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Autore: Bruhduck    04/12/2023    0 recensioni
[La ballata dell'usignolo e del serpente, Seianus/Marcus]
Marcus definirebbe sé stesso come un ragazzo di pietra, duro come il marmo: così è cresciuto nel Distretto Due, aspro e freddo come la sua gente, così Capitol City l'ha fatto crescere.
Sopravvissuto all'arena e curato segretamente da Seianus Plinth, cittadino di Capitol, ma fieramente fedele al suo distretto d'origine, Marcus si ritrova coinvolto nella fuga disperata da Panem di Seianus e di altri ribelli.
Nel corso di questo duro viaggio, Marcus si ritroverà a fare i conti con il proprio passato e con il suo rapporto con Seianus, amico e cotta dei tempi infantili.
Davvero gli anni di assenza e i silenzi hanno cancellato l'affetto tra questi ragazzi? E davvero Marcus non prova più nulla verso Seianus?
Il marmo, per quanto duro al tatto, è in realtà morbido e malleabile, perfetto per essere scolpito. Forse anche il cuore di Marcus, all'apparenza così duro, potrà farsi plasmare da un dolce sentimento che ha trattenuto per anni.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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3

“Non ci posso credere!” L’esclamazione di Morb fece voltare tutti di scatto. Il ragazzo indicava un punto proprio davanti a loro, che però era cieco, in quanto una piccola collinetta copriva la visuale degli altri che erano rimasti indietro. Il ragazzo era infatti stato mandato avanti durante la marcia e aveva raggiunto quel punto prima dei compagni.
Spruce, Lil e Seianus si fecero immediatamente avanti, i fucili stretti tra le braccia, e raggiunsero Morb, mentre il resto della compagnia li seguì con più cautela.
Marcus non riusciva a capire cosa stesse succedendo. I quattro ragazzi si erano bloccati in cima alla piccola altura e guardavano con espressione stupita qualcosa davanti a loro. Poi Spruce fece segno alla sorella e a Seianus di puntare le armi, mentre lui, con voce tonante, si rivolse a qualcuno.
“Chi siete? Chi vi manda?” Chiese.
Qualcuno rispose, ma Marcus non riuscì ad afferrare le parole.
“Distretto 13?! Impossibile, qui non ci vive più nessuno!” Disse Spruce sconcertato.
Marcus finalmente raggiunse il fianco di Seianus e posò una mano sulla sua spalla, tentando di riprendersi dalla fatica della salita. Le ferite dolevano ancora.
Seianus gli lanciò un’occhiata incoraggiante, per poi spostare quasi subito la sua attenzione sugli obiettivi che stava puntando: un gruppo di uomini avvolti in una strana tuta di colore bianco, disarmati, a quanto poteva vedere, che stavano venendo con cautela verso di loro.
“Siete ribelli?” Chiese una delle figure in bianco. Aveva un voce femminile.
“Perché dovremmo rispondervi?” Chiese di rimando Spruce.
“Perché tutti i nemici di Panem sono nostri amici.” Rispose la donna.
“Lasciate ci vi soccorriamo.” Questa volta era stato un uomo a parlare. “Più ci avviciniamo al centro, più le radiazioni si fanno forti. Già stando qui correte un grandissimo pericolo. Per favore, non potete permettervi di rimanere ancora a lungo esposti alle radiazioni.”
I membri del gruppo si guardarono a vicenda, indecisi sul da farsi.
“Non so voi, ma io non ho alcuna intenzione di morire per le radiazioni. Non ho fatto tutta sta strada per crepare tra dolori atroci e sbrattando sangue.” Disse Morb.
Alcuni gli diedero ragione, altri ancora non riuscivano a fidarsi quei loschi individui, e pensavano che potessero trattarsi di scienziati di Capitol venuti al Tredici per condurre degli esperimenti.
La discussione sembrò durare un’eternità, e infine si giunse alla votazione: vinsero coloro che erano a favore di farsi aiutare dagli uomini in bianco, e tra questi c’erano anche Marcus e Seianus. D’altronde, come disse anche l’ex Pacificatore, era meglio morire in un colpo solo con una pallottola in testa o una corda al collo, piuttosto che patire le immense e lente sofferenze di una morte dovuta alle radiazioni, cosa che, se fossero rimasti scoperti in quel luogo ancora a lungo, sarebbe di certo arrivata, quindi era meglio prendersi un rischio e fidarsi.
Spruce chiese però di poter tenere i fucili, per sicurezza, e gli uomini in bianco, pur manifestando un certo disagio, accettarono senza opporre troppa resistenza. Ciò rappresentò un buon segno, e il gruppo di fuggitivi li seguì con maggiore fiducia.
“Spero che non abbiate bevuto acqua. Tutta quella che c’è qua fuori è contaminata.” Stava spiegando una delle figure, mentre li conducevano.
“Fuori?” Chiese Lil. “Intendi forse che…?”
“Il Distretto 13 ha trovato un modo per sopravvivere.”
 
Questo…
“Questo è davvero assurdo.” Seianus, la bocca e gli occhi spalancati per lo stupore, completò il pensiero di Marcus.
Che cosa significava tutto quello?
Era come una specie di labirinto: un labirinto gigantesco, un reticolo sotterraneo pieno di intricati corridoi, centinaia di porte di ogni dimensione, uscite, entrate e scorciatoie talmente numerose e complesse che avevano dell’incredibile, pareva di essere in un bizzarro sogno.
La struttura di quel luogo era talmente confusa che Marcus pensò che, in assenza della guida degli uomini in bianco, di sicuro si sarebbe smarrito una volta attraversata l’entrata.
Eppure, i suoi abitanti, non sembravano affatto disorientati e confusi: si muovevano con sicurezza, in sincronia, sempre in piccoli gruppi; erano in un certo senso coordinati, notò Marcus; i loro movimenti, i loro spostamenti da un corridoio all’altro, da una stanza all’altra, erano così ordinati da ricordare quelli delle formiche. E, alla fine, quel luogo altro non era che una sorta di grande formicaio, popolato da tante piccoli formichine, ognuna diretta per la propria strana, a svolgere il proprio compito.
Quelle persone erano vestite tutte allo stesso modo, indossavano una triste tuta scura, e i loro visi erano pallidi come quelli dei cadaveri. Pesanti occhiaie albergavano sui volti magri e scavati di ognuno di loro, gli occhi erano seri e avevano in sé un non so che di triste, malinconico.
In effetti, si disse Marcus, osservando sfilare accanto a sé un gruppo di bambini, tristi e scialbi tanto quanto gli adulti, neanch’io sarei l’uomo più felice del mondo se vivessi qui dentro da undici anni.
 
Gli abitanti del Tredici li fissavano con un certo timore misto a curiosità, ma molti furono comunque disponibili ad accoglierli e a fornir loro tutto quello che serviva.
Il gruppo ebbe finalmente la possibilità di lavarsi come si deve; li vennero offerti cibo e acqua, ed infine anche una scatolina di strane compresse per ciascuno di loro, che li fu consegnata da una dottoressa.
“Pillole di iodio. Per le radiazioni.” Annunciò loro il medico, una donna dallo sguardo severo; portava un lungo camice bianco e i capelli, raccolti in una coda di cavallo, erano ormai quasi del tutto ingrigiti, nonostante, a giudicare dal viso ancora giovanile della donna, ella non poteva avere più di trentacinque anni all’incirca.
Dopo essersi riposati un po’, uno degli uomini che li avevano accompagnati tornò da loro, questa volta senza maschera, rivelando una foltissima chioma di riccioli bruni, e disse loro che un certo “presidente Coin” voleva vederli.
“Presidente? E’ il vostro capo?” Chiese Spruce, mentre scendevano le scale diretti in una sezione piuttosto profonda del distretto.
“Sì, esatto. Fu scelto tra gli ultimi ufficiali rimasti del Tredici per guidare i pochi di noi che erano sopravvissuti. Ha fatto davvero un gran lavoro, è grazie ai suoi sforzi se il nostro distretto si sta riprendendo così in fretta.” Lo elogiò l’uomo riccio con un sorriso orgoglioso sulle labbra.
“Eccoci arrivati.” Annunciò poi. Bussò per tre volte, e una voce autoritaria, dall’altra parte, gridò “Avanti!”

Il presidente Coin era un uomo sulla quarantina, alto e dal fisico robusto, le spalle solide, la mascella dura. I capelli brizzolati erano tirati all’indietro dal un gel, lasciando scoperta una fronte ampia e particolarmente rugosa; i suoi occhi scuri scrutarono i nuovi arrivati dalla cima della testa alla punta dei piedi, esaminandoli in ogni loro aspetto. Le mani erano giunte dietro la schiena dritta, postura che lo rendeva ancora più imperioso e, in un certo senso, intimidatorio. Indossava un completo scuro, particolarmente elegante, a differenza delle tute scadenti indossate dagli altri abitanti.
A guardarlo bene, a Marcus ricordava Strabo Plinth: stesso sguardo severo, stesso atteggiamento da signore del mondo.
Inconsapevolmente, lanciò un’occhiata verso Seianus, che era sempre rimasto al suo fianco durante tutto il percorso, pur senza dire una parola, e si rese conto che anche lui doveva aver pensato la stessa identica cosa. Lo capì dal disagio e dolore che vedeva nei suoi occhi.
Per un momento pensò di allungare la mano verso la sua, trasmettergli un po’ di conforto, ma poi si trattenne, sia perché c’era troppa gente in quella stanza e ciò gli sembrava inopportuno, sia perché la voce potente di Coin tornò a levarsi, facendolo sussultare.
“Alma, fuori un attimo. Devo parlare con i nostri nuovi ospiti.” Disse rivolto ad una bambina che, fino ad allora, Marcus non aveva notato. Era seduta su una poltrona di pelle e sfogliava un libro illustrato; indossava un abitino grigio, i suoi occhi chiari e penetranti, esattamente come quelli dell’uomo, scandagliavano l’ambiente e le persone attorno a lei.
La ragazzina, che doveva avere sei o sette anni, si limitò ad annuire, senza dire una parola, e uscì in silenzio dalla stanza, seguita dall’uomo che li aveva accompagnati, il quale si chiuse la porta alle spalle, lasciandoli soli in compagnia del presidente.
“Mia figlia.” Disse bruscamente Coin a mo’ di spiegazione. Si sedette pesantemente su una delle poltrone disposte in quell’ufficio circolare, invitando con un gesto secco della mano il gruppo di fuggitivi a fare lo stesso. Marcus e Seianus si sedettero l’uno accanto all’altro su un piccolo divano, le cosce che si sfioravano.
“Allora, ditemi tutto.”
Fu Spruce a parlare. Raccontò della fine della guerra, degli Hunger Games, dei tributi, dell’attentato alle miniere; e poi dell’albero degli impiccati, della volontà di creare una nuova ribellione armata, della liberazione di Lil e della successiva fuga; il viaggio a Nord, la speranza di trovare un altro mondo al di fuori di Panem, di trovare qualcuno che potesse aiutarli a risollevarsi contro Capitol.
Durante tutto il discorso del loro leader, sia gli altri che Coin rimasero in totale silenzio, la voce di Spruce era l’unico suono presente in quella stanza.

L’ufficio era oscuro e claustrofobico, esattamente come il resto di quel distretto, ma la presenza di Coin costituiva un ulteriore elemento soffocante. I suoi occhi attenti, vigili, si spostavano da un membro all’altro del gruppo, sembrava sempre pronto a cogliere nuovi dettagli dei suoi ospiti; non sorrideva, non ci teneva ad essere amichevole, il suo sguardo era di una durezza glaciale, e a Marcus ricordò un blocco di marmo.
Mentre osservava Coin sollevarsi in piedi, in tutta la sua altezza, gli passò per la mente il pensiero che, molto probabilmente, per la maggiorparte del tempo, lui doveva avere lo stesso identico sguardo. Promise subito a sé stesso che ci avrebbe lavorato, perché nel vedersi specchiato in quel modo, si rese conto del tipo di disagio che poteva provocare.
Coin si avvicinò alla sua scrivania, appoggiando entrambi i palmi su di essa e dando loro la schiena. Marcus lo sentì sospirare, un sospiro strano, un misto di frustrazione, rabbia e tristezza.
“Hunger Games, eh? Bambini gettati in un’arena? Lo spettacolo è trasmesso in tv? Sapevo che quelli di Capitol sono bestie, ma questo supera ogni mia aspettativa.”
Coin si voltò verso di loro, i suoi occhi più duri e freddi che mai.
“Siete venuti qui per chiedere aiuto, avete detto?”
“Sì, proprio così.” Ringhiò Spruce. “I distretti sono ridotti in miseria, ancor peggio che prima della guerra. Ma anche Capitol è ancora debole, se ci uniamo contro di loro, possiamo-”
“Mi dispiace, ma ciò è fuori discussione.”
La sentenza gelò tutti; neanche Spruce, totalmente spiazzato da quella risposta, riuscì a proferire parola.
L’unica voce a levarsi, dopo qualche secondo di esitazione, fu, ancora una volta, quella di Seianus.
“Che cosa vorrebbe dire, scusi?”
“Seianus.” Sibilò Marcus, ma quello o non lo sentì o non gli diede minimamente retta (era più probabile quest’ultima opzione), e decise addirittura di alzarsi in piedi.
“Sto dicendo che non possiamo attaccare Capitol. Sarebbe un suicidio.” Fu la ferma risposta di Coin, il quale però parve leggermente stupito di fronte all’audacia del ragazzo.
 “No, forse non ci siamo capiti. Quelle persone hanno bisogno di aiuto adesso! E’ una follia, là fuori. Come possiamo non far nulla di fronte a dei bambini costretti ad ammazzarsi a vicenda in un’arena? Il tutto trasmesso in tv, e visto da altri bambini. Hanno trasformato la morte di ragazzini innocenti in uno spettacolo: è questa la loro punizione! Tra poco sarà il quattro di luglio, altri ventiquattro ragazzi saranno estratti. E noi dovremmo starcene rintanati qui?”
“Seianus ha ragione.” Decise di dargli man forte Marcus. Guardò dritto negli occhi Coin, le fiamme che ardevano nelle iridi color pece al ricordo degli orrori subiti: “Sono uno dei tributi sorteggiati per gli Hunger Games. Sono qui adesso per miracolo: mi hanno trascinato via dalla mia casa e dalla mia famiglia, mi hanno buttato su un treno per il bestiame. Mi hanno chiuso in una gabbia di uno zoo, per essere osservato dai visitatori, come un animale. Quando sono fuggito, mi hanno catturato, torturato e appeso nel bel mezzo dell’arena. Questo è quello che fanno a Capitol.”
Anche gli altri cominciarono a lamentarsi, parlando confusamente delle condizioni penose in cui versavano i distretti, protestando contro lo schifo che erano gli Hunger Games.
“Siete voi che non capite.” Li zittì all’improvviso Coin, che era rimasto tutto il tempo apparentemente impassibile nell’ascoltare i loro racconti. Marcus, però, riuscì a vedere qualcosa nei suoi occhi gelidi, una flebile luce, un desiderio di ribellione più forte che mai, ma che si sforzava di tenere soppresso.
“Anche noi detestiamo Capitol, ma al momento non c’è nulla che noi possiamo fare per aiutare i distretti.” Continuò il presidente. “Avete visto come ci siamo ridotti, no? Poche centinaia di persone rinchiuse in un sotterraneo, mentre là fuori tutto è raso al suolo. Uscire allo scoperto adesso equivarrebbe ad un suicidio. E se Capitol distruggesse definitivamente il Distretto 13 allora… Beh, in quel caso ci sarebbe zero speranza di mettere in atto una nuova rivoluzione. I patti fatti con Capitol prevedono che noi ce ne staremo buoni. Ma, vedete, adesso non è il momento per spezzare quei patti. Siamo troppo deboli, non abbiamo alcuna speranza di vincere.”
Coin si sedette con calma sulla poltrona dietro la sua scrivania. Congiunse le mani davanti a sé, guardandoli con profonda serietà, uno per uno.
“No, non siamo pronti. La rivoluzione ritornerà, eccome se tornerà. Ma non ora, dobbiamo attendere il momento giusto.”
“Capiamo le vostre motivazioni. Ma quanti dovranno ancora morire, prima che arrivi il momento giusto?” Era stato Morb a parlare questa volta, in uno slancio di serietà e compostezza che Marcus stentava ad attribuirgli.
“Non lo so, tutti noi speriamo il prima possibile. Ma, credetemi, quando quel giorno arriverà, allora avremo la certezza che tutte quelle persone non sono morte invano.”
Il silenzio cadde nella stanza, nessuno seppe replicare. In fondo, nonostante tutta la frustrazione, nessuno poteva ribattere alle parole di Coin. Ora come ora non avevano alcuna possibilità di vittoria contro Capitol, dovevano farsene una ragione.
 
La vita al Distretto 13 era, per usare un eufemismo, davvero noiosa. La routine era programmata nei minimi dettagli: ogni giorno era un continuo ripetersi delle stesse identiche azioni di quello precedente, senza mai poter sforare con gli orari.
I ribelli del Dodici avevano presto trovato un’occupazione in diversi campi: Spruce, Morb e altri avevano cominciato a prestare servizio come minatori, il lavoro che facevano da una vita. Lil era decisa ad entrare nell’ancora esigua forza armata del Tredici e aveva recentemente iniziato un durissimo addestramento, che, stando a quanto diceva Seianus, era ancora più sfiancante di quello di un Pacificatore; nonostante ciò, Lil pareva ogni giorno sempre più decisa a non mollare.
Quanto alla giovane Blum e suo padre, avevano trovato posto nelle cucine, dato che, al Dodici, in passato gestivano con il resto della famiglia una piccola locanda, la quale aveva però chiuso i battenti un paio di anni prima.
Marcus aveva invece intenzione di offrire la propria prestanza fisica in favore degli scavi alla ricerca di minerali e altre risorse importanti. Tuttavia, un’occhiataccia da parte di Seianus lo costrinse a mettere in discussione questo proposito.
“Sono guarito, Seianus. Guarda, non mi fa più male, riesco a muovermi perfet-” Un gemito di dolore interruppe il suo discorso, e si guadagnò una bella espressione scettica da parte dell’altro ragazzo, con tanto di sopracciglio destro alzato.
“Tu non tu muovi per almeno qualche altro mese, d’accordo? E non discutere ancora.”
“Ma-”
Marcus.” Quando Seianus s’imputava su qualcosa, era impossibile fargli cambiare idea, quindi Marcus decise di desistere, arrendendosi all’idea di dover essere inutile ancora per un po’.
“Va bene, va bene.” Borbottò angosciato. Seianus gli sorrise, portando una mano sulla sua guancia. Marcus controllò che non ci fosse nessuno nei dintorni prima di appoggiarsi al calore del palmo dell’altro ragazzo. Strofinò la guancia contro di esso, mentre l’ex Pacificatore ridacchiava e Marcus pensò che, in quel momento, doveva sembrare una specie di gatto in cerca di coccole. Una parte della sua mente gli diceva che ciò era davvero imbarazzante, ma il ragazzo la ignorò: aveva deciso che andava bene lasciarsi andare così, di tanto in tanto.
“Comunque, tu cosa farai?” Chiese dopo un lungo silenzio.
“Che domande? Il medico.”
“Non toccherai mai più un’arma, quindi?”
“Mai più. Ho chiuso con quella roba.” Lo sguardo di Seianus puntava verso il basso, gli occhi parevano distanti, persi in chissà quali tristi ricordi. Il suo sorriso, però, erano sereno, pacifico, il sorriso di chi ha concluso una lungo cammino ed è finalmente arrivato alla tanto agognata destinazione.
Marcus provò l’impellente desiderio di baciarlo, e fu ciò che fece. Le sue labbra si adagiarono delicatamente su quelle di Seianus in quello che era il loro terzo bacio, e lì vi rimasero per pochi secondi, prima di separarsi nuovamente. I due si guardarono per qualche istante, prima che Seianus gettasse le braccia attorno al collo dell’altro.
Marcus, seppur un po’ confuso dalla situazione, anche perché doveva ancora abituarsi a certi scambi d’affetto con il ragazzo, ricambiò goffamente l’abbraccio, dandogli qualche leggera pacca sulla schiena.
“Grazie di esserci.” Mormorò Seianus, la voce soffocata nella maglietta dell’altro.
Marcus si limitò a stringere di più il suo abbraccio.
 
Il lavoro di medico di Seianus procedeva alla grande: era diventato assistente di una dottoressa estremamente abile e preparata, popolare all’interno del distretto per aver salvato le vite di centinaia di feriti di guerra; molte persone del Tredici che adesso si trovavano lì, doveva la vita proprio a lei.
Il lavoro per il ragazzo era duro, ma gratificante, e Marcus fu felice nel vedere il suo… -Amico? Fidanzato?- Qualunque cosa fosse essere finalmente libero di fare ciò che più desiderava, lontano dagli obblighi e dalle costrizioni che l’avevano accompagnato per tutta la vita.
Dato che Marcus era ancora sotto regime di riposo totale (sempre imposto severamente dal dottor Plinth, s’intende) non aveva molto da fare se non fissare la gente che andava e veniva, e girarsi i pollici, quindi approfittò del tempo libero per fare piccoli gesti per Seianus: lavargli i vestiti, portargli del cibo quando era bloccato a lavoro, fargli compagnia durante le pause o dopo il lavoro. Insomma, ricambiarlo, almeno in minima parte, per tutto ciò che aveva fatto per lui nel corso dell’anno precedente.
In quelle settimane, che poi divennero mesi, il loro rapporto divenne sempre più profondo: l’uno era per l’altro la spalla su cui piangere nei momenti di debolezza, la stampella a cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà, in particolare in mancanza delle loro famiglie e amici, di cui soffrivano sempre di più la mancanza. Seianus aveva addirittura preso a provare nostalgia per il padre.
Nonostante ciò, sapevano che stare lontani dai propri cari, spezzare per sempre i legami con il passato, era la cosa migliore da fare per il bene di tutti. Ora c’erano solo loro due, e dovevano accettarlo.
Per diverso tempo, il rapporto tra i due fu più simile ad un’amicizia, seppur i baci non mancassero, e anzi, si sprecavano, in particolare nei giorni in cui Seianus era particolarmente vivace.
Tuttavia, arrivò il giorno in cui l’ormai ex rampollo dei Plinth gli servì un bacio ben più profondo del solito e, dopo avergli dato un attimo di tregua, avvicinò le labbra al suo orecchio.
Il suo fiato caldo e la proposta che gli fece, furono un mix letale che lo portarono sull’orlo di una morte precoce per infarto: “Ti va di passare in camera mia, stasera?”
La bocca di Marcus si aprì e richiuse più volte, ma senza emettere alcun suono.
Okay, questo… Se l’aspettava, a dire il vero, ma… No, decisamente non era affatto pronto a sentirlo con le sue orecchie.
Quando Seianus gli lanciò uno sguardo interrogativo, Marcus capì che doveva far uscire immediatamente il suo cervello dal momentaneo stand by in cui era caduto. Il risultato non fu dei migliori, dato che invece di dire “Certo che mi va” come stava pensando, si limitò ad annuire lentamente.
Seianus sorrise, le guance leggermente imporporate; prese le mani dell’ex tributo tra le sue, e le portò alle labbra, baciandole dolcemente.
“Va bene, allora ti aspetto per le 22, quando avrò finito il lavoro.”
“Non finisci alle 20?” Fu in grado di dire Marcus, anche se ancora confuso dalla situazione.
“Vorrei prepararmi da solo, per questa volta.” Rispose lui, un po’ imbarazzato.
Oh. Certo.
“Ah sì, ovviamente. Allora a stasera.”
Mentre Seianus si allontanava, Marcus Lane ebbe una strana sensazione, che non percepiva da tempo immemore: dopo quella sera, il rapporto tra lui e Seianus Plinth sarebbe cambiato radicalmente, si sarebbe consolidato una volta per tutte. Sarebbero diventati qualcosa di definitivo, non più una via di mezzo un po’ confusa tra l’essere amici e una coppia di fidanzati.
E Marcus si ritrovò a sorridere da solo, in piedi in mezzo a quello stretto corridoio deserto. Si era lasciato alle spalle ogni cosa, ma finalmente aveva ritrovato una certezza nella sua vita, e questo gli bastava per essere felice.
 
Il silenzio regnava quella notte, nel Distretto 13. Le stanze assegnate a ciascuna famiglia erano insonorizzate, per garantire la privacy degli abitanti e non disturbare gli altri.
Per questa ragione, quella notte, nessuno potè sentire né essere testimone dell’amore che si stava consumando tra due ragazzi che, dopo un’attesa che era parsa loro infinita, potevano finalmente unirsi come una cosa sola, lasciandosi alle spalle il proprio tetro passato, le loro differenze, i conflitti, i silenzi durati anni. Non c’era spazio per cose come l’odio, la guerra o la tristezza, quella notte, nella loro stanza.
Seianus gemette dolcemente mentre Marcus si faceva strada nella sua carne morbida. I loro sospiri affannati riempirono il silenzio della stanza, e per un po’ fu l’unico suono che si udì, mentre il medico si abituava al membro di Marcus dentro di lui.
Quest’ultimo, d’altra parte, faticava persino a respirare date le sensazioni che stava provando. L’interno bollente di Seianus lo avvolgeva completamente, tenendolo stretto a sé; era come affondare in una vasca di acqua calda, i muscoli tesi si rilassarono, la mente si svuotò completamente, lasciando spazio solo alla bellissima immagine di Seianus disteso sotto di lui, il petto muscoloso che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro, le guance arrossate, gli occhi lucidi di desiderio, i capelli che gli incorniciavano il viso.
“Vai, Marcus.” Lo supplicò a mezza voce, stringendolo in un abbraccio. “Sono pronto…”
Marcus non se lo fece ripetere due volte, e cominciò a spingere. All’inizio fu lento, per paura di fargli male, ma, con Seianus che gli mormorava sensualmente all’orecchio di andare più forte e con l’eccitazione che cresceva sempre di più dentro di lui, si lasciò andare.
Non seppe dire per quanto tempo andarono avanti, era troppo preso ad ammirare Seianus, stringerlo a sé, baciare e mordicchiare ogni singolo centimetro di pelle che riusciva a raggiungere, per poi concludere con una spinta più forte delle altre, accasciandosi poi sul corpo sotto di lui.
“Ti amo, Marcus.” Mormorò il medico, avvolgendolo in un abbraccio e carezzandogli dolcemente i capelli corvini.
Marcus piantò l’ennesimo bacio in un punto tra il collo e la spalla, mormorando a fior di pelle: “Anch’io.”

Quando si furono risistemati, si strinsero avvolti tra le coperte; Seianus avvolgeva ancora le braccia attorno al corpo di Marcus, il quale stava serenamente appoggiato al petto dell’altro.
Dopo che i loro respiri si furono finalmente regolarizzati, Seianus chiese timidamente: “Perché non ti trasferisci qui da me?”
A Marcus saltò un battito. Certo che lo voleva, ma era un passo importante, da non prendere alla leggera. La convivenza avrebbe davvero funzionato? Era davvero la persona giusta per Seianus?
“Tu… Sei davvero sicuro?”
Sentì Seianus ridacchiare. “Certo, altrimenti non te l’avrei chiesto.”
“Sì, mi piacerebbe. Quindi… Sì, insomma, quindi adesso questa cosa tra noi è ufficiale?”
Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi castani di Seianus, che brillavano nel buio per l’emozione. Il medico annuì: “Sì, direi di sì.”
“E Snow?” La domanda gli uscì dalle labbra prima che potesse rifletterci. Vide Seianus sobbalzare a quella domanda, e se ne pentì.
“Scusa, non volevo…”
“No, non fa niente.” Il ragazzo accennò un sorriso malinconico. “Tanto ormai non ci rivedremo mai più.”
Ancora qualche attimo di silenzio, e Marcus si azzardò a fare un’altra domanda: “Quello… Snow, ti piaceva davvero?"
Seianus ci mise un attimo per rispondere, come se stesse pensando bene alle parole da scegliere; i suoi occhi erano fissi sul muro davanti a loro, lontani, persi in un luogo diverso da quel piccolo e buio alloggio.
“A Capitol non sono mai stato accettato, mi vedevano solo come il ragazzo dei distretti. Alle elementari mi trattavano male apertamente, crescendo hanno capito che mio padre era più ricco delle loro famiglie messe assieme e non sarebbe stato furbo maltrattare un Plinth. Però non ero comunque un loro pari, e facevano di tutto per farmelo capire.”
Questo scorcio della sua vita rattristò profondamente Marcus. Seianus aveva gli aveva già brevemente parlato della sua infanzia e adolescenza nella capitale e, anche stavolta, il medico aveva raccontato ciò in modo sintetico, frettoloso, ma Marcus comprese che, dietro quelle poche parole, dietro quei maltrattamenti a cui aveva accennato, c’erano anni e anni di dolore e solitudine.
Marcus avrebbe voluto chiedere di raccontargli tutto, ma capiva che non era il momento adatto per farlo. Seianus avrebbe potuto parlargliene quando e se si sarebbe sentito pronto, un giorno.
“Erano poche le persone che non facevano così, e tra queste c’era Corio.” Riprese Seianus. “Siamo diventati amici solo all’Accademia, in realtà, ma è sempre stato gentile con me, sin da quando eravamo piccoli. L’ho sempre ammirato, sai? Apparteneva ad una delle più antiche e nobili famiglie di Capitol, ma non era come gli altri, non era snob, non era inutilmente crudele con i servitori o con i più poveri. Quello che è successo tra noi al Distretto 12… Sapevo che era sbagliato, che lui amava Lucy Gray, ma una volta siamo rimasti soli, nella nostra camerata, lui si è avvicinato un po’ troppo e… Beh, non mi sono trattenuto, mi piaceva da troppo tempo. Lui ci stava e…”
Seianus si bloccò all’improvviso, forse avvertendo il leggero disagio di Marcus.
“Scusa, mi sa che ho parlato troppo.”
L’altro scosse la testa. “No, non sono geloso. Hai tutto il diritto di amare qualcun altro, in particolare dopo che mi sono comportato in quel modo. E’ solo che… Insomma, te l’ho già detto cosa ne penso di Snow.”
Seianus scosse la testa. “Non ti preoccupare. Corio è una persona gentile, lo ha sempre dimostrato, no?”
No, Seianus.
Ad ogni modo, Marcus non disse niente. Coriolanus Snow non faceva più parte delle loro vite, avevano preso strade differenti, ormai.
“Quindi, è certo che verrai?” Il medico cambiò discorso, tornando a guardarlo dritto negli occhi, con entusiasmo palpabile.
“Sì, devo solo fare richiesta di trasferimento e poi-”
Il fiato gli si mozzò perché Seianus l’aveva stretto troppo forte, prendendo a posargli una serie di rapidi baci sulle labbra.
Marcus ricambiò, sorridendo.
Non poteva dire che quella era la vita che sognava di fare. Chiuso in quel bunker sotterraneo, costretto ad una routine monotona, e lontano dalla sua famiglia, dalla sua casa. Ma almeno la presenza di Seianus avrebbe addolcito quell’esistenza.
Questa non è la vita in cui speravo, ma so per certo che sarò felice grazie a te, pensò mentre si accoccolava accanto al compagno, le palpebre che si facevano sempre più pesanti, il silenzio che tornava a regnare nella stanza.
 





 
Note -in particolare per chi ha visto solo il film (LEGGETE STO LIBRO CHE E’ BELLO, vedo troppa gente che ha visto solo il film a sto giro)-
Finalmente qualche sera fa sono riuscita a vedere il film di Tbosas, e devo dire che non sono affatto rimasta delusa. Sono riusciti a ricreare perfettamente l’atmosfera e lo spirito del libro, rimanendo tra l’altro molto fedeli a esso.
NON mi è piaciuto il fatto che abbiano praticamente sorvolato tutta la storia tra Seianus e Marcus. Mi dispiace, ma da persona che scrivere una fanfiction su sta coppia lo devo dire ahah
Ci sono letteralmente due scene con loro due insieme, mentre nel libro la disperazione di Seianus nel non poter aiutare Marcus era molto più evidente, e inoltre racconta alcuni aneddoti sulla loro infanzia (ad esempio, l’episodio della neve.)
NON mi piace il fatto che alla fine, quando Coriolanus fruga tra le cose di Seianus, dopo la sua morte, abbiano sostituito la foto della classe alle scuole elementari di Seianus (in cui compariva anche Marcus) con una foto di lui insieme a Corio. NO NO NO.
Nella scatola Coriolanus trovava solo foto di famiglia e la foto della vecchia classe di Seianus; viene proprio sottolineato che non c’è nessuna immagine né di Coriolanus né dei compagni di scuola a Capitol: ciò faceva comprendere il profondo legame di Seianus con il suo distretto d’origine e il distacco da Capitol, sentimenti che emergono prepotentemente nel corso di tutto il libro, ma che nel film, almeno secondo me, si sono a malapena sentiti. E non c’è neanche il cuore di marmo…
Nel libro, inoltre, Seianus tenta di trascinare via dall’arena il corpo di Marcus insieme a Coriolanus, non lo abbandona lì come nel film…
Vabbè dai. COMUNQUE ci tengo a precisare una cosa che non avevo specificato: il cognome Lane per Marcus me lo sono inventato io, perché la Collins non si è nemmeno degnata di dare un cognome a sto povero Cristo ☹
   
 
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