Frangments
“Sasuke è il nero, Hinata il
bianco.
Si completano.”
Ero seduto con Akamaru sotto il mio
solito albero, a pranzare dopo l'estenuante allenamento mattutino con i miei
compagni di Team.
Shino sedeva accanto a me, in completo silenzio, come suo
solito.
Hinata,
invece, stava pranzando a qualche albero di distanza da noi insieme a
Sasuke.
Si,
proprio quel Sasuke.
Se qualcuno me l'avesse detto due mesi
prima, probabilmente gli avrei sonoramente riso in faccia. Erano troppo
diversi.
Non
credevo che due mondi così opposti potessero, in qualche modo, incontrarsi e,
soprattutto, attrarsi.
Eppure, avevo dovuto ricredermi.
Pensandoci, non sarebbe stato fuori luogo
paragonarli al bianco e al nero.
Hinata, ovviamente, era il bianco: puro e
incontaminato, poteva sembrare solo apparentemente innocuo. In realtà, era un
colore capace di splendere e di mostrare più tenacia di molti altri, più
fittizi, che sapevano solo nascondersi sotto una facciata di apparente
forza.
Proprio per
questo, chi meglio di lei poteva rappresentare questo
colore?!
Sasuke,
invece, era simile al nero: inesplicabile e sconosciuto, con recessi tanto
nascosti che nessuno avrebbe mai potuto illuminarlo davvero del
tutto.
Erano un
po' come il giorno e la notte, insomma.
Ognuno completava l'altro con la sua
semplice presenza.
Più li guardavo e più me ne convincevo.
Hinata aveva appena strappato un pezzo
del suo panino e l'aveva ceduto all'Uchiha con un sorriso timido. Lui l'aveva
guardata, ma c'era qualcosa di strano nei suoi occhi.
Però non era il solito sguardo altero:
osservava la mia compagna di team come se stesse guardando il tesoro più
prezioso che il mondo avesse potuto donargli.
Come un fedele guarda alla sua divinità,
ecco.
Erano
spensierati: sembrava che niente potesse distruggere quel mondo che si era
creato intorno a loro, quell'aura di pace che sembrava urlare al mondo di
rallentare, di fermarsi addirittura per non disturbare.
Osservando bene i loro gesti, mi venne in
mente che ruotavano l'uno intorno all'altro, probabilmente senza rendersene
conto.
Ogni gesto,
ogni piccola movenza...sembrava avere come creatore, destinatario e centro
l'altro, come se l'amato fosse un polo di gravità a cui ruotare
intorno.
Non
potevo che guardarli stupito e, lo ammetto, anche un po' invidioso. Non
fraintendiamo, volevo bene ad Hinata come ad una sorella.
Quello che invidiavo era quell'amore
perfetto che sembrava averla conquistata. Quel sentimento che la avvolgeva in
ogni minuto della sua vita e che, in ogni secondo, la faceva sentire
speciale.
Osservandoli pensai che, dopotutto, non era poi così assurdo che quei due
si fossero innamorati: era l'uno la metà dell'altro. Si completavano alla
perfezione.
Sorrisi e tornai al mio pranzo.
To be Continued...