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Autore: Sunnyfox    25/10/2023    2 recensioni
Solo quando all'improvviso Rufy cacciò un urlo animalesco, si rese conto che la squadra di Kendo del loro liceo aveva fatto il suo trionfale ingresso.
«Eccoli che arrivano!» esclamò, agitando le braccia per catturare l'attenzione di Zoro che seguiva il capitano della squadra e andavano a posizionarsi accanto agli altri kendoka.
Nami lo vide alzare lo sguardo verso di loro, come se fosse davvero riuscito a sentire il richiamo dell'amico, in mezzo a tutto il fracasso esploso all'ingresso delle squadre. Rufy si agitava così tanto che dopotutto sarebbe stato impossibile non notarlo. Zoro non fece altro che alzare lo Shinai in segno di saluto. Una conferma che li aveva scorti e aveva, a modo suo, apprezzato la loro presenza. Se non fosse stato così distante, Nami avrebbe detto di averlo persino visto sorridere.
[High School AU]
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11.

 

 

Erano state giornate piuttosto confuse.

Era da tempo che Zoro non si sentiva con la testa così annebbiata, come se stesse vivendo una vita non sua. Si rese conto che quella sensazione andava sempre di pari passo con eventi piuttosto significativi della sua esistenza. Non essere particolarmente centrato, perdere contatto con la realtà, avere la testa ingarbugliata e costantemente altrove.

L’ultima volta gli era capitato dopo la sconfitta con Mihawk, ma gli sembrava di minimizzare la sensazione, dacché non considerava quella sconfitta particolarmente significativa, sebbene bruciante.

Forse l’ultima volta in cui il suo mondo aveva davvero perso il suo baricentro era stato quando era morta Kuina. Ma anche in quel caso gli sembrava uno squilibrio paragonare le cose.

Quindi probabilmente si trattava di una sensazione che stava nel mezzo. Fra una sconfitta sanabile e una perdita incalcolabile.

La novità risiedeva nel fatto che l’evento scatenante non era stato disastroso. O quantomeno non era stato… negativo. Piuttosto piacevole, a dire il vero, decisamente inaspettato.

Prima di Nami aveva baciato un’altra ragazza. Era successo durante una trasferta sportiva, ai tempi delle medie. Non era stata una cosa particolarmente entusiasmante e di certo non era stato lui a prendere l’iniziativa. Si era limitato a seguire il flusso di una serata piuttosto bizzarra. C’era questa ragazzina, di cui non rammentava nemmeno il nome, che si era proposta senza decoro o dignità. Aveva detto sì, solo perché non era sicuro fosse gentile rifiutare. Johnny e Yosaku, i compagni di classe e di kendo con cui aveva stretto una sottospecie di amicizia, durante gli anni delle medie, gli avevano assicurato - nella loro ingenuità infantile - che era assolutamente normale non sottrarsi a certe richieste. In tutta sincerità si era sentito in colpa con quella ragazzina a lungo, prima di stroncare qualsiasi suo sogno romantico, confessandole che non era particolarmente interessato a uscire con lei.

Era stata la stessa cosa anche con Nami? La verità era che nonostante avesse confidato a Rufy che era stata lei a cominciare la cosa, ora non ne era più così sicuro. Era successo tutto così in fretta che non aveva avuto modo di razionalizzare l’evento. E in ogni caso era certo non si trattasse della stessa cosa. Di Nami gli importava eccome. Gli importava da sempre, ma ora non sapeva come gestire questa inaspettata evoluzione.

Non ci aveva mai davvero pensato o, se lo aveva fatto, era passata così in sordina da coglierlo totalmente di sorpresa. Quindi si trovava in questa sottospecie di limbo dove, da un lato si chiedeva se provasse davvero qualcosa di speciale per lei, dall'altro se si sentisse obbligato a farlo solo perché, per un breve ma davvero intenso istante, aveva ceduto ai suoi bassi istinti.

Ne seguiva quindi con curiosità, scarsa lucidità e ossessione gli sviluppi, giorno per giorno. Si chiedeva se non sembrasse una specie di zombie privo di volontà, tanto si sentiva annebbiato. E in colpa. Nami non meritava davvero questa sua confusione. Anche se, ad alimentare la sua procrastinazione sentimentale, c'era il non trascurabile dettaglio che, da quel fatidico giorno, avevano ripreso a parlare normalmente. Trattarsi forse con più riguardo e gentilezza del solito, ma senza più davvero menzionare quel bacio. O quello che avrebbe dovuto seguirne. E quindi si sentiva giustificato a non avere un vero e proprio confronto con la sua coscienza. O con lei.

L’accompagnava a lavoro, quando era di turno la sera, passava a trovarla in aula di tanto in tanto. Era forse quello l’obbligo che aveva il terrore di dover assecondare? Però gli faceva piacere farlo e vederla lo metteva di buon umore. Era quello a fare la differenza?

 

Perso nei suoi pensieri, non si era accorto di aver lasciato indietro Chopper. Per l’ennesima volta.

Era da un paio di domeniche che il ragazzo chiedeva di seguirlo durante le sue corsette mattutine sulla spiaggia, perché si era stupidamente messo in testa di perdere peso. Di buttare giù quella pancetta che, a suo dire, lo faceva sembrare un bambino più che un gagliardo quindicenne. Zoro gli aveva risposto che non era una corsa a fare la differenza, ma la quantità di dolci che trangugiava senza discernimento tutti i giorni. Chopper lo aveva comunque implorato di fargli da personal trainer.

«Aspetta!» gli gridò dietro improvvisamente. Il flusso di paranoie interrotto. Si chiese se non dovesse ringraziarlo, se non altro mentalmente.

Si fermò a metà strada, aspettandolo.

«Già stanco?» lo rimbrottò con aria benevola. Non gli riusciva di essere gratuitamente crudele con Chopper. Nemmeno quando interrompeva così i suoi allenamenti domenicali. Già consapevole di doverli prolungare una volta congedato il piccoletto.

«No. N-non sono stanco» sembrava volersi dimostrare in grado di tenere il suo passo, ma era chiaramente in difficoltà. Il fiato corto, il viso estremamente arrossato, i capelli fradici che gli ricadevano sulla fronte come una specie di pelliccia.

«Sembri un tanuki sbronzo…» lo schernì una volta che lo ebbe raggiunto. Si preoccupò di scompigliargli i capelli e liberargli gli occhi.

«Non sono un tanuki!» sbroccò questo, assecondando però la premura, per poi ridimensionarsi immediatamente e risparmiare il fiato, «Okay, forse se potessimo fermarci per un minuto o due…»

«Non dovremmo» gli rispose Zoro, «possiamo proseguire l’allenamento camminando, però.»

Chopper inspirò a fondo, annuendo con una certa convinzione.

«D’accordo!» si preoccupò di mostrarsi pronto a non darsi per vinto.

«Andrà meglio quando avrai spezzato il fiato…» cercò di rassicurarlo, «sei proprio fuori allenamento.»

«È quello che mi dice sempre il professor Jimbe, di educazione fisica.»

«L'ex professionista di Sumo? Allora vale doppio.»

«Già…» sospirò Chopper, «vorrei solo non avere il fiatone ogni volta che faccio le scale»

«Ci arriverai, abbi fede…» gli diede un buffetto sulla schiena.

«Per quello ho chiesto a te!»

La sua incrollabile fede nei suoi riguardi era sempre piuttosto commovente. Non era convinto di meritarsela ma cercava in qualche modo di soddisfarla. Teneva a Chopper come avrebbe tenuto a un fratello minore. Al contrario del rapporto che aveva con gli altri, con Chopper gli veniva spontaneo mostrare un atteggiamento dichiaratamente protettivo e perché no, affettuoso.

Chopper si era tolto le scarpe a un certo punto della passeggiata e Zoro aveva fatto lo stesso.

Doveva ammettere che un allenamento simile forse non gli avrebbe fatto guadagnare punti muscoli, ma di certo faceva bene allo spirito. I piedi liberi, la sabbia fra le dita e l’acqua a lambire la pelle. Una sensazione confortante.

«Zoro…» la voce di Chopper sembrava tornata a livelli normali. L’emergenza fiato rientrata.

Si volse appena a guardarlo, dalla sua altezza non riusciva a cogliere appieno la sua espressione.

«Posso farti una domanda?»

Da quando in qua si faceva scrupoli?

«Se me lo chiedi così…»

«Sì, bé, è che potrebbero non essere fatti miei.»

Zoro rimase in silenzio per permettergli di continuare, la sensazione di conoscere già la natura della domanda.

«Tu e Nami state insieme, ora?»

Esattamente ciò che si era aspettato di sentire. Dopo la scioccante e affatto prevista rivelazione della settimana prima, sul tetto della scuola, Chopper non aveva fatto più domande. In realtà non c’erano state grandi spiegazioni, solo la conferma che con la sua confessione a Rufy non lo stesse prendendo in giro.

A sua discolpa nessuno aveva fatto menzione della cosa, nemmeno quell’esagitato di Sanji, che si era limitato a scoccargli occhiate sempre più minacciose nell’arco della settimana. O a sussurrargli, al passaggio, diverse frasi che suonavano più o meno come: un passo falso e ti faccio fuori. Niente di nuovo, comunque.

Quando erano tutti insieme poi, gli altri non sembravano essere al corrente di nulla o semplicemente attendevano sviluppi significativi con pazienza.

Zoro dovette rifletterci un attimo. Non era una domanda facile, non poteva dare una risposta superficiale.

«Non ne abbiamo parlato» decise di restare sul vago. Il che non era una bugia. Non ne avevano davvero parlato e in realtà la possibilità gli metteva una certa apprensione. Perché lui stesso non era certo di cosa avrebbe potuto rispondere se Nami gli avesse posto lo stesso identico quesito.

«Sì, ma… lei ti piace, no?»

Questa era una risposta facile.

«Sì, certo che mi piace» come persona, come compagna, come amica. Su quello non aveva alcun dubbio.

«D’accordo, ma io intendo: ti piace, piace, giusto? Ti piaaaaaaaaace» allungò la vocale, cercando di dimostrare in che modo Nami dovesse piacergli.

Nemmeno su questo si sentì di mentirgli o dargli una risposta confortante per placarlo.

«A dire il vero sto cercando di capirlo» disse, e in quel momento Chopper si fermò.

«Stai dicendo che vi siete baciati ma non sai se Nami ti piace in quel senso?» allargò le braccia, come se non fosse accettabile una risposta di quel genere.

Zoro avvertì di nuovo il senso di colpa attanagliarlo, in maniera tutt'altro che piacevole.

«No, sto dicendo che...» come faceva a spiegare a Chopper che non poteva essere tutto bianco o tutto nero? E che poteva esistere un certo tipo di attrattiva, senza coinvolgimento romantico? Si sorprese persino del pensiero, dato che non poteva certo dirsi il massimo esperto in quel settore. Era certo che Sanji sarebbe stato in grado di tenere un'intera lezione, a riguardo.

«Sto dicendo... che sto cercando di capire come mandare avanti questa cosa», preferibilmente senza danni.

«Se tu e Nami doveste litigare questa volta sarebbe per davvero!» esclamò tutto d’un tratto Chopper «Non potrei mai sopportare l'idea di non vedervi più assieme o che non parliate mai più o...»

«Ehi, frena! Frena, Chopper», disse accucciandoglisi di fronte, prendendolo per le spalle. Il suo trasporto era così sincero e la sua espressione così addolorata che sentì lui stesso una sottospecie di morsa allo stomaco.

«Non ho intenzione di combinare disastri. E sono sicuro che in qualsiasi modo di svilupperà questa cosa, Nami ed io continueremo e restare amici. Farò di tutto perché non succeda l'irreparabile», cercò di tranquillizzarlo e forse persino di tranquillizzare se stesso, «ci tengo molto a lei. Davvero molto»

Nel dirlo si rese conto che era così vero da fare male. E che forse era la prima volta che lo esternava così apertamente. Per quello doveva andarci coi piedi di piombo, per quello doveva essere sicuro di quello che stava facendo. Non poteva assecondare un obbligo, e non poteva, di contro, minimizzare il fatto che potesse davvero provare per lei qualcosa di diverso dall'amicizia. Doveva capire se stesso e doveva farlo in fretta.

«Davvero?»

Zoro sorrise.

«Davvero» si rimise in piedi, dandogli un buffetto sotto al mento. «Adesso riprendiamo a correre o hai intenzione di fingere di voler conversare per non finire l'allenamento?»

«Voglio correre!» si rianimò con una certa rapidità.

Non gli servì spronarlo oltre.

 

-

 

Il dubbio amletico della mattinata di Nami era se sistemare lo scaffale dell'usato in ordine alfabetico per autore... o per argomento e autore. Nel secondo caso sarebbe stato un lavoro doppio. Ma di certo le avrebbe tenuta impegnata la mente molto più a lungo.

La cosa interessante era che Genzo le aveva dato carta bianca a riguardo. Si era detto così soddisfatto del suo lavoro che aveva deciso di darle alcune responsabilità nell'allestimento. Cosa che l'aveva oltremodo lusingata ma che l'aveva costretta a interrogarsi se fosse davvero ponta per quel salto di qualità. Oppure semplicemente Genzo era pigro e preferiva delegare.

Di certo quel lavoro le avrebbe impegnato tutta la mattinata. Se non oltre.

Così i minuti passavano, fra un autore russo dal nome impronunciabile, a un pensiero imprigionato nella penombra di un'aula audiovisivi. Fra un argomento che poteva essere una via di mezzo fra cucina e giardinaggio, alla rievocazione del sapore di un bacio.

Si era sentita avvampare improvvisamente e a più riprese nei giorni precedenti, al ricordo di quello che era successo nemmeno una settimana prima. Si era persino chiesta se fosse successo davvero. Il fatto che non avessero mai più toccato l'argomento, lei e Zoro, aveva determinato quell'evento come qualcosa di sospeso nel tempo. Intoccabile. Sì, era vero che gli atteggiamenti erano impercettibilmente cambiati, che Zoro le sembrava più attento e gentile nei suoi confronti, ma questo costante camminare sui vetri stava cominciando a darle un tantino sui nervi. Possibile che nessuno dei due trovasse il coraggio di dire le cose come stavano? In che modo era evoluto il loro rapporto? Cosa erano diventati? Cosa si aspettavano di diventare? Dovevano davvero diventare... qualcosa? Di diverso da quello che erano, s'intende.

La verità era che Nami non vedeva l'ora accadesse di nuovo. Baciarlo. Ed essere baciata. Perché sì, le era piaciuto. E le era piaciuto in modo tutt'altro che svenevole. Le era piaciuto in senso fisico, impudico, le era piaciuto tanto da chiedersi come avesse fatto a metterci tanto per darsi una scrollata di dosso in quel senso.

La stupida danza del girarci attorno, dei corteggiamenti senza senso, delle etichette che le coppie erano solite darsi per determinare qualcosa di ben specifico... era qualcosa che non le s'addiceva. Certo, se Zoro avesse proposto delle alternative lo avrebbe preso in considerazione. Zoro le piaceva davvero molto. Ma non era disposta a sacrificare la loro amicizia in nome di un indefinito rapporto ibrido che non portava da nessuna parte, che anzi, sembrava aver compromesso quella loro spontaneità. Quella che le piaceva tanto, che la faceva sentire viva.

Avrebbe voluto baciarlo di nuovo e al diavolo le etichette.

Se ne stava così, seduta sul suo trespolo a fantasticare sull'alfabeto e lasciar vagare la mente sulle scelte impulsive che le avevano aperto un mondo enorme e pieno di possibilità, che non si accorse dell'ingresso di un nuovo acquirente.

Sentì per poco solo le voci sommesse di sotto e poi delle risate.

Genzo doveva aver trovato pane per i suoi denti.

Si volse appena, sbirciando dalla ringhiera dall'alto della sua posizione privilegiata, solo per rendersi conto che il nuovo acquirente non era nient'altro che sua madre e che quello che stava ridendo in modo piuttosto accondiscendente altri non era che Genzo.

Fece per richiamare la madre e farsi notare, nel momento più alto della sua carriera, quando le sembrò di intromettersi in qualcosa di piuttosto intimo.

Parlottavano così vicini che sembravano due ragazzini alla loro prima cotta. Genzo non osava quasi guardarla, Bellmer lo affrontava, spavalda ma con un sorriso che era certa di non averle mai visto.

Forse fu la nuova consapevolezza di se stessa, della complessità dei suoi sentimenti, del portale che si era spalancato nel suo subconscio al suo primo bacio, che comprese che c'era qualcosa di molto complesso in atto: a Genzo piaceva sua madre. E la cosa doveva essere reciproca.

Per poco non si lasciò sfuggire di mano il libro che stava cercando di sistemare. Lo posò con delicatezza e si ritrasse, indecisa se indagare oltre o tossire e palesare la sua presenza.

Ora diversi nodi cominciavano a venire al pettine: il fatto che sua madre avesse parlato così tante volte di lei a Genzo, del fatto che Genzo ci avesse tenuto a sottolineare spesso che no, ancora era scapolo, ma la vita riservava sempre grosse sorprese a qualsiasi età. Al fatto che Bellmer di tanto in tanto avesse ripreso a truccarsi e almeno una volta a settimana uscisse la sera... e il giorno successivo Genzo ci tenesse a dire che aveva fatto le ore piccole.

Sua madre e il suo principale uscivano insieme ed erano forse... innamorati? Da quanto tempo andava avanti? E cosa più importante: come la faceva sentire questa cosa? Confusa, stranita... un po' tradita? Non che pensasse che sua madre non meritasse di rifarsi una vita ma perché non gliene aveva parlato?

Si diede una librata in fronte, a punirsi di essere giunta a conclusioni affrettate. Non poteva esserne certa e non poteva giudicare la cosa senza prima aver dato a sua madre la possibilità di darle spiegazioni.

E poi in fondo... nemmeno lei aveva detto a qualcuno in famiglia che aveva infilato la lingua in bocca, in modo del tutto inappropriato, a quel suo amico che sua madre e sua sorella chiamavano il samurai. Per via del kendo, certo, ma pure per via di quella sua espressione sempre troppo seriosa. Quindi come poteva rimproverare a sua madre di non averle parlato di... Genzo?

Sospirò esasperata, chiedendosi come sua madre potesse anche solo pensare di baciare qualcuno con quei baffi. Il pensiero la disgustò a tal punto da decidere che avrebbe continuato a lavorare in silenzio, finché non si sarebbero ricordati di lei.

 

-

 

Zoro aveva appena finito di fare la doccia. Dopo aver mollato Chopper aveva deciso di allungare il percorso di una mezz'ora; a passo sostenuto e con il caldo del sole primaverile aveva faticato più del solito.

Si era concesso una colazione abbondante, in completa solitudine, solo per scoprire che Koshiro aveva passato l'intera mattinata rinchiuso al dojo, a giudicare dai rumori che provenivano da lì.

Aveva deciso di lasciarlo ai suoi allenamenti, finché non si era reso conto che i rumori erano cessati da un pezzo e l'uomo non riemergeva.

Si spinse fino alla palestra, deciso a dare solo una sbirciata, quando la porta scorrevole venne bruscamente aperta da qualcuno che chiaramente non era Koshiro.

Un ragazzo più grande di lui, dalla carnagione chiara, capelli scuri e un paio di impressionanti occhiaie a cerchiargli gli occhi. Quando il tizio alzò una mano per scusarsi di averlo preso alla sprovvista si rese conto che sfoggiava uno sfacciato tatuaggio sul dorso della mano. E altrettante lettere tatuate sulle dita.

«Scusa, non sapevo fossi qui dietro» disse con voce ferma e vagamente scocciata, decidendo di scansarlo e superarlo, senza ulteriori spiegazioni.

Zoro avrebbe voluto chiedergli molto poco signorilmente chi diamine fosse, ma la voce di Koshiro all'interno, riconoscendolo, lo richiamò prima ancora che potesse mettere in atto i suoi propositi.

Entrò nel dojo che puzzava vagamente di fatica e sudore. Sembrava che i due si fossero allenati assieme.

«Non sapevo avessi compagnia...» disse, cercando spiegazioni, senza dovergliele estorcere esplicitamente.

Koshiro si limitò a sorridere e sistemare gli shinai al loro posto, sulle pareti.

«Contavo di parlartene più tardi. Hai fatto colazione?» si preoccupò. Come al solito prima la sua salute.

«Sì... certo» gli rispose, vagamente perplesso e con una sgradevole sensazione di déjà-vu. Dove aveva già vissuto una situazione simile? Ah sì, quando quella nerd di Tashigi si era presentata al dojo, implorando il suo maestro ad allenare anche lei.

«Non dirmi che anche quello è venuto qui per estorcerti lezioni» gli venne spontaneo chiedergli, prima ancora di pensare.

Koshiro si prese tutto il tempo di sistemare le ultime cose in palestra, decidendosi poi a raggiungerlo accanto all'ingresso.

«No. Nessun tentativo di estorsione», sembrò deridere il termine alquanto azzardato, «sono stato io ad invitarlo per un allenamento e un colloquio»

«Un colloquio per cosa?» chiese, piuttosto perplesso della piega della situazione.

«Ho pensato che fosse arrivato il momento di avere un nuovo allenatore al dojo, da solo non riesco più a gestire tutto. E per di più, ho pensato di farti cambiare partner di allenamenti, Zoro»

Aveva capito male o cosa?

«Chi? Quel vampiro tatuato?»

Koshiro rise apertamente al suo livore.

«No, sul serio. E Tashigi che fine fa?»

«Tashigi continuerà ad allenarsi con noi. Ma non sarà più il tuo riferimento per le prossime settimane»

Zoro si sentì vagamente sconcertato. Che diavolo era preso di nuovo a Koshiro? Cos'era quest'improvvisa e repentina apertura al mondo esterno? Quale cavolo era il suo piano, adesso? Certo, si era imposto di fidarsi di lui e dei suoi metodi, ma gli risultava difficile se non gli diceva le cose, se non gli parlava mai delle sue intenzioni.

«E sentiamo, che cosa avrebbe questo tizio che Tashigi non ha?»

Koshiro sorrise di nuovo, recuperando il suo serafico contegno.

«Il caos» disse.

Gli picchiettò una mano sulla spalla, prima di superarlo a sua volta.

«Comincia la prossima settimana. Hai tempo per abituarti all'idea»

Zoro si sentì fremere con qualcosa di molto simile all'irritazione ma si impose, ancora una volta, di soffocarla. Non voleva ricadere nello stesso errore in cui era caduto la prima volta con Tashigi. Doveva fidarsi.

«Posso almeno sapere chi è? Da dove viene, come si chiama?»

«Oh sì. Il suo nome è Trafalgar Law. Un ottimo kendoka. Frequenta l'università cittadina. Ti divertirai un sacco, ne sono sicuro»

Trafalgar Law, aveva detto? Dove aveva già sentito quel nome?

 

-

 

Il lunedì successivo Zoro non aveva fatto altro che assumere un atteggiamento indisponente. Persino Sanji se ne era tenuto alla larga per tutta la durata delle lezioni.

In pausa pranzo Rufy si era sorbito i suoi sproloqui su questo universitario dall'aria spocchiosa che non vedeva l'ora di prendere virtualmente a calci, durante i prossimi allenamenti. Al contrario di Zoro la cosa aveva animato Rufy positivamente. Probabilmente non riusciva a capire cosa ci fosse di così fastidioso nel trovare un nuovo, imprevedibile avversario. Zoro non era propriamente contrario a quell'atteggiamento e dopo una buona ora di dibattito era arrivato alla conclusione che forse l'irritazione per l'arrivo di un nuovo intruso al dojo, andava di pari passo con l'eccitazione in previsione di una nuova sfida. Dannato Rufy e quel suo entusiasmo.

 

Nami aveva avuto la riprova della concitazione di Zoro quello stesso pomeriggio. Era passato a trovarla alla fine delle lezioni, come da consuetudine, da qualche giorno a quella parte.

Si era offerto di accompagnarla quando gli aveva detto che avrebbe dovuto portare delle fotocopie nell'aula di musica, su commissione della professoressa, per la lezione del giorno successivo. E si era sorbita altrettanti sproloqui. Zoro non era mai stato tanto loquace.

Sorrise persino dei fantasiosi epiteti che sembrava aver trovato per quel Law. La cosa positiva era che questa volta si era preoccupato di raccontarglielo e non aveva dovuto scoprire dell'ennesimo novità al dojo per vie traverse. In quel caso magari avrebbe frainteso persino il suo rapporto con il nuovo arrivato. La cosa le strappò una risata non prevista.

«Che hai da ridere?» le domandò aprendole la porta dell'aula, facendola passare in un gesto di galanteria non richiesto, ma che Nami non si preoccupò di rifiutare.

«Niente. Sembra che tu abbia trovato un’altra nemesi»

«Chi? Quello yakuza mancato? Non diciamo cazzate»

Nami avvicinò la cattedra e sistemò le copie degli spartiti accanto al leggio.

«Vampiro, ronin fuoricorso, settimana enigmistica, yakuza...» elencò divertita «gli altri modi in cui lo hai chiamato me li sono scordati. Però è la prima volta che sento tanta dedizione nel trovare nomignoli a qualcuno di cui non ti importa nulla. Sanji potrebbe essere geloso»

Zoro fece schioccare la lingua innervosito ma Nami sapeva di aver colto nel segno.

«Ti prendo in giro, dai» ci tenne a precisare, non era proprio dell'umore adatto per discutere.

«Okay, forse non dovevo parlare così tanto di questo tizio» Zoro si limitò ad appellarlo in modo piuttosto neutro.

«Ah, non devi trattenerti, ti ascolto volentieri» gli disse, appoggiandosi alla scrivania, incrociando le braccia al petto, come a invogliarlo a continuare. Fuori dall'aula il vociare della squadra di calcio, al campo lì vicino.

«No, ho finito» concluse intransigente, restando fermo sul posto.

Nami si maledisse un po' per aver interrotto il momento con una puntualizzazione idiota.

«Okay, allora adesso tocca a me...» disse, cercando disperatamente un qualsiasi argomento di conversazione. Non voleva far morire la cosa come stava succedendo un po' troppo spesso negli ultimi giorni. Esauriti i momenti di chiacchiere generiche finivano per crearsi imbarazzanti silenzi. Era sempre stata abituata a restare in silenzio con Zoro, ma quelli che avevano sperimentato di recente non nascevano dall'agio, ma dal puro semplice impaccio di cose non dette.

«Credo che mia madre stia frequentando qualcuno»

Zoro alzò uno sguardo su di lei, un po' sorpreso dalla confidenza, ma forse non dalla rivelazione.

«Tua madre è ancora giovane» sembrò dare il suo benestare alla faccenda, avvicinandola alla cattedra.

«Sì, lo è» sospirò consapevole.

«Non ti piace l'idea che si rifaccia una vita?» le domandò più schiettamente.

Nami si strinse nelle spalle. Zoro una volta le aveva confidato che gli sembrava strano che Koshiro non avesse mai pensato a rifarsi una famiglia. L'idea sembrava terrorizzarlo, da una parte. Ma le aveva detto che si era sentito un egoista a credere che avere solo lui, come famiglia, potesse davvero bastargli. La possibilità però non si era mai concretizzata e Zoro non aveva più toccato l'argomento. Perciò Nami non si sorprese che... capisse.

«In realtà ero sicura sarebbe capitato, prima o poi» gli lanciò uno sguardo arreso, «solo non mi aspettavo fosse proprio con il mio capo»

Zoro sgranò gli occhi.

«Arlong?!» esclamò con aria da scemo e per un attimo Nami si ritrasse spaventata.

«No, cretino, Genzo!» gli disse, dandogli una sberla in fronte. Come poteva essere rimasto tanto indietro? E sì che l'aveva persino accompagnata alla libreria una volta. Certo, a Genzo non lo aveva presentato. In che modo avrebbe dovuto farlo? Ti presento un amico? Il mio ragazzo? Il mio... coso? Quante stupidaggini.

«Oh, sì, giusto. È che ancora sogno quei panini»

«Se non la finisci di lodare i panini di Arlong ti porto da lui e gli chiedo di farti suo schiavo. Gli piacerebbe»

Zoro le rispose con un'espressione schifata, poggiandosi alla cattedra.

«Non sapevo avesse tendenze sadiche»

«Oh, non credo si possano elencare in un intero manuale le tendenze di quel pazzoide, credimi»

«Perché, ha mai azzardato qualcosa... ?» le domandò, osservandola. Nami si rese conto che le stava chiedendo, in modo tutt'altro che velato, se avesse osato tentare qualcosa di poco carino... con lei.

«No», preferì stroncare sul nascere qualsiasi dubbio, «con me faceva solo lo stronzo. Ma grazie per averlo chiesto»

«Non lo avrei risparmiato per degli stupidi panini, questa volta»

Nami sorrise.

«Oh, mio cavaliere...»

«Piantala»

Nami osservò la mano che lui aveva posato sulla cattedra. Una mano grande che non aveva mai davvero considerato come parte del corpo particolarmente attraente, ma che ora sembrava essere messa lì per essere ammirata. E per un attimo sentì il desiderio di stringerla. Poteva farlo certo, ma poi che cosa sarebbe successo? Che cosa gli avrebbe detto per giustificare quel gesto? Sai, Zoro, era lì e l'ho trovata così sexy che mi è venuta voglia di toccarla.

«Che stai guardando?» le chiese all'improvviso, distogliendola dai pensieri indecenti sulla sua... mano.

«Niente. Pensavo.»

«A cosa?» Zoro sollevò la mano come si fosse reso conto che, quella parte specifica, fosse in realtà l'obiettivo delle sue perversioni.

«Al fatto che vorrei baciarti di nuovo» le uscì, seguendo un flusso tutt'altro che logico. O coerente. O composto.

Era già pronta a ritrattare o buttarla sul ridere, quando incrociò di nuovo il suo sguardo. E la tentazione di smentire i suoi propositi morì esattamente in quell'istante.

Sentì proprio quella mano perversa, afferrarle il viso e attirarla a sé. Quello successivo di nuovo la sensazione delle sue labbra sulle proprie. E tutto il resto trovò l'incastro perfetto, così come era successo l'ultima e unica volta. Accolse quel bacio come una vittoria, un lenitivo che finalmente le diede sollievo.

Si sollevò sulla punta dei piedi per raggiungerlo, le braccia che gli finivano sulle spalle, le mani ad afferrargli i capelli, finalmente.

Finalmente.

 

Zoro dovette rivedere alcune delle sue considerazioni del fine settimana. O a ridimensionare le paranoie.

Nel momento esatto in cui Nami aveva dichiarato di volerlo baciare, si era reso conto che era esattamente ciò che desiderava anche lui. Che lo aveva desiderato molto negli ultimi giorni ma aveva cercato di non pensarci, per rispetto, o vai a capire per quale altro motivo idiota.

Nami lo aveva costretto a piegarsi in modo innaturale pur di raggiungerlo e lui non era riuscito a pensare a una protesta. Gli stava ancora tirando i capelli e, invece di insultarla, continuava a baciarla.

Significava che quello che Nami gli stava facendo gli piaceva? O era solo Nami a piacergli? La risposta probabilmente era sì a entrambe le domande. E gli piaceva tanto da essere disposto ad essere scoperto, in una sperduta aula di musica dell'ala ovest della scuola, aggrovigliati come radici di mangrovia.

Era necessario indagare che nome dare alla natura dello sviluppo del loro rapporto? Probabilmente no. E se anche fosse, al momento non era sicuro avrebbe avuto la lucidità necessaria per pensare ai termini esatti.

Perché quello non era esattamente la replica di quel timido, timoroso bacio nell'aula di audiovisivi. Forse era l'atmosfera dell'aula di musica e le note imprigionate in quelle pareti, ma gli sembrava di sentire casse rullanti al posto del cuore e poi un po' più giù, dove non era gradito specificare.

 

Quando si vide costretta a riprendere fiato, Nami sentì immediatamente la mancanza delle sue labbra. Teneva ancora gli occhi chiusi e avvertiva vicinissimo il suo respiro caldo, la fronte poggiata alla sua, come non sapessero più come sorreggerla, altrimenti.

Socchiuse gli occhi quando ritrovò il coraggio per farlo. La paura di disintegrare un attimo tanto speciale. Osservò le sue labbra, umide e arrossate, si chiese se anche le proprie avessero quell'aspetto. Le sfiorò con un dito, curiosa di saggiarne la consistenza in modo tattile. Zoro aveva le labbra sottili, le piacevano.

Quando il battito accelerato del suo cuore sembrò placarsi gli posò un altro paio di baci leggeri sulle labbra e poi all'angolo della bocca, come non ne avesse davvero avuto abbastanza, ma consapevole che non avrebbero potuto continuare ancora a lungo.

Fosse stato e possibile lo avrebbe baciato fino a consumargliele quelle labbra. Si chiese quanto le fosse concesso prendersi di lui, prima di risultare egoista.

«Possiamo non aspettare un'altra settimana prima di rifarlo?» le uscì in una nota un po' scordata. La voce che era andata a farsi benedire così come il suo equilibrio.

Lo guardò annuire, sentendosi liberata di un peso. Si erano ripromessi di dirsi tutto, o quasi, perché diavolo ci ricascavano sempre in quella danza sui cocci?

Si era persino resa conto di aver artigliato con una mano la camicia e avergliela sgualcita. Fece una smorfia e cercò di lisciarla all'altezza del petto, senza rendersi conto di far peggio che meglio.

«Se non la smetti di toccarmi così va a finire male» lo sentì pronunciare e per poco non le andò di traverso la saliva. Esplose in una risata liberatoria.

«Ci siamo ritrovati in situazioni più imbarazzanti, in passato» si preoccupò di dirgli, non senza quel vago senso di imbarazzo che ancora permeava la scena. La mano la lasciò scivolare via, per evitare di alimentare la faccenda.

«Vero, ma in passato non c’era mai stata la tua lingua ad esplorarmi i denti»

Nami si sentì avvampare.

«Zoro l'odontoiatra!» gli tirò un pugno in pancia, facendolo arretrare. Sebbene non fosse stato un campione di delicatezza non poté che ringraziarlo per aver di nuovo alleggerito l'atmosfera.

«Credevo ti fossi addolcita» protestò, massaggiandosi la parte colpita.

«Per questo?» alluse indicando le proprie labbra, «ci vuole altro per addolcirmi. Tipo offrirmi un gelato.»

«Tipo ora?»

«Tipo quando usciremo da scuola, sì»

«Okay...» la squadrò pensieroso, «tipo un... appuntamento?»

«Un cosa... ?» sbloccò una risata.

«Lascia perdere. Va bene»

«Vuoi che ti chieda un appuntamento?» insistette lei perché improvvisamente la storia stava diventando interessante, ed estremamente divertente.

«Non lo so, forse dovrei farlo io.»

«Dovresti, certo...» gli rispose, sarcasticamente «e dovresti prima chiedere a mia madre il permesso di poterlo fare. Anzi... in realtà, visto che ci siamo già baciati, non credi sia il caso di capire quando fissare la data del matrimonio? A me piace l'estate, ma possiamo arrivare a un compromesso...»

«Piantala»

Si rese conto che le piaceva vederlo in imbarazzo. Ed era certa che quella premura non fosse nemmeno farina del suo sacco. Chissà chi gli aveva fatto credere di dover fare le cose per bene, con lei.

«È così facile prenderti in giro, non è nemmeno divertente» sorrise, dandogli tregua. Allungò di nuovo le mani, attirandolo a sé per quella camicia, che era già sgualcita, perciò tanto valeva.

«Non ho bisogno di un appuntamento. Se a te piace passare del tempo con me, a me piace fare altrettanto... insomma, c'è bisogno di formalizzarlo?»

Zoro si strinse nelle spalle.

«Vorresti sentirmi dire che sono la tua ragazza?» gli sussurrò, pentendosene immediatamente. Le sembrava veramente stupido detto a quella maniera. Le sembrava di sminuirlo.

«Non vorrei che dicessi proprio un bel niente...» rispose lui, guardandola dritta negli occhi, «non sei... mia, in un bel niente. Ma… non lo so. Io... credo solo cominci a piacermi quello che siamo insieme»

Ora sì che lo sfarfallio allo stomaco aveva davvero trovato ragion d'essere.

«Piace anche a me...» gli rispose in un soffio.

Non dovette specificare, questa volta, di volere un altro dei suoi lunghi baci.

   
 
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