Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Selene123    26/08/2023    0 recensioni
La vita aristocratica di una donna alla ricerca di luoghi, persone e sentimenti raccolta in un prezioso diario settecentesco
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Epoca moderna (1492/1789), Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La sera del mio debutto ufficiale a corte avrebbe coinciso — a mia insaputa — con l'incontro con il mio futuro marito. Ancora oggi non so se i due avvenimenti fossero stati decisi da mia madre o se il fato avesse portato quel giovane al mio primo ballo. Ciò che è certo, però, è che le nostre famiglie avessero già cominciato a sondare il terreno da qualche tempo, ma per evitarmi dei gran mal di testa avevo preferito soprassedere ed estraniarmi dalla conversazione ogniqualvolta si presentasse l'argomento. Tanto casuale, comunque, non doveva essere stato. 

La busta con la quale ci era stato recapitato l'invito per la festa da parte di un valletto recava sul sigillo di ceralacca un fleur de lis, segno che quell'importante comunicazione proveniva direttamente da Sua Maestà. Nell'agitazione generale che si era impossessata di casa nostra in meno di un minuto, ricordo distintamente mio padre alzare gli occhi dalle sue carte e chiedere a sua moglie se si trattasse dell'ennesimo tentativo del Re di far sapere che i delfini erano ancora vivi e vegeti come avrebbero potuto constatare tutti la sera del gran ballo, nonostante la momentanea assenza di un figlio. Mia madre, stizzita dal tempo che le stava facendo perdere l'uomo alla scrivania con una domanda talmente sciocca, correva tra stanze e corridoi seguita da un gruppo di cameriere alla ricerca di ciò tra cui potessimo scegliere per presentarci al meglio. Si chiedeva a voce alta il motivo di un invito così importante consegnato all'ultimo minuto — il giorno stesso! — e non trovava pace immaginando le varie ipotesi che potessero dare risposta al suo quesito. Non l'avevo mai vista tanto agitata, credevo che prepararsi per un'occasione mondana fosse il suo forte ma non avevo tenuto in considerazione due variabili finora inedite: la mia presenza ad un evento serale e, soprattutto, la mia presenza ad un evento serale davanti al Re, al suo successore, alla consorte e, in definitiva, alla corte intera. Il rischio che rovinassi tutto, coprissi di ridicolo la nostra famiglia e gettassi nel vento i successi di mio fratello nell'esercito non era nullo, benché io mi preparassi da anni per quell'occasione e per le successive. Nonostante le mie perplessità, avevo evitato di protestare: si trattava comunque di una situazione a me nuova e le mie esperienze in fatto di incontri sociali si erano limitate a merende, incontri mattutini e altri giochi di poco conto. 

Terminato il panico e scemata l'ansia da prestazione, i presenti in casa avevano dato il via ad un lungo processo di preparazione che, dal sovrano nel corso di diverse ore, ci avrebbe resi degni di essere ospitati. L'ingombrante gonna sorretta da un panier interno molto rigido mi sembrava tutto sommato non troppo scomoda rispetto alla parte superiore dell'abito. Mia madre si era premurata con le cameriere che il bustino fosse il più stretto possibile, cosicché se non mi fosse stato permesso di respirare più del necessario per sopravvivere non avrei potuto creare incidenti di alcun tipo. Mentre Rose tirava i laccetti sulla schiena per fermarli poi in un piccolo fiocco, avevo la netta percezione di essere schiacciata fra due pareti e che il fiato si facesse ogni minuto più corto. "Resistete, Mademoiselle, dovete essere perfetta per questa sera..." mi ripeteva la poverina, una ragazza estremamente dolce e delicata il cui compito principale era, da qualche anno, aiutare a vestirmi. Sembrava più emozionata lei di me quella sera, come se il mio debutto corrispondesse ad un suo personale obiettivo raggiunto, un traguardo a cui lavorava da tanto e che infine aveva superato con onore. "Siete molto cara, Rose, ma ci devo arrivare viva!" le avevo risposto, giusto un paio di istanti prima che mia madre, già abbigliata e pettinata alla perfezione, entrasse nella mia camera accompagnata dalle acconciatrici. Di tutto il processo preliminare all'uscita di casa, il momento più gradevole si era rivelato proprio quello dedicato ai capelli. Mi piaceva essere pettinata, sentire il tocco delle dita che scivolavano attraverso le ciocche mi ricordava quel poco di affetto che mia madre mi concedeva quando ero bambina. Ero rimasta seduta davanti allo specchio per un'ora a lasciare che una signora alta dal volto serio e concentrato e le sue due assistenti mi apparecchiassero in testa ciò che veniva comunemente definito le pouf. Una sorta di cuscino castano scuro, un'impalcatura sontuosa adornata da fiocchi e piume che poggiava sul mio capo e attentava al mio equilibrio sbilanciandomi non appena cercassi anche solo di voltarmi per guardare cosa succedesse al mio fianco. Finalmente sistemati gli ultimi dettagli, avevo imboccato la porta per recarmi nel salotto dove i miei genitori attendevano con pazienza il mio arrivo. Era complicato portare in giro tutti quei chili di stoffe e sostegni nascosti senza inciampare o dare l'impressione che facessi fatica, ma dopo i primi difficili passi avevo attinto alle lezioni di buone maniere che avevano riempito i miei giorni fino al mattino precedente ricordandomi i segreti di una camminata sicura e disinvolta. 

Al pianoterra, i duchi De Cigale sedevano su un prezioso e morbido divano bordeaux decorato con arabeschi. Il candelabro di cristallo a goccia pendeva dal soffitto a cassettoni immergendo la grande stanza, ben illuminata, in un'atmosfera soffusa. Le ombre delle candele si muovevano in modo flebile nell'aria, a distanza sufficiente da qualsiasi struttura di legno a cui potessero far prendere fuoco. Le pareti bianche, adornate di cornici e battenti dorati, ospitavano un grande specchio rettangolare sopra la mensola del caminetto, due alte finestre nascoste dalle tende di cotone ricamate e il ritratto di famiglia che un pittore chiamato da mio padre direttamente dall'Italia aveva dipinto alcuni anni prima. Avevo appena varcato la soglia del salotto quando gli occhi di mia madre si erano accesi di una luce incredula, quasi sull'orlo di un leggero pianto di gioia. "Quanta fatica e impegno ci sono voluti per renderti così bella, ma chère!" aveva esclamato lei chiudendo con un gesto rapido il ventaglio per poi alzarsi a braccia aperte e avvicinarsi a me. "Mi auguro di essere accettabile..." avevo risposto io, ma nell'esatto momento in cui stavo per voltarmi per mostrare anche il retro di quell'ingombrante tenuta da sera la duchessa si era affrettata a fermarmi appoggiando le sue lunghe dita pallide sul mio braccio: "No no, tesoro. Non fare così, per favore". Mio padre aveva alzato gli occhi al cielo, sconsolato, come d'abitudine, da che avevano imparato a conoscersi bene (vale a dire almeno un paio d'anni dopo il loro matrimonio). Era sempre divertente vedere quell'uomo così distinto nella quotidianità cambiare quasi del tutto per le occasioni di festa. I suoi naturali capelli mossi brizzolati venivano coperti da una pesante parrucca riccia legata da un fiocco del medesimo colore del completo. Per quello che sarebbe stato, a detta di sua moglie, l'evento della nostra vita finora il duca ne aveva scelto uno verde cucito con stoffe pregiate provenienti da Venezia; perfino la fibbia delle scarpe era tinta smeraldo, così come il cappello e i dettagli dei volant ricamati dalle sapienti mani delle sarte più esperte a nostra conoscenza. Con grande gioia, mio padre si era congratulato con me per il mio aspetto e, stringendo entrambe la mie mani nelle sue, aveva dato il suo benestare all'imminente debutto a corte della sua unica figlia femmina. "Stiamo già perdendo tempo!" si era premurata di ricordarci Madame la duchesse mentre la sua cameriera personale le passava un paio di guanti da sera. "Bien sûrbien sûr..." aveva concluso suo marito, invitando entrambe a dirigerci verso il grande portone aperto sul giardino immerso in un caldo tramonto tardo-primaverile.

Quando ancora vivevo la condizione di indolente ma sofferto (dagli altri) nubilato, la nostra residenza era un palazzo nel quartiere Notre-Dame di Versailles. Per raggiungere la reggia occorrevano all'incirca venti minuti nei giorni in cui gli invitati a corte avevano orari differenti a cui presentarsi, più o meno mezz'ora negli altri casi (come quella sera). Dalla finestra della carrozza osservavo per la prima volta la città fuori dal confine di casa illuminata dalla luce arancione dell'ora di cena. Mi sembrava un luogo diverso da quello che vedevo di solito, percorso da personaggi che mi parevano usciti dalle proprie dimore soltanto per abitarlo esclusivamente al calar del sole. Spesso capitava di incontrare bambini che correvano per le strade mentre donne e uomini di ogni età si dirigevano verso chissà dove e salutavano con reverenza i curati che trovavano sul cammino. A quell'ora, invece, le uniche presenze femminili facilmente riconoscibili aspettavano con pazienza sulla soglia di portoni chiusi durante il giorno e sulle quali mia madre posava sguardi ricchi di sdegno, lamentando l'avvento di una corruzione morale inaccettabile, la cui unica soluzione sarebbe stata trasferire la famiglia De Cigale da un'altra parte. In campagna, magari. "Ce n'est pas possible!" ripeteva lei indignata dietro il ventaglio, mentre mio padre alzava gli occhi al cielo per l'ennesima volta durante la giornata. Io, ingenua, non capivo a cosa si riferisse ma l'entusiasmo del momento era talmente tanto che perfino quella reazione mi sembrava parte piacevole del gioco a cui stavo partecipando. "Avete proprio ragione, madre..." avevo sospirato io, benché Madame non ne fosse rimasta piacevolemente colpita. "Cosa ne saprai mai tu, che esci di sera per la prima volta oggi!" mi aveva rimproverata con il tono di chi non vuole davvero riprendere il proprio interlocutore ma l'intera situazione la sta agitando al punto di avere solo risposte scontrose. "Calmatevi, ma chère, Aphrodite voleva solo partecipare alla conversazione" si era intromesso mio padre il duca e, aggiustando lo jabot della camica, aveva sviato il discorso cambiando argomento per allentare la tensione.

Troncate sul nascere le mie ambizioni di conversare insieme ai miei accompagnatori, avevo spostato di nuovo l'attenzione sul panorama che ci circondava. Il lungo viale che portava alla reggia era punteggiato di alberi carichi di foglie verdi che il vento faceva oscillare lentamente. Dagli infissi dei palazzi più ricchi si scorgevano le luci delle candele all'interno delle stanze, nonostante fuori fosse ancora abbastanza chiaro da permettere di vedere ancora senza troppi aiuti. Dietro ai cancelli si estendevano giardini e prati curatissimi benché situati in città, sicuramente ancora più sontuosi nel retro delle abitazioni. Chissà chi le abitava, se li avrebbero incontrati al gran ballo o se, al contrario, se ne sarebbero rimasti lì, a trascorrere la serata immaginando da lontano quella che per la nostra famiglia si apprestava ad essere l'evento più importante di sempre (finora)... Mi ero lasciata andare ad un sospiro pensieroso quando, inaspettatamente, la carrozza si era fermata e dall'esterno si poteva udire con chiarezza il cocchiere agitarsi e discutere con qualcuno. Dalla mia postazione riuscivo a scorgere soltanto il lato sinistro del cavallo, da dietro al quale era corso via verso un vicoletto un ragazzino insieme ad una bambina più piccola. Entrambi mi parevano vestiti con abiti sdruciti e umili, reggevano dei tozzi di pane stringendoli il più stretto possibile al petto per non rischiare di perderli per strada. "Che succede?" aveva domandato con impazienza mio padre, per poi scoprire che i due fuggitivi avevano attraversato la strada all'improvviso, forse dopo essere scappati dall'elegante residenza che occupava metà del viale alla nostra destra. Mia madre continuava a ripetere che non potesse essere possibile, che qualcuno doveva assolutamente fare qualcosa perché se due ragazzini erano riusciti ad introdursi in un palazzo tanto importante e protetto saremmo stati in pericolo proprio tutti e lo faceva con un'irritazione sempre maggiore che le ingrossava la vena sul collo. Tra una constatazione di desolazione e l'altra, sventolava il ventaglio a gran velocità e si lamentava, in ordine sparso, del ritardo che quell'imprevisto ci avrebbe procurato, della potenziale figuraccia, della delusione che avremmo provocato in Sua Maestà e nelle Loro Altezze e, ça va sans dire, dell'impossibilità di riprendere terreno essendo una mossa che avrebbe dipeso da me. Stanchi di sopportare per la centrsima volta la mancanza di fiducia nei miei confronti che mia madre non nascondeva più, mio padre e io ci eravamo guardati negli occhi desiderosi di arrivare in fretta a palazzo e avvicinarci un po' al momento in cui tutto sarebbe finito. 

Una decina di minuti dopo, con il centro abitato ormai alle spalle lontano, i cancelli della reggia di Versailles erano apparsi piano piano per diventare sempre più imponenti e maestrosi. Quando la carrozza aveva fatto il suo ingresso nella cour royale, i miei occhi avevano avuto finalmente l'occasione di posarsi sullo spettacolo più bello che mi fosse capitato di vedere. Un gigantesco edificio, perfetto nelle sue proporzioni mastodontiche, si avvicinava di gran lena con le sue infinite finestre luccicanti e la sua simmetria studiata al millimetro. Percepivo con chiarezza il cuore battere all'impazzata, agitavo il ventaglio per trovare un po' di aria da respirare nel momento in cui il fiato era tornato a farsi corto. Osservavo le altre carrozze fermarsi qualche metro più avanti rispetto alla nostra e da esse scendere una quantità indefinibile di gente. Mai in vita mia mi era capitato di assistere ad uno spettacolo del genere e, se quello era solo l'inizio, avevo capito che mi sarei dovuta già preparare per quanto sarebbe forse potuto accadere nelle ore successive. Il nitrito dei cavalli si confondeva con le risate e le voci allegre degli invitati appena giunti a destinazione, alcuni dei quali non mi sembrava che disquisissero tra loro in francese. Tutti apparivano a proprio agio visti dalla mia seduta, amici di vecchia data che si incontravano nuovamente con felicità e impazienza. Che cosa avrei potuto dire loro per fare una bella figura e dare la giusta impressione? Quelle donne erano evidentemente  esperte navigatrici di importanti salotti ed eventi fondamentali nella vita dell'aristocrazia. Perfino le più giovani, come colte da un forte spirito di intraprendenza, lasciavano che i gentluomini si avvicinassero per un elegante baciamano prima di salire la prima  rampa di scale e perdersi nei corridoi. Quel rutilante via vai di persone, cavalli e carrozze mi aveva catturata al punto di non rendermi conto che ci eravamo mossi abbastanza da raggiungere il punto di arrivo e l'elegante lacché ci aveva aperto la porta così da permetterci di scendere. "Bonne chance!" mi aveva augurato mio padre con un'espressione serena benché un po' tesa, mentre mia madre camminava al mio fianco sorridente ben conscia del fatto che sarebbe stata la mia guida per tutta la serata. Quale occasione migliore, pertanto, per tirare a lucido la coda del pavone che abitava dentro di lei?

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Selene123