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Autore: Bruhduck    12/11/2023    0 recensioni
[La ballata dell'usignolo e del serpente, Seianus/Marcus]
Marcus definirebbe sé stesso come un ragazzo di pietra, duro come il marmo: così è cresciuto nel Distretto Due, aspro e freddo come la sua gente, così Capitol City l'ha fatto crescere.
Sopravvissuto all'arena e curato segretamente da Seianus Plinth, cittadino di Capitol, ma fieramente fedele al suo distretto d'origine, Marcus si ritrova coinvolto nella fuga disperata da Panem di Seianus e di altri ribelli.
Nel corso di questo duro viaggio, Marcus si ritroverà a fare i conti con il proprio passato e con il suo rapporto con Seianus, amico e cotta dei tempi infantili.
Davvero gli anni di assenza e i silenzi hanno cancellato l'affetto tra questi ragazzi? E davvero Marcus non prova più nulla verso Seianus?
Il marmo, per quanto duro al tatto, è in realtà morbido e malleabile, perfetto per essere scolpito. Forse anche il cuore di Marcus, all'apparenza così duro, potrà farsi plasmare da un dolce sentimento che ha trattenuto per anni.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ho trovato una quantità di contenuti sulla coppia Seianus/Marcus incredibilmente bassa su Internet. Dunque mi sono detta: “Bene, se non riesco a trovare fanfiction su Marcus e Seianus, allora me ne farò una tutta mia, con blackjack e squillo di lusso.”
E perciò, in occasione dell’imminente uscita nelle sale del nuovo film, ecco una fanfiction sulla coppia Seianus/Marcus.
Avvertenze sul contesto prima di leggere: questa storia è un what if che diverge in modo importante dal romanzo.
  1. Marcus è sopravvissuto all’arena. E voi mi direte, con tutte quelle ferite? Ehm, sì, è… è il potere dell’amore.
  2. Seianus e Coriolanus sono rimasti più tempo al Distretto 12 come Pacificatori: un anno intero, non solo pochi mesi come nel libro.
  3. Mi sono immaginata Corio meno stronzo rispetto al canone, quindi Seianus e Marcus sono riusciti a fuggire con i ribelli alla volta del Distretto13.
Basta con i preamboli e buona lettura.


 
1

 
Marcus non aveva ancora ben capito come diavolo fosse arrivato a quel punto, come potesse la sua vita essere crollata tanto velocemente.
Era colpa di quei bastardi di Capitol City, naturalmente, fin lì ci arrivava. La colpa era sempre loro. Ricordava che lo diceva in continuazione, suo padre, che di quella gente non ci si poteva in alcun modo fidare; e lui, il suo buon padre, doveva pur saperlo, dato che in quella corrotta città ci aveva vissuto per un periodo, per motivi di lavoro, e, come ringraziamento per i suoi servizi, durante la guerra si era ritrovato una gamba mozzata e la conseguente impossibilità di lavorare per mantenere la propria famiglia.
Ma proprio non capiva perché il mondo fosse stato così crudele nei suoi confronti da strapparlo dalla sua amata casa, per poi condurlo in quella dannata città, in un’arena mezzo morto, nella camera degli ospiti di una delle famiglie più ricche di Capitol, nel Distretto 12 ed ora in un bosco in compagnia di un gruppo di imbecilli a correre verso chissà quale orribile morte.
Non sapeva, però, se doveva essere grato o meno al mondo di avergli permesso di rimanere in vita ancora un po’. Il fatto che non fosse morto quel giorno di un anno prima nell’arena era stato un vero e proprio miracolo, e non sapeva quale divinità avrebbe dovuto ringraziare per tutto ciò.
Su questo, a dire il vero, un’idea ce l’aveva, ma stentava ad accettarla.
Ebbene, tale divinità era poco più bassa di lui, aveva un bel viso sano e una spruzzatina di lentiggini sulle guance, grandi occhi marroni, come i suoi capelli corti, una faccia da ebete e una fastidiosa tendenza a frignare per qualsiasi cosa; e in quel preciso momento si trovava proprio davanti a lui, mentre gli stringeva il polso nella piccola e curata mano, una mano tipica di chi non ha mai dovuto sgobbare un solo giorno della propria vita. E, come ciliegina sulla torta, era pure uno dei bastardi di Capitol che gli avevano rovinato la vita.
Beh, Marcus aveva sempre dubitato dell’esistenza di queste fantomatiche divinità che popolavano il mondo prima del Disastro, ma, anche se ne fosse esistita una, si aspettava certamente di meglio.
“Tutto bene, Marcus? Ce la fai ancora a camminare?” Chiese il suo presunto dio salvatore, con la sua vocina delicata e colma di preoccupazione che lo mandava in bestia. Marcus si degnò di alzare gli occhi verso il ragazzino davanti a lui, il quale strinse ancora di più le dita sul suo polso, affondandovi le unghie, ma senza causare il ben che minimo dolore o fastidio a Marcus.
I suoi occhi color nocciola lo guardavano con apprensione e con quella nauseante dolcezza che lo caratterizzava fin da bambino. Marcus avrebbe tanto voluto tirargli un pugno, come ogni singolo giorno; tuttavia, come ogni singolo giorno, si astenne: sia perché non ne aveva la forza fisica, sia perché prendere a pugni uno che si preoccupava per lui non era esattamente una cosa carina.
Ad ogni modo, si rifiutò di rispondergli, limitandosi ad un grugnito che doveva simboleggiare un’affermazione. L’altro annuì, deluso ma per nulla stupito del suo mutismo; ormai doveva esserci abituato. Il ragazzo ritornò quindi a guardare davanti a sé, procedendo nella propria folle corsa, nella quale si era trovato trascinato anche Marcus.
Seriamente, che domanda era? Anche se non fosse riuscito a camminare, che si aspettava di fare, quel mollusco? Portarselo sulle spalle? Era fuori discussione: Marcus non era esattamente un peso leggero, non importava che l’altro fosse un Pacificatore ben addestrato. Non ce l’avrebbe fatta comunque. Perché non rifletteva mai prima di dire o fare qualcosa, quell’idiota? Avrebbe potuto avere di sicuro una vita più tranquilla, se solo avesse avuto un minimo di cervello.
E, cosa più importante di tutte, dove diamine stavano correndo?
L’Idiota e i suoi compagni ribelli del Distretto 12 avevano parlato di “scappare a nord”, perché ormai erano “tutti incastrati” e pareva che in questo “nord” ci fossero “delle persone”.
Sì, forse avrebbero incontrato gli scheletri dei vecchi abitanti del Distretto 13, se fossero stati fortunati; oppure, in caso contrario, qualche belva uscita da un laboratorio e pronta a sbranarli.
Già era un miracolo il fatto che fossero riusciti a svignarsela, ma adesso che avrebbero fatto?
Se fossero stati attaccati da un qualche animale selvatico? Se fossero stati uccisi dalle radiazioni del Tredici? Se effettivamente avessero incontrato delle persone, che però si sarebbero rivelate poco amichevoli? Se il biondino che li aveva aiutati a fuggire fosse andato a fare la spia, e i Pacificatori li avrebbero riportati al Dodici, per poi impiccarli?
L’ultima ipotesi era quella che spaventava di più Marcus, ed era anche quella più probabile.
Va bene, il biondo si era sempre dimostrato gentile con lui, era il migliore amico dell’Idiota e li aveva aiutati a fuggire, ma c’era qualcosa in quel ragazzo che proprio non gli piaceva. I suoi occhi di ghiaccio avevano un non so che strano. Di inquietante, in un certo senso.
Una delle rarissime volte in cui Marcus si era sforzato d’intavolare una vera e propria conversazione con l’Idiota, aveva provato ad esporgli la sua diffidenza verso quel “Corio” che l’altro ragazzo tanto adorava; ma stava parlando con l’Idiota, quindi non ne ricavò alcun risultato. E, sia chiaro, non l’aveva fatto perché era in qualche modo preoccupato per lui, semplicemente non voleva rischiare di ritrovarsi appeso ad un albero dopo essere scampato alle torture e all’arena.
Pensando a tutto ciò, Marcus, inconsapevolmente, strinse a sua volta la mano dell’Idiota, il quale subito se ne accorse e, dopo un momento di stupore, gli sorrise dolcemente. Solo a quel punto, Marcus realizzò quel che aveva fatto, e voltò lo sguardo con fare infastidito.
L’Idiota fu abbastanza intelligente da tacere, ma continuò a sfoggiare quello stupido sorriso.
Marcus si trattenne ancora una volta dal tirargli un pugno, provando a lasciargli la mano, ma, con sua grande sorpresa, qualcosa dentro di sé gli impedì di farlo.


Dopo un’altra oretta di corsa, il gruppo si concesse un attimo di pausa. Si fermarono vicino ad un ruscello per rifornirsi di acqua e un paio di ragazzi si misero alla ricerca di qualche pesce. Il loro capo, quello dal nome ridicolo, e sua sorella montarono la guardia, mentre gli altri quattro raccolsero un po’ frutta dagli alberi circostanti.
L’Idiota finalmente gli lasciò la mano e Marcus avvertì subito la mancanza di calore che il suo palmo gli trasmetteva. Il ragazzo doveva essersi accorto del suo attimo di smarrimento e gli sorrise nuovamente, portandogli una mano sul braccio e l’altra sul petto, proprio sul cuore. Lo condusse con gentilezza vicino ad una roccia e gli disse di sedersi. Marcus obbedì perché, anche se non voleva darlo a vedere, quella corsa l’aveva distrutto e non sapeva per quanto tempo avrebbe ancora potuto reggersi in piedi.
L’Idiota tirò fuori dalla sua borsa il materiale medico e cominciò a strofinargli piano il viso con un panno umido, per poi applicargli le solite pomate sulle innumerevoli ferite. Mentre lo faceva, blaterava che “Corio” avrebbe fatto in modo di avvertire le loro famiglie di quanto successo e che presto avrebbero avuto una vita migliore.
Marcus non ascoltava minimamente; entrò invece in una specie di trance, cullato dal tocco caldo e delicato dell’altro, e dalla sua voce che gli parlava in tono amorevole.
Per quanto mal sopportasse l’Idiota, doveva ammettere a denti stretti che quei momenti in cui si prendeva cura di lui non gli dispiacevano. Si sentiva sereno, tranquillo, come se entrasse in un’altra dimensione, nella quale esistevano solo loro due, e niente o nessuno poteva fargli alcun male.
L’altro gli accarezzò lievemente la guancia e Marcus stava cadere in un dolce sonno, quando una voce alquanto fastidiosa lo svegliò dal suo torpore.
“Seianus! Blum si è fatta male!”
Gli occhi di Seianus si allontanarono da lui, per andare a posarsi sulla ragazza ferita. Tale Blum corse verso di loro tenendosi il braccio sanguinante, mentre tentava invano di mostrarsi forte e trattenere le lacrime. Doveva avere un paio d’anni in meno di loro, e portava i capelli corvini legati in una lunga coda di cavallo.
“Che è successo?” Gridò in modo allarmato l’uomo che, a quanto aveva capito Marcus, era suo padre.
“Ha voluto fare il fenomeno arrampicandosi troppo in alto, ma è scivolata lungo il tronco e si è sgrappata completamente il braccio.” Sbuffò infastidito un ragazzo dalla pelle scura e il viso ricoperto di cicatrici, che doveva avere la stessa età del loro leader, Spruce.
Blum era quella a cui Marcus aveva dato un minimo di attenzione in più rispetto agli altri solo perché per la maggiorparte del viaggio non aveva fatto altro che lamentarsi delle gambe che dolevano, del caldo e delle punture di zanzara. Una piagnucolona di prima categoria, esattamente come l’Idiota che ora gli intimava di aspettare solo un secondo, per dedicare la sua completa attenzione alla ragazzina.
Marcus sentì una sensazione di fastidio annidarsi in lui, cosa che crebbe ulteriormente nel vedere il modo tenero con cui l’Idiota tamponava, disinfettava e fasciava la ferita della ragazza, rassicurandola, mentre lei lo fissava come un ebete.
Marcus si rese subito conto di quel sentimento e se ne vergognò profondamente.
No, non doveva cascarci. Non doveva farsi trasportare da sentimenti vecchi che ormai aveva sepolto da tempo. Questo si era detto quando aveva rivisto Seianus dopo dieci anni, allo zoo di Capitol.
Quello era solo un bastardo di Capitol City, uno che aveva contribuito a rendere la sua vita e quella di tanti altri un inferno, uno che aveva voltato le spalle al suo distretto per fare la bella vita nella capitale. Uno che, nonostante tutto quello che era successo tra loro, ancora si ostinava a voler ricucire il loro rapporto.
Ma loro due non avevano proprio alcun rapporto, si trattava solo un’amicizia infantile; forse era sbocciata una piccola cotta, d’accordo, ma gli anni erano passati e qualunque cosa ci fosse stata ormai non aveva più alcun valore, non per lui.
Seianus Plinth era solo un povero sciocco, un illuso, e Marcus non aveva alcuna intenzione di lasciarlo entrare nuovamente nella sua vita.
Quando l’Idiota ebbe terminato con la ragazzina, che cominciò a balbettare una serie infinita di ringraziamenti, manco le avesse salvato la vita, riportò la sua completa attenzione su Marcus, il quale si era imposto di mantenere un’espressione di totale indifferenza.
Poteva sembrare infantile, in effetti, ma era come se dicesse a Seianus: “Lo vedi? Non mi importa affatto che tu ti prenda cura di altre persone. Per me averti vicino o meno non cambia assolutamente nulla.”
L’Idiota aggrottò un momento le sopracciglia e Marcus continuò a sforzarsi di mantenere freddo il suo sguardo, anche se in realtà in quel momento si sentì nudo di fronte all’altro ragazzo, che di sicuro doveva avergli letto in qualche modo nel pensiero. Dannato bastardo… Come faceva a capire cosa provava ogni santa volta?
Essendosi evidentemente accorto dell’ostentazione d’indifferenza di Marcus, l’Idiota sfoggiò un sorrisino da perfetto scemo, poi si chinò nuovamente sulla sua borsa. A quel punto lo guardò dritto negli occhi e gli intimò in un sussurro: “Togliti la maglietta.”
La maschera di pietra di Marcus vacillò per un istante. L’Idiota si rese conto anche di questo e ridacchiò, tirando fuori un altro flacone e agitandolo davanti al viso.
“Devo metterti questo.” Precisò il ragazzo. Marcus fece un profondo respiro, dandosi del cretino per la sua reazione eccessiva, e fece come gli era stato detto.
L’Idiota si arrampicò sulla sua stessa roccia e si mise in ginocchio dietro di lui, cominciando ad applicargli la pomata lungo la ferita che gli aveva lasciato la scure della ragazza del Distretto 7 che aveva cercato di finirlo nell’arena, ma evidentemente aveva esitato all’ultimo momento, perché la sua arma non aveva lasciato alcuna ferita fatale e non aveva fatto altro che prolungare quell’agonia, fino a quando non era stato soccorso da Seianus e il suo amico biondo, che l’avevano trascinato via da quell’inferno e poi, fingendo che fosse un cadavere, l’avevano portato e curato di nascosto presso la casa dei Plinth.
Marcus strinse tra le mani la maglietta grigia e un po’ troppo larga persino per uno come lui, che Seianus gli aveva comprato. Il ragazzo, al Distretto 12, lo aveva riempito di vestiti nuovi, cibo e oggetti per la casa: ogni volta che lo andava a trovare, nei giorni liberi, aveva sempre tra le braccia un dono nuovo, che comprava con il suo magro stipendio da Pacificatore.
Marcus sapeva che avrebbe dovuto ringraziarlo per questo, ma ogni volta che ci provava le parole gli morivano in gola, quindi taceva. Non voleva dare a quell’altro un qualche segnale di apertura, non voleva dargli quella soddisfazione, anzi, voleva fargli capire che non se ne faceva niente della sua pietà; inoltre, non avrebbe saputo pronunciare la parola “grazie” neanche volendo. Non a lui, ne sarebbe morto per la vergogna, lo sapeva.
Eppure l’Idiota continuava imperterrito a portargli roba tutte le settimane.
Il fatto che uno come Seianus Plinth, tutto sorrisi e gentilezze, fosse un Pacificatore, poi, faceva ridere. Infatti, secondo Marcus, aveva fatto bene ad addestrarsi come medico. Lo capiva dal suo tocco delicato, dall’attenzione con cui portava a termine ogni singola operazione, dalla sua gentilezza. Sin da piccolo, si era convinto che Seianus fosse venuto al mondo proprio per prendersi cura degli altri: fare il medico era il lavoro perfetto per lui.
E poi, almeno così avrebbe avuto qualche utilità come Pacificatore; Marcus sapeva che Seianus era sempre stato un ottimo tiratore, dato che suo padre lo costringeva ad allenarsi con lui, quando era bambino. Tuttavia, sparare non era certo nella sua indole: probabilmente, sarebbe stato uno di quelli che, durante una sommossa o addirittura in una guerra, si rifiutano categoricamente di colpire qualcuno.
“Finito, puoi rivestirti.” Disse il ragazzo alle sue spalle. Marcus si rimise la maglia in silenzio.
Spruce riunì tutti e disse che avrebbero continuato a spostarsi verso nord fino al calare della notte, senza mai fermarsi. Dovevano assolutamente aumentare la distanza dal Dodici, erano ormai trascorse diverse ore, c’era il rischio che qualcuno si fosse già accorto della loro assenza.
Marcus non potè far altro che alzarsi sulle gambe ancora doloranti e seguire quelli che ormai erano diventati i suoi compagni di sventura.


Finita quella breve pausa, la squadra “Andiamo-a-morire-ammazzati” riprese la sua marcia, ovviamente senza sapere di preciso verso quale dannata meta stessero andando.
L’Idiota doveva aver capito che non lo voleva intorno, dopo che Marcus aveva troncato sul nascere ogni suo tentativo di avere una conversazione, quindi si era spostato più avanti a confabulare con Spruce, il padre di Blum e un altro tipo. Lui era rimasto indietro insieme a Blum e al tizio con le cicatrici, che Marcus aveva scoperto chiamarsi Morb. Davvero, che diavolo di nomi avevano al Dodici?
Davanti a loro c’erano Lil e altri tre tizi di cui Marcus ancora non conosceva il nome.
Il ragazzo del Due guardava dritto davanti a sé, per nulla intenzionato ad avere un qualche tipo di scambio con Blum e Morb, ma purtroppo quest’ultimo decise che poteva essere una buona idea rompergli le scatole.
Con quella sua voce cavernosa, il ragazzo gli disse: “Allora, da quanto tempo vi conoscete?”
L’intenzione iniziale di Marcus era quella di ignorare del tutto quell’essere molesto, ma, non avendo compreso la domanda, si ritrovò istintivamente a chiedere: “Cosa?”
“Sì, insomma, tu e il Pacificatore.” Rispose Morb con un sorrisetto che a Marcus non trasmetteva nulla di buono. “Anche lui viene dal Due, no? Mi sembra che siate molto amici.”
Il modo in cui disse “amici” era palesemente ironico, e Marcus sentì la sua maschera d’indifferenza sul punto di crollare un’altra volta. Tuttavia, fu abbastanza freddo da non cogliere la provocazione e si limitò a grugnire infastidito, sperando che fosse sufficiente per convincere quel rompiscatole a desistere.
Sfortunatamente non fu così.
“Dai, so che veniva spesso a trovarti in quell’appartamento in cui eri ospitato.” Morb allargò ancora di più il suo sorriso, mettendo in mostra i denti in gran parte scheggiati. “Seianus ci ha raccontato di te, lo sai? Che vieni dal suo distretto, che eri un tributo e che sei sopravvissuto all’arena. E’ stato davvero coraggioso da parte sua mettersi contro Capitol ed entrare in quella gabbia di belve per salvarti. Un vero cavaliere!”
“Un vero stupido, semmai.” Marcus non seppe trattenersi. Che ne sapeva quel tipo di Seianus? Di Marcus? Di loro due, della loro storia?
“Può darsi, ma un gesto d’amore rimane comunque un gesto d’amore.” Morb scoppiò in una risata gutturale. Pareva divertirsi sul serio a prendersi gioco di lui.
“Chiudi il becco.”
“Seianus è gentile con tutti.” La vocina di Blum si levò timidamente, attirando l’attenzione dei due ragazzi e zittendo la risatina irritante di Morb.
Dato che non ci furono interventi, la ragazzina continuò: “Lo vedevo spesso in giro a curare le persone ferite, o anche solo a dare una mano in piccoli lavori. E’ così gentile con tutti, ti fa sentire al sicuro. Anche a me ha trasmesso la stessa sensazione, prima. Ma il modo in cui guarda te… Credimi, non lo fa con nessuno.”
“Lo so come mi guarda.” Marcus si pentì delle sue parole nel momento stesso in cui le pronunciò, ma non riuscì davvero a tacere. Al diavolo la sua maschera di pietra, era rimasto zitto troppo a lungo su quella questione.
Dopo un attimo di silenzio, decise che il danno ormai era fatto e continuò: “So quello che prova, anche un cieco lo capirebbe. Ma io non ho bisogno di un traditore.”
“Marcus, non aveva altra scelta!” Ribattè stizzita Blum, che a quanto pare si era presa abbastanza confidenza da cominciare a chiamarlo per nome, manco fossero amici.
 “Intanto, però, la bella vita a Capitol se l’è goduta. Mentre noialtri ce ne siamo rimasti a morire di fame, a sgobbare e ad ammazzarci in un’arena.”
Marcus fece un profondo respiro per calmarsi. Non valeva la pena perdere le staffe proprio adesso. “Comunque, questo non vi riguarda. Plinth è un’idiota, che non riflette mai prima di agire, si fa prendere troppo dalle emozioni e così si farà solo ammazzare. Mi sorprende che non sia ancora schiattato, in realtà. E comunque, no, non è del Distretto 2. E’ solo un bastardo di Capitol City.”
Durante tutto il suo discorso, Morb era rimasto in silenzio, a sogghignare. Alla fine, emise un’altra specie di risatina, che pareva più un grugnito, e terminò la conversazione dicendo: “Mh, in effetti no, non direi che appartiene al Distretto 2. Ma non lo direi nemmeno un cittadino di Capitol City.
E poi, scusami ma, è vero che la bella vita se l’è goduta finchè ha potuto. Ma è anche vero che ha rinunciato a quella vita per te.”
Marcus non seppe come rispondere.


Erano le prime ore dell’alba, Marcus poteva sentire il tenue calore dei raggi del sole che filtravano attraverso la fitta vegetazione. A quel punto erano ben distanti dal Distretto 12, anzi, secondo lui avevano addirittura sorpassato il confine, entrando in una di quelle che chiamavano “zone fantasma”, aree tecnicamente sotto il controllo di Panem, ma che non appartenevano a nessun distretto e in cui generalmente non metteva piede nessuno.
Si trattava di quelle strisce di terra che dividevano un distretto dall’altro e in cui erano presenti le rovine delle antiche città americane esistenti prima del Disastro, che il governo di Panem non si era mai degnato di toccare.
Quelle città fantasma rimanevano semplicemente lì, vuote e fredde, come a ricordare a tutti che, prima di Panem, l’umanità aveva un passato, di sicuro ben più felice del presente, ma gli esser umani, stupidi e arroganti, si erano privati di quel prospero passato, privandosi così anche della possibilità di un presente e un futuro felici.
Marcus ebbe la conferma della sua teoria quando, finalmente, la vegetazione cominciò a diradarsi, e il gruppo spuntò in un prato pianeggiante, oltre al quale si poteva scorgere, in lontananza, lo scheletro di una vecchia cittadina abbandonata.
Marcus non sapeva quale fosse, non che gli importasse. Era semplicemente contento di essere relativamente al sicuro. Si bloccò, rilassando finalmente i muscoli. Le gambe gli procuravano un dolore atroce, per non parlare delle vecchie ferite, che dolevano come se fossero appena state inferte.
Gli altri rimasero in silenzio, limitandosi a guardarsi l’un l’altro, soddisfatti. Anche se i Pacificatori del Dodici si fossero accorti della loro assenza, difficilmente si sarebbero spinti così lontano, di sicuro non per correre dietro ad una cricca di minatori disperati. Inoltre, se erano giunti alla “zona fantasma”, voleva dire che erano vicini al Distretto 13. E nessuno si avvicinava al Tredici.
Le autorità del Dodici si sarebbero semplicemente limitate a lasciarli andare, confidando che le radiazioni del vecchio distretto gli avrebbero presto ammazzati, mentre avrebbero insabbiato la vicenda, per evitare folli emulazioni da parte di altri cittadini.
Il problema, però, adesso, era proprio il Distretto 13.
Siamo scappati dall’inferno solo per rientrarci dalla porta su retro, pensò Marcus. A questo punto, l’unica cosa che possiamo fare è andarcene dal Paese e sperare che a nord ci sia ancora qualche essere umano. Ma per farlo…
“Ci siamo lasciati alle spalle il Dodici, ma non Panem.” La voce tagliente di Spruce fece sparire i loro sorrisi dalle labbra, dando voce ai pensieri di tutti. L’uomo indicò verso l’orizzonte, l’oltre il prato, oltre la città fantasma. “So che sembra strano dirlo, ma il pericolo più grande arriva solo ora.”
Marcus completò mentalmente la sua frase. Dobbiamo per forza attraversare il Tredici.
“Ma a questo penseremo più tardi.” Spruce si passò una mano tra i capelli sudati, esausto. Li guardò uno ad uno, osservando la stanchezza negli occhi dei suoi compagni. Quando arrivò a Marcus, aggrottò leggermente la fronte e lo squadrò da cima a fondo. “Dobbiamo riposare, almeno per qualche ora.”
Evidentemente si era reso conto del dolore in tutto il corpo che Marcus provava a celare, perché subito dopo fece un cenno a Seianus, il quale si agganciò al braccio di Marcus e cominciò a borbottare sul fatto che dovesse assolutamente fare una dormita.
Marcus sbuffò, liberandosi dalla sua presa e sdraiandosi per conto suo sui morbidi fili d’erba. Sempre nascosto dietro la sua maschera di pietra, tentò di ignorare sia lo strazio che fu quella semplice operazione per il suo corpo sia lo sguardo ferito dell’Idiota, che lo guardava di sottecchi torturandosi le mani. Probabilmente si stava struggendo perché non era ancora riuscito ad avere una conversazione decente lui.
Ad ogni modo, Marcus non aveva certo tempo da perdere pensando che forse con il suo modo di fare stava leggermente ferendo i sentimenti di Seianus, cosa che gli importava poco, perché il suo unico desiderio in quel momento era chiudere gli occhi e dormire.
Volare via da quel posto, da quei rimbambiti dei suoi compagni di sventura, dal pericolo, dal dolore, da tutto.

E Marcus volò via, lontano da lui, per atterrare nella sua vecchia casa, al Distretto 2.
Non era una bella casa, in realtà: si trattava di una di quelle piccole abitazioni grigie poste in una fila di tante altre case completamente uguali, con i muri e il tetto rovinati dall’intemperie, i vetri ricoperti costantemente dalla polvere proveniente dalle cave circostanti.
Era la tipica casa triste e anonima che si poteva trovare al Distretto 2. Ed era anche la tipica casa di una famiglia di semplici cavatori di marmo, piccola e che dava l’impressione di crollare da un momento all’altro. Eppure Marcus l’amava, perché, nel clima di paura e violenza in cui era stato costretto a crescere, rappresentava per lui l’unico porto sicuro.
Il Distretto 2 sorgeva su quelle che un tempo erano chiamate Montagne Rocciose. Era una zona inospitale e dal clima aspro, che poteva essere abitata solo da gente dal corpo e il cuore di pietra, esattamente come la pietra che scavavano ogni giorno.
Ed erano proprio così gli abitanti del Distretto 2: abituati al combattimento, alla caccia e al duro lavoro sin da piccoli, sembravano non piegarsi mai di fronte a nessuna difficoltà e uscivano da ogni situazione a testa alta, una smorfia di fredda indifferenza sul viso era il loro strumento migliore per fronteggiare le avversità.
Per questo Marcus pensava di essere il prodotto perfetto del suo distretto: forte, duro come il marmo che la sua famiglia scavava da generazioni, immobile di fronte ad ogni tipo di intemperie.
Gliel’avevano insegnato i suoi concittadini, a fianco ai quali si sentiva parte di qualcosa, non più solo di fronte alla tirannia di Capitol City. Gliel’aveva insegnato suo padre, che, nonostante la perdita di un arto, non si era spezzato, ma aveva sempre affrontato la vita di petto. Gliel’aveva insegnato sua madre, che non ci aveva pensato due volte a prendere in mano la situazione famigliare dopo la terribile tragedia accaduta al marito.
E adesso lui, Marcus, aveva il compito di impartire le stesse lezioni a sua sorella minore, Fulvia, la quale mai avrebbe dovuto farsi abbattere dai tentativi di Capitol City di terrorizzarla e spezzare la sua giovane anima. Mai avrebbe dovuto piegarsi al perverso gioco della morte di Capitol, né temerlo.
Adesso Marcus non si trovava più in un luogo dimenticato dal resto del mondo, non c’erano cicatrici a coprire il suo corpo. Era a casa, seduto al tavolo con la sua famiglia.
Sua madre si lamentava del lavoro, di tanto in tanto, ma raccontava anche aneddoti divertenti successi al mercato; suo padre restava per gran parte del tempo in silenzio, ma era comunque ben presente, annuendo ogni tanto e sorridendo lievemente. Qualche volta Fulvia commentava divertita, e parlava di questo o quel ragazzo a scuola, mentre sua madre affermava, con un finto broncio in volto, che aveva una gran voglia di cucinare una bella torta per un matrimonio e che quindi avrebbero dovuto entrambi sposarsi alla svelta.
Ma io qualcuno da sposare già ce l’ho.
Questa frase sfuggì dalle labbra di Marcus senza che lui nemmeno se ne rendesse conto. Sbatté un paio di volte le palpebre, insicuro sul significato delle parole da lui stesso pronunciate. Che diavolo stava dicendo? Aveva avuto solo un paio di esperienze, spinto dai suoi amici tra l’altro, ma non erano finite molto bene. Il suo sguardo era troppo truce e il suo comportamento troppo duro persino per le rudi ragazze del Distretto 2.
Stava per giustificarsi per quell’assurda affermazione, quando si rese conto che nessuno gli aveva dato attenzione. I suoi genitori e Fulvia continuavano a parlare come se niente fosse, ma Marcus non riusciva a distinguere le loro parole, erano come un insieme di versi gutturali che si sovrapponevano l’un l’altro.
Marcus non era più seduto al tavolo della sua amata casa. Era in piedi, insieme a migliaia di altri ragazzi della sua età, moltissimi anche più giovani. Erano tutti in silenzio.
Un nome. In quel silenzio tombale si udì solamente un nome.

Marcus Lane!

Il corpo di Marcus adesso era diventato davvero pietra. Ma come? Perché non riusciva a muoversi?

Marcus!

Quelli del suo Distretto non affrontavano tutto con fredda spavalderia, anche la morte? Era ciò che gli aveva sempre detto. Era ciò che lui aveva sempre detto a sé stesso.

Marcus!

Dov’era la sua maschera ora? Perché l’aveva abbandonata proprio in quel momento? Non avrebbe dovuto proteggerlo fino alla fine?

Marcus!

Ho capito, volete me! E’ il mio sangue che dev’essere versato per mantenere la vostra “pace”? E va bene, vi accontenterò!

Il suo corpo tornò a muoversi. Un passo, due passi, camminava verso il palco, attorno a lui nessuno aveva il coraggio di guardarlo in faccia, si limitavano a contemplarsi le scarpe malconce, lasciandogli libera la strada che l’avrebbe condotto alla morte.
Non poteva sottrarsi al loro gioco, non poteva contrastarlo attivamente. Poteva fare solo una cosa per combattere, per poter lasciare il mondo dicendo: “Non mi sono piegato davanti a nessuno”.

Marcus!

Non gli avrebbe fornito nessuna soddisfazione, nessun sadico spettacolo.
Lui era Marcus Lane, non il loro giocattolino. Avrebbero potuto prendersi il suo corpo, il suo sangue, la sua vita, ma non avrebbero mai potuto prendersi Marcus, il sua anima, la sua personalità, tutto ciò che era stato fino a quel momento.
Quindi che lo affamassero, picchiassero, torturassero o uccidessero, ma lui a Capitol, in quell’arena, non avrebbe mai perso sé stesso.
 
Marcus… Marcus!

Ma perché tra tutti proprio io?

“Marcus!”
Marcus sollevò le palpebre di scatto. Le sue iridi scure si spostarono freneticamente da un lato all’altro del suo campo visivo, in cerca di una qualche minaccia. Si rilassò solo quando vide al suo fianco il viso di Seianus, contratto in un’espressione estremamente preoccupata.
“Ti stavi agitando molto, quindi, ho pensato di svegliarti…” Borbottò l’Idiota, chinandosi su di lui. Marcus sbatté per un paio di secondi gli occhi, per poi sbuffare sonoramente e sollevarsi a sedere, in modo da allontanare un minimo l’altro ragazzo, che si stava sporgendo in modo fin troppo invadente.
“Ti senti b-”
“Torna a dormire.” Rispose secco Marcus, senza guardarlo negli occhi. Fissava un punto vuoto di fronte a sé, oltre le sagome dei compagni addormentati intorno a loro. Più avanti vide Morb, seduto a fare la guardia, mentre scrutava l’orizzonte con aria annoiata. Al suo fianco c’era Blum; anche lei avrebbe dovuto montare la guardia, ma pareva essersi addormentata.
Marcus si riteneva fortunato che fosse così buio da far fatica a vedere oltre il proprio naso, perché era fermamente convinto che la sua espressione tradisse il suo sgomento.
Si era mostrato debole di fronte a Seianus Plinth, la persona che più di tutte non poteva vedere oltre la sua maschera di pietra. Marcus si diede mentalmente del cretino più volte, mentre tentava in tutti i modi di ignorare le domande sempre più insistenti dell’Idiota.
“Ma sei davvero sicuro che non vuoi nemmeno un po’ d’acqua? Posso-”
“Puoi fare cosa?” Marcus davvero non lo sopportava più. Il suo tono premuroso e amorevole gli faceva davvero venire la nausea. “L’unica cosa che puoi fare è tacere e lasciarmi in pace.”
“Ma-”
“Ma niente!” Ruggì Marcus. Sussultò, rendendosi conto di aver alzato un po’ troppo la voce, e lanciò un rapido sguardo ai compagni stesi sul terreno. Fortunatamente, nessuno diede segno di essersi svegliato. Tirò un sospiro di sollievo: dovevano rimanere fuori da quella storia, a tutti i costi.
Tornò ad utilizzare un tono di voce freddo e distaccato: “Sai cos’ho sognato? La mietitura, ecco cosa. Ciò che mi ha rovinato la vita, tutto per il divertimento di voi pazzi malati di Capitol City.”
“Io non sono di Capitol!” Protestò l’Idiota, come se Marcus avesse ferito il suo orgoglio.
“Ah, no?” Marcus avrebbe solo voluto ignorarlo come aveva sempre fatto, ma sentiva che prima o poi il momento di affrontare quella questione doveva arrivare. Ed era arrivato. Doveva mettere le cose in chiaro con Plinth subito. Ora o mai più.
“Però non ti lamentavi, eh? Ti piacevano il tuo lussuoso appartamento, mentre noi al Due vivevamo in quelle catapecchie grigie e tristi. E scommetto che il cibo a tavola non ti mancava mai, anzi, non badavi agli sprechi, perché tanto di cibo ne avevi fino a scoppiare. Al Due ci accontentiamo della colazione e della cena. E poi i gioielli, gli abiti firmati... Frequentavi la scuola migliore del Paese, no? Mentre noi appena finite le medie veniamo spediti nelle miniere o nell’esercito.”
Marcus terminò il suo sfogo, col respiro pesante. Rimase sorpreso di sé stesso, dal momento che probabilmente quello era il discorso più lungo che avesse mai fatto in tutta quanta la sua vita. E aveva dovuto sprecare tutto quel fiato per l’Idiota.
Evidentemente anche quest’ultimo era rimasto scioccato dalla sua loquacità. Era rimasto zitto e immobile per tutto il tempo, e adesso non fiatava.
L’ho zittito… Incredibile, non l’avrei mai detto.
Marcus non poteva vederlo, ma lo sentì muoversi nel buio, mentre si allontanava da lui. Bene, finalmente l’ha capita.
Il ragazzo si sdraiò nuovamente, cercando di ignorare una strana sensazione di fastidio che cominciava ad annidarsi nel suo cuore. Ma che problema c’era? Finalmente l’Idiota si era deciso a lasciarlo in pace, era ciò che desiderava da un anno, o no?
Dovette ricredersi quando, un paio di minuti dopo, la luce di una lanterna si accese a fianco a lui e vide Plinth sedersi accanto al suo giaciglio, con una scatola tra le mani e un sorriso triste sul volto.
Ma porca…!
“Che vuoi ancora?” Marcus era davvero incredulo. Sapeva che quell’Idiota fosse più testardo di un mulo, ma questo era veramente troppo! Quale parte della frase “Devi lasciarmi stare” non capiva?
“Volevo solo mostrarti una cosa. Poi prometto che ti lascerò dormire.” Rispose l’altro ragazzo, allargando il suo sorriso. Ma negli occhi leggeva la sua esitazione e anche un certo timore. Non timore di Marcus, naturalmente, quell’Idiota sapeva bene che lui non gli avrebbe fatto del male, si trattava di una paura diversa, più profonda.
La paura di essere rifiutato.
Quel pensiero colpì Marcus all’improvviso. Il ragazzo non sapeva di preciso da dove fosse uscito, ma poi pensò di averlo capito perché conosceva bene quel sentimento. L’aveva provato anche lui, tanto tempo fa.
Una parte di Marcus avrebbe solo voluto ignorarlo e dargli la schiena, ma l’altra parte era sinceramente curiosa. Vinse quest’ultima e il ragazzo si alzò a sedere, incrociando le braccia in attesa che il compagno si decidesse a parlare.
L’Idiota parve sorpreso di quell’improvvisa apertura nei suoi confronti, perciò decise di farsi audace e strisciò più vicino a Marcus, che non si mosse.
Aprì la scatola e vi estrasse una vecchia foto, che porse a Marcus. Quest’ultimo l’afferrò, osservandola con un certo stupore. Era la loro classe delle elementari, al Distretto 2.
Marcus riconobbe sé stesso e, davanti a lui, Seianus. Era passato così tanto tempo, erano successe così tante cose, eppure loro due non erano cambiati di una virgola. Seianus era il solito ragazzino frignone e sentimentale, sempre gentile con tutti; Marcus era burbero e chiuso, ma sempre pronto a dare una mano a chi se lo meritava.
L’aveva tenuta per così tanto tempo…? Ma allora, forse, Plinth non dava solo aria alla bocca quando parlava di quanto gli mancava il Due. Forse, i suoi sentimenti erano sinceri.
Marcus scacciò quel pensiero. Anche se fosse, ormai l’Idiota era col nemico: i ricordi d’infanzia, i sentimenti, erano potenti, sì, ma non potevano niente contro la bella vita offerta da Capitol City.
“Bene, ti manca il Due, questo l’ho capito.” Commentò freddamente Marcus, porgendogli nuovamente la foto. “Ora posso tornare a dormire?”
Seianus affondò di nuovo la mano nella scatola e tirò fuori un altro oggetto.
Marcus alzò gli occhi al cielo. Stava per dirgli di darsi una mossa con quella sceneggiata, ma, non appena posò lo sguardo su ciò che l’altro teneva in mano, si congelò sul posto.
Un cuore di marmo. Non era tagliato perfettamente, in effetti era abbastanza deformato in certi punti, ma si trattava comunque di un buon lavoro, dato che era stato realizzato da un bambino di soli otto anni.
 
“Marcus, che stai facendo?” La voce di sua madre proveniva da un giorno lontano della sua infanzia. La donna si avvicinò curiosa al figlio, osservando il suo lavoro.
“E’ un cuore.” Rispose semplicemente il piccolo Marcus.
“Oh, questo lo vedo, ma per chi?” Sua madre ridacchiò, attirando l’attenzione del marito, che sedeva sulla poltrona leggendo un giornale. “Dai, chi è la fortunata?”
Marcus guardò di sottecchi la madre, leggermente imbarazzato. “Non è una bambina.”
A Panem, le relazioni tra persone dello stesso sesso erano la norma, perciò, generalmente, la gente le accettava. Tuttavia, questo era possibile solo entro certo limiti: infatti, non era possibile sposarsi con qualcuno del proprio sesso, dal momento che, per il governo, la preoccupazione principale era che i cittadini sfornassero abbastanza figli per il lavoro. Quindi, le relazioni omosessuali andavano bene, ma, raggiunta una certa età, era preferibile organizzare un matrimonio serio e fare figli.
La donna, in un primo momento, guardò perplessa il figlio, sbattendo le palpebre, ma tornò quasi subito a sorridere: “Mh. Capisco. Allora? Non mi hai ancora risposto.”
“Seianus.” Borbottò Marcus, quasi sottovoce.
“Seianus?”
“Sì, Seianus Plinth. Da grandi ci sposeremo.” Affermò convinto il bambino, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Ma non puoi sposartelo.” La voce profonda di suo padre aveva risuonato per tutta la stanza. Il suo tono di voce era calmo, come sempre, ma aveva la capacità di portare il silenzio in qualunque situazione.
Marcus non capiva. “Perché?”
“Beh, siete maschi. E poi, un Plinth non potrebbe mai stare con uno come noi. Siamo su livelli completamente diversi.” Il tono era lo stesso usato poco prima da Marcus, come se stesse dicendo un’ovvietà.
“Perché?” Il piccolo non voleva risultare fastidioso, ma ancora non comprendeva dove fosse il problema.
“Beh, perché… Insomma, Marcus, i Plinth sono ricchi e potenti, e per di più sono i lecchini di Capitol City.” Il padre di Marcus sputò fuori quest’ultima frase con un certo disprezzo, ma si rese subito conto di aver esagerato, perciò si ricompose alla svelta. “Quel che voglio dire, è che non c’entrano niente con una semplice famiglia di cavatori come noi.”
Ne aveva sentito parlare, di quanto fossero potenti i Plinth. Vivevano in una bella villa, così diversa dalle casette in cui Marcus e altre famiglie come la sua erano stipati. Inoltre, Seianus, a scuola, era sempre ben vestito, pulito e pettinato. Marcus e la maggiorparte degli altri bambini, invece, portavano sempre gli stessi abiti, anche se erano lerci, e le loro mani e i loro piedi parevano costantemente ricoperti di sporcizia, proveniente da chissà dove.
Per tutti questi motivi, Marcus si era a lungo chiesto se il legame tra lui e Seianus potesse effettivamente funzionare: sembravano così diversi!
Ma poi si era reso conto che a Seianus non importava nulla dei vestiti o della pelle sporca, della casetta grigia in cui viveva, o del fatto che nella sua famiglia fossero tutti dei banali cavatori di marmo.
E, allo stesso modo, a Marcus non importava che il suo amico vivesse in una villa, che fosse sempre ben curato, che la sua famiglia gestisse praticamente il mercato delle armi dell’intero Paese.
Si volevano bene, era questa la cosa importante.
“E allora? Io e Seianus andiamo d’accordo. E anche se alla fine non ci possiamo sposare, staremo sempre insieme. Ce lo siamo promessi.”
Suo padre lanciò un’occhiata a sua madre, e i due rimasero per qualche secondo a fissarsi l’un l’altra. Durante quel breve periodo di tempo, Marcus pensò che quei due stessero avendo un sorta di conversazione telepatica che lui non poteva comprendere.
Il bambino stava per ribadire la sua convinzione, quando venne bloccato da un evento più unico che raro: suo padre stava ridendo. Non era una risata sguaiata, si trattava di una risatina roca e gutturale, che lasciò il ragazzino esterrefatto.
“Allora impegnati bene con quel cuore.” Disse l’uomo, senza abbandonare il suo sorriso. “Di sicuro gli piacerà.”
Dopo qualche altro momento di smarrimento, Marcus riprese il suo lavoro con più fervore di prima.
 
“Ricordi?” Domandò Seianus, senza abbandonare il suo sorriso malinconico.
“Ricordo.” Rispose semplicemente Marcus.
“Quando me lo regalasti, io mi misi a piangere per l’emozione. E tu avevi paura che stessi piangendo perché non mi piaceva, allora ti ho abbracciato dicendo che lo adoravo e che l’avrei sempre tenuto con me.”
“Credevo che l’avessi dimenticato.”
“Anch’io credevo che tu l’avessi dimenticato.”
“No, io… Io ci ho ripensato qualche volta.”
Seianus lo guardò di sottecchi, stringendo ancora di più il cuore. “Quindi… Mi ha pensato in questi anni?”
“Sì.” La confessione era scivolata fuori dalle labbra di Marcus senza che lui potesse fermarle. Era così ovvio, no? Che lui avesse pensato a Seianus, almeno qualche volta.
Ma no, non doveva ammetterlo… Stava di nuovo perdendo il controllo.
“Ma non provo più niente, vedi di ficcartelo in testa.” Disse subito dopo. “E’ stata una storiella infantile. Diciamoci la verità: non avrebbe potuto funzionare già allora, eravamo troppo diversi. E potrebbe funzionare ancor meno adesso. Noi due non c’entriamo proprio nulla l’uno con l’altro.”
E’ la verità. Mio padre aveva ragione.
Ma Seianus non voleva demordere. “Me l’hai detto tu, una volta: la cosa importante è che ci volessimo bene, non importava quanto fossimo diversi. Adesso questa cosa non vale più?”
“Te lo ripeto di nuovo: io non provo più nulla.”
Assolutamente niente.
“E io ti ripeto che davvero mi manca il Due, che davvero odio Capitol City, e che davvero amo te.” Seianus aveva quasi urlato l’ultima frase, in un gesto di disperazione, una frase che rimbombò nella testa di Marcus per diversi secondi.
Non devi crollare. Non puoi farlo.
“Adesso smettila-”
“No!” Ora Seianus aveva le lacrime agli occhi. “Non sai quante volte ho pensato di andarmene di casa e venire a trovarti. Avrei rinunciato al lussuoso appartamento, al cibo a tavola ogni giorno, agli abiti firmati, alla scuola migliore del Paese, a tutto pur di poterti rivedere almeno una volta. Pur di poter tornare alla mia vera casa. Lo so che è egoista da dire, ma il giorno della mietitura, quando mi è stato detto che avrei fatto da mentore al tributo maschio del Distretto 2, ho sentito chiamare il tuo nome e ti ho visto salire sul palco, io… Io ho pianto per te, perché una così brava persona come te non si meritava una cosa simile, nessuno se lo merita. Però, allo stesso tempo, ho pensato che questa poteva essere la conferma che siamo fatti l’uno per l’altro. Che è stato il destino a riportarti da me.”
Marcus non disse nulla. Non poteva dire nulla, perché quando aveva scoperto che Seianus Plinth sarebbe stato il suo mentore ai Giochi, anche lui aveva pensato per un momento la stessa cosa.
Seianus, rivedrò Seianus! Ma subito dopo era tornato alla realtà e aveva capito che comunque la cosa non sarebbe durata a lungo, e che il Seianus che conosceva ormai era perduto, e al suo posto c’era solo un traditore, un cagnolino di Capitol City, un nemico di cui non poteva fidarsi. Nulla di più, nulla di meno.
Così Marcus si era convinto che stare lontani l’uno dell’altro fosse meglio per entrambi. Almeno così nessuno avrebbe sofferto.
Seianus posò una mano sulla sua e disse con voce tremante: “Anche se davvero non provi più niente… Io lo accetto. Davvero. Però… Non potremmo almeno provare a parlare? Mi fa troppo male il modo in cui mi guardi sempre.”
Marcus fu preso dall’improvviso desiderio di stringergli quella mano calda, ma lo represse. Si era detto che non poteva, non poteva cedere. Si tolse dalla presa di Seianus.
“Non rendere le cose ancora più difficili di quanto già non lo siano, Plinth. I miei sentimenti per te un tempo erano sinceri, adesso… Adesso non sono più sicuro di niente. Quindi ora lasciami in pace, e vattene a dormire.”
Seianus gli lanciò un ultimo sguardo ferito, ma alla fine annuì; posò il cuore nella scatola, spese la lanterna e si allontanò. Marcus tornò a sdraiarsi, ma per il resto della notte non riuscì a chiudere occhio. Le parole che gli aveva rivolto Seianus continuavano a ripetersi nella sua testa, tormentandolo.
“E io ti ripeto che davvero mi manca il Due, che davvero odio Capitol City, e che davvero amo te.”
Anch’io ti amo, pensò, per poi vergognarsene e arrossire quasi subito.
Perché non posso semplicemente lasciarti andare? Perché dev’essere tutto quanto così difficile?
   
 
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