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Autore: EmmaJTurner    04/09/2023    7 recensioni
"Cercasi AMMAZZAMOSTRI
per raccolta di sambuco
la prossima luna piena.
Pagamento 200 nk
50% in anticipo, 50% a lavoro ultimato.
Per info chiedere di Meli"

[REVISIONE COMPLETATA]
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Il giorno seguente, Meli attendeva con santa pazienza gli arditi candidati davanti al dungeon di Larvik, il più vicino alla ridente cittadina di Berg. Il dungeon era incastonato dentro il versante est della montagna; vi si entrava, dopo aver superato la porta di pietra, da una scala buia in fondo alla galleria.

Il sole inondava i picchi della Catena, facendo luccicare le vette di un biancore accecante e, sotto i ghiaioni color cenere, boschi di larici e abeti si srotolavano a perdita d’occhio. Era una splendida giornata, profumata di muschio e resina dolce. Perfetta per andare ad ammazzare qualche bestia al buio pesto sotto tonnellate di roccia.

Meli guardò le cime immacolate e schioccò la lingua. Erano tutti in stramaledetto ritardo. Come se lei non avesse avuto niente di meglio da fare. Già non aveva nessuna voglia di impelagarsi in quella faccenda del sambuco — sua sorella le aveva chiesto un favore, e sua sorella non chiedeva mai favori — se poi ci si mettevano in mezzo anche degli ammazzamostri cialtroni…

Sospirò e strappò un ciuffo di pimpinella. Se la infilò in bocca e masticò solerte fino all’arrivo del primo candidato, il ranger, sobrio e avveduto nel suo mantello verde salvia.

Lo salutò con un cenno di capo e sorrise sorniona.

Perché, se sua sorella era occasionalmente una sprovveduta, Meli non era donna da lasciare le cose al caso. Quando decideva di affrontare la luna piena — e non era spesso, perché alla sua pelle ci teneva — non si affidava al primo sedicente ammazzamostri che si vantava di quanto affilata fosse la sua spada d’argento. Oh, no: Meli faceva quella che le piaceva chiamare la Prova sul Campo.

“Come immagino sappiate” stava infatti dicendo, un’ora dopo, ai quattro candidati in fila davanti a lei “questo è il dungeon di Lavik. Il primo livello è gremito di chiropti rossi, il secondo di coboldi, nel terzo potreste trovare qualche troll e viverna delle grotte. La prova che vi chiedo di fare è molto semplice: arrivare al quarto livello e staccare un pezzo del cristallo viola che si forma solo laggiù. Chi ci riuscirà per primo sarà nominato il vincitore e otterrà il lavoro — se torna vivo e con tutti gli arti al loro posto, s’intende”.

“Questa è un’immensa stronzata” sbottò subito la driade, i capelli verdi che si agitavano di vita proprio attorno al bel viso color mogano. Gli altri non parlarono, ma le espressioni indignate erano eloquenti.

Meli non cambiò espressione. “Se non ritenete la prova adatta alle vostre capacità, siete liberissimi di andarvene”.

La driade strinse le labbra in una linea saccente, ma nessuno si mosse.

Meli li rimirò soddisfatta con le mani sui fianchi. “Benissimo. Se non ci sono altre opinioni in proposito, per me potete andare. Io vi aspetterò qui”.

In un borbottamento di malcontento e sbatacchiare di armi, i quattro candidati si mossero a disagio verso l’ingresso del dungeon.

Quando la porta di pietra si chiuse dietro di loro con un rumore definitivo, Meli si sedette su un masso scaldato dal sole e attese.

***

Il primo a riemergere fu l’elfo di Lin, una creatura bionda estremamente piacevole agli occhi, che però non portava il cristallo. In compenso esibiva parecchie bruciature sugli abiti e un profondo morso sul braccio. Meli gli diede una fiala di rinvigorente e lo rispedì a Berg alla ricerca di un guaritore. Tirò poi una linea sul suo nome scritto sul taccuino.

La seconda fu la driade, che uscì bestemmiando. Era illesa, ma la sua spada era spezzata. Ringhiando qualcosa sulla cacca di troll e i botanici del cazzo, prese la sua cavalcatura e se ne andò senza salutare.

Meli attese parecchio prima di vedere uscire il ranger. L’uomo, ricoperto di un liquido verde e viscoso, tossì a lungo e si schiarì la voce prima di borbottare: “Troppe viverne. Niente cristallo”. Lui non se ne andò, però; rimase con lei, in attesa.

Meli occhieggiò il suo taccuino. Un ultimo nome era rimasto intonso.

E Logan riemerse dalla porta del dungeon con un aspetto terribile, un’imprecazione e il mantello strappato. 

“Questa” sputò “è stata proprio un’idea del cazzo”.

Meli si strinse nelle spalle. “Meglio scoprirlo ora che dopo. Così nessuno si è fatto male — non troppo, almeno”. Tirò una riga sull’ultimo nome della lista, chiuse il taccuino e si alzò stiracchiandosi. 

“Molto bene. Temo che questo chiuda la questione. Nessuno di voi ha superato la prova, quindi nessuno otterrà il lavoro. Cercherò un altro ammazzamostri non appena…”.

Logan la inchiodò con due occhi di fuoco. “Chi cazzo ha detto che non ho superato la prova?” 

E lì, sul suo palmo aperto, grezzo e opaco alla luce del sole, un piccolo cristallo viola.

***

Meli inarcò le sopracciglia e afferrò la gemma. 

“Molto bene, ammazzamostri” disse piano, studiando a turno il cristallo e la faccia rigida e accaldata dell’uomo. “Sei assunto”. 

Era sinceramente colpita. Non molti riuscivano ad arrivare al quarto livello del dungeon di Lavik. Pochissimi al primo tentativo. E ancora meno ne uscivano senza un graffio.

Il ranger si complimentò con Logan e si congedò. Meli lo guardò allontanarsi con la coda dell’occhio. Erano sempre così ben educati, i ranger. Poi tornò al pressante presente di un forse-uomo-forse-mezz’elfo-oscuro che la fissava indignato.

Intascò la gemma, raddrizzò la schiena e assunse il tono pratico e sbrigativo che usava per le transazioni di lavoro. “La luna piena sarà tra tre giorni, e io ho delle consegne da fare prima di allora. Se vuoi venire con me, andrò a Costoi”.

“E se non volessi?” replicò subito l’ammazzamostri con tono battagliero.

“Se non vuoi” replicò Meli senza scomporsi, tirando fuori venti navok “ci vediamo tra tre giorni alla radura vicino al Lago Rosso, due ore prima del tramonto”. Porse i soldi all’uomo che li afferrò titubante. “Per la gemma” specificò Meli.

L’uomo osservò i soldi, e osservò lei. La sua espressione si fece più accomodante.

“Vitto e alloggio compresi?”.

Meli fece una smorfia. “Trattabili”.

L’ammazzamostri sembrò rifletterci su.

“Vengo con te”.

***

Costoi era a poche ore di cammino da Berg giù per la valle. Meli e il suo ammazzamostri nuovo di zecca si avviarono a piedi subito dopo la prova al dungeon di Larvik, certi di poter raggiungere la meta prima del tramonto.

Il faggeto era splendido in quella stagione. Le fragoline di bosco arrossivano timide sotto le foglie, e campanule viola punteggiavano i declivi tra le curve del sentiero.

Meli si infilò due minuscole fragole in bocca e, gustandosi l’esplosione di dolcezza sulla punta della lingua, studiò con vago interesse l’ammazzamostri che le camminava a fianco.

Tale Logan — se aveva un cognome, non gliel’aveva detto — indossava abiti scuri sotto le stringhe di cuoio degli spallacci, un mantello logoro che forse una volta era stato nero, una spada d’argento e una fila di boccette azzurre agganciate alla cintura. Portava in faccia il trucco degli elfi oscuri, ma non aveva le movenze animalesche di quel popolo, né le caratteristiche orecchie a punta. I capelli erano ancora neri, senza traccia di fili d’argento: se era umano, Meli calcolò che doveva avere circa la sua età. Non vecchio, ma nemmeno un ragazzino… da un bel po’. Era inoltre sbarbato e curato nell’aspetto più di molti altri ammazzamostri che aveva assunto — ma lo stato dei suoi vestiti e il fisico troppo magro le fecero intuire quanto i soldi di quel lavoro gli servissero davvero.

“Da dove vieni?” lo interrogò. Non era curiosa; era la prassi essere messa al corrente delle informazioni di base di chi lavorava per lei.

Logan le lanciò un’occhiata in tralice. “Da Morovi, dopo la Catena”.

Fuori regione. Un foresto. Questo spiegava come mai non l’avesse mai incrociato prima; ormai, a causa del suo lavoro, Meli conosceva quasi tutti gli ammazzamostri di Zolden.

“È la prima volta che passi per Berg?” continuò, efficiente, mentre i suoi piedi si muovevano sicuri tra le radici del sottobosco.

“Sì”.

“Dove hai studiato?”.

“Non ti riguarda”.

Meli alzò gli occhi al cielo. Le era capitato di nuovo uno di quelli simpatici. E mo’ avrebbe dovuto sorbirselo fino alla luna piena, per tre interi giorni.

Non si diede per vinta. “Da quanto fai questo lavoro?”.

“Che cos’è, un interrogatorio? Mi hai già assunto”.

Meli rimase impassibile. “Appunto. Preferisco conoscere le persone che pago per guardarmi le spalle”.

Seguì un silenzio meditabondo, rotto solo dal lieve frusciare delle felci che sfioravano loro le caviglie. “Sono bravo in quello che faccio” rispose infine l’ammazzamostri.

“Me lo auguro” ribatté Meli in tono neutro.

Il silenzio si prostrasse di nuovo per diversi minuti, ma non fu spiacevole. Meli era abituata a trattare con i bifolchi. E poi gli uccelli cinguettavano sopra le fronde verdeggianti, e l’aria profumava di sole e terra calda. Se non avesse dovuto accollarsi la pittima del sambuco, Meli avrebbe potuto persino essere di buon umore.

“Per cosa sei stato cacciato da scuola?” si informò.

Logan grugni. “Non sono fatti tuoi”.

“Allora sei stato cacciato” disse Meli amabile. Sapeva essere fastidiosa quando lo voleva, ed trovava sempre piacevole vendicarsi della maleducazione altrui.

Fu il turno dell’ammazzamostri di roteare gli occhi. Per un po’ non disse nulla; poi, con un sospiro irritato e voce animosa, concesse: “La biblioteca potrebbe aver preso fuoco”.

“Potrebbe, eh?” sghignazzò Meli. “Chimica?”.

“Scienze applicate”.

“Originale. E sei finito a fare l’ammazzamostri”.

Non era una domanda, ma Logan rispose comunque. “Paga a sufficienza”. E, dopo un attimo di riflessione, aggiunse: “E sono un pessimo guaritore”.

Meli apprezzò l’onestà non richiesta. “Questo non l’hai detto al colloquio” disse sorridendo.

L’uomo si strinse nelle spalle. “Ho detto quello che mi avrebbe fatto ottenere il lavoro”.

“Hai detto di essere il migliore”.

“Lo sono. Ad ammazzare le cose”.

“Se questo è vero lo scopriremo fin troppo presto”.

Dopo qualche altra domanda di rito, a cui seguirono risposte laconiche alternate a grugniti infastiditi, Meli si ritenne soddisfatta e non parlò più. Arrivò persino ad apprezzare che Logan fosse un tipo taciturno: meno parlava, meno stronzate sarebbero uscite dalla sua bocca.

Arrivarono a Costoi con il rosseggiare del tramonto. Non erano affaticati: per Meli era abitudine camminare nei boschi per giorni, e fu felice di constatare che il novello compagno riusciva a tenere il suo passo gagliardo.

“Due camere e la cena” disse Meli al locandiere corpulento dietro il bancone de I Due Passi, unica locanda appena prima del ridicolo grumo di casette bianche e grigie che costituiva il paese. Logan non mosse un muscolo per tirare fuori i soldi; rimase piantato dov’era a braccia incrociate, scandagliando il soffitto con precisa noncuranza. Meli pagò mordendosi la lingua.

Dopo una cena di poche parole si accordarono per trovarsi all’ingresso del locale il mattino seguente, otto in punto. Togliendosi con eleganza un pezzo di carne dai denti, Logan chiese: “Cosa andiamo a fare?”.

Pensando a quello che l’aspettava, Meli fece una smorfia schifata. Non aveva nessuna voglia di svolgere quelle commissioni, ma ormai…

“Lo vedrai” disse solo, volutamente criptica. E, salite le scale di legno, si chiuse nella sua stanza.

   
 
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