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Autore: BluCamelia    04/10/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la grande litigata, mio padre aveva smesso di fare lo stronzo e ci passava di nuovo i soldi, così mi concessi il lusso di comprarmi qualcosa che mi facesse sembrare un po' più adulta. Decisi di mettermi una gonna grigia a trapezio con scarpe coi tacchi alti e punta arrotondata. E anche un Wonderbra. Se addosso a Noemi era superfluo, addosso a me era insufficiente: le mie tette avrebbero avuto bisogno dell'acqua di Lourdes. I capelli non li portavo più neri e acconciati col gel, stavano ricrescendo del mio castano naturale e li raccoglievo ai lati con due forcine per nascondere il brutto taglio. Mi truccai anche con cura, cercando di non calcare troppo la mano.

D'Auria abitava in quel genere di palazzo del centro storico, coi soffitti alti e un vago odore di muffa, che mi ero sempre immaginata come abitazione di Vanini. Suonai il campanello e salii al primo piano.

Mi accolse una signora di mezza età, e dal modo neutro e professionale con cui mi si rivolse capii che non era una parente ma una segretaria o un'assistente. Mi fece entrare in un salotto arredato con mobili antichi, che grazie alle grandi finestre risultava molto più accogliente e luminoso di come mi sarei immaginata. Un signore anziano era seduto su una poltrona e quando entrai si alzò per salutarmi.

Era sugli ottant'anni, molto alto, e la magrezza, il vestito nero e l'aureola di capelli bianchi e svolazzanti ne accentuavano l'altezza facendolo sembrare quasi un gigante. Gli occhi erano ciechi e lattiginosi. Le sopracciglia avevano un disegno ad angolo che gli dava un'aria sprezzante. La combinazione di capelli, sopracciglia ed occhi biancastri che risaltavano sulla carnagione scura dava la strana impressione di guardare un'immagine in negativo.

«Buo... buonasera. Sono Milena Barbier...»

«Si accomodi» disse, con una voce sorprendentemente forte e profonda per quella figura spettrale.

Mi sedetti sul divano di fronte a lui. Notai che all’anulare destro portava un anello uguale a quello di Vanini e aggrottai le sopracciglia.

«La mia filosofia è tutt'altro che popolare e il fatto che ne abbia sentito parlare alla facoltà di psicologia è sbalorditivo. Vorrei sapere chi è il professore che non solo ha il coraggio di nominarmi, ma ha addirittura descritto le mie idee in modo da suscitare l'interesse di qualcuno. Gli sono profondamente grato.» Le ultime parole avevano un tono leggermente ironico.

Lo so che è assurdo: credevo che avrei saputo rispondere a qualunque domanda, ma a questa non ero preparata. Eppure era ovvia. Avevo dato per scontato che D'Auria se ne sarebbe bellamente fregato di come era nato il mio interesse, e invece avrebbe cominciato subito a parlare di se stesso e delle sue idee. Due anni di Vanini mi avevano fatto male.

«A dire la verità non è stato un professore a parlarmene, mi sono imbattuta nel suo libro durante una ricerca bibliografica e ho avuto l'impressione che fosse esattamente quello che mi serviva. Ma perché ci vuole coraggio a nominarla?»

«Be', è ben noto che sono un uccellaccio del malaugurio.» Trovai tranquillizzante che quel tipo mefistofelico conoscesse l'autoironia e sorrisi. Poi ricordai che non poteva vedermi. Avrei potuto risparmiarmi tanta cura nell'abbigliamento. «Tra i miei allievi c'è un'alta percentuale di disturbi psichici» continuò.

Non capivo se stesse scherzando. «Professore, l'unico suo allievo che conosco è benestante, ha un certo fascino, considera il suo lavoro un hobby e passa il tempo libero con una bellissima ragazza dell’alta società.»

Vidi un muscolo contrarsi sulla sua guancia, come se avesse represso una smorfia. Se è per Desirée hai appena guadagnato un punto, pensai. «Un uomo felice» commentò, con pesante ironia.

Solo in quel momento mi colpì come una rivelazione il fatto che Vanini non sembrava affatto una persona felice. Le rare volte che l'avevo visto con un'espressione un po' più distesa avevo pensato: 'Ehi, oggi sembra quasi sereno!' Che razza di innamorata di merda ero, che non me n'ero mai accorta?

«Allora, cosa voleva chiedermi?»

«Le secca se registro?»

«Faccia pure.»

Presi dalla borsa il libro di D'Auria e il registratore. Eravamo seduti nell'angolo lontano dal tavolo quindi dovetti appoggiarlo vicino a me sul divano. Aprii il libro e sfogliai alcune pagine:  «Nell'introduzione parla di...»

«Ma che fa?» urlò D'Auria «Viene da me per parlare del mio lavoro e si presenta col mio libro fotocopiato?»

Mi caddero le fotocopie di mano. Doveva aver riconosciuto il rumore raschiante dei fogli contro la rilegatura a spirale.

«Professore, ma è fuori stampa da secoli!»

«Fuori stampa da secoli, ah! Vedo che ha preso lezioni di diplomazia da Kissinger!»

«Ma non posso sequestrarlo dalla biblioteca all'infinito!» aggiunsi, sperando che la sottintesa lotta contro la bibliotecaria per tenere il suo libro più a lungo possibile lo rabbonisse.

«Le manderò una copia autografata!»

La mia fiducia in quello stupido piano crollò. Come potevo essere convincente parlando di una tesi inventata quando ero così ignorante sulla vita universitaria?

Oltre i diversi tipi di fruscii della carta stampata, evidentemente D'Auria sapeva interpretare anche i silenzi, perché disse in tono più calmo: «Non si lasci intimidire, sono in pensione da tanti anni e spaventare gli studenti è un divertimento che mi mancava troppo.»

«Ah... non si preoccupi, non sono intimidita.» Infatti non lo ero, ero terrorizzata.

Il suono del campanello ci interruppe.

L'assistente andò ad aprire ed io mi sporsi verso la porta per vedere, sperando che non fosse un pacco o qualcosa di altrettanto veloce. Sarei stata più che contenta di rimandare l'incontro finché non avessi elaborato un piano migliore.

Rimasi di sasso vedendo Vanini. Allora non solo era stato allievo di D'Auria secoli fa, ma erano rimasti in contatto! Doveva davvero essere un membro del ‘circolo’.

Devo dire che una volta tanto lui rimase più di sasso di me. «Barbier? Cosa ci fai qui?»

«Un'intervista sul metodo del quarto ordine» risposi, in tono ironico. Era la verità, ma a lui sarebbe suonato come 'non sono fatti tuoi'.

«Se vuoi avere la bontà di aspettare, Leandro, avevo un appuntamento con questa signorina» disse D’Auria.

Quindi erano in confidenza se Vanini si presentava senza telefonare. Il mio prof sembrava seccato dallo sconvolgimento delle naturali gerarchie, e questo era divertente, ma non avevo la minima intenzione di parlare di quell'argomento con lui che prendeva il caffè nella stanza accanto. «Se per lei va bene, professore, posso tornare un'altra volta.» D'Auria fece un cenno affermativo e mi strinse la mano. Raccolsi le mie cose in tutta fretta, uscii e rimasi stupidamente fuori dalla porta. In quei palazzi antichi, con quelle mura spesse e i portoni pesanti, non c'era da pensare che si sentisse qualcosa.

Evidentemente non ero stata l'unica a pormi la questione, perché la porta si riaprì e Vanini mi chiese: «Ancora qui?»

«Guardi che non stavo mica origliando, è che credo di aver dimenticato...» Vanini mi sbatté la porta in faccia. Era ovvio che la mia presenza a casa del suo vecchio professore lo destabilizzava. Finora mi aveva trattato di merda un sacco di volte, ma sempre entro i limiti delle regole sociali. Quel po' di simpatia che avevo provato per lui quando avevo pensato alla sua infelicità svanì in fretta.

Il mio piano di andarmene e rimandare l'intervista non era più applicabile. Aspettai una decina di minuti sperando che Vanini si levasse di torno ma non accadde; alla fine suonai il campanello e l'assistente mi aprì. Vanini era in corridoio e mi vide.

«Veramente, Barbier...»

Lo ignorai ed entrai in fretta nell'appartamento di D'Auria.

«Gliel'avevo detto che avevo dimenticato qualcosa» gli dissi, uscendo dal salotto.

«E cosa avresti dimenticato?» chiese lui, ironico.

«Questo» risposi, alzando il registratore con i tasti play e record ancora abbassati.

Una spacconata. Avrei fatto meglio a non dirglielo. Avrebbe potuto afferrarmi per il braccio, in passato non aveva avuto problemi a farlo, e allora addio cassetta. Ma mi ero rotta le palle di prenderle sempre da quell'uomo. Una volta tanto che riuscivo a metterlo in svantaggio ci tenevo a farglielo sapere.

«Non fare la stupida, dammi quella cass...»

Varcai la soglia dell'appartamento pochi passi avanti a lui e gli chiusi la porta in faccia. Approfittai del vantaggio galoppando giù dalle scale. Sentii la porta dell’appartamento aprirsi, alzai la testa e vidi Vanini che usciva nelle scale e mi inseguiva. «Barbier!»

«Merda!» Uscii dal palazzo e chiusi il pesante portone dietro di me per aumentare il vantaggio.

Ormai non mi avrebbe più inseguito, avrebbe dovuto correre e non sarebbe stato dignitoso, giusto?

No, sbagliato.

Il portone si aprì e Vanini si precipitò dietro di me. Dovevamo essere ridicoli, eravamo vestiti tutti e due in modo abbastanza elegante.  I miei tacchi facevano un rumore infernale sull'acciottolato. Che oltraggio per  il severo Corso Rinascimento!

Con le sue gambe lunghe Vanini stava guadagnando terreno e mi avrebbe raggiunto. Forse voleva  placcarmi come un giocatore di rugby e prendermi la cassetta con la forza.

Vidi alla fermata il tram che aspettava col semaforo rosso. Forse con un ultimo sforzo...

L'autista mi vide correre, si impietosì ed aprì le porte. Per un attimo pensai che avrebbe aspettato anche Vanini, ma il semaforo era scattato, così le richiuse e partì.


*


L'inseguimento di Vanini mi aveva fatto sospettare che la registrazione non contenesse esattamente discorsi di filosofia. Divorata dalla curiosità, salii a casa di gran carriera, entrai in camera mia, chiusi la porta, mi buttai sul letto e accesi il registratore. Riavvolsi il nastro fino al momento in cui ero uscita e cominciai a mordicchiare una penna dal nervosismo.

La voce di D'Auria. "Grazie della pubblicità."

"Prego?"

"Credevo che si fosse imbattuta nel mio nome durante lo studio, ma quando ti ha descritto in modo così espressivo ho capito che eri stato tu a nominarmi. Però non sembrate in buoni rapporti."

"Barbier aveva una cotta per me, e adesso comprensibilmente è seccata. Ma mi ha colto di sorpresa, non credevo che sarebbe arrivata al punto di venire a casa tua."

"Rimpiango più che mai la mia vista perduta. Devi essere diventato bellissimo se le fanciulle vengono da me a discutere tomi di ottocento pagine nella vaga speranza di incontrarti!"

A questo punto una persona normale si sarebbe sentita in imbarazzo. Vanini imbarazzato era un po' una contraddizione in termini, comunque quando rispose, dopo una breve pausa, nella sua voce c'era un pizzico di incertezza.

"Se è venuta per parlare dei tuoi libri non dico che fosse solo una scusa. Barbier è realmente interessata alla materia, anche troppo."

"Ma perché le hai parlato di me? La stai aiutando con la tesi?"

"Ti ha detto che stava facendo la tesi?" Cominciò a bofonchiare e capii che si era acceso una sigaretta. "Fa progressi, solo l'anno scorso era di un'ingenuità sconfortante. Ti ha raccontato balle, è una mia alunna di quinta."

"Leandro, che diamine, dimmi che ho capito male e che non è vero che insegni le mie teorie ai liceali."

Vanini scoppiò a ridere. Era la prima volta che sentivo quel suono. Aveva una nota stridula, come se non fosse stata una manifestazione di divertimento, ma uno sfogo per i momenti di tensione.

"Cosa vuoi che ci capiscano? Insegno giusto un po' di Metodo, non guasta mai."

"Comunque adesso ho la prova definitiva che mi hai mentito."

"A che proposito?"

"Hai sempre detto che volevi insegnare al liceo e non all'università perché seguire i ragazzi giovani è più stimolante. Beh, si vede quanto ti interessa. Trovo grottesco che la tua alunna abbia dovuto inventarsi una storia e intrufolarsi a casa mia per parlare delle mie teorie, quando il suo professore è il massimo esperto dell'argomento dopo di me."

"Non sai quello che dici quando parli di seguire i liceali. Eh già, quando senti la parola 'liceo' ti immagini l'Umberto I di Roma ai tempi della Grande Guerra, col professore di fisica che se la fa sotto quando deve chiamare alla lavagna Enrico Fermi..."

"Eccolo, ora mi tratta da vecchia mummia..."

"E comunque non è vero che me ne frego degli alunni, per Barbier mi sono fatto in quattro."

La penna mi cadde dalla bocca.

"Sì, i risultati si vedono. Davvero, non ho mai capito perché non hai voluto insegnare all'università quando te l'ho proposto."

"Se dopo vent'anni non hai capito perché non insegno all'università vuol dire che non vuoi capire... non so più quante volte te l'ho spiegato." La voce di Vanini cambiò tono, come se stesse perdendo la pazienza.

"Chissà, forse alle tue motivazioni non ci credo." Il vocione prese un'incongrua sfumatura maliziosa. "Qualunque cosa tu ne dica, tua madre ne sarebbe stata orgogliosa. Secondo me avevi paura di essere considerato un epigono."

"Niente affatto" rispose Vanini, seccamente. "E questa da dove arriva? Non mi hai mai trattato come una specie di scimmia che ti imita."

''Non ho mica detto che lo penso io. Ho detto che è quello che pensi tu."

"Stronzate!" gridò Vanini.

Risatona catarrosa. "A quanto pare ho arruffato le penne all'uccellino!"

A questo punto spensi il registratore.

Arruffato le penne all'uccellino? Ma chi parla così? Cominciai a sudare. Mi vennero in mente alcuni particolari. Gli anelli uguali, la smorfia quando avevo nominato Desirée, la frase 'devi essere diventato bellissimo'... Tutti gli maschi che conoscevo avevano un certo ritegno ad usare la parola 'bellezza' riferita ad un altro uomo, persino per scherzo. I miei pensieri si bloccarono per autocensura. Avrei preferito vedermi una maratona di venti ore di tutti gli amplessi tra Vanini e Desirée piuttosto che immaginarmi un solo bacio sulla guancia con Mefistofele.

Riaccesi il registratore, ma i due avevano smesso di parlare e si sentivano solo rumori vaghi. Per la pace del mio spirito mi sforzai di immaginarmi Vanini che fumava incazzato, seduto sul divano, e D'Auria che andava su e giù con i suoi occhi ciechi persi nel vuoto.

Dopo un silenzio decisamente lungo sentii il vocione di D'Auria ingentilito da una nota affettuosa: “Vuoi un goccio?”

“Grazie, magari un'altra volta.”

“Mamma mia come sei permaloso...” si sentì un rumore come se Vanini si fosse spostato bruscamente e avesse urtato una sedia: “No, guarda che non sono proprio in vena!”

A quel punto spensi di nuovo, e definitivamente. La gioia per la caduta dal piedistallo del mio prof si era trasformata in disagio. Mi ero infilata in una storia che non mi riguardava proprio.


*


Una volta superato lo shock mi accorsi che in realtà Vanini mi aveva fregato un'altra volta. Non potevo più tornare da D'Auria a finire il discorso; gli aveva già rivelato che avevo detto una balla sulla tesi, sicuramente l'avrebbe informato anche sul trucco della cassetta. D'Auria non mi sembrava proprio il tipo che dice 'che furba quella ragazza, adesso mi è ancora più simpatica!'

«No, questa volta non te lo permetterò» dissi a voce alta. Se i rapporti personali tra D'Auria e Vanini non erano fatti miei, come studentessa che aveva sopportato di tutto in nome della filosofia avevo i miei diritti. Andai al telefono e chiamai D'Auria.

«Buonasera, professore, sono Milena Barbier.»

«Oh? Ha una bella faccia tosta a chiamarmi! Ha ragione Leandro quando dice che non conosco i giovani d'oggi. Mai mi sarei immaginato che una signorina dalla voce così timida si sognasse di ingannare un cieco lasciandogli un registratore acceso sotto il naso!»

La voce era tonante come quando mi aveva rimproverato a casa sua, ma sotto si sentiva una specie di tremolio. Secondo me stava trattenendo una risata.

«Ma non l'ho fatto apposta, professore! L'arrivo di Lea... di Vanini mi ha scombussolato e me ne sono dimenticata. È vero, ho iniziato ad ascoltare la cassetta perché Vanini non mi parla più e ho pensato che magari avreste parlato della vostra passione comune. Quando mi sono resa conto che il contenuto del discorso era personale ho smesso subito di ascoltare.»

Mi aspettavo che rispondesse: 'E perché dovrei crederle, dopo che mi ha già mentito due volte?' In effetti la mia versione era un po' addomesticata.

Invece disse: «Per la verità anch'io ho avuto un momento di indiscrezione. Quando ho sentito che le porte venivano chiuse con tanta malagrazia ho capito che avevate litigato, così mi sono affacciato alla finestra.» Evidentemente dall'alto dei suoi ottant'anni la differenza d'età tra me e Vanini gli sembrava insignificante e ci vedeva come due giovinastri dal sangue caldo. «Ho sentito che la chiamava, e poi passi di corsa. Non l'avrà mica inseguita?» chiese in tono ridanciano.

«Sì, mi ha inseguito e ho preso il tram al volo. Una scena molto da film.» Approfittando dell'atmosfera rilassata mi azzardai ad aggiungere: «Posso tornare a finire il discorso?»

«No, visto che stavamo parlando di una tesi inesistente.» Dal tono ironico capii che ero perdonata. «Inizieremo un discorso nuovo. Mi porti qualche tema o saggio che ha scritto per Leandro.»


*


Se fino a quel momento mi era sembrato che Vanini in classe mi avesse ignorato, mi ero sbagliata di grosso. Dopo la scena con D'Auria diventai la donna invisibile. Eppure dovevo affrontarlo.

«Professore, mi servirebbe uno dei compiti che ho fatto per lei.»

«Barbier, credo che tu abbia qualcosa di mio. Prima di chiedere sarebbe il caso di compiere un gesto di buona volontà.»

La cassetta non mi serviva più a niente. Di certo non volevo sapere il finale della scena con D'Auria, e a parte tutto avrei potuto semplicemente duplicare la registrazione, ma l'espressione 'qualcosa di mio' mi aveva urtato. Se la cassetta non apparteneva a me allora apparteneva a D'Auria, non certo a Vanini. A casa recuperai la brutta copia di un tema e la corressi. La bella non serviva, tanto avrei dovuto per forza leggere a voce alta.

   
 
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