Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Rumyantsev    27/09/2023    3 recensioni
Mentre Aziraphale è in Paradiso, intento a svolgere un incarico in apparenza fondamentale, Crowley subisce un attacco da parte di un essere misterioso e scompare dal creato. A questo punto, ad Aziraphale non resterà altro da fare se non tornare sulla Terra per cercarlo...
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
3. OGNI COSA HA IL SUO ROVESCIO
 
 
Il posto in Paradiso in cui Metatron stava era lontano da quello abitato dagli altri angeli. Era il centro del Paradiso stesso, il punto più luminoso e vicino a Lei. Metatron ascoltava e interpretava la Sua voce e viveva in contatto costante con Lei. Questo gli conferiva la massima autorità, nessuno in Paradiso poteva disobbedirgli. Era amato, ascoltato, venerato.
Ma Lei aveva smesso di parlargli da tempo.
Era accaduto da un giorno all’altro. Lei lo aveva lasciato senza le Sue parole e Metatron si era trovato a brancolare nel buio, senza più sapere cosa fare, camminando alla cieca sul sentiero di Lei come tutti gli altri angeli. Era stato un dolore grandissimo pensare di aver perso il Suo favore. Si era interrogato a lungo su cosa questo potesse significare. Se fosse stato per colpa dell’Apocalisse che non era arrivata, se Lei avesse imputato a lui quel fallimento. Metatron non aveva mai prima d’allora sperimentato cosa fosse l’insicurezza, non sapeva cosa fosse il dubbio. Come nessun altro in tutto il creato, la sua convinzione non aveva mai vacillato. Perché finché Lei aveva sussurrato al suo orecchio lui non aveva mai dovuto fare congetture, mai aveva dovuto scegliere niente. Senza di Lei camminava nel buio, disperato, come un bambino in un bosco oscuro senza un lume da seguire o una casa a cui tornare.
Poi aveva capito, all’improvviso, quello che Lei voleva.
Da sempre lo aveva istruito perché seguisse le regole che Lei dettava, assicurandosi che le insegnasse anche agli altri e ora, come un genitore responsabile, gli aveva lasciato la mano perché proseguisse la strada solo sulle proprie gambe, per quanto malferme all’inizio, certa che l’avrebbero portato dove Lei l’aveva ben indirizzato.
Metatron aveva predisposto le condizioni perché si realizzasse il Suo regno e aveva fallito la prima volta, ma il responsabile non era stato lui. C’era una variabile impazzita nella trama del creato che si era opposta al Suo piano. Era stato un demone che aveva circuito un angelo e impedito l’Apocalisse. Una cosa contro natura, inaccettabile. Aveva osservato quell’amicizia con disgusto, e l’aveva tollerata solo perché Lei non gli aveva mai ordinato di intromettersi. Ma ora aveva capito che lo stava preparando a cose più grandi e Metatron non poteva permettere che il Suo piano venisse compromesso una seconda volta. Era Lei che indirettamente lo chiedeva, consegnandogli le redini del Paradiso. Gli diceva che era tempo di Apocalisse e di ordine, finalmente.
Il demone andava eliminato, l’angelo riportato sulla via retta. Era questo che Lei gli aveva insegnato a fare, rendendolo l’unico in grado di distinguere i contorni netti tra ciò che è Bene e ciò che è Male. Con l’angelo aveva già ottenuto il successo che sperava: era tornato in Paradiso ed era troppo impegnato in un compito faticoso e inutile per poter pensare alla ribellione. Gli aveva concesso un’autorità del tutto fittizia, quel tanto che bastava perché si credesse importante, fondamentale addirittura, e aveva immediatamente dimenticato il demone.  
Metatron quella volta non aveva sottovalutato il suo nemico. Lo aveva prima studiato a lungo per capire come agire e poi gli aveva lanciato contro l’arma più potente a sua disposizione. Il demone non ne sarebbe uscito vivo. Sarebbe stato cancellato dall’esistenza e impossibilitato a tornare per sempre. Si era nascosto in qualche modo, ma non sarebbe riuscito a sfuggire al proprio destino. Una volta risolta quella faccenda, poi, sarebbe stata la fine del mondo per come lo si era conosciuto fino ad allora. Cioè il compimento ultimo dell’opera di Lei. Si sarebbe realizzata l’utopia verso cui tutto il lavoro fatto dal Paradiso fino ad allora aveva teso.
Mentre ragionava attorno a questi pensieri, udì i passi di qualcuno che stava arrivando al suo cospetto.
Era l’angelo Uriel, retto e compito con le mani dietro alla schiena, che gli fece un piccolo inchino formale prima di parlare.
«Il punitore è tornato», disse, «Non ha compiuto la sua missione».
Metatron, colto ancora una volta da quella orrida sensazione di spiazzamento, pensò che era impossibile. Una volta rilasciato, infatti, Onesiel non poteva tornare prima di aver eseguito l’ordine che gli veniva impartito. «Com’è potuto accadere?», gli chiese. Provò un sentimento di profondo sdegno verso se stesso notando quanto la sua voce aveva tremato di incertezza, nel pronunciare quelle parole.  
Uriel, saldo e composto, con durezza rispose: «Forse è meglio che lo vediate con i vostri occhi, signore».
                                                                                                            
---
 
Michael stava tirando il bambino Gesù per una caviglia, trascinandolo sul pavimento immacolato del Paradiso, mentre Saraqael osservava la scena massaggiandosi le tempie con due dita.
«Vostra Grazia, dobbiamo fare la lezione», stava dicendo Michael, in un tono sibilante di impazienza. Gesù provò a tirarle un calcio con la gamba libera.
«Non voglio non voglio non voglio», gridò, battendo i pugni per terra, «Voglio Aziraphale».
«Non c’è, Vostra Grazia», ripeté Michael, ormai quasi gridando anche lei.
«Tornerà presto», si intromise Saraqael, con un tono un po’ troppo passivo aggressivo per una che si stava rivolgendo al Salvatore.
Gesù lanciò un altro urlo: «Io lo voglio adesso!».
«Probabilmente sarà sulla Terra», ragionò Michael, cercando di calmarsi mentre dentro di sé voleva solo prendere il bambino e defenestrarlo come aveva fatto, al tempo, con Lucifero.
«Allora voglio andare sulla Terra!», rispose il bambino, esibendosi in una specie di pianto isterico senza lacrime.
«Ma Vostra Grazia, non potete andare sulla Terra. Non siete ancora pronto», disse Saraqael.
«Io posso fare quello che voglio!», strepitò Gesù.
Michael e Saraqael si scambiarono smorfie che volevano dire circa io questo bambino lo ammazzo e tieni duro, è nostro Signore Gesù Cristo.
«Ve lo ordino», gridò ancora il bambino, allungando tutte le vocali delle parole in strilli incontrollabili, «Portatemi da Aziraphale!».
 
---
 
Gabriel aveva appena decapitato con un colpo di spada un demone dal capo caprino e Belzebù affondato le mani nel petto di un altro demone strappandone via il cuore. Erano entrambi zuppi di sangue nero e secrezioni di vario tipo, al centro di un cerchio di demoni che li stringeva schiena contro schiena. Tutt’attorno a loro c’erano la polvere e gli scarti che si erano lasciati dietro i demoni che già avevano annientato. Erano pronti ad affrontare il prossimo che si sarebbe fatto avanti, quando tutto si fermò e la terra cominciò a tremare.
Iniziò con un lieve vibrare dei vetri alle finestre dei palazzi attorno a loro. Poi avvertirono la scossa sotto ai piedi. Si scambiarono sguardi confusi con i demoni, che sembravano sorpresi quanto loro.
Infine, dal negozio qualcuno gridò.
Belzebù cercò la mano di Gabriel e la prese nella propria, correndo con lui verso la fonte del rumore.
Dentro al negozio gli scaffali tremavano, producendo un rombo basso e un tintinnio di oggetti che cozzavano tra loro, mentre i libri cadevano a terra uno dopo l’altro in una pioggia di tonfi sordi. La polvere dei calcinacci prodotti dalla distruzione che Onesiel si era lasciato dietro non si era ancora posata del tutto, rendendolo loro difficile distinguere a un primo sguardo cosa stesse accadendo.
Videro le sagome della strega e di Furfur, in piedi, visibili nel contrasto con la luce che entrava dalla finestra. Video la bambina umana che aveva trovato riparo sotto a un tavolino. Videro Muriel e Aziraphale, seduti per terra e, infine, videro le gambe inerti di Crowley, sdraiato in mezzo a loro. Gabriel provò a fare un passo verso di loro ma Belzebù lo trattenne.
«Qualcosa non va», gli disse, ad alta voce per farsi udire nel chiasso che aveva inghiottito il negozio.
Ciò che non andava era Aziraphale.
Piegato su se stesso aveva appoggiato le mani sul pavimento, quella pulita e quella sporca del sangue di Crowley, poi la aveva strette in un pugno graffiando come se volesse strappare il parquet. Aveva emesso un verso basso e gutturale, sotto gli occhi attoniti di tutti i presenti.
La strega Nunet era stata l’unica a muoversi, indietreggiando di qualche passo per allontanarsi da lui. Aveva capito cosa stava accadendo.
«Scappa», disse a Muriel, che alzò su di lei uno sguardo confuso. «Va’ via, scappa», ripeté.
Ma nessuno fece in tempo a fare nient’altro. Con uno scatto Aziraphale si era alzato in piedi e aveva afferrato Furfur per il collo. L’aveva sollevato con una mano e questi aveva gridato per la sorpresa. Il tagliacarte gli era scivolato dalle dita finendo per terra con un rumore metallico, ancora gocciolante del sangue di Crowley.
Allora tutti avevano visto: gli occhi di Aziraphale brillavano di luce propria. Erano diventati di un rosso ribollente, come la lava fusa che scivola sul fianco di un vulcano, fin nella sclera. Il suo volto non aveva più nessun colore, era bianco come quello di uno spettro ma sotto alla pelle smorta si intravedevano bagliori rossastri. Era come se un fuoco lo illuminasse da dentro, scorrendo in lui come sangue.
«Un demone», sussurrò Gabriel. Nessuno lo udì ma non ce n’era bisogno, tutti i presenti avevano capito.
«Lasciami, razza di ridicolo damerino!», gridò Furfur scalciando a vuoto, cercando con le mani di sciogliere la presa dell’altro sulla sua gola, graffiandogli le dita con le unghie corte. Aziraphale aprì la bocca e ne uscì un lungo rombo basso, come di un aereo in volo o un tuono, un suono mostruoso che fece incrinare i vetri alle finestre e poi li infranse. Tutti si portarono le mani alle orecchie, cercando di proteggersi da quel frastuono insopportabile.
Furfur a quel punto si era fermato, cambiando completamente il proprio atteggiamento arrogante in uno supplice e terrorizzato. «Mi dispiace!», gridò con una punta di isteria, «Lasciami, mi dispiace».
Il punto in cui la mano di Aziraphale toccava il suo collo cominciò a fumare. «Mi dispiace! Mi dispiace!», continuava a gridare Furfur, sempre più terrorizzato, «Faccio quello che vuoi! Ti prego, ti scongiuro!». La sua faccia si stava riempiendo di venature rosse che emettevano sempre più fumo nero: Aziraphale lo stava incenerendo.
«Aiutatemi vi prego!», continuava a urlare Furfur, supplicando ora Aziraphale e ora gli altri, «Ti prego, te lo posso riportare indietro!».
Udite quelle parole, Aziraphale serrò ancora di più la presa e Furfur, lanciando un ultimo verso di dolore, si sgretolò in un mucchio di cenere.
A quel punto la terra smise di tremare e calò il silenzio. Aziraphale prese a camminare verso il buco che c’era ormai al posto della porta del negozio, dove Belzebù e Gabriel ancora sostavano attoniti. Passò indifferente sotto gli occhi dei suoi amici, come se non li vedesse. La piccola Olive trattenne il fiato quando le fu vicino ma lui non la degnò neanche di un’occhiata veloce. Uscì fuori tra i demoni, che sbigottiti lo osservarono senza sapere che fare. Chi li aveva condotti lì era appena morto per mano della strana creatura che era ora Aziraphale, e non sapevano se dovevano combatterlo oppure lasciarlo andare via.
Aziraphale guardava dritto davanti a sé. Era pomeriggio inoltrato e il sole illuminava Londra con i suoi ultimi raggi. L’arcobaleno che l’aveva accolto al suo arrivo quella mattina era scomparso.
Mentre tutti lo guardavano, Aziraphale si piegò in avanti.
Si udì un suono inquietante, di qualcosa che veniva strappato con violenza, e tra le scapole di Aziraphale lentamente sorsero due appendici che sembravano due zampe di ragno nerissime. Si allungarono e allargarono, fino ad assumere la forma di due ali senza piume, come quelle di un pipistrello. Quando si muovevano, lasciavano cadere a terra spolverate di cenere. Era come se le sue ali di angelo si fossero bruciate in quel corpo pieno di fuoco, e ora cercassero di fuggire per salvare quello che era rimasto. Poi il corpo di Aziraphale si gonfiò. Almeno, così sembrò all’inizio. Stava crescendo in altezza, diventando grande il doppio, il triplo, superava i palazzi… I demoni si dispersero tra grida di terrore e rumore di passi concitati sull’asfalto per lasciargli spazio.  
Aziraphale, ritornando in posizione eretta alla fine di quella mutazione mostruosa, produsse nuovamente quel rombo che gli usciva direttamente dal petto, cento volte più forte per via delle sue dimensioni, e la città intera tremò. Scoppiavano le finestre, crollavano i tetti, gli umani che dalle strade vicine lo vedevano, alto sulle case, stagliato contro al cielo con i suoi occhi fiammeggianti e le sue ali bruciate che gettavano lunghe ombre sulla Terra, fuggivano in preda al panico. Quelli che non lo vedevano, troppo lontani o chiusi nelle loro case, pensavano di essere sotto ad un bombardamento.
«Dobbiamo fermarlo…», sussurrò Muriel. Insieme con gli altri sostava sull’entrata distrutta del negozio per guardare fuori.
«Non possiamo fermarlo, è troppo potente», disse la strega.
«Ma ci sarà un modo…», ribatté Muriel, con una vocina che tradiva quanto lei stessa non avesse alcuna fiducia in ciò che aveva detto.
«Ѐ un arcangelo… Ricordi cos’era Lucifero prima di diventare Satana?! E per di più lui è il Supremo», disse Belzebù.
«Mio Dio», disse Gabriel, «Distruggerà ogni cosa».
Aziraphale si incamminò, abbattendo con una gamba la caffetteria dirimpetto al negozio. A ogni passo creava fossi nell’asfalto. I demoni, riconosciuta in lui la sua enorme potenza, dopo un momento di esitazione gli andarono dietro, in una specie di parata infernale. Quelli che possedevano le ali, si alzarono in volo attorno a lui come uno sciame di mosche, altri strisciavano, altri si muovevano al galoppo. Ciò che non demoliva Aziraphale con il suo pesante incedere, lo buttavano giù i demoni in festa.
«Di là c’è casa di mia nonna», disse Olive, pianissimo, portandosi entrambe le mani sulla bocca per l’orrore.
Nel frattempo Metatron e Uriel erano arrivati sulla Terra. Dal tetto di un palazzo lontano avevano assistito alla trasformazione di Aziraphale.
«Com’è potuto accadere?», chiese Metatron tra sé, per la seconda volta in una sola giornata. Quello non era il suo piano, non era così che aveva pensato all’Apocalisse! Possibile che ancora una volta il demone Crowley fosse stato capace di rovinare ogni cosa?!
«Non è questo che le ha detto di fare Dio, signore?», gli domandò Uriel, in un tono che gli parve sarcastico. Metatron era tanto sconvolto che si era persino dimenticato di averlo accanto. Lo fulminò con un’occhiata ammonitrice.
«Quel mostro deve essere abbattuto al più presto», gli ordinò, «Va’ ad avvisare Michael perché organizzi l’esercito. Lo voglio morto prima che spunti l’alba».
Uriel annuì, sebbene non si sentisse affatto convinto, e disparve.
 
---
 
Michael e Saraqael arrivarono con il bambino Gesù in Saint James Park proprio mentre le luci dei lampioni si stavano accendendo. Sulla ghiaia dei sentieri c’era ancora qualche pozzanghera lasciata dall’acquazzone mattutino che aveva raffreddato l’aria. Erano atterrati sotto una quercia e subito Gesù la riconobbe, grazie agli insegnamenti di Aziraphale, e ne strappò una foglia per studiarla da vicino. «Questa fa delle piccole ghiande», disse, entusiasta, sventolando la foglia sotto al naso di una insofferente Saraqael, «E poi gli scoiattoli le mangiano! Come quello de L’era glaciale!». Prese a correre tra l’erba, sporcandosi di terra le scarpe e l’orlo dei pantaloni turchesi, indicando ogni cosa vedeva e chiamandola per nome: tulipano, formica, pietra, faggio…
Le sue accompagnatrici, intanto, si guardavano attorno.
«C’è una puzza strana», considerò Michael.
«La Terra puzza sempre», commentò Saraqael con una smorfia.
«No c’è una puzza… di guerra», insisté Michael, allargando a più riprese le narici e assottigliando gli occhi.
«Guerra? Siamo in Inghilterra», rispose Saraqael alzando gli occhi al cielo.
«Forse stanno cercando di conquistare una nuova colonia?», ipotizzò Michael.
«Ah, Cielo», sbuffò Saraqael, «Credevo avessero smesso secoli fa».
«Cos’è quello?», gridò Gesù. Gli angeli alzarono gli occhi verso dove stava indicando e videro, in lontananza, una grossa testa con gli occhi rossi da sopra le chiome degli alberi. Era una visione grottesca contro al cielo trapuntato di stelle, la pelle effusa di un lucore scarlatto e l’espressione vuota di una statua di marmo. Attorno a lui volava uno sciame di piccoli oggetti che i due angeli non riuscirono a distinguere, neanche assottigliando gli occhi per affinare lo sguardo. 
«Assomiglia al tuo ex», celiò acida Saraqael. Michael le rivolse una smorfia risentita.
«Ѐ Aziraphale!», disse ancora Gesù. Ora che Saraqael e Michael lo guardavano meglio, in effetti, sembrava proprio Aziraphale anche a loro.
«Ma è un demone?».
«Cos’altro vuoi che sia? Non vedi che occhi ha?!».
«Voglio andare lì», le interruppe Gesù, continuando ad indicare verso il mostro. Prima che una delle sue accompagnatrici potesse opporsi, prese a correre in quella direzione.
 
---
 
Uriel non aveva trovato Michael in Paradiso, e si era arrangiato a dare personalmente gli ordini agli angeli perché organizzassero l’esercito. Era poi tornato sulla Terra, atterrando nella strada in cui aveva visto l’ultima volta il demone Aziraphale. Tra i palazzi crollati, nella folla crescente di umani che scappavano da una parte e dall’altra, aveva visto il negozio di libri con la facciata diroccata. Si era sentito chiamare all’improvviso.
«Fratello!». Gabriel, che gli sembrava di non vedere più da una vita ormai, gli era corso incontro e gli aveva gettato le braccia al collo, lasciandolo immobile ed esterrefatto.
«Cosa ci fai tu qui?», gli chiese, respingendolo, «Non eri scappato con il tuo… demone?».
Gabriel lo prese per un polso e lo trascinò verso il negozio, evitando gli umani che schizzavano per la strada in tutte le direzioni come bestiame spaventato: «Siamo tornati», spiegava intanto, «Perché c’erano dei problemi. Non pensavamo fossero così grossi però!».
«Ѐ l’Apocalisse», rispose Uriel.
Nel negozio avevano liberato un tavolo e ci avevano adagiato sopra il corpo di Crowley. Con la propria giacca Muriel gli aveva pulito il sangue che si stava raggrumando sotto alla sua bocca e sul mento, Belzebù gli aveva chiuso gli occhi e Olive gli aveva sistemato i capelli. La strega, Nunet, con una magia aveva ricostruito i suoi occhiali neri e li aveva posati tra le sue mani, incrociate sul petto. Avevano acceso delle candele, poiché la corrente aveva smesso di funzionare in tutto il quartiere, e ora gli stavano attorno: Muriel, Belzebù, la strega e la piccola Olive, senza sapere cosa fare mentre la furia di Aziraphale distruggeva il mondo intero.
Uriel, entrando al seguito di Gabriel, le vide così, strette attorno a quel corpo sul cui viso senza espressione le candele gettavano una luce tremula e ombre profonde, e si sentì attraversato da una commozione che non aveva mai provato prima. Non sapeva se fosse per il morto, per coloro che lo vegliavano, o per Aziraphale…
«Ѐ così triste», Gabriel diede voce al suo pensiero, con il viso bagnato di lacrime.
«L’esercito celeste è pronto ad attaccare», disse Uriel, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal punto in cui Crowley giaceva, «Aziraphale sarà annientato».
«Sei così sicuro che vincerete», disse Belzebù, rivolgendogli un’occhiata cattiva e carica di rabbia, «Ma l’esito di questa guerra non è certo come credi. Quell’angelo ha qualcosa che nessun altro ha avuto prima di lui: è disperato. Non c’è niente di più pericoloso».
«Lui non avrebbe mai voluto questo», singhiozzò Muriel, guardando Crowley.
«Non stava facendo niente di male», pigolò Olive.
«Ѐ stato Metatron», si lasciò sfuggire Uriel, e si stupì di non pentirsi affatto di averlo detto. «Lo voleva morto a tutti i costi. Lo odiava». Era molto grave dire di un angelo che odiava un'altra entità, soprattutto uno importante come Metatron, ma Uriel ne era così convinto che il bisogno di dire la verità prevalse su quello di rispettare l’autorità. «Non importa chi materialmente ha compiuto il fatto: se lui non avesse scagliato Onesiel contro Crowley tutto questo non sarebbe accaduto». Poi, rivolto a Gabriel disse: «Credo non parli più per conto di Lei da un pezzo. Almeno da quando ti abbiamo mandato via, e me ne sono accorto solo ora», concluse con amarezza.
«Non è colpa tua, fratello», Gabriel gli strinse il polso per mostrargli la sua comprensione.
«Se lo credi davvero», disse Belzebù, avvicinandosi a loro, «Allora non permettere all’esercito celeste di attaccare».
Uriel la guardò con sprezzo: «E dovrei lasciare che i demoni si prendano la Terra?».
«Noi potremmo parlare con Aziraphale… convincerlo», disse Muriel, «Siamo suoi amici».
«Devi lasciarci provare. Guadagnare tempo. Se non funziona allora…», Belzebù non si premurò di continuare la frase: sapevano tutti molto bene quali sarebbero state le conseguenze.
 
---
 
Una schiera di carrarmati era stata disposta all’ingresso di Constitution Hill per fermare l’avanzata di Aziraphale e dei demoni che aveva al seguito. La famiglia reale era stata evacuata secondo il protocollo. Ora il re con la sua consorte stavano fuggendo da Londra a bordo di un elicottero militare, contemplando impotenti la città devastata, illuminata dagli incendi, che si faceva sempre più lontana, lasciandosi indietro le urla di coloro che invece non potevano scappare. Nel frattempo, tutte le forze armate disponibili erano state impiegate a difesa di Buckingham Palace. Ovviamente non era servito a niente: Aziraphale aveva ignorato i carrarmati, calciando via quelli che gli sparavano contro, e schiacciato i soldati che gli capitavano sotto ai piedi. I demoni avevano continuato il suo lavoro di distruzione, uccidendo quelli che si erano salvati e stavano cercando di mettersi in fuga.
Per strada volavano colpi di arma da fuoco e cannonate, si udivano le grida degli uomini e delle donne feriti o morenti e i versi dei demoni. Dappertutto sparsi sul terreno c’erano una disfatta di calcinacci dei palazzi distrutti, alberi sradicati, cadaveri e feriti e soprattutto sangue. Sangue rosso e sangue nero. Su ogni cosa pioveva la cenere dei fuochi che lambivano gli edifici e le auto. La terra tremava sotto ogni passo di Aziraphale.
Questa era la scena che si trovavano davanti Muriel, Olive, Nunet, Belzebù e Gabriel. Uriel li aveva lasciati per tornare in Paradiso: aveva deciso di concedere loro il tempo che gli avevano chiesto, ma in quella guerriglia stavano tutti perdendo le speranze anche solo di farsi udire da Aziraphale. C’era troppo rumore, troppe persone…
Imboccarono Constitution Hill risalendo verso Buckingham Palace. Per tutta la strada la situazione era la medesima. Nunet lanciò un incantesimo su tutti per evitare che un proiettile vagante li colpisse.
Finalmente, nella polvere intravidero il palazzo e la piazza dove Aziraphale stava in piedi di fronte a una fila di soldati che tentavano di abbatterlo a fucilate. I loro minuscoli proiettili non lo scalfivano minimamente.
«Li schiaccerà!», gridò Olive. Gabriel, con uno schiocco di dita, li fece sparire e ricomparire da un’altra parte prima che Aziraphale potesse abbattere il piede su di loro.
Allora il gigante aprì la bocca: ne fuoriuscì una fiumana incandescente che illuminò la notte di rosso vermiglio. Si abbatté al suolo travolgendo tutto ciò che incontrava. Divorò il Victoria Memorial e lambì Buckingham Palace, consumandone la struttura, facendo scoppiare le finestre per il calore e crollare i muri, penetrando all’interno attraverso i varchi che aveva scavato.
Le grida si fecero più intense: uomini e demoni fuggivano per non essere colpiti dai lapilli o travolti dalla lava che serpeggiava sul terreno, espandendosi in tutta la piazza.
Fu in quel momento che arrivarono Michael, Saraqael e Gesù. Comparvero accanto a Gabriel, ma nella confusione generale non era possibile determinare se fossero arrivati volando o camminando.
Michael afferrò il fratello per una spalla per attirare la sua attenzione. «Ti spiacerebbe spiegare che cosa cavolo sta succedendo qui?», ordinò. A discapito di tutte le cose incredibili e terribili che stavano accadendo tutt’attorno a lei, sembrava solo molto scocciata.  
Gabriel piegò la testa da un lato, troppo preso dalla situazione per stringere anche lei in un abbraccio di riconciliazione.
«Crowley è morto, lui ora è un demone», si intromise Belzebù, per amor di brevità, «Consigli utili per fermarlo?».
Michael e Saraqael si scambiarono un’occhiata perplessa. Gesù, invece, disse: «Aziraphale è un demone?». Aveva parlato direttamente a Belzebù.
Lei, come gli altri, non fu in gradi di riconoscere il Cristo in quel bambino asiatico vestito come un impiegato di banca che abbia sbagliato a dividere i colori in lavatrice. Lo guardò, decisamente poco impressionata.
«Ѐ così», gli rispose invece Olive. I due bambini si studiarono a vicenda per qualche secondo.
«Ok», disse Gesù, spostando lo sguardo su Aziraphale. Quest’ultimo, dopo aver distrutto la residenza del sovrano, si stava già avviando per portare la sua devastazione altrove. «Credo che abbiamo bisogno di una pausa», disse ancora Gesù.
Ad un cenno della sua testa, il mondo intero si fermò.
 
---
 
Gesù e Aziraphale erano seduti al tavolo basso su cui facevano lezione, uno di fronte all’altro. La carnagione di Aziraphale era tornata del consueto colore roseo e i suoi occhi erano azzurri, ma celavano sotto alla superficie i riflessi del fuoco che ancora gli bruciava dentro. Si guardò attorno, sorpreso e nervoso, come un animale braccato. Gesù lo studiava con curiosità.
«Raccontami cosa è successo», gli chiese con il tono di sempre, quello che usava per chiedere i nomi delle piante, il perché delle stagioni o cos’era un certo oggetto.
Aziraphale scosse la testa in segno di diniego.
«Tu mi piaci molto. Michael e Saraqael sono antipatiche, non voglio che te ne vai e mi lasci con loro», si lamentò il bambino, «Perché sei arrabbiato?».
Aziraphale non rispose.
«Sono stato io a farti arrabbiare?».
Altro cenno di diniego.
«Allora uno degli altri angeli?».
Aziraphale si piegò su se stesso, in preda a un dolore che lo squarciava da dentro. Voleva liberarsi, incenerire il Paradiso con la lava che gli stava bollendo nel corpo, ma Gesù lo tratteneva con un potere contro il quale lui non poteva fare niente.
«Tu ami la Terra, Aziraphale, perché la vuoi distruggere?», insisté.
Aziraphale si contorse contro le catene invisibili che lo tenevano legato, senza riuscire a spezzarle.
«Avevo un amico», disse, con una voce durissima, «Che è stato assassinato e adesso, senza di lui, questo mondo non ha nessun significato per me».
«Capisco», rispose Gesù, conciliante, «Stai soffrendo. Io posso toglierti il dolore, liberarti di tutti i ricordi che ti fanno male».
«Non voglio!», gridò disperato Aziraphale, «Questo dolore è tutto ciò che mi resta di lui!».
Gesù parve colpito. Restò in contemplazione per qualche minuto. «Questo è ciò che vuol dire essere umani? Vivere ogni cosa e il suo rovescio?», chiese infine, «Chi ha ucciso il tuo amico, Aziraphale?».
Aziraphale si scosse ancora una volta nelle sue catene: «Voi!», accusò, «Inferno, Paradiso e i vostri giochi di potere! Metatron ha acceso la miccia e un demone ha fatto esplodere il petardo!».
Gesù, pur non comprendendo la metafora, afferrò il senso generale della frase.
Tra loro, seduto al terzo lato del tavolo, comparve Metatron, stupito e spaesato. Immediatamente Aziraphale cercò con rinnovata forza di ribellarsi per assalirlo.
«Vostra Grazia…», disse Metatron a Gesù, «Perché mi trovo qui?».
«Tu hai avuto un ruolo nella morte del suo amico?», gli chiese Gesù, indicando Aziraphale.
Metatron lo guardò con sprezzo, riconoscendo in lui i segni della sua natura demoniaca. Provava orrore al sol pensiero che quella creatura fosse stata ammessa alla presenza del Cristo, e delusione verso se stesso per non essere ancora riuscito a toglierlo di mezzo. Era stato un suo errore di calcolo pensare che Aziraphale potesse essere redento, era ora evidente che Crowley l’aveva corrotto oltre la soglia di qualsiasi possibile perdono.
«No», rispose, con amarezza. Aziraphale subito tuonò: «Bugiardo!».
«Non mi mentire», intervenne Gesù, ma senza alcuna inflessione particolare nella voce. Metatron si fece piccolo sotto al suo sguardo attento.
«Io ho dato un ordine, Vostra Grazia, ma non è stato eseguito», confessò, aggiungendo l’ultima parte in tono agitato. Si vergognava di ammettere l’ennesimo fallimento.
«E perché hai dato ordine di uccidere questo amico?», chiese Gesù.
«Perché interferiva con il Suo piano!», sputò Metatron, esasperato dal ricordo di Crowley.
«Il Suo piano è il mio», commentò duramente Gesù, «E non ti abbiamo chiesto di farlo». Era la prima volta che si riferiva a se stesso al plurale e il suo tono stava acquisendo una nota di maturità e consapevolezza che prima non c’era.
Metatron sussultò come colpito da uno schiaffo sul viso. Espirò e disse: «Non ce n’è stato bisogno, io ho capito». Sottolineò la parola capito con il tono di chi sta disperatamente cercando approvazione.
«Tu parli per noi, non al posto di noi», disse invece Gesù.
La sua freddezza colpì Metatron nel punto in cui era più debole. Si sentì attraversato da un brivido e attanagliato dall’angoscia. Possibile, pensò, che aveva sbagliato tutto di nuovo? Che aveva fallito? La realtà di ciò che gli era appena stato detto lo colpì all’improvviso. Non al posto di noi gli risuonò in testa.
Allora niente di ciò che aveva creduto era stato vero. Lei non gli aveva lasciato la mano perché guidasse da solo il creato, Lei non gli aveva donato la fiducia più incondizionata. Non era il figlio prediletto. Era stato solo, tutto quel tempo, e Lei non lo aveva guardato. Lei si era dimenticata, lo aveva gettato via come una vecchia cosa usata e non Le era importato. I suoi fallimenti erano stati sempre e solo suoi e Lei era rimasta indifferente.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime che gli scivolarono sulle guance. «Non mi hai più parlato e io…», esalò tra i singhiozzi che ormai lo scuotevano rendendogli difficile respirare ed articolare le parole, «Sono così solo senza te! Perché mi hai abbandonato?».
«Non piangere, bastardo!», gli gridò Aziraphale, furioso, riprendendo a scuotere le catene. Non c’era in lui neanche un briciolo di compassione per colui che gli aveva portato via Crowley. Se fosse stato libero lo avrebbe incenerito come aveva fatto con Furfur senza un attimo di esitazione.
Gesù li guardo entrambi: disperati, sofferenti, arrabbiati, soli. Il suo sguardo si addolcì.
«Ora ho capito», disse, «La nostra inadempienza vi ha causato tanto dolore». Si alzò e camminò fino ad arrivare tra loro. Posò le mani sulle loro teste e disse: «Non temete, non accadrà più. Adesso vi porto nel rovescio».
 
---
 
Crowley aprì gli occhi su un cielo terso, brunito attraverso le lenti nere dei suoi occhiali da sole. Una brezza fresca gli accarezzava i capelli e la pelle accaldata del viso, facendo frusciare le foglie degli alberi e l’erba. L’acqua scrosciava pacificamente sotto al moto delle papere nel lago e gli uccelli cinguettavano tutt’attorno a lui. Sotto di sé sentiva la durezza del metallo della panchina su cui era sdraiato. La prima cosa che pensò fu: ma che razza di sbronza mi sono preso? Si sentiva infatti un dolore pulsante nella testa e una sensazione sgradevole in bocca, come un retrogusto ferroso lasciatogli da qualcosa che aveva bevuto. Si tirò su a sedere, trovandosi abbagliato dal luccichio del sole specchiato dal lago, che gli diede fastidio anche se indossava gli occhiali. Provò con un piccolo miracolo a farsi passare il mal di testa ma l’effetto che ottenne fu solo di attutirlo un pochino. Guardò per terra per cercare la bottiglia, pensando che se non poteva farsi passare i postumi allora si sarebbe semplicemente ubriacato di nuovo, ma non trovò nulla. La cosa lo indispettì. Chi era il ladro che aveva rubato l’alcol di uno svenuto su una panchina in Saint James Park? Gli umani erano davvero le peggiori canaglie! Si massaggiò una tempia chiudendo gli occhi. Un’oca starnazzò e lui annuì: «La penso uguale, amica mia», le disse. Poi qualcosa lo travolse facendolo rotolare giù dalla panchina, direttamente con la schiena nella ghiaia.
Era qualcuno che gli si era lanciato contro e ora lo stringeva in un abbraccio soffocante. Quando tentò di protestare, Crowley si ritrovò la bocca piena di capelli sale e pepe e riconobbe il proprio assalitore.
«Gabriel», disse con una smorfia di disgusto, cercando di toglierselo di dosso, ma l’altro sembrava non voler mollare la presa a nessun costo.
«Sei vivo!», gli gridò in un orecchio, con sommo disappunto di Crowley e del suo mal di testa.
«Purtroppo», rispose.
«Oh, non lo dire neanche per scherzo!», lo rimbottò Gabriel.
«Lascialo respirare un po’, dolcezza», disse Belzebù. Crowley alzò gli occhi e se la trovò davanti. Non l’aveva notata prima.
Gabriel rispose: «Non ne ha mica più bisogno», ma ugualmente lo lasciò andare. Crowley si rialzò in piedi con un movimento non troppo elegante e si avvide del piccolo pubblico che si era formato attorno a loro.
Tutti lo guardavano come se fosse una specie di apparizione. Riconobbe Muriel, Uriel, Michael e Saraqael, poi c’erano due bambini, una biondina e l’altro vestito secondo la moda assurda del Paradiso, e infine… «Nunet?», strizzò gli occhi per assicurarsi che non fosse un’allucinazione.
«Ѐ un piacere rivederti in piedi», gli disse la strega, con quei suoi occhioni allucinati. Crowley non la vedeva da almeno due secoli, ed era la prima volta che un loro incontro avveniva alla luce del sole.
«Questa cos’è, una specie di festa? Se vi ho invitati io sappiate che non volevo: ero ubriaco», disse loro.
«Non si ricorda niente?», chiese Muriel, rivolgendosi al bambino.
«Per la maggior parte del tempo era morto», rispose invece la bambina.
«Metatron dov’è?», domandò serio Uriel.
Crowley, infastidito solo al sentirlo nominare, chiese con una smorfia: «Che c’entra Metatron?!».
«Ѐ con me», rispose semplicemente il bambino, «Non farà più male a nessuno», assicurò con un sorriso.
«A chi ha fatto male?», riprovò Crowley con un sopracciglio alzato, venendo prontamente ignorato da tutti.
«Quindi il Paradiso è di nuovo senza una guida?», intervenne Saraqael, suonando più contrariata che altro.
«Tutto questo è ridicolo», si lamentò Michael, «Aziraphale, esci da dietro quell’albero».
«Ѐ un tiglio», chiosò il bambino.
Crowley, udito quel nome, dimenticò il mal di testa, la confusione e l’alcol. Dimenticò tutti gli altri che ancora chiacchieravano attorno a lui, si dimenticò del vento, degli uccelli, delle papere, dei fiori… Guardò la corteccia di un albero dietro cui sporgevano una gamba fasciata di lana bianca, una spalla e una nuca di capelli candidi. Fu come se il centro dell’Universo si fosse improvvisamente spostato nel punto in cui quella figura era nascosta.
Volle scappare. Scomparire e lasciarsi alle spalle quel bisogno annichilente di rivederlo ancora. Se fosse stato un demone più forte l’avrebbe certamente fatto, sarebbe andato via per non tornare mai più, ma Crowley non poté impedirsi di chiamarlo. «Aziraphale!», disse, roco.
Aziraphale si voltò e Crowley vide i suoi occhi azzurri bagnati e il viso arrossato, rigato di lacrime. Con un pugno premuto sulle labbra cercava di trattenere i singhiozzi che gli scuotevano la linea tesa delle spalle. Era più o meno così che Crowley l’aveva lasciato l’ultima volta e già allora aveva faticato ad accettare di lasciarlo andar via. Non sarebbe mai riuscito farlo una seconda volta. Non ci provò nemmeno: a grandi passi gli si avvicinò.
«Stai… bene?», domandò incerto quando gli fu di fronte. Pensò che aveva provato nei suoi confronti una rabbia così cocente che avrebbe potuto incenerire il mondo, ma si era già sciolta nelle lacrime del suo angelo. Come sempre ad Aziraphale bastava uno sguardo soltanto per spogliarlo di tutto il suo potere.
Aziraphale si lasciò sfuggire un gemito. I suoi occhi si strinsero in una sottile fessura contratta, lasciando cadere due grosse lacrime e abbassò lo sguardo, scuotendo la testa in segno di diniego.
«Sei ferito?», era una domanda sciocca visto che Aziraphale era invulnerabile, ma ugualmente percorse il suo corpo con lo sguardo per accertarsi che non ci fossero danni.
Di nuovo Aziraphale fece segno di no. «Niente del genere, caro», la sua voce era roca e profonda per il pianto.
I loro occhi si incontrarono e Crowley fu felice che il suo sguardo fosse mascherato dagli occhiali: non sapeva cosa Aziraphale avrebbe potuto leggerci. Non che avesse più segreti con lui, ma non poteva prestargli il fianco, non un’altra volta. Non sarebbe sopravvissuto.
«Crowley… posso?», gli chiese l’angelo. Crowley non si preoccupò neanche di domandare per che cosa gli stesse chiedendo il permesso: annuì e basta. Allora Aziraphale, come se gli avesse letto nel pensiero, allungò le mani verso la sua faccia e fece per prendere tra pollici e indici le asticelle dei suoi occhiali.
Crowley indietreggiò d’un passo, allarmato. «Perché?», domandò con le sopracciglia aggrottate.
Aziraphale fece una smorfia, come se non gli riuscisse di spiegarsi a parole o avesse dolore da qualche parte. «Ti prego, caro», disse solo.
Crowley, seppur di malavoglia, si tolse gli occhiali mostrando all’altro i suoi occhi gialli.
Per qualche lunghissimo secondo non accadde nulla, poi Aziraphale singhiozzò e, con voce rotta dal pianto, esclamò: «Oh, Cielo!».
Con un passo lo raggiunse, gli prese il volto tra le mani e lo baciò. Crowley si sentì le lacrime dell’altro sulle guance, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli rossi. Restò fermo con le mani in alto, incapace di processare cosa stesse accadendo, finché non sentì la lingua di Aziraphale sulle proprie labbra. Allora non ci capì più niente, e già prima stava capendo molto poco. Lasciò cadere gli occhiali sull’erba e poi semplicemente posò le mani sulla sua vita e se lo strinse contro, approfondendo il bacio.
Sarebbero potuti restare così per sempre, e non solo metaforicamente: era il privilegio di non dover respirare mai. Crowley certo avrebbe continuato ancora per un pezzo se non si fosse sentito un braccio attorno al corpo e una testa sulla spalla che non erano di Aziraphale. Si staccarono, lanciandosi un’occhiata perplessa.
Gabriel, commosso, aveva ben pensato di venirli ad abbracciare. Belzebù dietro di lui si strinse nelle spalle con una smorfia che voleva dire che volete farci?, mentre tutti gli altri li stavano guardando con in volto un assortimento di emozioni che andavano dalla gioia alla curiosità, fino al disgusto.
«Sono così felice che siamo di nuovo insieme», disse Gabriel stringendosi a loro. Aziraphale lanciò a Crowley uno sguardo vuoto e poi, come liberato da un peso, scoppiò a ridere. Una risata che contagiò lo stesso Crowley.
A pochi metri da quella scena, nascosta sotto ai rami di un salice, Nunet si voltò verso di Muriel. «Ѐ tempo che torni a casa, angioletto», le disse, «Ma vorrei riscattare uno dei debiti che hai con me».
Muriel, che si era dimenticata di quel particolare, si sentì montare dentro un po’ di tensione. «Non faccio cose brutte», l’avvisò, cercando di suonare decisa, «Neanche se me lo ordinano. Non più».
Nunet fece un sorriso enigmatico. I suoi occhi, nella macchia d’ombra in cui si trovavano, sembravano due pozzi profondissimi. «Niente di male, solo…», le si avvicinò e delicatamente le posò un bacio sull’angolo della bocca. «Nella mia lunga vita ho avuto molte mogli e un marito, che mi è bastato per sempre, ma un angelo non l’ho avuto mai», le sussurrò all’orecchio, «Pensaci».
Disparve esattamente come ci si potrebbe aspettare da una strega: in una nuvoletta di fumo verde. Muriel restò impalata a toccarsi il punto in cui era stata baciata, senza sapere bene cosa pensare.
Nel frattempo, Gesù aveva studiato la bambina bionda. Era la prima volta che vedeva un bambino come lui. Le si avvicinò. «Come ti chiami?», le chiese.
Olive, un po’ disgustata da tutti quei baci, si era accoccolata accanto a una macchia d’erba e stava osservando un ragnetto e una formica che sembravano impegnati in un combattimento. «Olive, e tu?», rispose.
«Gesù», disse l’altro, con un cipiglio molto compiaciuto.
Olive era cresciuta in una famiglia atea, anche se sua nonna teneva un crocifisso in camera da letto, e di Gesù sapeva solo il giusto. Cioè che era un uomo, capellone e barbuto, morto molto male per un motivo che nessuno aveva davvero capito. Facendo il paragone con quel bambino che doveva avere circa la sua età, le venne naturale scoppiare a ridere.
Gesù ci rimase male: si era aspettato che lei restasse ammirata. «Guarda che non è carino ridere del nome degli altri», le disse, punto sul vivo.
«Ma Gesù non è neanche un nome vero!», rise Olive.
«Ѐ un nome perfettamente normale!», si difese lui, anche se non sapeva se fosse vero.
«Certo se sei nato, tipo, duemila anni fa», continuò a prenderlo in giro lei.
Gesù si sentiva le guance bruciare per l’imbarazzo. «Allora qual è un nome vero, secondo te?», le chiese.
Olive ci pensò un po’ su. Disse: «Nomi normali. Tipo George, Harry… Adam», rispose stringendosi nelle spalle.
Gesù aggrottò le sopracciglia, ma prima che potesse ribattere la voce di Michael lo richiamò: «Vostra Grazia! Dobbiamo tornare Su», disse indicando verso il cielo e battendo ritmicamente a terra un piede per l’impazienza. Accanto a lei c’erano una Saraqael molto annoiata e uno stoico Uriel. Gesù con un cenno della mano salutò Olive e corse da loro: non vedeva l’ora che arrivasse il momento di tornare sulla Terra. Tutti insieme, sparirono.
Gabriel e Belzebù si erano congedati. Belzebù aveva dovuto fare una certa fatica per scollare il suo compagno da Aziraphale e Crowley, ma alla fine c’era riuscita. Certo, non prima che Gabriel avesse fatto promettere loro che si sarebbero rivisti presto e spesso.
Olive, stanca della formica e del ragno, raggiunse Muriel che se ne stava ancora imbambolata a pensare a ciò che le aveva detto e fatto Nunet, e la prese per mano. «Azi!», gridò.
Aziraphale, da dove si trovava, seduto su una panchina dirimpetto al lago assieme a Crowley, si voltò a guardarle. Fece loro un cenno con la mano e vide che lo ricambiavano, prima di incamminarsi insieme verso l’uscita del parco.
In un altro momento le avrebbe ringraziate per tutto ciò che avevano fatto per lui e per Crowley. Avrebbe ringraziato anche tutti gli altri, magari mandato un cesto di frutta a ciascuno di loro… ma adesso non voleva fare altro che stare lì con Crowley e guardarlo negli occhi da serpente, baciarlo a lungo e profondamente, fino a mettere in imbarazzo persino le papere. Con quell’intento si sporse ancora verso di lui, ma Crowley alzò una mano per fermarlo.
«Non fraintendere, angelo, non è che non voglio», puntualizzò, «Voglio eccome. Solo, non ti dispiacerebbe spiegarmi prima che cosa diavolo è successo?».
«Oh!», Aziraphale si portò una mano alla bocca, mortificato per quella disattenzione, «Certo, certo caro…», disse e, schiaritosi la voce, cominciò a raccontare.
 
 
UN PO’ DI TEMPO DOPO
 
Aziraphale e Crowley stavano sul davanzale della finestra, al primo piano del palazzo, spiando nello studio dell’assistente sociale dove il Cristo stava incontrando per la prima volta i suoi papà umani. Crowley era nella sua forma di serpente, mentre Aziraphale si era trasformato in un passerotto per l’occasione.
«Non ci credo ancora che adesso si fa chiamare Adam anche lui, chissà chi gli ha dato l’idea», sibilò il serpente.
«Ѐ un bambino molto creativo», cinguettò il passero, «Dice che vuole fare l’inventore, lo scienziato e il pompiere».
«Finché non porta l’Apocalisse, per me può fare qualsiasi cos
«Niente Apocalisse, caro, ama troppo la Terra».
Era una bella giornata. Il sole splendeva, gli usignoli cantavano sugli alberi, gli esseri umani sciamavano per le strade impegnati nelle loro faccende. Giù all’Inferno i demoni respiravano la puzza d’aglio mentre sistemavano infinite scartoffie burocratiche. Su in Paradiso gli Arcangeli perdevano tempo a chiacchierare tra loro; tranne Uriel, il nuovo Supremo Arcangelo e portavoce di Lei, che lavorava per davvero.
Niente Apocalisse, l’avevano sventata un’altra volta.

 

L'ex di Michael: quando Saraqael fa questa battuta a Michael dopo aver visto Aziraphale demone, si riferisce a Lucifero. Ho voluto inserire questo piccolo riferimento che non fa parte (per quel che sappiamo) della lore di Good Omens perché Michele e Lucifero sono da sempre la mia coppia preferita della Bibbia ;D
Lucifero Arcangelo: Belzebù allude al fatto che Lucifero fosse, come Aziraphale, un Arcangelo prima di diventare un demone perché, sebbene nella Bibbia non sia specificato che tipo di angelo Lucifero fosse (anche se generalmente è intepretato come Serafino), mi serviva per motivi di trama creare questo legame tra i due. Volevo che la potenza di Aziraphale da demone fosse superiore a quella di qualsiasi altro demone e paragonabile solo a quella di Satana. Perdonatemi quindi la licenza poetica ecco!
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Rumyantsev