Giochi di Ruolo > D&D - Forgotten Realms
Segui la storia  |       
Autore: NPC_Stories    06/09/2023    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Dira_
Genere: introspettivo, slice of life




Waterdeep, Tempo delle Spire del Mattino, Anno 1364
Inverno.


Dora non apprezzava particolarmente il momento dei pasti al Tempio. Non perché si mangiasse male: le porzioni erano abbondanti e il cibo gustoso, persino ricercato per il suo palato di figlia di contadini.
No, il problema per Dora non era mangiare: era con chi.
Se capitava mangiava con gli accoliti del suo anno, ma altrettanto spesso non c’era posto per lei nelle panche in cui i suoi compagni si sedevano.
Avrebbe dovuto essere lei a farsi avanti; ma non era mai stata brava a farsi notare, troppo occupata ad evitare che i fratelli si notassero troppo.
Cosí, semplicemente, la gente si scordava di lei. La cosa le dispiaceva ma non sapeva come rimediare.
Almeno ci fosse Kethra mangerei con lei.
La sua vicina di letto però raramente si faceva vedere in refettorio; nelle ore libere era sempre in giro per il Tempio e per questo spesso sgraffignava cose dalle cucine fuori dai pasti.
Dora sospirò e occhieggiò i lunghi tavoli già occupati per trovare un posto libero. Fu sorpresa quando un ragazzo dalla carnagione scura e il naso aquilino, poco più grande di lei, le fece cenno di avvicinarsi.
Fu ancora più stupita quando ripeté il gesto chiamandola per nome: non aveva idea di chi fosse.
Sapeva però a che gruppo apparteneva; a quello dei figli dei nobili, la cerchia sociale più esclusiva degli accoliti del Tempio.
Si avvicinò.
Il ragazzo le rivolse un sorriso amichevole. Indossava la stessa identica veste dei Risvegliati che aveva lei, ma i ricami della sua erano stranamente più brillanti. Inoltre, indossava una vistosa spilla a chiudere la parte superiore della tunica; aveva il simbolo di una delle Casate nobili di Waterdeep. “Risvegliata Dora, giusto? Non ho detto una sciocchezza, spero. Siediti con noi!”
“Ehm, sì, Dora. Grazie.”
“Ti aggiravi come un cucciolo sperduto alla ricerca di un posto,” motteggiò facendo cenno agli altri di farle spazio. “Non potevo non salvarti.”
Il tono canzonatorio - anche se non apertamente ostile - non piacque a Dora, ma non si poteva trattare male un nobile. Potevi solo sorridere e annuire.
“Mi chiamo Dervinus,” si presentò porgendole la mano. Aveva una presa abbastanza molle, e Dora evitò di stringere com’era abituata a fare dalle sue parti. “Questa è mia sorella Drusilia,” presentò una ragazzina esile che pareva aver annusato qualcosa di sgradevole. Anche lei aveva la stessa spilla, ma la sua aveva un grosso zaffiro proprio in mezzo.
Dora pensò che era un po’ pacchiano, mentre il giovanotto passava a introdurla agli altri membri della tavolata.
“Grazie per il posto, ma non volevo…”
“Nessun fastidio,” la anticipò anche se non era quello che intendeva dire. “Sotto la luce di Lathander siamo tutti uguali. Da dove vieni?”
“Da Secomber,” mormorò Dora sconfitta.
“Dalle campagne, se non sbaglio. I tuoi hanno una fattoria?”
“Sì.”
Non aveva mai ricevuto le attenzioni di un nobile, ma aveva la vaga impressione che gente del genere non chiamasse a sé un popolano per fare una chiacchierata in simpatia.
Aveva paura di scoprire quale fosse il motivo. Si sentiva la schiena fradicia di sudore.
“Non sei una chiacchierona, eh?”
“Io…”
“Con tutte queste domande la metti a disagio Dervinus!” esclamò una ragazza alla sua sinistra. “Dille il motivo per cui l’hai chiamata, dai.”
Quindi c’è un motivo.
Dora deglutì, fissando il suo piatto come se volesse caderci dentro. Dervinus e gli altri erano nobili; poteva rifiutarsi di starli a sentire? Non ne era sicura.
“Che noiosa…” Il giovanotto sbuffò, poi la guardò con quella che Dora interpretò come indulgenza. “Mi sa che ti ho messo sulla graticola, eh? Ti chiedo scusa. Volevo darti un consiglio in realtà.”
“Su cosa?”
“Mi hanno detto che sei diventata amica di Kethra, una degli orfani.”
Dora aggrottò le sopracciglia, presa in contropiede. “Sì?”
“Beh, visto che sei la nipote di una Signora dell’Alba, e suppongo tu debba tener alta la reputazione, volevo consigliarti di non frequentare quella ladruncola.”
“...Kethra non è una ladra.”
Dervinus ridacchiò. “Eccome se lo è. Sai cosa faceva prima che un paladino dell’Ordine dell’Astro avesse pietà di lei?”
“Ha importanza?” le uscì senza riflettere e da come l’espressione indolente del ragazzo si contrasse in una smorfia di fastidio, capì di aver detto la cosa sbagliata. “Cioè … una volta che siamo qua dentro siamo tutti sotto la guida e tutela del nostro Dio,” cercò di spiegarsi. “Non … non dovrebbe avere importanza il nostro passato, una volta accolta la luce di Lathander nel nostro cuore.”
Dervinus fischiò, mentre Drusilia la fissò come se fosse scema. “Però, sai davvero le scritture a memoria.”
Non dovresti anche tu?
Evitò di dirlo. “Kethra è una brava persona,” disse invece.
“Kethra ruba!” esclamò Drusilia stizzita, come se le desse fastidio il suo ribattere. “Sarebbe dovuta finire in prigione, ma gente come lei non paga mai per i propri sbagli. E quindi continua a fare quello che le pare, indisturbata.”
“...Come scusa?”
“Via, Drusi… un po' di garbo,” sospirò Dervinus. “Perdona la franchezza di mia sorella, però non sbaglia. Kethra indossa le nostre vesti, ma non è come noi. Quando nasci in certi quartieri … è come se avessi una malattia addosso, una da cui non puoi guarire.”
“Ma ha fatto qualcosa… qui?”
Dervinus annuì compunto. “Kethra è stata retrocessa nel dormitorio dei novizi perché è stata accusata di furto nei dormitori. Ha rubato a diverse ragazze, compresa mia sorella … non è mai stata colta in flagrante, ma beh… immagino che persone come lei sappiano come evitarlo. Tua zia non può espellerla senza prove, così non ha potuto far altro che darle una punizione e allontanarla.”
Dora si morse un labbro; non aveva idea di cosa dire. Aveva intuito, da qualche parola o racconto della compagna, che era cresciuta in strada in condizioni difficili, e poteva immaginarsi che per sopravvivere aveva dovuto fare cose non proprio edificanti… e sì, aveva il vizio di rubare cibo dalle cucine.
Però rubare alle proprie compagne di camerata era un’altra storia. Era una cosa grave.
“Io e mia sorella volevamo avvertirti. Ci sembri una brava ragazza e ci dispiacerebbe se ti mettesse nei guai.”
Dora annuì assente. “Sì… grazie per avermi avvertito.”
Dervinus fece un sorriso soddisfatto. “Non c’è di che. Tutti abbiamo bisogno di buoni amici.”
Dora non rispose e diede una forchettata al suo stufato ormai freddo.

“Allora Dora, di cosa volevi parlarmi?”
Dora si mosse a disagio sulla sedia. Era una sedia di legno scomoda, come scomodo doveva essere lo scranno su cui era seduta sua zia. Tra di loro, la scrivania del suo ufficio: in quel momento pareva scura e immensa, illuminata dalla luce di diverse lampade ad olio, un valico insormontabile.
L’espressione di sua zia era sempre piuttosto severa, ma non era una novità: aveva sempre quella faccia lì.
Dora deglutì e si fece coraggio. “Volevo farti una domanda su Kethra.”
Le labbra dritte della chierica si fecero ancora più serrate, mentre alzava gli occhi al cielo. “Cos’ha combinato stavolta?”
“Niente! È che… mi hanno detto delle cose su di lei, e volevo il tuo parere.”
Zia Jhessail sospirò, come se lo fosse aspettato e questo non fece sentire meglio Dora.
“Dimmi.”
“...tu pensi che sia una brava persona?”
La donna rimase in silenzio per più di qualche momento e Dora attese con il cuore in gola.
“Kethra è una brava persona,” disse infine e Dora sentì sciogliersi un grumo che le aveva afferrato il petto. “Però è anche una ragazza difficile,” aggiunse. “Non è nata sotto una buona stella, e per lungo tempo è stata esposta alla cattiveria e alla corruzione di questo mondo… questo lascia un segno, è inevitabile. Dovrà combattere tutta la vita contro l’oscurità che le sue esperienze le hanno lasciato nel cuore. Solo Lathander sa se riuscirà a vincere la luce o l’ombra.”
“Ma sta vincendo la luce no? Ora che è qui.”
“È quello che speriamo tutti. Sicuramente il Tempio le darà gli strumenti giusti, ma starà a lei decidere se utilizzarli o meno.”
“Possiamo darle una mano a farlo però,” suggerì Dora. "Sì, non ubbidisce tanto e si mette sempre nei guai, ma è una brava ragazza!”
Zia Jhessail la guardò come se la stesse soppesando. “Dora… è lodevole il desiderio che hai di aiutare gli altri. Ti ha reso una figlia devota e ti renderà un giorno un’ottima chierica, ma sta’ attenta a non concentrare i tuoi sforzi su un’unica persona. Un chierico di Lathander serve la comunità, non il singolo. Tu hai la tendenza a prenderti cura delle persone in difficoltà… come Rupert. Non vorrei che Kethra fosse un nuovo Rupert.”
“Non si somigliano affatto,” ribatté, divertita al paragone. Però rifletté sulle parole da dire: sua zia era preoccupata, glielo leggeva in faccia. Cosa le avrebbe fatto piacere sentire e avrebbe quietato le sue ansie?
“ …magari il mio buon esempio può aiutarla a comportarsi meglio?”
Zia Jhessail apprezzò la sua risposta perché le rivolse uno scarno sorriso. “Sì, questo è vero. Sono certa che sarai una buona influenza per lei.”
Dora annuì soddisfatta. C’era però ancora una spina nel suo cuore. “Mi hanno detto… che l’hai punita per aver rubato dalle sue compagne…”
Zia Jhessail fece una smorfia. “È l’accusa che è arrivata, ma non ho mai avuto prove che sia stata lei. Non l’ho punita per quello però, ma perché mi si è rivolta con insolenza quando le ho chiesto spiegazioni. Non tollero mancanze di rispetto.”
Dora annuí. “E tu credi che gli altri abbiano ragione che… che l’abbia fatto davvero?”
“Ciò che si crede e la verità sono spesso due faccende separate, Dora.” Zia Jhessail si alzò, come a sancire la fine di quella conversazione e Dora la imitò, intuendo che aveva fatto sprecare anche troppo tempo alla donna. “Io credo nella verità e mi aspetto che tu faccia lo stesso.”
Dora fece un piccolo sorriso. “Sí, zia.”

Nell’attesa di parlare con sua zia Dora aveva evitato Kethra. Erano stati solo quattro giorni e non sapeva se la compagna se ne fosse accorta; probabilmente no. Ogni volta che le si sedeva a fianco a lezione o sulla branda pareva sorpresa di trovarsela davanti.
…quindi ci mise un po’ a capire che Kethra stava facendo la stessa cosa con lei.
Quella mattina, quando dopo le preghiere provò ad avvicinarsi, l’altra sgusciò tra le compagne, sparendo chissà dove.
A lezione si stravaccò nel banco più in fondo, in cui mai lei si sarebbe seduta perché sentiva malissimo il maestro.
A pranzo, manco a dirlo, non c’era e infine nelle ore libere del pomeriggio il suo letto rimase vuoto.
Dora chiese un po’ in giro, ma non si stupì quando le compagne di camerata le risposero con scrollate di spalle e facce perplesse.
Era come cercare di stanare un gatto randagio che aveva deciso di ignorarti. Dora lasciò dunque le sue amate letture pomeridiane e si mise alla ricerca dell’altra: scale, corridoi, sezioni del Tempio dove venne più o meno gentilmente scacciata, stanze vuote e uffici dove le toccò chiudere rapidamente la porta prima di venir rimbrottata da un’alta carica.
Trovò Kethra dopo aver perso la messa serale, rischiato tre punizioni e fatto una corsa per evitare un sorvegliante; l’illuskan si era rifugiata al terzo e ultimo piano del Tempio ed era seduta ad una delle finestre che davano sulla baia.
Essendo da poco tramontato il sole la superficie del mare era un vuoto scuro, limitato dalle tante luci della città. A Dora faceva un po’ impressione.
Si avvicinò mentre l’altra se ne stava in quieta e insolita contemplazione. L’aveva sentita arrivare però, perché si voltò prima che aprisse bocca.
“Non dovresti essere a messa?”
“Pure tu se è per questo,” ribatté. “Ti cercavo.”
“E mi hai trovata. Hai bisogno di qualcosa?”
Dora realizzò in quel momento che aveva passato ore e ore a cercare Kethra… senza un motivo preciso.
Non voleva certo riferirle della sua conversazione con Dervinus, né tantomeno quella con sua zia Jhessail.
“Non ti trovavo da nessuna parte…” disse imbarazzata sotto lo sguardo penetrante dell’altra. “E… e… ecco, sì. Mi sono preoccupata.”
“Dai, dì piuttosto che ti ha mandato tua zia a controllare che non fossi in giro a far casino.”
“No!” protestò. “Non sa che sono qui. Io… volevo passare del tempo con te,” ammise sperando che non fosse strano dirlo.
Kethra aprì la bocca per ribattere, ma poi la chiuse e le diede di nuovo le spalle, voltandosi verso il mare. “Meglio di no.”
Dora sentì un peso sprofondarle nello stomaco. “Perché? Cioè… se… se ho fatto qualcosa o se non ti sono simpatica…”
Kethra scrollò le spalle. “No, Honeycomb, sei una a posto. Per questo non dovresti frequentare una come me.”
L’aveva chiamata per cognome quando avevano cominciato a chiamarsi per nome già da un po’... non era un buon segno.
Dora si prese qualche attimo per soppesare quelle parole, per realizzarne il significato… e per arrabbiarsi, ma non con Kethra: con quei nobili e stronzi e con sé stessa per aver dato loro retta.
Le toccò con gentilezza la spalla: l’altra ragazzina si voltò con un’espressione dura e chiusa, come quelle che facevano i suoi fratelli dopo che venivano battuti da suo padre.
“Una come te in che senso?”
“Mi hanno detto che hai parlato con quello stronzo con il culo foderato di seta di Dervinus e quella strega di sua sorella. Ti avranno raccontato tutta la storiella di Kethra manolesta, no?” Fece spallucce, voltandosi di nuovo verso la baia, quasi volesse istintivamente allontanarsi dal tempio. E da lei. “Che poi manco hanno torto… prima di venire qua ho davvero rubato. Ad un sacco di gente e in un sacco di posti. Non me ne pento,” sbottò. “Dovevo sopravvivere. Non me ne pento manco un po’.”
“E lo fai ancora? Di rubare le cose alle persone?”
Kethra si incupì, ma prima che potesse rispondere, Dora la anticipò. “Crederò a quello che mi dirai.”
“Che scemenza. Potrei dirti una bugia…”
“Ti crederò comunque.”
Kethra si morse le labbra lanciandole un’occhiata di sottecchi. “...non ho mai rubato a nessuno qui dentro,” mormorò. “Drusilia mi ha accusata perché non sopportava di avere una pezzente che puzza di miseria come vicina di letto,” fece un sorriso amaro. “Quando la Tulach mi ha chiesto spiegazioni mi è partita la brocca e… beh, le ho detto cose poco carine. Così mi ha spedito dai novizi… ma te lo giuro, non ruberei mai alle mie compagne.” Dora con cautela - perchè erano davvero molto in alto - si sedette sul davanzale accanto all’altra. “Ti credo.”
“Non ti ho detto una bugia.”
“Lo so. Per questo ti credo.”
Kethra sbuffò una risata. “Sei proprio una tipa strana.”
Dora sorrise. “Senti chi parla.”
Si sentiva più leggera; i sorrisi melliflui di Dervinus e il disdegno di Drusilia le sembravano lontani come ricordi mentre se ne stava a spenzolare i piedi nel vuoto con Kethra.
“Comunque sono io ad averti detto una bugia.”
“Tu?” Kethra si mise teatralmente una mano sul cuore, spalancando i grandi occhi grigi. “Per il Radioso, non tu!”
Dora ridacchiò. “Quando ci siamo presentate per la prima volta e mi hai preso in giro…”
“È facilissimo prenderti in giro, che vuoi farci.”
Dora le tirò una gomitata. “Mi hai chiesto se avevo delle amiche, ti ricordi? Ti ho detto che le avevo. Non è vero. Non ho mai avuto amici. I miei fratelli non contano.”
Kethra la guardò incuriosita, ma non disse niente.
Dora inspirò. “Non mi importa di quello che dice di te gente come Dervinus e Drusilia. Non voglio che siano loro i miei primi amici. Mi viene ansia solo a pensarci! Quando invece sto con te mi sento a mio agio.”
“Anche quando ti chiedo di farmi da palo?”
Dora fece spallucce. “I miei fratelli mi hanno costretta a fare di peggio. Quindi vorrei… che fossi… ecco, tu. La mia prima amica. Se… se ti va, eh, non sei obbligata o altro, ecco.”
Aveva formulato la richiesta come un idiota e non si sarebbe stupita se Kethra si fosse messa a ridere.
Invece l’altra le fece un gran sorriso, dandole una spallata giocosa. “Siamo già amiche, tonta.”
“Davvero?” non poteva peggiorare la situazione più di così, ma Kethra aveva il meraviglioso dono di non scomporsi alle sue uscite da disadattata, perché ridacchiò e le passò un braccio attorno alle spalle.
“Davvero. Sei un palo perfetto, e poi menti anche a tua zia per pararmi il culo!”
“Non ti ci abituare! Non lo farò di nuovo!”
“Va bene, va bene…”
Dora le cinse la vita con un braccio: le sembrava giusto farlo e poi erano praticamente sporte nel vuoto e Kethra si muoveva con un po’ troppa disinvoltura. “Ho detto un’altra bugia…” sospirò scatenando una sghignazzata trionfante all'altra. “Ora però scendiamo da qui che mi vengono le vertigini per favore?”

Dora era una tipa piuttosto divertente.
A prima vista pareva un’ingenuotta dalle idee rigide, ma più Kethra la conosceva, più si rendeva conto che la caratteristica principale della sua nuova amica era un’altra: una sconcertante nobiltà d’animo.
Forse era così che doveva essere un chierico di Lathander…
Probabilmente. Sicuro. Tutto molto bello. Però…
Nella vita reale una così durava cinque minuti prima di venir masticata dal mondo. Per questo doveva proteggerla dai suoi stessi slanci cavallereschi.
Quindi non si tirò indietro quando qualche giorno dopo Dervinus Hedare fece cenno a Dora di avvicinarsi mentre erano nel refettorio.
Kethra la seguì mettendo su la sua migliore faccia da strada.
“Mi spiace constatare che non hai dato retta ai miei consigli,” disse il ragazzo con tono di sufficienza. “Purtroppo succede quando dai perle ai custodi di porci.”
Dora contemplò per un attimo il giovane rampollo.
Poi parlò e disse l’ultima cosa che Kethra si sarebbe aspettata.
“La mia famiglia ha le pecore, coglione.”
“…come scusa?”
“Abbiamo pecore da formaggio e arnie per le api da miele. Non siamo porcari. Se mi devi prendere in giro almeno informati.”
Dervinus avvampò mentre i nobilotti par suo ridacchiavano, sbalorditi dall’improvvisa verve di Dora.
Anche Kethra era sorpresa: forse l’aveva giudicata più disarmata di quanto non fosse.
Un punto a te, Honeycomb.
“Erano una battuta razza di bifolca!”
“L’avevo capito, ma faceva schifo. Come fanno schifo i tuoi consigli. Non mi interessano.”
Drusilia affilò lo sguardo. “Non ti conviene fare l’arrogante con noi…”
“Oppure cosa?” domandò Kethra facendosi avanti. “Ve la prenderete con la nipote della Tulach? Sarà contenta di sentirsi dare della guardiana di maiali. Garantito.”
I due ragazzi esitarono: neppure il loro sangue blu poteva difenderli dal terribile monolite permaloso che era Jhessail Tulach.
Dervinus fu il primo a crollare: “Non ho chiamato la Signora dell’Alba Jhessail cosí!”
“Meno male. Perché quando si incazza finisci coi nuovi arrivati. Una vitaccia. Farebbe piacere ai tuoi?”
Drusilia le guardò con rabbia impotente. “Siete due pezzenti, è inutile perdere tempo con voi…” borbottò.
“Infatti dovreste impiegarlo a migliorare voi stessi,” ribatté Dora. “Perchè non state facendo un gran lavoro.”
Kethra ridacchiò, ma capí che non era il caso di tirare troppo la corda. Fece un inchino beffardo al gruppo di nobili e si portò via l’amica.
Si sedettero ad un tavolo ben lontano, ma Dora continuò a guardare la sua zuppa in corrucciato silenzio.
“Che c’è, sei preoccupata? Derpiscio e sorella sono tutti chiacchiere. Se la Tulach si lamenta che ti bullizzano, passano dei guai. La loro famiglia ci tiene troppo alla facciata di fedeli buoni e devoti.”
Dora ridacchiò, ma poi tornò seria. “No, è che…” la guardò di sottecchi. “È tanto una vitaccia con noi novizi?”
Kethra sbuffò divertita e le tirò un pezzo di pane. “Nah,” ghignò. “Ho esagerato per drammaticità. A me non è andata male. Ho fatto amicizia con una guardiana di pecore molto simpatica.”
Dora le fece un sorrisone e prese a mangiare di buona lena.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > D&D - Forgotten Realms / Vai alla pagina dell'autore: NPC_Stories