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Autore: BluCamelia    15/08/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando conobbi la professoressa d'inglese, Marianna Canè, la giudicai una delle donne più brutte che avessi mai visto. Molto alta e un po' curva, portava maglie oversize sopra gonne al ginocchio e scarpe che sembravano da uomo (e forse lo erano, con quei piedoni non doveva esserci molta scelta di scarpe femminili.) Comunque era simpatica, e decisamente era un altro tipo originale. Quali che fossero i difetti di quella scuola, non ci si annoiava.

«In che rapporti siete con la brughiera?» chiese a me e Carla, quando ci presentammo.

«Come?» credetti di aver sentito male.

«E con i cimiteri? Siete in grado di apprezzare la pallida bellezza di una vergine in una bara foderata di raso?»

Io e Carla ci guardammo in faccia.

«Siete mai state in un castello infestato da fantasmi? No? Niente, vedo che siete mediterranee senza speranza.»

Vedendo le nostre facce attonite la classe scoppiò a ridere. Sul momento non capii il motivo. Conoscendo la professoressa scoprii che nella sua passione per il gotico e il romanticismo, che per la verità contrastava in modo buffo con la sua faccia cavallina e i denti da castoro, si era inventata tutta una nuova serie di insulti. Per esempio "mediterraneo" se lo spirito britannico ti era alieno senza speranze. Poi c'era "illuminista" per quelli con tante belle teorie edificanti che cascavano miseramente nelle pratica, e altri ancora.

«Be'... però il mio cavallo preferito si chiama Grendel» la informai. Non era un grande argomento, anche perché il nome non l'avevo scelto io, ma la prof ne fu contenta. Invece sentii delle risatine soffocate dietro di me. Probabilmente in classe ero l'unica ad avere un "cavallo preferito".

Dopo inglese avevamo storia e filosofia. Ero troppo curiosa di vedere le nuove trovate di quel Vanini.

«L'anno scorso mi sono accorto che molti di voi sono in grado di ripetere decentemente questo o quel capitolo del libro ma non hanno il minimo senso della storia, per esempio, se dicessi che Cavour tifava la Juve non farebbero una piega... (a dimostrazione che il prof esagerava si videro molti sorrisi.) Così quest'anno vi farò un test per vedere se vi sapete orientare tra i diversi periodi storici. Non sarà nozionistico e non lo valuterò, quindi sono compresi anche argomenti di storia contemporanea.»

«Ma, professore... ci fa un test sul programma che dobbiamo ancora svolgere?»

Vanini guardò Elisa con malcelato disprezzo.

«Bartezaghi, per l'amor del cielo, non fare quella faccia da pecora portata al macello. Prima delle scuole superiori avete frequentato le elementari e le medie, inoltre ci sono i libri, il cinema, i racconti del nonno, ecc. Mia nipote si impiccherebbe prima di studiare una riga di storia medievale, ma sa Il nome della rosa a memoria e può parlarti per un'ora delle dispute tra francescani e benedettini. Non vi metterò un voto, è un test di livello per capire come devo impostare le lezioni.»

Mi aspettavo un foglio con delle domande invece consegnò a ciascuno un mazzetto di foglietti con un paragrafo di testo, un po' come delle versioni di latino.

«Ordinatele cronologicamente e cercate di datarli. Se non ci capite niente mettete la datazione meno approssimativa che riuscite, per esempio, "dal XVI al XVIII secolo", oppure "dall'età della pietra a oggi".»

Erano dei brani dove non c'erano riferimenti precisi come nomi di re, date, o guerre famose, ma che era possibile datare in modo generico grazie agli elementi interni, per esempio, se si parlava della Prussia o della Germania, ecc. Non era difficilissimo perché i salti temporali tra i vari testi erano molto grandi. Da come erano scritti sembravano fonti dell'epoca.

Vanini si fermò davanti a me. Notai che al mignolo portava un grosso anello con una pietra nera quadrata, forse onice, ornata da un filo d'oro che formava delle figure geometriche. Era bello ma dava il colpo di grazia al suo assurdo abbigliamento. Non capivo come fosse umanamente possibile infilarsi dei pantaloni di velluto a coste quando si portava un anello del genere.

Vedendo che avevo subito messo a sinistra quello scritto in linguaggio più antiquato e latineggiante e all'estremità destra quello in stile dannunziano, disse: «E' un test di storia, non di letteratura. Un brano può essere scritto in un certo periodo e parlare di avvenimenti di cent'anni prima. Usa un po’ di Metodo.» Lo disse facendo risaltare la parola come se avesse avuto la maiuscola.

Feci un gesto come per dire che ero stata stupida e lessi più attentamente il testo dannunziano. Certo quello più antiquato non poteva parlare di avvenimenti del futuro, a meno che non fosse un brano di Nostradamus. Anche rileggendolo mi sembrava riferito all'inizio del Novecento. Lo lasciai al suo posto.

«Infatti era giusto, ma non dovevi datarlo senza leggerlo.» Vanini si allontanò per controllare gli altri e dopo un po' ci ritirò i foglietti. Avevamo solo un'ora con lui. Nei miei appunti segreti scrissi: Metodo molto interessante, ma che razza di anello.

Per chiudere in bruttezza una giornata scolastica decente, dopo ci toccava la "zoccola artistica", secondo la definizione di Noemi. Parlò per un'ora del Rinascimento, quindi disse: «Dividetevi in gruppi e portatemi una ricerca sul significato alchimistico della Primavera di Botticelli.»

Strinsi  i denti. Allora non c'era internet, e se nella biblioteca della scuola o a casa tua non avevi i libri giusti ti toccava andare alla biblioteca comunale. E nella mia nuova casa libri sull'interpretazione alchimistica di Botticelli non ce n'erano di sicuro. La scuola era cominciata da due giorni e già ci stavano andando pesante coi compiti. Mi mancava solo un intero pomeriggio in biblioteca.

Notando il nostro scarso entusiasmo aggiunse in tono offeso: «Volevo darvi un argomento un po' stimolante, invece che leggere semplicemente quello che c'è sul libro, ma al solito non dimostrate molta curiosità intellettuale. Ma non vi leggete mai qualcosa per conto vostro, o, che so, conoscete un quadro perché l'avete visto e vi ha colpito...?»

«Peccato che anche se lo conosciamo non va bene lo stesso...» sussurrò Elisa, scura come un nuvolone.

«Prego, Bartezaghi? Parla pure a voce alta.»

Elisa rispose, col tono di chi sa che sarà una perdita di tempo ma non vuole fare la parte della vigliacca: «Ieri ho risposto alla domanda su Filippo Lippi, ma non le andava bene.»

«Che sciocchezza, quando mai ho detto che non andava bene! Ho detto che era giusto.» (Ma l'hai detto come una che sta per vomitare, pensai.) «Non so perché vedi tutto così nero, addirittura se un'insegnante ti loda capisci al contrario. Sei in quei giorni?»

Sul momento non capii le ultime parole, ma vedendo Elisa tutta rossa e col viso contratto dalla rabbia il significato mi fu chiaro. Il mio umore era decisamente rovinato. Uscii dalla classe a testa bassa.

Nel piazzale della scuola notai di nuovo il ragazzo dagli occhi verdi. Lo guardai cercando di non farmi vedere. Un po’ troppo magro, ma le guance incavate facevano risaltare gli zigomi e le labbra, e poi c’erano quegli occhi verdi allungati. Portava i capelli neri con la riga in mezzo tagliati pari all’altezza dell’orecchio, una pettinatura che allora era il marchio di fabbrica dei ragazzi fighi, un po’ perché ti dava un’aria da dandy decadente, un po’ perché per portarla dovevi essere figo per forza, o ti faceva sembrare ritardato. Aveva i soliti jeans, ma invece della maglietta indossava una camicia con gilè. Sembrava un tipo originale e un po’ raffinato, chissà cosa ne pensava delle ragazze che leggono troppo?

Vidi la bionda vicino a lui lanciarmi l’inconfondibile sguardo da difesa del territorio. Indossava fuseaux con una maglietta corta, stivali borchiati con una zeppa di dieci centimetri, e il labbro superiore era il triplo di quello inferiore. Le mie speranze scesero a zero.


Quella settimana io, Carla ed Elisa andammo insieme in biblioteca per la ricerca, e naturalmente finimmo a spettegolare a voce bassa su professori e compagni. Chiesi: «Ma Noemi è ripetente? Sembra più grande di noi.»

«Dimostra venticinque anni, vero? No, è solo più matura. Nella nostra classe lei è l'esperta di sesso. Parla sempre di chi sbava per chi, anche in faccia ai diretti interessati. E purtroppo vede tutto. Abbiamo avuto certe risse... E poi ogni volta che parliamo di queste cose prende un atteggiamento di superiorità. Sai, lei lo faceva già in prima.»

«Davvero?» chiesi, anche se non me ne importava niente. Avrei preferito finire quella stupida ricerca, se no saremmo dovute tornare in biblioteca anche un altro giorno, ma non volevo cominciare la vita in una nuova scuola come l'eterna asociale. Poi ebbi il lampo orribile di Occhiverdi con la dea del sesso e chiesi: «Il suo ragazzo è della nostra scuola?»

«No» disse Elisa con il tono di chi dà notizie gustose: «Sta con un tipo molto più grande. Non dice mai 'il mio ragazzo' dice 'il mio uomo'. Deve avere almeno venticinque o trent'anni, anzi, secondo me ne ha quaranta!»

«Sì, vabbè, adesso si scopre che è Paris» rise Carla «Perché pensi che sia così vecchio?»

«L'hai vista, di solito si mette in jeans, ma una volta che aveva una gonna, giuro, ho visto spuntare un reggicalze!» Un reggicalze nella nostra classe dai muri sporchi e i banchi scassati... scoppiai a ridere.

«Trent’anni... ci vuole un bello stomaco» dissi, inconsapevole della nemesi in agguato nel mio futuro.

«Bleah... al massimo ventiquattro» disse Carla.

La guardai incuriosita. «Perché proprio ventiquattro e non venticinque?»

«Come Andrea Giani» spiegò lei. «La prof di ginnastica fa giocare a pallavolo?»

«Quasi mai. Facciamo esercizi con la trave e cose del genere.»

Come compromesso con la mia coscienza, mentre chiacchieravamo sfogliavo velocemente i libri annotando il numero delle pagine dove c'era qualcosa di utile, così le avremmo fotocopiate e avremmo continuato a casa. Oltre ai numeri presi i miei soliti appunti sui nostri pettegolezzi.


«Barbier e Di Matteo» chiamò Vanini.

«Ehm, professore... » dissi timidamente «i nostri numeri sono usciti proprio l'altro giorno!»

«Se volessi una successione di interrogazioni ordinata e prevedibile non userei i dadi, ma chiamerei i nomi dal registro. Così tutti saprebbero quando è il loro turno e studierebbero solo due volte a quadrimestre. Tranquilla, voglio solo parlare dei test dell'altro giorno e voi due mi darete gli spunti.» Si alzò e cominciò a camminare su e giù. «Il test era di una facilità disgustosa, ma molti sono riusciti a sbagliarlo lo stesso. E comunque vi ho teso una piccola trappola e ci siete cascati tutti, tranne le due persone che ho appena chiamato.» Miriam mi lanciò un’occhiata seccata. Oh, finalmente un po’ di rivalità intellettuale, ero stufa di tutte quelle sfide a chi era la più sexy! Anche perché di solito non le vincevo.

Vanini continuò: «Avete visto un brano che parlava della Francia e di un imperatore e avete pensato tutti a Napoleone. Invece era Napoleone III.» Si fermò e valutò la classe con un'occhiata circolare. «Mmm... vedo dalle vostre facce che mi considerate una carogna. Chi accidenti va a pensare a Napoleone III... Chiediamo a Barbier e Di Matteo come hanno fatto. Forse si ricordavano della politica di Napoleone III perché l'hanno studiata bene alle elementari. O forse sarà perché ne parlano così spesso al cinema. Di Matteo, perché l'hai datato come 'seconda metà dell'Ottocento'?»

«Be', a un certo punto parlando della Francia dice qualcosa come 'le nostre fabbriche', così, casualmente, come se ce ne fossero un sacco, quindi doveva essere per forza in pieno periodo industriale.»

«E meno male che qualcuno se ne è accorto. Per chi ha un minimo di senso della storia quella frase doveva essere come un'insegna al neon. Perché non l'hai datato come brano del Novecento?»

Alberto batté le palpebre, come cercando una risposta brillante, alla fine si arrese e disse: «Non mi pare che recentemente la Francia sia stata governata da imperatori.» Ridemmo.

«Non risulta neanche a me, Di Matteo. Vedete che le mie domande non sono poi così difficili.»

Carla alzò la mano: «Scusi prof, ma si accennava a non so che rivoluzione sanguinosa, per quello ho pensato alla rivoluzione francese e Napoleone.»

«Sì, infatti. Parlava della Comune di Parigi.»

Carla era evidentemente in alto mare. Alberto si azzardò: «Però non mi ricordo una grande rivoluzione successa in quell'epoca...»

«E chissà perché. Stai commettendo uno degli errori più frequenti nello studio della storia: lo sguardo retrospettivo. Leggi duecento volte che le forze reazionarie hanno stroncato un moto operaio e quando ti mettono in mano una fonte dell'epoca ti aspetti che ci sia scritto "Noi forze reazionarie abbiamo appena stroncato un moto operaio".» Pur nel suo strano modo di fare freddo, Vanini si stava infervorando. La voce era vibrante e lo sguardo diventava sempre più intenso. «Invece ci trovi scritto che per fortuna siamo riusciti a sconfiggere quei pazzi sanguinari, gente che massacra donne e bambini e che per mettere in pratica la ripugnante dottrina dell'uguaglianza sfregia le persone troppo belle, non ridere, Costa, nel brano che vi ho dato non c'era ma è stato scritto davvero» si piegò verso Alberto e vidi che lo sguardo di Vanini era diventato bruciante, sembrava davvero matto. Non era per niente bello, aveva il colorito smorto e le occhiaie viola, sembrava un vampiro appena uscito dalla bara. «E questo errore non si fa solo nello studio della storia, si fa sempre. Scommetto che quando leggi quei libri di spionaggio da quattro soldi e il capo del complotto comunista dice "dobbiamo chiudere tutti i giornali per abolire la libertà di pensiero" non ci trovi niente di strano!»

«Non mi piacciono i libri di spionaggio, professore!»

«Ma hai capito quello che sto dicendo?» Adesso Vanini stava mostrando i denti, che erano irregolari. No, non era bello. «Cosa direbbe un comunista vero? Lombardi, salvami tu. Mi sembra che ti consideri un comunista, ma forse porti la maglietta con la faccia di Che Guevara per far vedere che sei più figo di lui!»

«Be' professore, se parliamo di cos'è un vero comunista... ci sono discussioni a non finire...» rispose Gabriele.

«Non fare lo scemo, non mi interessa la dottrina, intendevo un comunista in carne e ossa e non uscito da un libro da quattro soldi.»

«Ah sì, certo. Direbbe che bisogna chiudere i giornali perché appartengono ai gruppi industriali Tizio e Caio e quindi sono la voce della borghesia.»

Anche dopo aver interpellato Gabriele, Vanini era rimasto con le mani appoggiate sul banco di Alberto e la faccia vicina alla sua. Se non avesse avuto un'espressione così feroce avrei pensato che stava per baciarlo. Alberto sembrava sull'orlo del panico.

La risposta di Gabriele calmò Vanini all'istante, come se tutta la scena fosse stata studiata apposta per suscitare un barlume di intelligenza da parte nostra.

«Infatti» disse, raddrizzandosi. Tirammo un sospiro di sollievo. «Costa, che conclusioni hai tratto da tutto ciò?»

«Ah... che noi vediamo gli avvenimenti storici diversamente da come li vedevano i contemporanei...»

«Quando faccio una domanda a uno studente è sottinteso che voglio la verità, quindi in questo caso la risposta esatta era "che lei è matto da legare."» Ridemmo ma era una risata un po’ nervosa. «Bene, vi siete divertiti, ma sono riuscito a ficcarvi in zucca un po’ di Metodo? Ma quando mai, che me lo chiedo a fare...»

Me ce l’ha con questo metodo, scrissi nell’ultima pagina.

   
 
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