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Autore: ElenoraBumBum    28/08/2023    0 recensioni
Completamente esasperato da tutto, sospiro: «Prima o poi me ne andrò da qui». Ne sono certo, mi lascerò questa vita assurda alle spalle e troverò qualcosa di meglio. Una casa migliore, un lavoro migliore, magari pure qualcuno con cui condividere la mia nuova vita. Qualcuno che scelga di stare con me, non che venga obbligato. Qualcuno che io possa veramente considerare famiglia.
«E perché?»
«Ma come perché? Dammi un solo buon motivo per restare». E ce l’avrei pure, ce l’ho davanti e occupa tutto il mio campo visivo visto che è gigante quanto il massiccio del Monte Bianco, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile gestirlo e a volte la spina va staccata. Anche se non sembra, ce l’ho ancora un po’ di amor proprio.
Neanche mi avesse letto nel pensiero, sorride e sussurra: «Dalle altre parti non ci sono io».
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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18 – Voglia di restare

Il citofono che sta suonando mi sveglia, grugnisco senza aprire gli occhi e pianto per bene la faccia nel cuscino. Lo spiraglio di luce che viene dalla persiana mi conferma che anche oggi sono vivo. Appena il cervello si avvia e carica tutti i pensieri, mugolo addolorato, dispiacendomi di essere effettivamente ancora in vita. Ieri mi sono svegliato in un bel letto matrimoniale a Colonia, oggi sono di nuovo a casa. E con Jacopo, la sensazione di aver rovinato tutto si è trasformata praticamente in una certezza. La prima sera, dopo il parco, Jaco è tornato in hotel praticamente a gattoni viste le ventordici birre che si è scolato ed è collassato in tipo dieci secondi lasciando la questione totalmente irrisolta, il secondo giorno ha riprovato a starmi un po’ addosso, io completamente impanicato dalle circostanze e dalle parole di Theo mi sono sempre allontanato da ogni suo tentativo di contatto e lui ha perso le speranze già prima di cena, rimanendo distante per tutti i restanti quattro giorni. Che assoluta testa di cazzo che sono. In realtà mi ero pure ripromesso di parlargli, ma non ce l’ho proprio fatta. Già in partenza non sono capace, “sereno” non era la parola che meglio mi descrivesse e Jaco era infinitamente e follemente innamorato di Colonia per sforzarsi con me, io non me la sono sentita di disturbarlo troppo con cose stupide come questa. Sì, gran bel bordello che ho fatto. Le cose erano state quasi decentemente semplici fino adesso, ovviamente ho dovuto incasinare tutto proprio nel momento clue. Mi sono scavato la fossa da solo.
Sento la porta aprirsi e un piccolo sospiro è il primo suono emesso dalla figura misteriosa.
«Ciao, Gianlu…» dice papà. Oh, wow, un deja vu. Ora sono solo molto più depresso dell’altra volta. Non mi giro nemmeno, so che mi sta chiamando per scendere, ma l’ospite che c’è di sotto potrebbe sparire seduta stante per quanto mi riguarda. Non mi interessa di brutte, belle figure, convenevoli, domande scomode, voglio solo morire nel mio letto in santa pace. «C’è… c’è Jacopo di sotto che ti sta aspettando, dice che dovevate vedervi…» mormora. Oh, fantastico, dalla padella alla brace. Ma di che mi stupisco più, non c’è mai limite al peggio. Non mi giro e rimango in silenzio evitando proprio di rispondergli, mi limito a prendere l’orlo del lenzuolo e a tirarmelo fin sopra alla testa. Non ce la posso fare. È un grosso no. «Gianlu, ma che c’è che non va?» mi chiede papà, con un tono da normale genitore preoccupato per il proprio figlio. Carichiamoci ulteriormente di sentimenti contrastanti, la mia sopportazione emotiva non ne ha avuto abbastanza evidentemente. «Non lo vuoi vedere? Perché va bene se non lo vuoi vedere, dimmi soltanto cosa gli devo raccontare…» insiste. Eccone un altro, di sentimento contrastante. Non lo voglio vedere Jacopo, al contempo non voglio lasciarlo solo con mamma. Non lo so, è tutto una merda, voglio solo cancellarmi dall’universo. Mi rannicchio in posizione fetale, esausto. Sono sveglio da due minuti e sono già pronto a tornare a dormire.
Sento altri passi arrivare dal corridoio che si fanno sempre più vicini. Non la riunione in camera mia. 
«Oh… ehm… sì, si è messo così…» commenta papà. «E non sembra di ottimo umore…»
«Provo io» risponde Jaco, calmo, facendomi pentire per l’ennesima volta di essere nato. In un istante, la persiana si apre totalmente, la stanza viene inondata di luce e mi tocca pure strizzare gli occhi per salvaguardare le mie povere retine traumatizzate. «Buongiorno, buongiorno!» esclama solare. «Dai, su, sono già le undici, alzati, Gian, che siamo pieni di roba da fare!» continua, i suoi passi si avvicinano e la coperta viene eradicata di botto dal mio corpo, lasciandomi completamente accecato dalla luce delle undici. Mugolo, infastidito e sotterro il cranio sotto il cuscino a mo’ di struzzo. «No, no! Basta, hai già dormito abbastanza, su, svegliarsi!» insiste, prendendo il cuscino e alzandolo deciso. Sospiro, mi obbligo ad aprire lentamente gli occhi e me lo ritrovo a sorridermi tranquillo, la stessa maglietta verde acqua che aveva la prima sera a Colonia. «Ben svegliato» mi dice, con una luce divina alle sue spalle. Stupido Jacopo, non fosse così… incredibile sarebbe stato molto più facile da lasciar perdere.
«Buongiorno…» mugugno, passandomi una mano sugli occhi. 
«Ti ho portato una brioche, preparati, che io ti aspetto giù, ok?» mi avverte, pacato, poi si volta e se ne va. «A volte servono le maniere forti» aggiunge, probabilmente a papà che non ha più detto niente. Rotolo giù dal letto, neanche mi cambio la maglia vecchia che ho usato per dormire, mi limito semplicemente a mettermi dei pantaloni presentabili e dei calzini. Vado in bagno per la basica decenza umana e poi, trascinandomi, scendo le scale svogliato. Mi affaccio quatto quatto in cucina, Jaco e mamma stanno chiacchierando, ma si girano subito quando paleso la mia presenza.
«Oh…! Alla buonora, eh, ti sta aspettando da un sacco di tempo…» mi rimbrotta mamma, indicando il colosso. Non rispondo, agguanto il sacchetto del bar lasciato sul tavolo e vado alla svelta all’ingresso per mettermi le scarpe.
«Vieni, Jaco!» esclamo, mentre annodo le stringhe. Lo sento salutare sia mamma, sia papà, in due secondi è di fianco a me, che recupero le chiavi di casa e controllo di aver preso il cellulare.
«Ci siete per pranzo!?» mi chiede mamma. No, per carità di Cristo. 
«Non so, poi ti dico, ci vediamo più tardi!» concludo, aprendo la porta e catapultandomi fuori, presto seguito da Jaco. Sospiro, attraverso la strada per andare verso dove ha parcheggiato la macchina, aspettandomi che la apra per poterci salire. 
«Aspetta un attimo, rilassati, mangiati la brioche…» mi dice, prendendomi per le braccia e poggiandomi contro il cofano.
«Non eravamo pieni di roba da fare?» chiedo, aggrottando le sopracciglia.
«No, mi andava solo di vederti, ma non sapevo cosa inventarmi con tuo padre… mi dispiace un po’, non volevo raccontargli una balla»
«No, hai fatto bene, che poi mi rompe» commento, lui rimane davanti a me, la mano appoggiata di fianco alla mia, le nostre gambe più o meno intrecciate. Apro il sacchetto e prendo il mio cornetto, addentandolo all’istante. «Uh, me l’hai preso alla marmellata!» uggiolo, contento.
«Hai visto? Quello al cioccolato mi faceva una gola tremenda, ma so che a te piace con l’albicocca…»
«Grazie…» mormoro, poi lo allungo verso la sua faccia. «Ne vuoi un morso?»
«Nah, ho mangiato come un maiale a Kölle, adesso è il periodo di mettersi a dieta» risponde, dandosi una pacca sullo stomaco. Ridacchio e anch’io gli appoggio una mano sulla pancia.
«Di quanti mesi è?» chiedo, sarcastico, accarezzandogli l’addome.
«Circa sedici settimane, si chiama Gouda»
«Ovviamente…» commento, roteando gli occhi al cielo, poi gli agito il cornetto sotto al naso. «Dai che non sei grasso, prendine un pezzetto, è molto buono…»
«Diavolo tentatore che non sei altro…» brontola, prendendomi la mano e addentando la brioche. «Buono» bofonchia, facendo uno sbuffo di zucchero a velo.
«Te l’ho detto» ribatto, levandogli una briciola dai baffi e abbassando lo sguardo subito dopo. Lui non dice più niente, io faccio lo stesso, rimango a mangiarmi il resto della brioche in questo silenzio imbarazzato. 
«Ciao, Gianni!» esclama Nunzia a una certa, facendomi venire un colpo. Mi giro verso il suo giardino, dove lei se ne sta con due rami secchi in mano, l’altra alzata in un cenno di saluto.
«Buongiorno, Nunzia, come va?» le domando, un po’ imbarazzato. Non era il momento, Nunzia. Non è mai il momento, ma questo in particolare era proprio sbagliato.
«Bene, bene, grazie, si tira avanti…» risponde, poi si volta e indica Jaco. «Tu sei quello della casa di Nella, vero? Com’è che ti chiami già?» domanda.
«Sì, sì, sono io, sono Jacopo»
«Ah, sì, giusto, ce l’aveva detto Rico», ci guarda a intermittenza ancora per un secondo e fa una smorfia schifata. «Vedete di non fare certe porcherie in pubblico, voi due, quelle cose da finocchi fatevele da soli…» ci avverte, puntandoci i rami contro. Appena assimilo l’informazione, mi mordo la lingua per non tirarle un porcaccio dritto in faccia e chiudo gli occhi alla ricerca di una calma interiore già espatriata da tempo.
«Non si preoccupi, che di porcherie noi non ne facciamo» ribatte Jaco. «Guardi Gianluca che carino che è stamattina, le pare che voglia condividere con chiunque le cose da finocchio che faccio con un faccino bello così…?» continua, mettendomi una mano sotto il mento. Lei rimane un secondo spiazzata, io ne approfitto per ignorare tutte queste emozioni complesse e fare un passo a lato perché di mettermi a spingere questo elefante non ne ho voglia.
«Dai, Jaco, lascia stare, vieni con me…» gli dico, prendendolo per un braccio e tirandolo via. Leviamoci dal cazzo, non ho proprio l’intenzione di stare a litigare. Seguo la strada per un paio di decine di metri e, poi, mi infilo nella prima strada sterrata che ci si para davanti, dirigendomi verso uno dei campi di Gigi e facendo un sospiro scocciato. 
«A volte bisogna dire qualcosa alle teste di cazzo, se no non imparano mai» borbotta Jaco. 
«Sono troppo vecchi per imparare qualcosa. Sorridi e annuisci, sperando che crepino tutti il prima possibile» commento. Che palle, ecco. Completamente esasperato da tutto, sospiro: «Prima o poi me ne andrò da qui». Ne sono certo, mi lascerò questa vita assurda alle spalle e troverò qualcosa di meglio. Una casa migliore, un lavoro migliore, magari pure qualcuno con cui condividere la mia nuova vita. Qualcuno che scelga di stare con me, non che venga obbligato. Qualcuno che io possa veramente considerare famiglia.
«E perché?»
«Ma come perché? Dammi un solo buon motivo per restare». E ce l’avrei pure, ce l’ho davanti e occupa tutto il mio campo visivo visto che è gigante quanto il massiccio del Monte Bianco, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile gestirlo e a volte la spina va staccata. Anche se non sembra, ce l’ho ancora un po’ di amor proprio.
Neanche mi avesse letto nel pensiero, sorride e sussurra: «Dalle altre parti non ci sono io». E vorrei tirargli un pugno, a dirmi sempre ste cose pazzesche e poi non far capire niente delle sue intenzioni. Grugnisco, continuando a camminare spedito perché in qualche modo tutta sta frustrazione dalla vita la devo sfogare. Non avevo torto quando dicevo che volevo morire, oggi. «Vai piano»
«Hai delle gambe chilometriche, usale» brontolo.
«Dobbiamo parlarne, lo sai, vero?» asserisce. Mi fermo di botto e faccio una mezza giravolta verso di lui che se ne sta lì, mani in tasca, a guardarmi.
«Di cosa?» domando, facendo finta di non sapere di cosa voglia parlare. Come se non mi sia ossessionato finora su questa cosa. Come se non abbia passato una settimana a penarmi per il disastro che ho combinato.
«Gian, sabato scorso ti stavo per baciare… che cos’è successo, poi?» mi chiede, facendo un passo verso di me.
Sento l’omino del cervello premere il grande bottone rosso e avviare la modalità d’emergenza: tutte le sinapsi si spengono e so che le cose prenderanno una piega completamente randomica. «Scusa!» sbotto e mi copro il viso con entrambe le mani, il panico a livelli talmente alti da toccare i satelliti in orbita. «Scusami! È che sono arrivati Theo e Caroline e non mi sembrava un buon momento per un primo bacio e poi quando sei andato a pisciare Theo mi ha parlato e mi ha fatto cagare un po’ addosso…»
«Theo? Che ti ha detto?» mi interrompe.
«Massì, un sacco di cose, non mi ricordo bene, qualcosa tipo che non ti sai scegliere gli uomini e di lasciar perdere se non volevo una cosa seria, però mi ha messo paura di essere l’ennesimo caso umano tossico che ti trovi sempre e poi sono andato anche un po’ in panico perché ho pensato che sembrava che ti stessi rifiutando, ma non è vero…!»
«Gian, aspetta un attimo, non sto capendo niente…» prova a dire, prendendomi per i polsi.
«…No, perché io non sono capace a fare ste cose, volevo parlarti, ma non ce la facevo mai e non sapevo nemmeno che dirti, mi sentivo solo uno stupido!» continuo a macchinetta, completamente fuori controllo. «È che veramente non voglio farti star male e… e poi eravamo a Colonia, non volevo disturbarti, volevo che te la godessi senza stare a pensare a me e forse ti ho pure rovinato la vacanza, scusa, scusa…! È solo che non capisco mai un cazzo! Non avevo manco capito che ci stessi provando, me l’ha dovuto dire Elisa, pensa te! E anche quella che mi ha detto un sacco di cose da fare per ricambiare, ma anche lì un buco nell’acqua tremendo! E… poi… non so, ho pensato che ci avessi rinunciato quando ho fatto la testa di cazzo domenica e allora anch’io sto lasciando perdere che intanto io non ci riesco a provarci o a dichiararmi o quello che è…!»
«Gian!» esplode, poi mi tira le mani via dalla faccia.
«…Insomma, non vado bene a far niente, Jaco, lasciami proprio perdere! Scusami tanto…!» provo a concludere.
«Basta!» tuona, facendomi ammutolire, spiazzato. Probabilmente si è fatto sentire pure dalla signora Teresa appollaiata al bar. Lui mi prende le guance tra le mani e porta il viso a un soffio dal mio. Sussulto, rimango completamente impietrito e sgrano gli occhi. «Basta…» ripete, quasi sottovoce.
«Ma…» esalo confuso.
«Sh…» sussurra, mettendomi un dito sulle labbra. «Adesso stai un secondo in silenzio, prendi un respiro profondo e ti calmi un attimo. Poi, quando sei calmo, mi dici cosa provi per me, perché io non ho capito assolutamente niente di quello che hai detto fino adesso» mi dice, tranquillo, guardandomi negli occhi e accarezzandomi gli zigomi coi pollici. 
«E perché lo devo fare io?» chiedo.
«Se vuoi io lo faccio anche subito.» risponde, sorridendo, poi chiude gli occhi e azzera la distanza che ci separa, appoggiando piano le sue labbra sulle mie. La spina dorsale si fa direttamente di cemento, il cervello diventa completamente incapace di mandare un segnale qualunque per… boh, ricambiare, o chiudere gli occhi, o anche solo godermi questo primo bacio. Lui accenna a un sorriso quando si stacca, io lo guardo, credo di fare una faccia un po’ da pesce ancora completamente immobile, con le labbra socchiuse, occhi sbarrati, schiena bloccata, ancora non sono del tutto convinto. «Non stare a pensare a cosa ti ha detto Theo, o Elisa, o chi altri. Soprattutto Theo, quello non capisce niente, elimina proprio in tronco tutte le cazzate che ha sparato»
«In realtà ha detto delle cose molto carine nei tuoi confronti, ero io col cervello un po’ fuso» mormoro, poi sospiro e mi faccio coraggio perché ormai non posso più rimandare. «Mi piaci. Più o meno da quando ci siamo conosciuti, ma l’ho capito molto dopo perché sono un po’ tardo. Sei… non so come spiegare perché mi piaci, nella mia testa ci sono tanti motivi, ma non riesco bene a esporli a voce alta… Non la so gestire molto bene… Sei la seconda persona che conosco dal vivo che abbia mai pensato di baciare e l’altra è stata tipo quattro anni fa, quindi capirai che… beh, non è il campo in cui do il meglio di me. E più che altro non mi aspettavo che ricambiassi, questa è proprio la prima volta che succede. E… so che non sai cos’ha detto Theo, ma comunque non è che voglio solo una mezza scopata, davvero… cioè, in realtà non so manco quali siano le opzioni, non pensavo nemmeno di arrivare a questo punto. Tutte le cose… strane o da stronzo che ho fatto non erano perché… boh, non ti voglio, o ti voglio prendere in giro, è solo che non so davvero come comportarmi, né prima, né onestamente ora. Voglio solo fare la cosa giusta, Jaco.». 
Accenna a un sorriso e fa quel mezzo passetto che ci separa, circondandomi la vita con le braccia. «Per ora te la stai cavando bene…» mi dice. «Lo vuoi solo un consiglio?» chiede, io annuisco un po’ dubbioso. «Tra due secondi io ti bacio di nuovo: magari, se ti va, stavolta prova a ricambiare, perché prima mi sembrava di star baciando un manichino di Zara». 
Sibilo una risatina, sentendo il macigno sullo stomaco diventare più simile a un sassolino. «È colpa tua, mi hai preso alla sprovvista…» ribatto, appoggiando le mani sulle sue spalle.
«Ora è pure colpa mia, ma pensa te…» commenta, roteando gli occhi al cielo, poi si abbassa, ma prima che possa fare qualsiasi cosa, spingo sulle sue spalle per alzarmi sulle punte e lo bacio io, portandogli una mano sulla nuca per tenermelo contro. Quando mi stringe ancora di più, mi spunta un sorrisetto. Non ci credo, ce l’ho fatta. A fare tutto quello che non sono riuscito a fare in tutti questi mesi. E l’ho fatto in tipo due minuti. Sono troppo felice, davvero, mi sta esplodendo il cuore di gioia.
Quando si stacca, gli do anche un bacio sulla guancia. «Così meglio?» domando, sottovoce.
«Molto…» risponde, con un sorrisetto cretino stampato in faccia. 
«Che scemo…» sussurro, prima di dargli un altro bacio e appoggiare la testa contro il suo petto, mentre sento il suo mento posarsi sul capo.
«…Non è vero che non vai bene a far niente… fai bene tutte le cose che fai…» mormora, a una certa. 
«Non mentire…»
«Ti ho già detto che non lo faccio mai» mi dice, pettinandomi con le dita. «…Non ti preoccupare dell’esperienza, del non sapere come comportarti… sii te stesso e fai come ti senti, le cose le scopriremo poco alla volta, andiamo piano, con i tuoi tempi…»
«Ti annoierai…»
«Come potrei…?» chiede, retorico.
«Io… non ho mai fatto niente di queste cose… sono al livello di un quindicenne, e nemmeno uno di quelli svegli…»
«E quindi? Gian, non ti voglio diverso da come sei, ai miei occhi sei perfetto… mi piaci così tanto, mi hai fatto perdere la testa…» bisbiglia, poi mi mette l’indice sotto al mento per tirarmi su il viso e baciarmi. «Guarda, sei pure arrossito… sei troppo carino…» continua, passandomi il pollice sullo zigomo. 
«Dai…» mormoro, abbassando lo sguardo, le guance ancora che vanno a fuoco.
«Troppo carino…» ripete e mi bacia di nuovo. «Sai ancora di albicocca…» soffia, poi.
«Ti stai lamentando?» domando.
«Sai che a me piace la nutella…»
«Vai a prendermi un altro cornetto, allora»
«Nah, tempo sprecato, preferisco stare qui con te» ribatte, strusciando il naso contro il mio collo. 
«Scusa se ti ho fatto penare per tutto questo tempo…» esalo. «…E grazie, per aver insistito»
«Non c’è problema» risponde. «Un po’ l’avevo capito che ti interessavo»
«Ah, sì? E come?»
«Solitamente chiunque non si interessi a me si limita a riempirmi di insulti quando qualche mio ex si mette a fare delle scenate, tu invece sei rimasto con me e mi hai pure fatto le coccole»
«Ne avevi bisogno…»
«…E tu volevi infilarti nelle mie mutande» aggiunge, ridacchiando.
«Non è affatto vero!» esclamo, a occhi sbarrati.
«Guarda che a me non fa che piacere se mi vuoi metà di quanto ti voglio io…» mi dice, con un sorrisino malizioso. «No, perché io non vedo l’ora…» continua contro il mio orecchio, spostando la mano sulla mia schiena appena sopra il bordo dei pantaloni e strusciando i fianchi contro i miei.
«Hey, pistolero matto, non perderò la verginità nel bel mezzo di un campo di grano» lo avverto.
«Ah, no?» chiede, sarcastico, stringendomi ancora.
«Sognatelo» mormoro, a occhi chiusi.
«Vuoi una cosa romantica?»
«Voglio almeno tre appuntamenti…»
«La prima cena a Colonia è stata romantica, un appuntamento me lo puoi abbonare.»
«Romantica? Amò, hai mangiato da solo tanta di quella roba da sfamare un battaglione e ti sei bevuto almeno metà della scorta di birra del ristorante, scusa, ma tre erano e tre rimangono» osservo. Sbuffa una risata e mi bacia di nuovo, prima di guardarmi più seriamente.
«A parte gli scherzi, Gian, davvero, non voglio metterti pressioni, o farti sentire obbligato. So aspettare, stiamo al tuo passo…». Lo guardo, non so bene cosa pensare, classico.
«Ti va se… vediamo come si evolve e basta?» provo a dire, scegliendo la diplomazia. Lui annuisce, io gli sorrido e gli do una carezza sulla guancia. «Però se vuoi portarmi a cena fuori, qualche volta, non è che mi offendo, eh…» aggiungo, facendolo ridere. 
«A proposito di mangiare, pranziamo a casa tua? Ho già una famina…» propone.
«Non ti dovevi mettere a dieta?»
«Ora che ti ho conquistato sarà solo un completo tracollo, in due mesi prendo quaranta chili…»
«Guarda che se non mi rimani fregno come adesso, ti mollo» lo minaccio, ironico. 
«Che superficiale…»
«Veramente vuoi pranzare coi miei?» gli chiedo, un po’ retorico. Non è che ne abbia tutta sta voglia, se lui vuole posso accettarlo, ma non mi dispiacerebbe nemmeno una pizza surgelata a casa sua.
«Perché no? Con me sono gentili»
«Il fascino dell’ignoto…»
«Spero di far colpo in fretta su tua madre perché ho visto che stava facendo una pasta col pesto di pistacchio e i pomodorini e sembrava buonissima»
«Ha scoperto da poco giallozafferano, adesso è presa a sperimentare.» lo informo, ricordando con sommo dispiacere quelle cotolette di ceci che potevo benissimo usare come ciabatte da piscina. «…E comunque tranquillo, ci sei già riuscito a fare colpo, sei molto più figo di tutti i tipi che abbia mai portato mia sorella.»
«Solo che me la faccio col fratellino.»
«Ecco, a proposito, finché non parlo con il parentado… boh, tipo, evitiamo…?» provo a dire, indicando prima me e poi lui.
«Oh, sì, ovviamente. Troppo presto…» conferma, annuendo. «E se vuoi possiamo anche continuare a fare gli amici, in giro, che mi sembrano tutti un po’ pettegoli»
«Non hanno niente di meglio da fare.» brontolo.
«La relazione segreta e clandestina, però, mi mancava, è interessante…» aggiunge, continuando a fare su e giù con la mano sulla mia schiena.
«Mai avuto una relazione segreta?» domando, incredulo. Lui ci pensa un po’ su e poi scuote la testa. «Mai, mai? Nemmeno tipo… boh, al liceo?»
«Mai. Innanzitutto, non è che avessi la fila al liceo, ero sempre per i cazzi miei, poi non ho mai sentito il bisogno di nascondere niente a nessuno.»
«Che strano…». Fa spallucce e si massaggia piano lo stomaco. «Dai, andiamo, che ti vedo che tra un po’ mi mordi un braccio…»
«Ho pure esperienza…»
«Ecco, appunto» borbotto, voltandomi e iniziando a tornare indietro. In due secondi, il suo braccio mi cinge le spalle e, quando mi volto verso di lui, ne approfitta per baciarmi, sorridente. 
Forse non ho tutta sta fretta di andarmene via. Anzi, di andare in un posto in cui non ci sia Jaco non ne ho proprio alcuna intenzione. Niente di ciò che ho conosciuto finora mi aveva mai fatto venire voglia di restare.



 

Note dell'Autrice:

Scusate per l'attesa, agosto è stato un mese un po' particolare ahah

Comunque, lascio i miei soliti ringraziamenti a chi ha avuto la voglia e la pazienza di seguire la mia storia.

Grazie di cuore a tutti quanti. ❤️

   
 
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