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Autore: Flying_lotus95    06/10/2023    1 recensioni
Torino, 1944.
L'omicidio di un ufficiale tedesco, un uomo in fuga, una donna che cercherà di proteggerlo. Amore e odio, segreti e bugie, guerra e pace, sia dentro che fuori.
[𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 2023 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵]
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Prompt: Corsa
 

Capitolo 3
(Corsa) ad ostacoli

 
El amor no es un papel con nuestro nombre
Lo nuestro no entiende de ningunas condiciones
Un camino tiene siempre dos direcciones
Y vivimos en medio, amando a tirones
 
(Pablo Alborán - Castillos de arena)
 
Dresda, Germania, otto anni prima…
 
Gabriel von Kusserl era sempre stato il più bravo in tutto a scuola. In algebra, letteratura tedesca, latino, e in più, era bravo anche in educazione fisica. 
Era stato scelto, assieme ad altri coetanei, per rappresentare la gioventù hitleriana durante la gara di staffette tra scuole. Aveva sempre dato il meglio di sé, e in famiglia era sempre stato elogiato per questo, assecondato in tutto, viziato.
Sapeva inoltre di poter contare sull'appoggio di una persona in particolare, una ragazza di tre anni più piccola di lui, sua vicina di casa e amica di infanzia. Questa ragazza era Agnese Martini.
Figlia maggiore di un professore italiano trasferitosi in Germania in giovane età, si era sposato con una donna tedesca di famiglia benestante, anche lei professoressa di professione. 
Agnese era nata lì, a Dresda, ma conosceva l'italiano perfettamente, poiché suo padre aveva desiderato ardentemente che le sue figlie un giorno potessero visitare l'Italia, la patria che il sommo Goethe aveva tanto decantato nelle sue opere. 
Agnese aveva assistito a tutte le gare di Gabriel, sostenendolo ardentemente e con forte interesse. Non c'erano stati giorni che non avevano trascorso insieme, scorrazzando in bici per le campagne, nuotando al lago, organizzando gite fuori porta anche in compagnia di Anna…
Agnese si era sempre sentita al sicuro al fianco di Gabriel. Per lei, era stato come quel fratello maggiore che non aveva avuto, l'unico che era riuscito a scalfire quel suo carattere spigoloso e un po' duro con la sua ironia e i suoi modi di fare giocosi e sbruffoni. 
All'alba dei suoi quattordici anni, seduta sugli spalti dell'arena, Agnese aveva realizzato quanto fosse importante la presenza di Gabriel nella sua vita, quanto avesse voluto averlo nella sua vita non solo come amico, ma come qualcosa di più: un compagno da affiancare, proteggere, amare.
Gabriel, dal canto suo, non aveva mai fatto nulla per smorzare questo suo sentimento, anzi: lo alimentava ogni giorno di più con i suoi atteggiamenti e apparenti provocazioni: abbracci improvvisi, carinerie fuori contesto, gesti galanti oltre ogni dire.
Agnese si era sempre sentita lusingata nel ricevere tutte quelle attenzioni, si era sentita compresa, sulla stessa lunghezza d'onda di qualcun altro. Lei, che da sempre si era sentita un pesce fuor d'acqua, distante dalle sue coetanee, che pensavano solo a sposarsi e a formare una famiglia. Lei invece desiderava studiare, girare il mondo, conoscere la terra "dove fioriscono i limoni" - l'espressione che aveva usato suo padre più volte per descrivere l'Italia -, era ambiziosa e puntava a qualcosa di molto più grande. Di tutte queste cose aveva reso partecipe un interessato Gabriel, che l'ascoltava attento ogni volta, che fossero seduti su dei massi in riva al fiume dopo una nuotata, o seduti sulla veranda di legno della grande villa di casa von Kusserl, non era davvero importante. Agnese con lui si sentiva sempre al sicuro, apprezzata, capita, qualunque sarebbe stata l’occasione in cui s’incontravano. 
Presto, però, avrebbe dovuto ricredersi, anche se a malincuore.
 
Qualcosa era iniziato a cambiare, la strada che avevano percorso insieme mano nella mano fino a quel momento, accompagnati dalll'innocenza della loro età, deviò verso un declino inatteso.
 
Iniziò tutto con una divisa.
Era la stagione dei loro quindici e diciotto anni.
Quando Agnese gliela vide addosso per la prima volta, ebbe un brivido che non aveva nulla a che vedere con l'eccitazione del primo amore. Al contrario.
Sentì lo stomaco sottosopra, spaventata. Gabriel, invece, si sentiva tronfio di indossarla, sicuro di sè e spavaldo.
«Come mi sta? Ti piace?». Gabriel tirò fuori il petto, incrociando le braccia dietro la schiena. Agnese fece un passo indietro, per riflesso. Quello che aveva davanti agli occhi non era il suo Gabriel, ma un soldato fatto e finito. Un burattino comandato a distanza da un Mangiafuoco cinico e privo di coscienza. 
«Sembri uno di quegli uomini che girano per la città, aggredendo i più deboli». A Gabriel quella risposta non piacque per niente.
«I più deboli? Vuoi dire quella gentaglia che porta cucita addosso quello schifo di stella gialla?». Gabriel parve divertirsi nel proferire quella frase, ormai tra i suoi amici era normale fare battute di dubbio gusto sulla comunità ebraica. La legge, d'altronde, legittimava tali abusi, erano la regola di un mondo che stava lentamente perdendo la sua dignità umana.
Lo schiaffo che, però, Agnese gli mollò in pieno viso non aveva nulla di ameno. 
«S-scusami» biascicò dopo, portandosi la stessa mano sulla bocca. Sentiva un forte bisogno di vomitare.
«E che tu… tu sei migliore di loro, Gabriel. Non sei un razzista ignorante come quelle persone. Io ti conosco».
Credeva davvero a quelle parole Agnese.
Credeva davvero che Gabriel potesse essere molto di più della divisa che indossava e delle parole immonde che ormai ripeteva a macchinetta perché pullulavano ovunque, per le strade, nei salotti da thè, alle feste…
Gabriel non la fissò subito negli occhi, ma quando lo fece, Agnese percepì un'energia strana, oscura. Gli occhi di Gabriel, i suoi begli occhi cinerei, per un attimo furono attraversati da un'onda nera, come petrolio. Petrolio nero ed oleoso che si sarebbe abbattuto senza pietà verso colei che considerava amica da anni. Ad Agnese le parve persino di sentirne l'odore. 
Tuttavia, non sembrò essersela presa più di tanto. Non diede neanche a vedere di esserci rimasto male per quello schiaffo.
Tornò così a sorridere come sempre, beffardo.
«Suvvia, Anja, sono sempre io» e per sottolineare il concetto, allargò le braccia, come se volesse abbracciarla.
«Non sarà una divisa a decretare ciò che sono, no?». Un piccolo raggio di luce riscaldò il cuore di Agnese, ritrovando repentinamente speranza.
«Però tu prima hai detto-»
«Era una battuta, sciocca. Adesso non si può neanche scherzare?»
«No, non mi piace scherzare così. Non farlo mai più».
Gabriel allora si arrese davanti alla determinazione dell'amica, tirandosela leggermente contro per accoglierla in un abbraccio di scuse.
«E allora non lo faccio più. Non con te» dichiarò, lasciandole un bacio sui capelli castani.
Stretta in quell'abbraccio, e con la testa appoggiata all'altezza del cuore dell'altro, Agnese pensò che non avrebbe più dovuto scherzare così con nessun altro, ma non lo disse ad alta voce. Si volle godere quell'abbraccio, e quel profumo di gelsomino notturno che le aveva inebriato l'olfatto.
 
La divisa fu solo il primo di tanti episodi che portarono Agnese e Gabriel ad allontanarsi sempre di più. 
Lui iniziò ad uscire a gruppo con i ragazzi della gioventù hitleriana, iniziò perfino a partecipare a qualche pestaggio che ogni tanto si verificavano nel cuore della città, a danno di persone di fede ebraica o di qualsiasi altro ceto considerato indegno, inferiore.
Agnese soffriva nel vederlo seguire ciecamente la massa, soffriva nel sentirlo elogiare sempre più spesso Hitler e la sua idea di razza pura e tante altre sciocchezze senza senso. 
Soffriva persino nel sentirlo dire che entrava nei bordelli con quelli che ormai considerava amici e famiglia. 
Gabriel ormai gli stava sfuggendo dalle dita, e Agnese non riusciva più ad avere presa su di lui. Ne aveva paura, ma allo stesso tempo continuava a sentirsi attratta da quell'aura sinistra che ormai il suo migliore amico di sempre emanava. 
 
L'ultimo avvenimento, il più devastante, colse Agnese di sorpresa, decretando così la frattura definitiva di quella loro amicizia che, da sentiero calmo di montagna, si era trasformato in una corsa ad ostacoli mortalmente pericolosa.
 
Agnese aveva dato appuntamento a Gabriel alla cascata, di tutta fretta.
Aveva il cuore in gola e le lacrime che pungevano ai bordi delle palpebre.
Gabriel l'aveva raggiunta, torvo in viso. Sospettava quale fosse il motivo per il quale l'avesse mandato a chiamare, ma sperò fino all'ultimo di sbagliarsi. Lo schiaffo che gli lanciò Agnese nel vederlo decretò la fine delle sue vane speranze.
«E così ti sposi?! Bravo, complimenti!». Agnese era talmente risentita, che si strinse nel suo cappotto rosso, come a volerci sparire dentro. 
Gabriel socchiuse gli occhi a quell'affermazione, sospirando piano.
«Non per mia volontà» mormorò, mal celando una punta di fastidio nella voce e nel viso corrucciato. Agnese non ricordava più quando fosse stata l'ultima volta che le aveva sorriso, senza ombre nascoste dietro ogni rughetta espressiva.
Agnese faticò a contenere la rabbia e il disprezzo.
«Aspetta tuo figlio… è il minimo che tu possa fare!». Cercò di restare composta, ma le pupille saettavano nervose, brillanti di lacrime mai scese. 
«Come hai potuto cadere così in basso, Gabriel? Come?» disse ancora, spingendolo lontano da sé con rabbia. Anche il solo sfiorare quella divisa immonda le fece sentire i palmi sudici.
«E io che pensavo che-»
«Che pensavi cosa? Che saresti stata la prima a venire nel mio letto? Tzè, quanto sei ingenua Anja!» la interruppe Gabriel, sprezzante. Rise arrogante, leccandosi il canino superiore. Lo schiaffo di poco prima lo aveva soltanto rinvigorito, anziché intimorito.
A quel punto Agnese giocò a carte scoperte, ferita nel suo orgoglio.
«Ti credevo una persona migliore… invece mi sbagliavo. Sei un porco nazista come quella banda di screanzati che segui a destra e a manca senza rite-».
Agnese quella frase non la finì mai, perché Gabriel le afferrò il viso con forza, stringendo le dita sulle guance in modo anomalo, violento. Non l'aveva mai toccata a quel modo prima di allora.
«Però questo porco nazista ti piaceva, eh? Anzi, probabilmente ti piaccio ancora…». Gabriel avvicinò pericolosamente il viso a quello di Agnese, che nel frattempo era diventata paonazza, spaventata da quella vicinanza inaspettata. Con la mano libera le cinse la vita, stringendosela contro, possessivo. «Te la vuoi fare una scopata qui, in mezzo al nulla, eh Anja?? Lo so che lo desideri… lo desideravi ogni volta che uscivamo nudi da quel fiume e desideravi che ti prendessi lì, su quelle rocce!».
Agnese lo fissò terrorizzata, la mano attorno alla sua mandibola stringeva e faceva male, e respirava a fatica. Avrebbe voluto urlare, chiedere aiuto… mai nella vita si sarebbe aspettata un risvolto simile. 
Agnese si era sempre aspettata che Gabriel sarebbe stato colui che l'avrebbe salvata e protetta dai malfattori, non il malfattore stesso che non la stava solo spaventando, in quel momento la stava umiliando. 
«Beatriz è stata solo più furba di te, più intraprendente! Mi voleva e me lo ha dimostrato… tu invece sei ancora una mocciosa che crede nel principe azzurro!».
Agnese provò a divincolarsi, disgustata. 
«Questo volevi da me? Che ti seducessi? Peccato che io sia una persona per bene!»
«Ah! Tu, una persona per bene? Tu, che mi seguivi ovunque come un cagnolino che elemosinava briciole? Ci mancava poco che non ti alzassi la gonna per lasciarti fare quello che volevo! Ti si leggeva in faccia la tua frivolezza! Ammettilo che ti sarebbe piaciuto fare la poco di buono con me, dillo Anja, dillo!»
«Io non dico proprio niente! Mi fai schifo!» gridò Agnese, colpendolo in viso, sul petto, sul collo, ovunque. Voleva che la lasciasse in pace, si pentì di averlo fatto venire lì, in quel posto che solo loro due conoscevano.
«Andiamo su, fai la brava!» sibilò Gabriel, con evidente difficoltà. Agnese si stava agitando troppo per i suoi gusti. La colpì così in pieno viso, facendola cadere a terra, sull'erba. 
Agnese pensò erroneamente che fosse finita, pronta a fuggire via da lì, ma l'altro fu più veloce. Le si mise addosso, costringendola a girarla verso di sé, senza mostrarle alcun tatto. Agnese cominciò ad urlare di lasciarla andare, che aveva paura, che non voleva che le facesse questo. Istintivamente, serrò le cosce, come se il corpo avesse intuito cosa sarebbe potuto succedere tra non molto.
Gabriel infatti le infilò una mano tra le gambe, obbligandola ad aprirle. Ma Agnese tenne duro, non volle cedere, non così.
Io ti amo, Gabriel, ti ho sempre amato. Ma non così, non voglio essere presa come una bestia, non voglio essere mancata di rispetto in questo modo. Non me lo merito.
Mentre pensava quelle cose, Agnese iniziò a piangere, singhiozzando come una disperata. Quel pianto disperato, però, servì a placare la bestia che stava prendendo il sopravvento su Gabriel. Come rinsavito, il soldato si alzò, sedendosi sulle proprie ginocchia. Aveva il fiatone, e fissava la ragazza con sguardo incerto, scioccato. Per un solo, brevissimo istante, aveva capito di star commettendo una sciocchezza ai danni della sua migliore amica, della ragazza che lo aveva sempre supportato, appoggiato, anche quando le loro strade avevano iniziato inevitabilmente a separarsi.
Tuttavia, si alzò da terra senza tradire alcun cedimento, spolverandosi da dosso il terriccio che nella colluttazione gli si era appiccicato addosso.
Guardò Agnese un'ultima volta, con disprezzo. 
Le diede un leggero calcio dietro la schiena, siccome si era raggomitolata su sé stessa come un gatto impaurito. 
«Guarda cosa mi hai fatto fare…» mormorò asciutto, senza alcuna emozione nella voce.
«Rialzati, va', smettila di fare la commedia. Non ti ho fatto niente».
Nell'udire quelle parole, Agnese si strinse il cappotto rosso sul petto, spaventata a morte.
Non mi hai fatto niente? Mi hai quasi violentata! 
Quella frase, però, Agnese non riuscì a dirla, la voce non le usciva, sentiva il corpo irrigidito. Avvertì un altro calcio dietro la schiena, non troppo forte ma neanche troppo delicato rispetto al precedente.
«Muoviti, o ti lascio qui a frignare».
Agnese si morse le labbra, ormai sul punto del collasso emotivo.
«Hau ab. Lass mich allein…» sussurrò affranta, cercando invano di darsi calore stringendosi nel cappotto sporco di rugiada e terra.
Vattene. Lasciami sola.
Gabriel continuò a fissarla per alcuni minuti, poi, come se nulla fosse, prese la strada del ritorno senza minimamente badare a lei, rannicchiata a terra, morta di paura per colpa del suo gesto orribile.
Agnese fu quasi sicura di sentirlo fischiettare la melodia di Lili Marleen in lontananza.
Dopo essersi accertata della sua assenza, Agnese si rialzò a fatica, continuando a tremare come una foglia mossa dal vento. Quando giunse a casa, corse in camera sua, incurante del richiamo di sua madre, che sembrava aver intuito qualcosa.
 
Qualche tempo dopo, le voci sulle nozze di Gabriel fecero il giro dell'intero vicinato, ma Agnese non tradì alcuna emozione, neppure con sua sorella Anna, che aveva tentato di estrapolare qualche informazione a riguardo.
 
Agnese si sarebbe portata il segreto di quel giorno da sola, senza condividerlo con anima viva. Fino a quando, un paio di occhi dolci e attenti appartenenti ad una giovane recluta non le accarezzarono il cuore così tanto da farle confessare tutto quello che aveva provato quel giorno funesto.
Orrore, paura, vergogna. E un forte senso di colpa, per non essere riuscita ad arrestare l'infausta corsa di Gabriel verso gli inferi.
   
 
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