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Autore: Bruhduck    15/11/2023    0 recensioni
[La ballata dell'usignolo e del serpente, Seianus/Marcus]
Marcus definirebbe sé stesso come un ragazzo di pietra, duro come il marmo: così è cresciuto nel Distretto Due, aspro e freddo come la sua gente, così Capitol City l'ha fatto crescere.
Sopravvissuto all'arena e curato segretamente da Seianus Plinth, cittadino di Capitol, ma fieramente fedele al suo distretto d'origine, Marcus si ritrova coinvolto nella fuga disperata da Panem di Seianus e di altri ribelli.
Nel corso di questo duro viaggio, Marcus si ritroverà a fare i conti con il proprio passato e con il suo rapporto con Seianus, amico e cotta dei tempi infantili.
Davvero gli anni di assenza e i silenzi hanno cancellato l'affetto tra questi ragazzi? E davvero Marcus non prova più nulla verso Seianus?
Il marmo, per quanto duro al tatto, è in realtà morbido e malleabile, perfetto per essere scolpito. Forse anche il cuore di Marcus, all'apparenza così duro, potrà farsi plasmare da un dolce sentimento che ha trattenuto per anni.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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2

 
Il mattino dopo, fra lui e Seianus pareva tornato tutto normale. Seianus gli mise la solita pomata sulle vecchie ferite e gli parlò con gentilezza, mentre Marcus gli rispondeva con grugniti e monosillabi. Ma quei gesti così abituali erano impregnati di un imbarazzo che Marcus percepiva bene e che lo metteva a disagio. L’altro ragazzo pareva aver seriamente perso le speranze di instaurare un’altra conversazione con lui, perciò, dopo le solite cure mediche, non gli aveva più rivolto la parola, preferendo rimanere in testa al gruppo a confabulare con Spruce e Lil.
A Marcus andava bene: mettersi a parlare con Seianus come se nulla fosse successo avrebbe reso il tutto ancora più imbarazzante, e non sapeva se sarebbe riuscito a mantenere il controllo sulle sue emozioni.
D’altra parte, non era affatto piacevole marciare al fianco di Morb, che aveva addosso un’espressione piuttosto sgradevole. Non faceva che guardarlo di sottecchi con un sorriso malizioso, per poi far vagare lo sguardo tra lui e Seianus, ridacchiando come un’idiota. Evidentemente aveva origliato ciò che si erano detti quella notte. Perlomeno aveva avuto la decenza di non fare commenti.
Passarono i seguenti tre giorni a camminare tra prati, città abbandonate e foreste, sostando solo per mangiare e dormire. Avevano ormai penetrato il territorio del Distretto 13 e sapevano che presto, oltre al problema delle scarse provviste, sarebbe arrivato anche quello delle radiazioni, una volta giunti nei pressi della centrali nucleari, colpite durante la guerra.
Nonostante tutto ciò, Marcus continuava a pensare all’altra sera. Si sentiva uno sciocco ragazzino alle prese con la prima cotta. Il discorso di Seianus non faceva che ronzargli in testa.
“Avrei rinunciato al lussuoso appartamento, al cibo a tavola ogni giorno, ai gioielli, agli abiti firmati, alla scuola migliore del Paese, a tutto pur di poterti rivedere almeno una volta.”
Così aveva detto. Ed era quello che aveva davvero fatto.
Ciò gli faceva pensare anche a quella dannata frase che gli aveva detto Morb. “Ha rinunciato a quella bella vita per te.”
Marcus l’aveva sempre saputo, ma non aveva mai osato far emergere dalla sua mente quel pensiero. Per lui Seianus doveva essere il traditore che si era schierato con Capitol City. Eppure aveva messo in pericolo la sua vita e quella della sua famiglia, aveva messo a repentaglio sé stesso e il suo futuro, aveva rinunciato ad un’istruzione di prima categoria, al prestigio, al denaro, al cibo in abbondanza, ai bei vestiti, alla fama, al successo. A tutto solo per salvargli la vita.
Avrebbe potuto restare in silenzio, lasciarlo morire lì, in quell’arena, sotto il sole cocente di luglio, e continuare a godersi la sua vita da ricco cittadino di Capitol. Ma non l’aveva fatto. Non l’aveva fatto perché quel dannato idiota non poteva proprio restare lontano dai guai, non poteva stare fermo, non poteva stare zitto. Non poteva lasciare che qualcuno soffrisse.
Per la prima volta dopo un anno, Marcus riuscì ad essere sincero con sé stesso e desiderò ardentemente correre verso Seianus e abbracciarlo, stringerlo forte, dirgli che era la persona migliore che avesse mai incontrato e che lui, Marcus, era stato un cretino a pensare il contrario.
Al diavolo i ribelli del Dodici e la sua dannatissima reputazione. Avrebbe tanto voluto essere felice e sereno per una volta nella fottuta esistenza, smetterla di fare la parte di quello forte.
Marcus non si sentiva affatto forte, forse non lo era mai stato. Perché sapeva che una persona forte non fugge dalle proprie paure e dai propri sentimenti, non si costruisce una barriera di pietra attorno per difendersi da essi.
Marcus accelerò leggermente il passo. La schiena di Seianus era così vicina, avrebbe dovuto fare altri due o tre passi e allungare il braccio per raggiungerla.
Avanti, fallo… Fallo! Lui ti capirà, magari ti perdonerà per aver fatto così schifo per un anno intero…
Ma non lo fece. E la schiena di Seianus si allontanò ancora di più.
“Che hai, ancora mal di gambe?” Disse rudemente Morb.
Marcus scosse la testa.
“Allora aumenta il passo, non possiamo permetterci di rallentare.”
Marcus e Seianus non si parlarono per tutto il resto della giornata, fino a sera tarda, quando il gruppo si accampò in una radura e Spruce decretò che a fare la guardia sarebbero stati proprio loro due.
Marcus cercò lo sguardo dell’altro ragazzo, ma Seianus evitò il suo. Per la prima volta, i ruoli si erano invertiti.
A Marcus fece male e comprese davvero quanto aveva ferito Seianus, con i suoi silenzi e i suoi sguardi mancati.
Gli altri si addormentarono alla svelta, mentre i due ragazzi si sedevano un po’ in disparte, senza dire una parola.
Marcus avrebbe voluto dire qualcosa, iniziare lui una conversazione, una volta tanto, ma non riuscì a dire nulla. Codardo, disse una vocina fastidiosa nella sua testa.
Dopo circa un’ora, fu Seianus a rompere il ghiaccio, come sempre.
“Mi dispiace per l’altra notte, va bene?” Disse nervosamente. “Non volevo metterti in crisi… Ecco, volevo solo che sapessi quanto tengo al nostro Distretto e, beh, a te. E che io non sono tuo nemico. Ecco tutto…”
Marcus avrebbe voluto dirgli che non doveva scusarsi, che quello a scusarsi avrebbe dovuto essere lui, perché non era mai stato in grado di comprendere il suo dolore, continuando invece a convincersi ottusamente che Seianus fosse diventato solo uno stupido ragazzino viziato di Capitol, quando tutto ciò che faceva in realtà rivelava proprio il contrario.
Ma ancora una volta non disse niente, limitandosi a fare un verso che avrebbe dovuto significare un assenso. Seianus tacque.
Dopo un altro po’ di imbarazzante silenzio, Marcus lanciò uno sguardo al compagno e si accorse che stava tremando. L’intero corpo era scosso dai tremiti e il ragazzo si passava in continuazione le mani sulle braccia, nel tentativo di scaldarsi.
Era la fine di giugno, eppure quella notte era particolarmente fredda.
Marcus però non aveva bisogno di scaldarsi, lui era abituato a soffrire il freddo, ma forse Seianus, a Capitol, si era dimenticato cosa volesse dire sopportare un clima ostile. O più probabilmente non l’aveva mai provato, dato che al Distretto 2 conduceva una vita tutt’altro che miserevole.
Marcus si guardò attorno e vide la propria coperta stesa in modo scomposto sull’erba. La fissò a lungo, immobile, decidendo sul da farsi.
Pensò alla prima volta in cui si erano parlati: ai tempi avevano entrambi sei anni, erano così innocenti, inconsapevoli delle rispettive differenze e degli orrori del mondo.
Marcus aveva esitato un po’ prima di avvicinarsi a quel ragazzino con le lacrime agli occhi, che si stringeva forte il ditino sanguinante. Tentando di risultare il più disinvolto possibile, picchiettò l’altro bambino sulla spalla.
“Ti sei fatto male?” Aveva chiesto Marcus.
L’altro annuì con i lacrimoni che gli scorrevano sulle guance arrosate. Era così tenero.
Scacciando alla svelta quel pensiero, Marcus prese una manciata di neve fresca da terra, per poi stringere tra le mani quelle più piccole dell’altro bambino, che arrossì maggiormente. La neve riuscì a lenire il dolore e Seianus lo ringraziò con dolcezza.
Marcus borbottò un secco “prego”, per poi allontanarsi. Per lui era stato un gesto naturale, aiutare qualcuno, ma il piccolo Seianus, che non aveva amici a causa delle posizioni politiche del padre, era rimasto evidentemente affascinato da tanta premura, cominciando così a seguirlo ovunque andasse.
Inizialmente, Marcus trovò fastidioso quell’atteggiamento, ma con il passare del tempo si affezionò a quel bambino.
Un piccolo gesto di aiuto aveva dato inizio alla loro relazione, magari un altro avrebbe potuto ripararla…
Ci rimuginò ancora per un paio di minuti e, alla fine, si disse che non poteva fuggire per sempre. Che lo volesse o meno, lui e Seianus ormai erano dalla stessa parte, perciò, anche se quasi di sicuro sarebbero morti entro poco, si convinse che avrebbe dovuto essere un minimo carino con lui, per ricambiarlo di tutte le sue cure e andarsene all’altro mondo senza rimpianti.
Sì, avrebbe dimostrato a Seianus e a sé stesso che non era uno stupido troll senza sentimenti.
Strinse fra le dita la coperta di cotone e, dopo aver trascorso un altro paio minuti a prepararsi psicologicamente, si voltò verso il compagno.
“Seianus.” Disse sottovoce. L’interessato girò di scatto il capo verso di lui, lo sguardo incredulo. Marcus si rese conto che era prima volta che lo chiamava per nome da… Beh, da quando erano bambini.
“S-sì?” Mormorò Seianus. Prese a tremare ancora di più, tuttavia Marcus non credeva che fosse a causa del freddo.
Il ragazzo si schiarì la gola, preferendo distogliere lo sguardo da quegli occhioni color nocciola che lo fissavano con tanto stupore. “Hai freddo?”
“Oh…” Fece Seianus. Gli occhi si spalancarono ancora di più e Marcus lo vide arrossire violentemente con la coda dell’occhio. Non si stava facendo strane idee, vero?
“Beh, sì, un po’ sì…”
Marcus avrebbe voluto mollare quella coperta e stringere quel corpo solido tra la braccia, per scaldarlo lui stesso. Proprio come quando erano piccoli, proprio come quando, al riparo da occhi indiscreti, si mettevano nel loro nascondiglio segreto, il magazzino delle scope della scuola, e rimanevano abbracciati a lungo, senza dire una parola, scaldandosi e confortandosi a vicenda, lontano dai rispettivi problemi famigliari, dalla guerra, da tutto quel mondo schifoso in cui si erano ritrovati a vivere.
Avrebbe voluto farlo, Marcus. Ma non è facile liberarsi della maschera di pietra che si indossa da tutta la vita.
“Tieni.”
E Seianus si ritrovò una coperta letteralmente scagliata in faccia. Marcus osservò per qualche secondo l’altro ragazzo, che non mosse un muscolo.
Infine, Seianus si tolse lentamente la coperta dal viso, rivelando un’espressione a dir poco furiosa, uno sguardo che Marcus gli aveva visto in volto solo quando s’infervorava per il trattamento dato alla gente dei Distretti.
“Marcus, tu... Tu…”
Marcus deglutì, strisciando all’indietro di qualche centimetro. Il dolce viso di Seianus era deformato dalla rabbia. Che aveva fatto di male?
“Tu sei davvero un deficiente!” Sbottò il ragazzo, facendo sussultare Marcus. “Ma perché non riesci a capire? Non ce la fai proprio ad essere sincero con te stesso e gli altri, una volta tanto? Prova ad affrontare i tuoi veri sentimenti, invece di nasconderti sempre dietro quella maschera da troll col cuore di marmo!”
E detto questo, Seianus gli rilanciò indietro la coperta. Poi, marciando a grandi falcate, raggiunse una roccia poco lontano e vi si sedette, con le braccia incrociate e imbronciato, come una divinità offesa.
Marcus rimase immobile, con la coperta tra le mani e un forte dolore al petto.
Sentì una risatina mal trattenuta provenire dal giaciglio di Morb.
“Pessima mossa.” Disse quest’ultimo con tono divertito.


Nei tre giorni seguenti Seianus non gli parlò nemmeno mentre gli metteva la solita pomata sul corpo.
Era strano: fino a pochi giorni prima Marcus si era rifiutato di intavolare una qualsiasi conversazione civile con Seianus, mentre quest’ultimo faceva di tutto per attirare la sua attenzione. Adesso, invece, Marcus non distoglieva mai lo sguardo da Seianus, pregandolo silenziosamente di parlargli, ma l’altro lo ignorava deliberatamente.
Marcus si sentiva un idiota. Ormai aveva accettato che lui e Seianus non fossero nemici, e aveva che accettato che i suoi sentimenti per il rampollo dei Plinth fossero ancora vivi, eppure non riusciva ancora a lasciarsi andare, a liberarsi di quella corazza di pietra dietro cui si nascondeva da sempre.
Si chiese come avesse potuto l’altro ragazzo innamorarsi di uno come lui. Seianus era gentile e premuroso, aveva un sorriso da regalare a tutti, era simpatico e affettuoso. Certo, era un piagnucolone e un piantagrane, ma non aveva alcuna paura di mostrare i suoi sentimenti e le sue opinioni al mondo, non gli importava di cosa avrebbero pensato di lui gli altri.
Marcus lo biasimava per questo: certe volte non si può semplicemente lamentarsi e fare casino di fronte alle cose che non ci piacciono, ma è necessario adattarsi e cercare di sopravvivere ugualmente.
Ma c’era un lato di lui che, invece, ammirava Seianus per questo lato del suo carattere, e avrebbe voluto essere come lui. Avrebbe voluto, ma era tutt’altro.
Non c’era da meravigliarsi che a Seianus piacesse tanto quel suo amico di Capitol, quel “Corio” di cui tanto parlava, mentre gli si illuminavano gli occhi.
A Marcus quel ragazzo non era mai piaciuto. In primo luogo, perché era di Capitol. E secondariamente, perché lo vedeva come una serpe opportunista, che si nascondeva dietro falsi sorrisi e gentilezze. Lo sapeva perché l’aveva osservato a lungo, durante il suo soggiorno al Distretto 12. Marcus aveva notato che Snow cambiava sempre espressione quando nessuno lo guardava, o meglio, quando credeva che nessuno lo guardasse.
Mentre si rivolgeva a qualcuno, sorrideva in modo affabile, dolce, ma non appena l’interlocutore distoglieva lo sguardo, il viso di Snow mutava immediatamente in una maschera d’indifferenza, gli occhi cristallini diventavano due abissi vuoti, senz’anima. Come se recitasse una parte di fronte agli altri e, non appena il pubblico se ne andava e lui rimaneva solo, tornava ad essere sé stesso, un uomo di ghiaccio.
Coriolanus Snow non comprendeva realmente cose come l’amore o l’affetto, ma era un maestro nel simularle, tanto che nemmeno Seianus riusciva a vedere dietro le quinte di quella recita. A volte, in realtà, se ne lamentava, al Distretto 12, in quelli che dovevano essere dialoghi, ma alla fine erano monologhi, poiché Marcus di rado gli rispondeva: Seianus diceva che Snow era simpatico, ma proprio non riusciva a comprendere come ragionasse a volte; in più avevano forti divergenze di opinione su Capitol e sul modo in cui i distretti avrebbero dovuto essere trattati. Eppure, continuava a stargli appiccicato e a difenderlo.
Marcus Lane, d’altra parte, conosceva bene sentimenti come l’amore, ma non sapeva esternarli, e Seianus se ne accorgeva, riuscendo a penetrare la sua preziosa corazza di pietra.
Seianus non comprendeva Snow e lo odiava per questo, eppure lo amava perché gli dava quello voleva: un amico premuroso.
Seianus comprendeva Marcus e lo amava con tutto sé stesso, eppure lo odiava perché non gli dava quello voleva: una persona che fosse in grado di esternare i propri sentimenti e dimostrare a sua volta il proprio amore.
Marcus pensò che Seianus fosse stato davvero sfortunato in amore, si meritava decisamente di meglio.
Il gruppo si accampò per mangiare e lui, come sempre, si sedette un po’ più lontano rispetto agli altri. Mentre addentava la carne di un coniglio che erano riusciti a catturare, osservava di sottecchi Seianus e improvvisamente gli venne in mente una conversazione avvenuta appena qualche mese prima con Snow.
 
Marcus era ospitato in un appartamentino piuttosto piccolo e malridotto, che Seianus era riuscito ad ottenere per lui grazie a Lucy Gray, che aveva diversi contatti in quella parte della città. Marcus non parlava mai con i vicini, che erano per lo più poco di buono, o almeno così li aveva giudicati. Preferiva di gran lunga starsene in casa a riposare, anche perché le gravi ferite riportate nel corso dei Giochi non gli permettevano di fare chissà cosa. Le uniche persone con cui aveva qualche interazione erano una vecchia signora rompiscatole che ogni tanto veniva a bussare alla sua porta per chiedergli come stava (mandata da Seianus, Marcus ne era convinto, per controllare che non gli venisse la bella idea di fuggire, come se potesse farlo, poi), i Covey (di sicuro sempre mandati da Seianus) ed infine Seianus stesso con quel suo collega di nome Snow.
Proprio quel giorno, i due Pacificatori avevano pensato bene di fare un salto da lui. Marcus li aveva accolti con la solita freddezza, facendo di tutto per far capir loro che avrebbero dovuto togliersi dai piedi alla svelta. Ma Seianus evidentemente non aveva intenzione di andarsene finchè non avesse ricevuto una risposta che non fosse un grugnito infastidito o qualche vago borbottio.
Insieme a Snow, lo aveva costretto a uscire nel cortile del complesso, poiché secondo lui aveva bisogno di prendere un po’ di sole e una boccata d’aria, dato che era sempre chiuso in casa.
“Tranquillo, non ti riconoscerà nessuno! Tanto qui nessuno li visti i Giochi!”
Dopo una decina di minuti, tuttavia, Seianus si era reso conto di non poter portare avanti una conversazione come si deve con lui, perciò aveva preferito intrattenersi con alcuni bambini che giocavano lì in cortile e che l’avevano preso subito in simpatia.
“Io non ho nulla contro di te, Marcus, ma ritengo che Seianus meriti di meglio.” Questa doccia fredda arrivò all’improvviso mentre Marcus era appoggiato alla balaustra del porticato a osservare Seianus ridere e giocare con i bimbi.
Era stato Snow a parlare, Snow che già da un po’ lo osservava di sottecchi con un’espressione che a Marcus non piaceva per niente. I suoi occhi e le sue sottili labbra leggermente piegate all’insù esprimevano malizia e un malsano divertimento nel prendersi gioco di lui.
Marcus non rispose, né lo guardò, quindi Snow continuò dicendo: “Si è messo parecchio nei guai per te. Anche io mi sono messo nei guai per te.”
Marcus continuò a ignorarlo, ostinandosi a tenere gli occhi fissi sull’altro Pacificatore, che quel giorno era vestito da normale civile. Portava una semplice camicia bianca che gli fasciava perfettamente il busto e un paio di pantaloni beige. Era strano vedere un Plinth vestito in modo così semplice e umile, ma la semplicità si addiceva a Seianus.
La voce suadente di Snow gli arrivò nuovamente alle orecchie: “Esattamente, cosa provi per lui? Sembra che lo odi, eppure non gli togli mai gli occhi di dosso. Povero Seianus, non trovi? Si impegna così tanto per te, ma tu lo tratti sempre in questo modo. Decisamente, si merita di meglio.”
“E con chi starebbe meglio, con una serpe come te?” Sbottò Marcus. Avrebbe voluto dare le spalle a quell’essere insopportabile e rientrare al sicuro in casa, ma qualcosa gli diceva che non poteva permettersi di abbandonare la conversazione. Ne valeva del suo orgoglio: non poteva certo fuggire di fronte alle accuse di un tizio simile.
“Oh, no, di sicuro no. Ma sai, è comunque il mio nome quello che chiama di notte.”
Marcus contrasse le dita contro la balaustra, facendosi male alle unghie, ma non vi badò. Guardò Seianus, in cortile, dall’aria dolce e allegra come sempre, e lo immaginò contorcersi e ansimare tra le spire di quel serpente che adesso era di fianco a lui, senza rendersi conto del veleno che esso gli iniettava tramite i suoi morsi mascherati da baci. Si voltò verso Snow e fu preso dal forte desiderio di cancellargli quel suo stupido sorrisetto dalla faccia con un pugno ben piazzato.
Ma non lo fece, e Snow allargò ancora di più il suo ghigno. “Ma guarda un po’. Allora non avevo tutti i torti. E’ vero che ti piace.”
Marcus gli lanciò un’altra occhiata velenosa, ma il veleno del serpente era più potente del suo, e Snow non demorse.
“Seianus è qui perché ha deciso di aiutarti. Non si è trovato una corda al collo solo perché paparino ha sganciato un bel po’ di bigliettoni, ma se si scoprisse che il giovane Plinth nasconde un… sovversivo, non penso proprio che i soldi di papà lo salveranno.”
Marcus aggrottò la fronte, cercando di capire dove volesse andare a parare con quel discorso. “Lo stai dicendo perché sei preoccupato per lui o per te stesso?”
Un luccichio brillò negli occhi di ghiaccio di Snow, e per la prima volte Marcus vide la sua maschera di affabilità incrinarsi, per la lasciar spazio ad una rabbia controllata. “Io avevo un futuro davanti a me prima che il tuo amato Seianus decidesse di fare il ribelle e salvarti. E adesso mi trovo in questo posto di merda per colpa sua. E tua.”
“Non ho chiesto io di essere salvato. E nemmeno di partecipare al vostro Gioco da malati.”
“Adesso non darmi la colpa per i Giochi.”
“E tu non darmi la colpa per esserti fatto un amico così stupido.”
Snow ebbe la decenza di distogliere lo sguardo, preferendo riportarlo su Seianus, che sorrideva spensierato, ignaro di quella conversazione tra le persone che più amava. Marcus fece lo stesso.
“Non avrei dovuto farmi coinvolgere nelle stupidaggini di Seianus…” Borbottò Snow con profondo rammarico.
“Però ti piace fartelo, eh? Nonostante la tua… ragazza.” Sbottò Marcus, che ancora non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Seianus e quella serpe insieme.
“Non è affatto male.” Ridacchiò Snow. Marcus gli lanciò un’occhiata e notò che guardava Seianus in un modo che gli fece venire voglia di strozzarlo. “Potrebbe piacere anche a te, ma stai perdendo la tua occasione. Di certo a lui non dispiacerebbe buttartisi addosso, non credi?”
“Ha deciso di stare con te, no?” Rispose Marcus con estrema fatica nel formulare quelle parole. “Tra ricchi bastardi ci si intende meglio, immagino.”
“Ma dai, mi stai dicendo che non lo vorresti?”
“Smettila di parlare di lui come se fosse un giocattolo.” Formulò quella risposta senza neanche pensarci. Benché non volesse avere nulla a che fare con Seianus, provava un enorme fastidio nel sentire Snow parlare di lui come se fosse una proprietà, un qualcuno di cui approfittare quando aveva voglia, da usare quando nei paraggi non c’era la sua ragazza.
In tutta risposta, Snow rise. “Oh, ma certo, questo è vero amore, eh? Perchè non la smetti di fare la parte del ragazzo oscuro col cuore di pietra e non ve ne andate da qualche parte a vivere felici e contenti?” Detto ciò, gli diede quella che pareva essere un’amichevole pacca sulla spalla. Peccato che colpì proprio il punto in cui si trovava la ferita causata dalla scure, a cui Seianus poco prima aveva ricambiato le fasce. Marcus fu attraversato da una fortissima fitta di dolore, ma tentò di nasconderlo a Snow.
“Andarcene?” Disse invece. “Intendi dove non potremo più interferire col tuo futuro perfetto, signorino Snow?”
“Sì. Sempre che non vi impicchino prima.” Snow si allontanò per raggiungere Seianus e i bambini. Sul suo volto era tornata la maschera gentile e affabile. Marcus digrignò i denti, pensando che probabilmente il bastardo si augurava che una cosa del genere accadesse.
Era chiaro che Snow non lo voleva lì e che cominciava a mal sopportare le tendenze sovversive di Seianus. La cosa migliore da fare sarebbe stata andarsene. Ma dove? Non esisteva un posto sicuro per lui in tutta Panem. E di certo non voleva portarsi dietro Seianus.
Dove diavolo poteva andare da solo, con tutte quelle ferite? E cosa sarebbe stato capace di fare il biondino se Seianus avesse insistito con le proprie convinzioni?
Scacciando quest’ultimo pensiero, Marcus decise che rimanere al Dodici era la cosa migliore da fare. Unicamente per il proprio interesse, si disse.
Un paio di mesi dopo, ci pensarono i ribelli a trascinarli via da quel posto, e Snow trovò la scusa perfetta per liberarsi di entrambi senza doversi sporcare le mani.
 
Però, su una cosa quella serpe aveva ragione, pensò Marcus, finendo di mangiare. Seianus rideva per qualcosa che Morb aveva detto, e in quel momento a Marcus parve bellissimo. Ti meriti qualcuno migliore di me.
Quella notte Spruce e un altro tizio, che in quei giorni Marcus aveva appreso chiamarsi Joyce, avrebbero dovuto montare la guardia, tuttavia, dopo essere stati trascinati in disparte da Morb e Blum e aver discusso animatamente per un bel po’, annunciarono che loro due avrebbero dovuto rivedere alcuni passaggi del piano per la loro traversata del Distretto 13, quindi avrebbero fatto la guardia Seianus e Marcus.
Seccato per questa decisione improvvisa, Marcus si chiese cosa diavolo avessero da “rivedere” quei due, dato che erano giorni che non facevano che ripetere in continuazione il piano. Poi, notò Blum ridacchiare nella sue direzione, mentre Morb gli fece l’occhiolino, e tutto gli fu chiaro.
Maledisse mentalmente quei due idioti che proprio non sapevano farsi gli affari loro. Ma d’altronde ormai non poteva farci niente, perciò decise di scontare quella pena, rannicchiandosi contro il tronco fresco di una quercia, a debita distanza da un Seianus alquanto imbronciato.
Ben presto gli altri andarono a dormire e il silenzio calò sulla foresta nella quale si erano accampati. Gli unici suoni udibili erano il basso respiro dei compagni addormentati, qualche fruscio qua e là, il verso di un animale che si aggirava nei dintorni.
Marcus, rimasto solo con i propri pensieri, non potè far altro che lanciare un’occhiata, di tanto in tanto, a Seianus, il quale era seduto a tre o quattro metri di distanza, anch’egli appoggiato ad un tronco, la schiena dritta, le gambe divaricate e distese davanti a sé. Stringeva in una mano un fucile, ma non vi prestava alcuna attenzione, avendo forse ormai capito che, arrivati a quel punto, non c’era più niente o nessuno che potesse minacciarli. Sembrava concentrato, piuttosto, sul rametto che teneva nell’altra mano e sul disegno che con esso stava tracciando, sul terreno morbido tra le sue gambe.
Teneva ostinatamente lo sguardo basso, fisso su quello scarabocchio, nonostante Marcus avesse preso a fissarlo con una tale intensità che qualunque altro essere umano si sarebbe immediatamente girato, sentendosi minacciato. Eppure Marcus era sicuro che l’altro percepisse perfettamente il suo sguardo, ma che volesse a tutti i costi tentare di ignorarlo.
Trascorsero così all’incirca un’ora. Marcus che fissava senza pronunciar parola Seianus, mentre quest’ultimo lo ignorava tranquillamente.
Si aspettava delle scuse, lo sapeva.
Marcus ripensò a suo padre e alla sua gamba mancante, al suo odio per Capitol e per i Plinth, eppure aveva riso con serenità quando aveva saputo dell’infatuazione che Marcus provava per il rampollo di quella famiglia tanto disprezzata. Probabilmente adesso era accasciato sulla poltrona di casa, maledicendo più e più volte la dannata città che ora gli aveva portato via anche suo figlio.
Pensò a sua madre, che non aveva fatto una piega di fronte alla stessa notizia, e, anzi, aveva sempre supportato con allegria quella loro relazione infantile. Forse adesso quella madre stava piangendo disperata per l’assenza di Marcus
Pensò a sua sorella, che ancora doveva crescere, che da sempre chiedeva curiosa di quel fantomatico Seianus Plinth, nonostante lei se lo ricordasse a malapena. Fulvia aveva appena quattordici anni. Chissà se in futuro avrebbe pensato ancora a lui, se i suoi ricordi di Marcus, con l’avanzare dell’età, si sarebbero fatti sempre più sfocati, confusi, fino a sembrare più simili ad un sogno, chissà come avrebbe parlato di lui a suo marito, ai suoi figli.
Il fratello, il figlio sfortunato scelto dal destino per essere schiavizzato e torturato agli Hunger Games per il piacere di quei maiali di Capitol, salvatosi per miracolo e costretto a fuggire e nascondersi per il resto della propria vita, come una preda che trascorre la propria misera esistenza a fuggire dal predatore, che prega ogni momento di non essere presa, che ogni notte ringrazia per aver ricevuto un altro giorno di vita.
Beh, Marcus pensava che questi genitori, questa sorella piangenti, vorrebbero che lui fosse felice, lontano dalle grinfie di Capitol. Ed era ciò che voleva anche lui.
Marcus si alzò in piedi.
Se proprio doveva vivere la vita del fuggitivo e morire, lontano dalla civiltà, lontano da tutto, il corpo abbandonato sul terreno, divorato dagli animali e dalle radiazioni, allora voleva perlomeno essere felice, vivere senza preoccupazione alcuna. Almeno per una volta, una sola volta nella sua vita.
Marciò con passo sicuro verso Seianus, che di certo aveva udito i suoi passi, ma ancora non alzava gli occhi. Marcus sorrise tra sé. Certo, Seianus non poteva concedergli ciò che voleva tanto facilmente, d’altronde ancora non se lo meritava, per come si era comportato.
Marcus si sedette pesantemente al suo fianco, abbastanza distante da non mancargli di rispetto violando il suo spazio personale in un momento in cui sapeva che Seianus non lo avrebbe voluto lì, ma anche abbastanza vicino da poter percepire il calore del suo corpo.
Voleva essere felice in quelli che pensava sarebbero stati i suoi ultimi giorni di vita, e per esserlo avrebbe dovuto fare ciò che non aveva mai avuto il coraggio di fare: abbattere quel dannato muro di pietra una volta per tutte, e lasciarsi andare ai propri sentimenti.
Marcus inspirò profondamente, prendendosi il suo tempo per prepararsi, poi, anche se con una certa esitazione nella voce, parlò.
“Io… Sono uno stupido.”
Seianus non lo degnò di uno sguardo, continuò a scarabocchiare sul terreno col suo rametto, ma Marcus sapeva che era tutt’orecchi e che il suo silenzio era un invito a continuare.
Perciò prese ancora fiato e proseguì: “Tu sei sempre stato gentile con me, anche se non avevi motivo di esserlo. Quando a Capitol mi portavi quel cibo e cercavi di parlarmi… Io sono stato davvero uno stronzo a continuare a ignorarti. Eppure dopo, quando c’è stata l’esplosione, ho approfittato di te e delle tue indicazioni per fuggire tramite le fogne. Poi mi hai salvato la vita, mi hai nascosto per quasi un anno, ti sei sempre preoccupato per me, che stessi bene. Tu, fin dall’inizio, mi hai sempre aiutato e io ti ho ricambiato tenendoti il muso. E, beh, questo non è giusto. Quindi… Sì, scusami. Scusami davvero tanto.”
Marcus aveva detto tutto questo tenendo gli occhi fissi a terra, troppo impaurito nel vedere la reazione dell’altro alle sue parole. Si costrinse tuttavia a spostare lo sguardo verso Seianus e, con sua somma sorpresa, si rese conto che quest’ultimo lo stava guardando!
I suoi occhi color nocciola erano immobili su di lui, la bocca socchiusa. Marcus aspettò che dicesse qualcosa, ma lui non parlò. Evidentemente si aspettava dell’altro.
Sì, lo so che cosa vuoi. Certo che sei crudele a volte, sai bene che non avrò il coraggio di dirlo.

Ma devo farlo.

“Seianus.” Marcus lo guardò dritto negli occhi e, accumulando tutto il coraggio di cui disponeva, pronunciò quelle difficilissime parole: “Seianus, io… Io ti amo. E… Sì, insomma… Vorrei continuare a stare insieme a te. Per quello che ci resta da vivere.”
Nonostante il fortissimo imbarazzo, fu come essersi tolti un peso dal cuore, come essersi liberati da delle catene. Finalmente l’aveva detto.
L’altro ragazzo non riuscì a reprimere un sorriso dopo quella frase, tuttavia non spiccicò parola. Marcus era confuso: che altro doveva dire ancora?
“Beh, quindi…?” Disse incerto.
Seianus lo guardò dolcemente, inclinando la testa di lato. “Non c’è altro?”
“Ehm, no. Credo di no.”
Il rampollo dei Plinth alzò gli occhi al cielo in un gesto seccato, anche se continuava a sorridere divertito. “Cielo, Marcus, alla fine il primo passo devo sempre farlo io.”
“Cos-” Marcus non riuscì a terminare la parola, poiché venne aggredito da un paio di labbra morbide, che si scontrarono con foga sulle sue. Seianus gli aveva afferrato i lati del viso, e ora, con le dita affondate nei suoi capelli color pece, lo stava baciando. Un bacio bisognoso, passionale, che era stato trattenuto per molto, molto tempo.
Marcus riuscì a malapena a reagire, posando con incertezza le mani sui fianchi dell’altro ragazzo. Quando Seianus ebbe finalmente compassione di lui, e si allontanò per lasciarlo respirare, e gli rivolse uno sguardo intriso di affetto. Le sue guance erano rosse come un paio di pomodori, e aveva il respiro affannato. Le sue mani accarezzarono il viso di Marcus, scendendo fino al collo, e infine alle spalle, su cui attuarono una salda presa.
Marcus strinse le mani sul bacino dell’altro ragazzo, avvicinandolo lentamente a sé, e pensò che non gli importava più nulla delle radiazioni o delle strane creature in cui avrebbero potuto incappare. Poteva anche morire felice adesso.
Fu proprio Marcus a riunire nuovamente le loro labbra, in un bacio molto più calmo, questa volta, in modo che potessero assaggiare per bene uno il sapore dell’altro, ponderare la morbidezza delle loro labbra e il calore della loro bocca.
Quando, infine, si staccarono di nuovo, semplicemente, si guardarono e sorrisero.
Non servivano parole tra loro. Negli occhi dell’uno, l’altro poteva vedere tutte i pensieri e le emozioni che provava, e fu come guardarsi allo specchio. In quel momento, in quello sguardo, due ragazzi separati per oltre un decennio, finalmente riuniti, si promisero una cosa: di non lasciarsi mai più andare.

“Non ci credo… E’ successo davvero?” Purtroppo, il bisbiglio eccitato di una ragazza, rovinò l’atmosfera.
“Ma che diavolo…? Oh, non ci credo.” Borbottò Marcus, voltandosi verso gli idioti che, dai propri giacigli, li stavano fissando curiosi.
“Beh, era pure ora. Non ne potevo più di tutta quella tensione sessuale che si tagliava col coltello.” Commentò Lil, seduta a braccia conserte. Oltre il buio, Marcus notò che i suoi occhi erano incredibilmente tristi mentre guardava lo spettacolo davanti a sé: evidentemente pensava al suo ragazzo che era stato da poco giustiziato dalle autorità di Panem.
“Sì, ragazzi, tutto molto bello, ma datevi una calmata, d’accordo? Domattina si parte presto…” Disse Spruce, con le guance un po’ arrossate. Si accomodò nel suo giaciglio, imitato da un esausto Joyce. Tanto ormai non dovevano più fingere di dover rivedere il piano, potevano addormentarsi tranquillamente.
“E non fate cose strane, noi vorremmo dormire.” Fu il commento di Morb, al quale Marcus lanciò la peggiore occhiataccia del suo repertorio, ottenendo però solo una risatina da imbecille.
“Non hanno proprio di meglio da fare, eh? E comunque non erano quei due che dovevano montar la guardia? Perché dobbiamo continuare noi?”
“Perché? Ti dà fastidio?” Rispose Seianus, allacciandosi come un koala al suo braccio. Strofinò il lato del viso contro la spalla di Marcus, per poi accasciarsi completamente contro di lui. Marcus fece lo stesso, adagiando timidamente il capo sulla cima dei capelli morbidi dell’altro ragazzo.
“Allora… Perché non mi parli un po’ di te?” Disse Seianus, come se fosse la prima volta che si incontravano. E, in effetti, in un certo senso era così.
Quella notte parlarono molto, e, anche se con tutte quelle parole non avrebbero mai potuto recuperare dieci anni di separazione e un anno di silenzi, a loro non importava. L’unica cosa che contava, in quel momento, era stare vicini, ascoltare la reciproca voce, percepire il reciproco calore. Non c’era gioia più immensa.
   
 
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