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Autore: Giandra    24/10/2023    0 recensioni
❧ PangWave
➥ missing moments + post canon; brief mention of s3xual fantasies involving blowjobs nel 3o capitolo
Scritta per la challenge 'Componi il puzzle' indetta da me sul gruppo Facebook 'We are out for prompt'.
Storia partecipante alla Challenge "BTS — Love Yourself, Speak Yourself" indetta sul forum Torre di Carta.
2+1: Un regalo che Pang fece a Wave e un regalo che Wave fece a Pang + un ultimo regalo che fu senz'altro proficuo per entrambi
1. La giacca verde: Missing moment del momento in cui Pang regala a Wave (mio headcanon) la giacca che lui indosserà per tutta la s2.
2. L'orologio: Missing moment del momento in cui Wave regala a Pang l'orologio con il quadrante dorato che Pang indosserà per tutta la s2.
3. Il cielo stellato: Momento post-canon in cui Pang e Wave si baciano per la prima volta.
Dedicata a Kendra26. ♥
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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3. Il cielo stellato
 
 
And we were just kids in love
The summer was full of mistakes we wouldn't learn from
The first kiss stole the breath from my lips
 
 
            A distanza di due anni, Pang poteva affermare con assoluta certezza che a Wave la giacca che gli aveva regalato stava davvero d’incanto. Il mese scorso, aveva deciso di comprargli anche una catenina dorata, per sostituire quella argentata alla quale Wave legava sempre il ciondolo d’oro bianco che gli aveva donato la madre, una settimana prima della sua morte, per tenerlo sempre con sé; la collana era perfettamente in pendant con il quadrante del suo orologio — e per tale motivo lui gliel’aveva presa, ma questo Wave non aveva bisogno di saperlo.
            In quel momento, se ne stavano stesi sulla sabbia, in riva al mare, a guardare le stelle cullati dal rumore delle onde. Wave stava usando il cappello verde abbinato alla giacca come cuscino, per — Pang presumeva — non farsi finire la sabbia tra i capelli. Si perse a guardarlo per qualche secondo, conscio che l’altro si sentisse i suoi occhi addosso. Alla fine, si morse il labbro per frenare il sorriso birichino che stava già nascendo sulla sua faccia e chiuse la mano a pugno nella sabbia per afferrarne un mucchietto; prima che potesse lanciarla sulla testa di Wave, con il solo scopo di dargli fastidio, quello parlò: “Non lo farei, se fossi in te.”
            “Ohw” Pang si lamentò. “Mi hai beccato” affermò, in un sussurro, per poi tirargli comunque contro i granelli finissimi che aveva sotto mano.
            Wave subito si passò le mani sulla testa per toglierli, mentre con i piedi calciò nella sua direzione colpendogli ripetutamente le gambe, cosa che portò Pang a sghignazzare nonostante il dolore. Una volta che ebbe finito di pulirsi, si girò verso di lui con un’espressione oltraggiata, infilò la lingua fra i denti per poi farla schioccare emettendo un suono di pura disapprovazione, poi gli ricambiò il favore lanciandogli addosso due, tre, cinque manciate di sabbia. Pang non riusciva a smettere di ridere.
            Gli venne in mente un’idea. I suoi vestiti erano sporchi adesso, ed era probabile che qualche granello gli fosse finito anche sulla pelle sottostante; pensò di testare la reazione di Wave: si sfilò di dosso la felpa gialla che aveva — regalo di compleanno di Wave stesso, che l’aveva reso felice come non mai, così come il fatto che si ricordasse quale fosse il suo colore preferito — e si ridistese sulla sabbia nudo come mamma l’aveva fatto dalla cintura in su. Un fremito di soddisfazione lo percorse non appena avvertì gli occhi di Wave sul suo profilo.
            Era ormai un paio di mesi che si sfidavano tacitamente in quel modo. Non sembrava mai il momento opportuno di mettere fine ai giochi e di affrontare sul serio la questione. Una piccola parte di lui non credeva neanche che ne avessero bisogno: Pang era innamorato di Wave, a questa consapevolezza non c’era scampo, e sapeva che Wave fosse innamorato di lui. La loro relazione gli andava bene così com’era: non desiderava molto altro dal rapporto che avevano e non avvertiva lal necessità di piazzarci sopra un’etichetta. Esisteva, però, un’altra parte di lui che pensava alle labbra di Wave tutto il dannato tempo: si immaginava come sarebbe stato sfiorarle con le proprie, o i brividi che gli avrebbe provocato avvertirle percorrere il proprio corpo, tracciarne ogni linea, ogni conca, ogni vena, o sentirle attorno al suo cazzo, mentre la lingua e la bocca di Wave si adoperavano per fargli raggiungere il Paradiso senza passare a miglior vita. In altre parole, all’adolescente con gli ormoni a palla che era in lui iniziavano a stare stretti i confini della loro relazione, specie perché credeva che anche Wave volesse quelle cose; o meglio: non poteva dire con esattezza fino a che punto Wave avrebbe desiderato spingersi, ma era certo che fosse attratto da lui e ormai erano stati sul punto di baciarsi almeno cinque volte da quando avevano finito l’ultimo anno di Mattayom.
            Solo che, in ognuna di esse, non gli era sembrato mai il momento più opportuno. Per quel motivo Pang aveva deciso di crearlo lui stesso, piuttosto che attendere che si presentasse: tanto valeva provare. Quella notte sarebbe potuta essere quella giusta.
            “Ti prenderai un raffreddore così” gli disse Wave, dopo essersi schiarito la voce con qualche colpo di tosse, di nuovo con lo sguardo fisso sulla volta celeste.
            “Tu sei sicuro di stare bene? Ultimamente tossisci spesso.”
            Wave gli indirizzò un’occhiataccia. “Sono serio, cretino. Finirai per ammalarti.”
            Pang gli sorrise. “Ma no, dai. Anzi: perché non ci facciamo un bel bagno?”
            Il compagno lo guardò come se fosse impazzito. “Un bagno?”. La spiaggia cittadina di Pattaya non era certo rinomata per le sue acque pulite: era una spiaggia libera e niente affatto famosa per l’attenzione con la quale veniva curata. Erano soliti recarsi lì per trarre riparo dal caldo umido di Bangkok, essendo invece quella zona sempre ben ventilata; ma da quando era subentrato l’elemento dei potenziali, anche l’unico aspetto negativo della spiaggia era stato sanato: una ragazza, che lavorava da anni per un’associazione internazionale dedita alla pulizia delle acque, aveva scoperto di avere la capacità di purificare qualsiasi cosa toccasse; pertanto, era riuscita a estrarre in ormai quasi ciascun mare che bagnava la Thailandia tutte le impurità depositatevisi, dopo aver usato il suo potenziale con una certa costanza ed essendo quindi diventata in grado di padroneggiarlo. Pertanto adesso Pang e Wave, se avessero voluto, si sarebbero potuti fare un bel bagno a notte fonda senza rischiare di assorbire nel loro corpo svariati tipi di tossine radioattive. Ciononostante, Pang sapeva che Wave diffidasse ancora di quelle acque, essendo per natura portato a cambiare difficilmente opinione una volta che si convinceva di qualcosa.
            “Sì, un bagno. Lo sai che ormai è sicuro farlo.”
            Wave per tutta risposta increspò le labbra verso l’alto e alzò le sopracciglia per manifestare il suo scetticismo. Pang ridacchiò.
            “Rimettiti la maglietta” gli ripeté.
            Pang girò il capo nella sua direzione, inclinando il collo verso l’alto per mettere in mostra la clavicola sporgente che ormai aveva intuito Wave apprezzasse particolarmente. “Perché? Ti disturba?”
            L’altro non si sprecò neanche a voltare la testa verso di lui. “Mi disturberà dovermi occupare di te come se fossi un neonato quando ti salirà la febbre.”
            Si avvicinò a lui centimetro dopo centimetro, portando il proprio corpo rasente al suo, il proprio viso praticamente a un bacio di distanza da quello di Wave. “Ma a te piace prenderti cura di me” sussurrò contro il suo orecchio. Poche cose nella sua vita gli avevano procurato più soddisfazione del brivido che percorse l’intero corpo di Wave, portandolo a tremare per una frazione di secondo. La pelle d’oca sul suo volto era evidente, così come il rossore sulle sue guance. Non gli rispose nulla, però.
            Pang non sapeva che fare. Non gli sembrava di star superando un confine trasparente ma implicito tra loro due, non gli pareva che Wave fosse a disagio; forse su di giri, quello sì, ma del resto anche lui si sentiva in quel modo: era territorio inesplorato quello che stava accadendo, non era sicuro di come comportarsi per evitare di rovinare tutto. Forse, in fondo, non era ancora arrivato il momento più opportuno.
            “Perché hai voluto portarmi qui?” A stagliare il silenzio che si era instaurato dopo la sua frase, Wave gli pose questa domanda. La forma stessa che aveva dato a quell’interrogativa era curiosa: avrebbe potuto chiedergli come mai avesse proposto proprio quel luogo dove spendere la serata, avrebbe potuto presentare la situazione come una scelta biunivoca. ‘Portarmi qui’ si lasciava dietro una serie di non detti, gli suonava come una fraseologia più o meno quotidiana all’interno di una coppia; in più, era come una tacita ammissione da parte di Wave che era venuto lì con lui perché Pang aveva voluto che ci andassero, che la scelta era stata consensuale ma nondimeno scandita dall’iniziativa di Pang, che Wave si era limitato ad accogliere e a fare sua, come sempre.
            Si girò su di un fianco, affondò il gomito nella sabbia finché non sentì la conca abbastanza salda da potersi lasciar andare, e alzò l’avambraccio verso la sua faccia, per poi poggiare la testa contro il palmo della sua mano. Stette lì a guardarlo per un po’, senza fretta di rispondere. La brezza marina era piacevole tanto al tatto quanto all’olfatto e la vista di Wave steso lì accanto a lui, che osservava gli astri con occhi sognanti e un po’ lucidi, era il regalo più bello che avesse mai ricevuto. “Perché so che ti piacciono le stelle” spiegò, “e mi andava di festeggiare la nostra vittoria.”
            “Solo io e te?” gli chiese, mentre guardava con un’intensità incredibile il cielo, che in quella nottata di primavera era un vero spettacolo.
            “Solo io e te.” In un primo momento, non gli venne in mente di aggiungere altro, specie mentre era impegnato a fissare imbambolato il sorriso tenue che comparve sul volto di Wave; dopo, pensò di dire: “Ti fa piacere?”
            Wave annuì. Incrociò le braccia e accavallò le gambe, spie dell’imbarazzo che quella situazione improvvisamente intima gli stava causando. “Perché?” gli domandò a un certo punto.
            Pang aggrottò le sopracciglia. “Cosa perché?”
            “Perché solo io e te?”
            Era difficile comprendere cosa Wave stesse cercando di ottenere da quella conversazione. Pang decise di reagire semplicemente con onestà: “Perché non mi va di baciarti per la prima volta davanti agli altri.”
            Wave sgranò gli occhi e schiuse le labbra, per poi umettarle e morderle con palese nervosismo. Gli ci volle una manciata di secondi per voltarsi verso di lui e per Pang fu un colpo al cuore incontrare il suo sguardo, a metà incredulo, a metà emozionato, pieno di aspettativa. Che fosse un tacito modo per invitarlo a dargli sul serio un bacio? Decise di tentare la sorte e si mosse ancora di qualche centimetro più vicino a lui, portando i loro nasi a toccarsi appena. L’istinto gli diceva di abbassare le palpebre, ma quelle di Wave lasciavano ancora scoperte le sue belle iridi nocciola e lui non aveva idea di cosa gli fosse concesso fare arrivati a quel punto. Poté smettere di domandarselo quando Wave gli lambì una guancia con le dita, carezzandola con estrema delicatezza, addolcì la sua espressione e annullò lui stesso l’esigua distanza che li separava.
            Le sue labbra erano morbidissime, proprio come se le era immaginate, e fredde, quasi gelide, mentre le proprie, lo avvertiva, erano calde nonostante lui fosse rimasto a petto nudo. A ricordarglielo fu anche l’altra mano di Wave, che si poggiò sulla sua spalla, e i cui polpastrelli premettero sulla pelle della sua nuca e sotto la sua clavicola, spedendogli una scarica di adrenalina che per poco non lo fulminò. Pang si servì della mano che non reggeva il proprio peso per carezzargli il fianco; lasciò che il pollice scivolasse sotto la maglietta di Wave, a sfiorargli la pelle liscia e soffice del bacino. Quel gesto portò l’altro a emettere un gemito spezzato, che Pang accolse con piacere nella propria bocca prima di fiondarsi di nuovo sulla sua; stavolta, abbassò le palpebre e si concentrò solo sulla sensazione di sottovuoto che gli assalì lo stomaco, sulle dita di Wave che si erano strette attorno al suo collo, sulla sua bocca che sapeva di limone per il tè che avevano bevuto assieme poco prima di uscire di casa, sulla sua lingua che si scontrava contro la propria, umida, bagnata, liscia, e Pang desiderava impararla a memoria, avrebbe accettato di restare lì a baciarlo per ore, o finanche al giorno della loro morte — sarebbe stata una dipartita dolce e priva di rimpianti.
            A separarli fu la mancanza di ossigeno. Stettero lì, stretti l’uno all’altro, fronte contro fronte, a sospirare pesantemente per riprendere fiato.
            “Wow” esalò, forse il monosillabo più spontaneo di tutta la sua vita.
            Wave emise una risata silenziosa e breve, il sorriso rimase sul suo volto anche quando terminò. Spese almeno un minuto senza dire nulla e Pang gli diede il tempo di cui forse necessitava per metabolizzare quanto era appena accaduto; dal suo canto aveva appena vissuto uno dei momenti più soddisfacenti della sua intera vita, anche più di aver sconfitto il Direttore, e solo grazie al fatto che Wave era stato così caritatevole da benedirlo facendo toccare le loro labbra; aveva bramato che accadesse per così tanto tempo che a tratti Pang temeva di stare per svegliarsi da quello che gli pareva a tutti gli effetti un vero e proprio sogno. Non aveva la minima idea di come la stesse invece vivendo Wave, di come quell’evento potesse averlo segnato. Non voleva andare troppo veloce, o mettergli pressione in alcun modo, anche se Wave era sempre stato bravissimo a camminare accanto a lui e mai a stargli dietro, a restituirgli con la stessa intensità tutto quello che gli indirizzava. Considerando la posta in gioco, però, voleva assicurarsi che anche lui fosse felice di come le cose stessero per cambiare tra di loro.
            “Pang...” Wave mormorò, a malapena un sussurro.
            Pang avvolse i palmi delle mani a coppa attorno alle sue guance e premette più forte la fronte contro la sua. “Dimmi.”
            “Quando... Da quanto...?”
            “Da due anni, due anni e mezzo, più o meno” gli rispose subito, senza indugiare oltre, perché Wave meritava di sapere. “Non mi sembrava mai il momento più opportuno, più adatto. C’era sempre qualcosa da fare. Non...” si allontanò momentaneamente dal calore del suo corpo, per chiudere la mano a pugno e tossirci contro, al fine di schiarirsi la voce. “Non credevo di meritarmi una cosa tanto bella mentre attorno a noi c’era il caos” gli rivelò, “e non sapevo neanche tu cosa provassi per me, non nello specifico almeno.”
              Wave reagì a quella frase con una smorfia a metà tra l’infastidito e il bonario. Gli arruffò i capelli con i polpastrelli, premendo così forte da fargli male, e rise di fronte al suo lamento. “Sei proprio un idiota” commentò, come se fosse un dato di fatto — e forse lo era. “È diventato palese a tutti quello che provassi io. Solo tu sei rimasto più o meno ignaro fino alla fine.”
            Oh. Quella era una sorpresa. Doveva ammettere di non aver realizzato la portata di ciò che stava nascendo tra di loro fino a che non era diventata così maestosa da non poter essere ignorata; pertanto, non aveva neanche ipotizzato che una persona esterna potesse accorgersi di qualcosa che neanche aveva propriamente un nome. “Sul serio?”
            Lui annuì. “Sul serio.”
            Pang sbuffò. “Se era così ovvio, perché non hai fatto tu la prima mossa, allora?”
            La spavalderia di Wave vacillò. Abbassò il capo e Pang notò il suo sguardo spostarsi a destra e a sinistra ripetutamente, senza che riuscisse a fissarlo su un punto specifico. Quando forse riuscì a raccogliere il coraggio per tornare a guardarlo, le sue labbra andavano a formare una linea retta, le sue palpebre tremavano e i suoi occhi trasmisero a Pang tanta paura. Una voce nella sua testa lo stava spronando a stringerlo forte a sé, ad abbracciarlo e a dirgli che andava tutto bene, che non doveva più temere nulla, che nessuno dei due aveva più bisogno di sentirsi solo, mai e poi mai; un’altra, però, gli suggerì di aspettare che fosse Wave a fare o a dire qualcosa. Nell’arco di trenta secondi, che gli parvero estremamente lunghi, lui infatti parlò: “Io non credevo che... non pensavo che tu volessi... non pensavo che tu mi volessi... non così...”
            Che stupido che era stato. Wave aveva ragione: un idiota colossale, tanto intento ad attendere quel fantomatico momento più opportuno da non accorgersi che qualsiasi avrebbe potuto esserlo, finché si trattava di loro due. Aveva creduto che tutto ciò che aleggiava implicito nell’aria che li circondava fosse comunque in qualche modo al posto giusto, che in fondo non c’era nessuna fretta, che le cose andavano grossomodo bene com’erano, che fintanto che Wave sarebbe rimasto nella sua vita non c’era motivo per forzare un cambiamento. Si era sbagliato di grosso. La sua incoscienza doveva averlo ferito, doveva averlo inchiodato in un limbo di contraddizioni e ambiguità, portandolo addirittura a pensare che forse Pang non lo desiderava nello stesso modo in cui Wave desiderava lui. Che completo imbecille.
            “Mi dispiace tanto, Wave” gli disse.
            Quello fece spallucce. “Di che ti scusi? Non serve mica che provi compassione per me.”
            Pang incurvò le labbra all’insù, intenerito dal suo orgoglio sempre pronto ad avere l’ultima parola, e gli carezzò la guancia sinistra, mentre con il pollice andò a vezzeggiargli lo zigomo opposto. “Non si tratta di provare compassione. Sono stato un cretino.”
            Wave portò di nuovo all’insù le spalle, prime di lasciarle tornare giusto al di sotto del collo. “Sai che novità.”
            Pang rise. Chiuse gli occhi, si sporse verso di lui e gli diede un bacio sulla fronte. Sentì Wave irrigidirsi, ma per fortuna bastò una manciata di secondi per farlo rilassare di nuovo; lo strinse forse a sé, portò il capo accanto al suo, sfiorandogli quella zona soffice e morbida – che moriva dalla voglia di baciare e mordicchiare – tra la sua fronte e la sua guancia con la propria. Wave ricambiò l’abbraccio e appoggiò il mento sulla sua spalla nuda.
            Pang doveva ammettere che in tutti i suoi diciotto anni di vita non aveva mai ricevuto un regalo più bello di quell’esatto istante: la brezza primaverile gli scarmigliava i capelli, le onde del mare cantavano per lui intonando una melodia stabile e rilassante, le stelle nel cielo illuminavano la figura esile e meravigliosa tra le sue braccia, che non accennava a staccarsi da lui. Era felice, veramente felice, forse per la prima volta da tanto tempo. Si trattava di molto più che di un semplice momento opportuno: quello era un momento perfetto.


 
   
 
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