta che quel qualcosa lo aveva fatto dormire a lungo e quando si era svegliato si sentiva molto meglio. 

Aveva saltato il turno successivo in campionato, e meno male che la Champions era ferma fino ad aprile altrimenti sarebbe stato tenuto fuori anche da lì. Stai a casa, metti ghiaccio sulla spalla, riposa.

Due settimane più tardi, Campbell lo aveva avvisato di avergli fissato una visita con un esperto esterno, il professor Alan Robbins-Stickley. 

“È un luminare di fama mondiale, se qualcuno può capirci qualcosa quello è lui”. 

“E luminare in cosa?” 

“In reumatologia”. 

 

  
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