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Autore: Sunnyfox    27/08/2023    1 recensioni
Solo quando all'improvviso Rufy cacciò un urlo animalesco, si rese conto che la squadra di Kendo del loro liceo aveva fatto il suo trionfale ingresso.
«Eccoli che arrivano!» esclamò, agitando le braccia per catturare l'attenzione di Zoro che seguiva il capitano della squadra e andavano a posizionarsi accanto agli altri kendoka.
Nami lo vide alzare lo sguardo verso di loro, come se fosse davvero riuscito a sentire il richiamo dell'amico, in mezzo a tutto il fracasso esploso all'ingresso delle squadre. Rufy si agitava così tanto che dopotutto sarebbe stato impossibile non notarlo. Zoro non fece altro che alzare lo Shinai in segno di saluto. Una conferma che li aveva scorti e aveva, a modo suo, apprezzato la loro presenza. Se non fosse stato così distante, Nami avrebbe detto di averlo persino visto sorridere.
[High School AU]
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2.

 

 

Zoro non era riuscito a chiudere occhio.

Fuori aveva cominciato a piovere, ma di solito il rumore dell'acqua che si abbatteva sul lucernario di casa lo calmava, aiutava i suoi momenti di meditazione. Quando poi era stanco, dopo una sessione di allentamento particolarmente sfiancante, solo toccare il materasso era in grado di precipitarlo in uno stato di pura narcolessia.

Ma quella notte era tutto diverso, e non c'entrava nulla la scorpacciata di carne che si era concesso assieme ai suoi amici, solo poche ore prima. Come per Rufy, anche per lui il cibo non era mai stato fonte di problemi.

Era la sconfitta.

Si era costretto a soffocare il sentimento per tutta la serata, cercando di concedersi una tregua, almeno per poche ore. Di lenire le ferite all'orgoglio, la cocente umiliazione, con una buona compagnia e qualche risata. Ma ora che se ne stava solo con i suoi pensieri, le immagini della gara trascorsa affollavano la sua mente come in una sequenza in loop. Se solo avesse optato per soluzioni diverse, per mosse meno azzardate, più calcolate. Se solo poco prima che Mihawk si accingesse a scoccare i colpi finali si fosse deciso a retrocedere in difesa, anziché insistere con quegli stupidi attacchi... se solo.

Si portò le mani sul viso in un gesto esasperato, come fosse possibile scacciare repentinamente quello stupido, fallimentare episodio della sua vita o cancellare il ricordo dell'espressione soddisfatta del suo avversario che, a mezza bocca, gli sussurrava che ancora non era pronto.

Si era allenato tanto, ma non abbastanza. Aveva, ancora una volta, peccato di presunzione. Lui e quel suo stupido orgoglio da quattro soldi, lui e quella sua ambizione sfrenata. Eppure il suo Sensei lo aveva sempre spronato all'umiltà, alla pazienza, a frenare quell'impazienza, tipica della sua difficile età.

Koshiro aveva intuito che le cose non erano andate per il verso giusto e non gli aveva chiesto niente, quando lo aveva visto rientrare quella sera. Si era limitato a preparargli del tè caldo e concedergli il silenzio. Non avrebbe potuto chiedere di meglio nemmeno ai suoi veri genitori, se solo fossero stati ancora vivi. Chissà cosa avrebbero pensato di lui, soprattutto suo padre, che del kendo aveva fatto una professione molto prima che lui nascesse. Glielo ricordavano ogni giorno le vecchie foto sfoggiate nella vetrinetta di casa. Le medaglie delle vittorie ai tornei regionali e nazionali che Koshiro conservava gelosamente, accanto alle proprie. Zoro si era ripromesso di mantenere fede alla tradizione, e credeva di aver lavorato sodo per soddisfare le aspettative. Invece.

Quando un tuono squarciò la monotonia della pioggia per poco non scambiò la vibrazione del suo telefono per una scossa particolarmente violenta di temporale.

Guardò incuriosito la sveglia e i numeri luminosi riportavano quasi le tre del mattino. Una notte sprecata.

Si costrinse ad allungarsi per recuperare il telefono, una scusa come un'altra per dissuadere pensieri complicati.

Era convinto si trattasse solo di una stupida notifica, ma il nome che lesse al messaggio appena arrivato era quello di Nami.

Si sorprese tanto da levarsi quasi a sedere sul letto, gli occhi che stentavano ad abituarsi alla luce dello schermo e la titubanza nello scoprire cosa avesse spinto la ragazza a scrivergli a quell'ora del mattino.

Non era quel tipo di amicizia la loro. A dire il vero quella di Zoro non era il tipo di amicizia da messaggistica in generale. Era il più odiato del gruppo per via di quella sua straordinaria capacità di dimenticare il telefono ovunque o, nel miracoloso caso in cui lo avesse avuto con sé, di rispondere in chat a monosillabi, a qualsiasi domanda o di non rispondere affatto.

Indeciso se ignorarla, spegnere e rimandare tutto al giorno successivo, si trovò a scrollare lo schermo, in una sorta di sonnolenta trance.

Aperta la chat con Nami, appena dopo una conversazione di qualche mese prima, sulla restituzione di una somma di denaro che Zoro le doveva per un regalo collettivo, c'era un semplice, ambiguo messaggio, di una sola parola: Dormi?

Zoro rimase a valutarlo a lungo. Si ritrovò in bilico sul posare di nuovo il cellulare e ignorare la domanda, quando le sue dita scivolarono sulla tastiera a digitare un secco: no.

Forse un po' curioso di sapere perché nemmeno lei riuscisse a dormire e per quale arcano motivo si fosse scomodata a scrivere proprio a lui.

Che fosse così palese che avrebbe passato la notte insonne, per via dell'umiliazione? E che questo l'avesse portata ad andare a colpo sicuro?

Mentre si interrogava stupidamente su tutte queste cose, sullo schermo apparve l'ennesimo messaggio.

'Ottimo, allora lascia che ti ricordi che ancora mi devi quei 3000 yen per il regalo di Chopper'

Zoro strabuzzò gli occhi.

Era dunque l'improvviso ricordo di una situazione debitoria a spingerla a quel gesto insensato?

Di nuovo le sue dita si mossero più rapide della sua capacità di valutazione.

'E tu mi scrivi a quest'ora del mattino per questa stronzata?'

Uno dei messaggi più lunghi che avesse mai scritto. Persino il suo telefono doveva essere scioccato.

Nami gli stava, di nuovo, prontamente rispondendo.

'Non esiste alcun universo in cui 3000 yen siano una stronzata.'

L'istinto di lanciare il telefono in fondo alla stanza e lasciare incompiuta la conversazione fu piuttosto violento.

'Tu hai dei problemi'

'Di certo non gravi come quelli di memoria che hai tu'

Zoro scosse la testa.

'Te li restituisco domani. Chiudiamola qui.'

'Un corno, pensi di cavartela così a buon mercato? Devo calcolare ancora gli interessi'

«Ma quali interessi, d'Egitto?!» si ritrovò ad esclamare ad alta voce, ma non abbastanza da coprire l'ennesimo tuono di un temporale che sembra voler scatenare a sua furia tutta insieme.

'Vai a dormire, Nami' scrisse, prima di riporre il telefono sul comodino, senza esitazioni, deciso a ignorarla nei secoli dei secoli.

Il telefono sembrò placarsi davvero, lo schermo non si illuminò più. Zoro continuò a lanciare occhiate finché non si convinse che forse aveva vinto quell'insensata conversazione. Cercò di coricarsi meglio sotto le lenzuola del futon, prima di rendersi conto che quell'assurdo siparietto era riuscito a distrarlo dalla delusione per gli esiti della gara di kendo.

Che diavolo aveva appena cercato di fare quella mocciosa?

Si volse di nuovo, infastidito da se stesso. Recuperò il telefono riaprendo la conversazione interrotta, solo per rendersi conto che Nami era ancora online.

Con uno sbuffo che sapeva già di pentimento, decise di chiudere almeno degnamente quello scambio di battute.

'Buonanotte', digitò in un impeto di solidarietà e perché no, di gentilezza? Non gli diceva sempre Chopper che doveva imparare ad essere meno scorbutico? Soprattutto con Nami? E anche con Sanji, certo, ma Sanji contava poi veramente? No. Decisamente no.

'Sarà una buonanotte solo quando avrai estinto il tuo debito.' fu la pronta risposta. Servita su un piatto d'argento, niente meno.

Zoro non riuscì a soffocare una risata, stizzita e divertita assieme.

'Sanguisuga' le regalò su due piedi.

'Cattivo pagatore'

'Che razza di insulto sarebbe?'

'Quello che ti metterà nei guai quando sarai un adulto... vorrei dire responsabile ma con te sarebbe davvero un azzardo anche solo pensarlo'

'Anche questo mi pare un insulto'

'Sono colpita, cominci a riconoscerli. Ancora un po' e sarai diventato un vero uomo'

 

Erano ormai le quattro passate, quando il temporale cominciò a spostarsi verso sud, portandosi via anche le nubi cariche di pioggia.

Zoro si era addormentato con il telefono poggiato sul petto e un vago sorrisetto dipinto in volto.

 

-

 

La mattina era cominciata con la solita corsa verso il mare.

Si era svegliato con uno sfuggente senso di nausea, ma aveva cercato di scacciarlo con i buoni propositi.

C'era una cosa che aveva scordato della sera precedente, soffocata da tonnellate di sensi di colpa e orgoglio ferito: la promessa che aveva fatto a Rufy, poco dopo la sua sconfitta. Ovvero che non si sarebbe mai più fatto battere a quel modo. Non aveva calcolato che, per mantenere fede proprio a quella promessa, avrebbe dovuto rivedere tutti i suoi metodi, la sua disciplina, il suo modo di allenarsi.

Innanzitutto doveva schiarirsi le idee e, per farlo, niente di meglio di una corsa, in quella soleggiata e pigra domenica mattina. Il profumo di salsedine, il garrito stridulo dei gabbiani, il vento fresco del mattino, una ricetta perfetta. Aveva scacciato ben più di un malumore inseguendo il moto perpetuo di onde e sciabordii; non conosceva altra via se non quella di affondare i piedi nella sabbia e lasciarsi trasportare lontano, fin dove lo assecondava il respiro.

Di rientro dall'allenamento trovò Koshiro seduto in cucina, ad attenderlo con la tavola imbandita per la colazione.

Zoro si asciugò il sudore dalla fronte, affatto preparato a quell'accoglienza.

«Sembra tu abbia cucinato per un reggimento», si ritrovò a commentare: il suo modo tutto contorto di ringraziarlo.

«Non sapevo cosa avessi voglia di mangiare e ho deciso di fare un po' di tutto.»

Koshiro era stato uno dei migliori amici dei suoi genitori, il suo primo maestro di kendo, quando ancora praticava la professione per il dojo della città e la prima persona che aveva potuto considerare famiglia quando, alla morte improvvisa di suo padre, aveva deciso di avviare le pratiche per potergli fare da tutore.

Zoro, i suoi genitori, non li aveva mai davvero conosciuti. Sua madre era morta a pochi giorni dalla sua nascita, mentre di suo padre aveva pochi, vaghi ricordi di bambino; ma a cinque anni puoi davvero ricordare una persona se non tramite le sensazioni che questa riesce a donarti? Ricordava che la sua statura gli sembrava mastodontica e in grado di oscurare il cielo, ricordava la forza delle sue enormi braccia, il modo in cui rideva, di petto, la monotonia della sua voce profonda, ma nulla più.

Koshiro era suo padre. Koshiro lo aveva preso per mano, cresciuto e condotto a quel momento. Aveva allenato la sua indipendenza, oltre che il suo fisico e gli aveva donato il prezioso dono dell’altruismo e dell'amicizia, offrendogli affetto e la compagnia di una sorella. Non di sangue, ma di spirito.

Kuina era stata la sua prima vera amica, avversaria, complice, ma se n'era andata anch'ella troppo presto, lasciando Zoro stranito nella sua infanzia permeata da troppe perdite, e un padre adottivo che aveva potuto superare il trauma solo chiudendo per lungo tempo il dojo, ritirandosi nella meditazione e nel lutto, senza però mai lasciargliela quella mano. Per cui ogni premura che gli riservava era sempre fonte di sorpresa e gratitudine. Per il modo in cui, ancora, nonostante tutto, non si fosse stufato di lui.

Zoro prese posto, impugnando l'azzardata decisione di rimandare una benefica doccia. Consapevole del fatto che, perdendo tempo, avrebbe lasciato freddare tutto quel ben di Dio.

Fece un cenno di ringraziamento e si fece passare una ciotola colma di riso.

«Avevi ragione», disse solo, prendendo Koshiro alla sprovvista.

Gli lanciò uno sguardo eloquente sperando che, in qualche modo, capisse a cosa si stesse riferendo. Come a riprendere una conversazione che si era svolta ormai mesi prima.

Fortunatamente Koshiro non aveva granché bisogno di rinfrescare la memoria e si sentì sollevato di leggergli addosso una sorta di paterna consapevolezza.

«Devo cambiare il mio approccio»

Koshiro sorrise e questo lo spronò a continuare.

«Sono stato impulsivo. Avventato. Presuntuoso», continuò, ficcandosi in bocca una grossa porzione di riso, come a soffocare l'imbarazzo di quella ammissione.

«E ho bisogno del tuo aiuto», concluse, abbassando le bacchette.

Erano anni che Zoro aveva abbandonato gli insegnamenti di Koshiro. Il dojo aveva ripreso le attività un intero anno dopo la morte di Kuina e Zoro aveva iniziato a frequentare i corsi a scuola, allontanandosi dall’attività di famiglia. Koshiro aveva dato una brusca frenata al suo lavoro per anni e adesso insegnava principalmente ai ragazzini del quartiere. Aveva però sempre seguito gli sviluppi della carriera di Zoro e spesso si erano scontrati su alcuni approcci alla disciplina. Koshiro aveva deciso di non intromettersi più e Zoro era andato per la sua strada, troppo orgoglioso per chiedere consigli.

«Lo so», lo interruppe con un cenno della mano, «in passato siamo entrati in contrasto ma forse è proprio per questo che mi sono… perso...», si interruppe per riprendere fiato, «ti chiedo solamente di aiutarmi a prendere la giusta direzione.»

«Parole forti per qualcuno che non ha alcun senso dell'orientamento, figliolo», lo prese in giro.

Zoro sbuffò qualcosa, passandosi una mano sulla zazzera color verde.

«Ti ascolterò davvero questa volta» gli disse, rialzando su di lui uno sguardo straordinariamente umile.

Koshiro si prese tutto il tempo per riflettere e poi, nel silenzio, versò una tazza di tè che gli servì prontamente.

Mentre Zoro seguiva le spirali di fumo che si elevavano, profumate, dalla tazza di ceramica color del mare, lo sentì dire: «Ci alleneremo insieme».

 

-

 

«Se davvero riuscito a convincerlo?» Rufy saltellava a tratti per tenere il passo spedito di Zoro, sulla strada verso la scuola, in un nuvoloso lunedì mattina.

Il ragazzo annuì convinto, passandosi lo zaino sull'altra spalla.

«Mi stai facendo venire il mal di mare...» lo rimproverò, rallentando, «ma sì. Probabilmente un paio di volte a settimana.»
«Solo due volte a settimana?»

Zoro sgranò gli occhi, soddisfatto della solidarietà dell'amico: «Vero? Ho cercato di fargli capire che è troppo poco ma non ha voluto sentir ragioni.»

«Probabilmente ha paura che ti stanchi. E che per recuperare ti metteresti a dormire, sottraendo ore preziose allo studio»

«Sembri Robin a parlare in questo modo, sei inquietante»

Rufy rilasciò una risata.

«Ovvio, l’ho imparato da Robin, mi passa saggezza per osmosi.»

«Ma se nemmeno sai che significa osmosi!» lo colpì di striscio con lo zaino.

«Questa è osmosi!» lo schivò Rufy con un atletico salto in avanti, «perché questa mossa l'hai assorbita da Nami.»

Zoro scosse la testa, placandosi immediatamente. Il solo sentir nominare Nami gli riportò alla mente quella strana conversazione di un paio di notti prima. Al come fosse straordinariamente riuscita a distrarlo da pensieri potenzialmente disfattisti, a come fosse stato facile addormentarsi successivamente.

Non si erano più scritti, dopo.

Avrebbe chiesto delucidazioni e consigli a Rufy a riguardo se solo non fosse stato, bè... Rufy. Per quanto dovesse a lui lealtà e incondizionata amicizia non poteva certo dirsi la persona più sveglia sulla faccia della Terra.

Si chiese se fosse comunque il caso di scomodare qualsiasi altro dei propri amici per avere suggerimenti sulla questione. Eliminando alcune potenziali bombe a orologeria, Zoro decise che forse non valeva davvero la pena interrogarsi su ciò che era successo. Che sicuramente era una questione di poco conto, che il suo stato mentale degli ultimi giorni era stato più fragile del previsto e lo aveva spinto a ragionamenti tutt'altro che sensati.

Decise di liquidare l'argomento e relegarlo in un angolo della sua mente. Probabilmente un giorno se ne sarebbe completamente dimenticato.

   
 
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