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Autore: Sunnyfox    15/11/2023    1 recensioni
Solo quando all'improvviso Rufy cacciò un urlo animalesco, si rese conto che la squadra di Kendo del loro liceo aveva fatto il suo trionfale ingresso.
«Eccoli che arrivano!» esclamò, agitando le braccia per catturare l'attenzione di Zoro che seguiva il capitano della squadra e andavano a posizionarsi accanto agli altri kendoka.
Nami lo vide alzare lo sguardo verso di loro, come se fosse davvero riuscito a sentire il richiamo dell'amico, in mezzo a tutto il fracasso esploso all'ingresso delle squadre. Rufy si agitava così tanto che dopotutto sarebbe stato impossibile non notarlo. Zoro non fece altro che alzare lo Shinai in segno di saluto. Una conferma che li aveva scorti e aveva, a modo suo, apprezzato la loro presenza. Se non fosse stato così distante, Nami avrebbe detto di averlo persino visto sorridere.
[High School AU]
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15.

 

Non era stato facile, per Zoro, raccontare tutto a Koshiro. Non era stato nemmeno facile tenere il nome di Trafalgar Law lontano dalla conversazione.

L'unica cosa positiva era che Koshiro non aveva fatto molte domande. Si era preoccupato di trascinarlo in ospedale per fare degli accertamenti. Più di qualsiasi altra cosa era preoccupato per la sua salute. Ma la testa di Zoro era più dura di qualsiasi calcio in faccia e, a parte il brutto taglio al sopracciglio, erano rientrati senza doversi preoccupare ulteriormente.

«Direi che per almeno un paio di settimane gli allenamenti li lasciamo da parte...» gli disse durante una conversazione in giardino.

«Perché? Sono sicuro di poterli-»

«Ti eserciterai da solo. Qualcosa di leggero. Mi pare tu abbia fatto abbastanza allenamento l'altro giorno»

Poteva dargli torto? La rissa aveva messo a dura prova persino un tipo preparato come lui. E ancora si sentiva indolenzito come avesse preso a pugni un muro per tutto il giorno.

«Non avrei mai pensato che dare qualche cazzotto potesse mettere a dura prova i miei muscoli», commentò per fargli capire che sì, forse avrebbe potuto prenderla alla leggera per qualche giorno.

Koshiro, sorprendentemente, scoppiò a ridere.

«E perché pensi che ti abbia detto di andarci piano?»

Gli passò uno dei mochi che avevano comprato per merenda il giorno prima, al ritorno dall'ospedale

«Ho avuto anche io la mia dose di zuffe da ragazzo. So perfettamente come ci si sente, dopo»

Zoro, che si era infilato per intero il dolce in bocca, quasi lo sputò fuori per la sorpresa.

«Tu? Zuffe?» esclamò, senza nemmeno sapere come avesse fatto a parlare con la bocca piena. Doveva essere un dono.

«Perché? Ti sembra così incredibile?» gli chiese, divertito dalla tua reazione «Tuo padre non era uno stinco di santo ed io gli andavo dietro come uno scemo. Ogni tanto provocavamo la gente sbagliata. Poi ci siamo resi conto che il kendo era meglio. Bè, il kendo e le ragazze.»

«La straordinaria vita segreta di Shomotsuki-sama...» gli uscì spontaneo schernirlo. C'erano cose che Koshiro ancora non gli aveva ancora mai raccontato. Ogni volta era un tassello che lo aiutava a conoscerlo meglio.

«Già, ti parlo di davvero tanti... tanti anni fa» si volse a guardarlo «ma sono errori che si fanno, sai? Anche quelli servono a crescere. E ti rivelerò una cosa che non dovrei dirti, come educatore e tutore ma... sono sorpreso che una cosa simile non ti sia accaduta prima.»

Zoro sgranò gli occhi.

«Perché pensi che io sia un teppista?» Koshiro stava per caso rivelando la vera opinione che covava su di lui?

«No!» esclamò divertito «Assolutamente no. Semmai il contrario.»

Gli diede una pacca sulla schiena, ridimensionando la conversazione.

«Non che tu sia il ragazzo perfetto, se pensi che non sappia delle lezioni che salti a scuola, sbagli di grosso» gli rivolse uno sguardo che faceva da monito «ma non mi hai davvero mai dato problemi, perché sembra tu sia sempre stato abituato a mantenere... il controllo»

Il controllo. Non era quella la parola attorno cui stava mulinando la sua vita, in quell'ultimo periodo?

«E invece la vita è fatta anche di cose come questa, dove il controllo lo si perde eccome. Dove a volte bisogna reinventarsi per accogliere le svolte impreviste»

Si creò uno strano silenzio fra loro e forse Zoro capì che Koshiro gli stava solo dando modo di meditare sulle sue parole. Non parlavano spesso. Non in questo modo. Ma ogni volta che accadeva era come se Koshiro gli stesse impartendo una lezione. Molto più profonda di quelle che poteva dargli al dojo.

«Quello che stai dicendo... vale anche per te?» gli chiese allora. E si stava riferendo proprio a quella sua recente tendenza ad aprire la palestra, la sua vita ad altre persone.

«Reinventarmi?» chiese, con un mezzo sorriso «Forse. Credevo non ci fosse spazio per farlo, per uno della mia età... ma sai che ti dico? La scusa dell'età è una grande stronzata»

Zoro quasi trasalì alla sua imprecazione. Anche quella era una novità.

«Ora capisco cosa intendevi dire quando hai deciso di farmi allenare da Law»

Koshiro annuì consapevole.

«Mi fa piacere... che tu lo abbia chiamato solo Law e non chessò, tatuatore strabico», commentò prima di sbuffare l'ennesima risata.

«Eddai!»

«Ma sì. Penso che uscire dagli schemi ti farà solo bene»

«Si potesse applicare questa cosa anche fuori dal kendo...» mormorò Zoro inquieto. Ancora gli tornavano in mente le parole che aveva rivolto a Nami, non meno di una settimana prima.

«Bè, io direi che puoi. Devi solo imparare a lasciarti andare.»

«Penso che dovrai pazientare molto con me, su questa cosa»

«Pensi che io abbia fretta?»

Zoro sorrise un po' mestamente. Forse Koshiro non ne aveva di fretta, ma qualcun altro magari sì.

«Comunque c'è un'altra cosa che volevo chiederti...» aggiunse, facendosi di nuovo serio.

Sembrava un pomeriggio pregno di conversazioni significative.

Zoro si fece attento, posando l'ennesimo mochi che aveva intenzione di mangiare. Tenendoselo per dopo.

«Prima dicevo che meglio delle risse c'è comunque sempre il kendo, convieni?»

«Certo» annuì, pronto a una nuova massima del maestro.

Koshiro lo guardò dritto in volto.

«E delle ragazze cosa mi dici?»

«Apposto. Penso che la nostra conversazione possa chiudersi qui!» replicò sbrigativamente, rimettendosi in piedi, senza dimenticare il suo mochi.

Non avrebbe parlato di ragazze con suo padre. Proprio no!

Koshiro abbandonò gli intenti di carpirgli informazioni molto presto, ma forse non aveva davvero bisogno di indagare sui suoi tormenti. Un'idea sembrava già essersela fatta.

 

-

 

Nami aveva appena terminato di apparecchiare per il pranzo.

Sua madre sarebbe stata di turno la sera e aveva passato la mattinata a sbrigare commissioni con la promessa di rientrare prima di mezzogiorno. Nojiko aveva deciso di cucinare qualcosa di veloce. Dalla cucina arrivava il profumo speziato del curry.

Nami sbucò dalla porta, annusando l'aria come un segugio. Adorava le giornate che prendevano una piega inaspettata, come in quell'occasione. Il semplice ritrovarsi tutte insieme, senza dover dare merito a qualche circostanza speciale. Come quando erano bambine e Bellmer tornava a casa prima da lavoro con i dolci della pasticceria. Un presente per tentare di colmare il vuoto della sua assenza, dell'aver lasciato sole a casa due ragazzine ancora troppo piccole. Ma del resto non si era mai potuta davvero permettere una baby sitter e non c'erano altri parenti a cui chiedere asilo. Era stata costretta a responsabilizzarle troppo in fretta. Nami e Nojiko accoglievano quei doni come il giorno di Natale, liete di poter spendere del tempo prezioso con la loro madre.

«Ci siamo quasi?» domandò facendo irruzione nel tempio temporaneo della sorella.

«Ci siamo e basta» le rispose lei, spegnendo il fuoco dal fornello.

Nami le si avvicinò di soppiatto, raccattando un cucchiaio per saggiare con le sue stesse papille gustative il risultato. Non che avesse dubbi a riguardo: Nojiko era formidabile ai fornelli.

«Controllo qualità!» la prese alla sprovvista, portandosi via il curry bollente con un cucchiaio. Lo ingurgitò alla velocità della luce.

«Nami, attenta-»

«Cazzo, è rovente!» esclamò spalancando le labbra per raffreddare quella sottospecie di colata lavica.

«Cretina» la rimproverò Nojiko, passandole celermente un bicchiere d'acqua con cui Nami si servì con frenesia «meglio?»

Annuì grata per quel gesto caritatevole, per lo scampato pericolo d'ustione. Si poggiò al bancone della cucina con aria esausta.

«Ne è valsa comunque la pena...» grugnì soddisfatta, prendendo un altro sorso d'acqua fresca. La trattenne in bocca un po' più a lungo per dare sollievo all'ustione.

Nojiko recuperò tre piatti fondi, lanciando una sbirciata all'orologio appeso appena sopra il frigorifero.

«Non sembra anche a te che mamma voglia dirci qualcosa da qualche giorno a questa parte?»

Nami si chiese se questa domanda avesse a che fare con il fatto che le avesse parlato di Genzo. Si erano entrambe interrogate su quando Bellmer si sarebbe decisa a parlare loro dell'uomo con cui presumibilmente usciva. La verità era che ancora non ne avevano la certezza, ma quando erano lì lì per affrontare l'argomento, succedeva sempre qualcosa che rimandava la questione.

«Forse...» si strinse nelle spalle, «ho avuto anche io questa impressione. Magari potremmo... forzare un po' la mano»

«Tipo oggi a pranzo?»

«Tipo...»

Annuirono all'unisono, la decisione presa.

Quando Bellmer rientrò, un po' accalorata dal sole primaverile, Nojiko aveva già messo il pranzo in tavola.

«Che profumino delizioso» si complimentò la donna, liberandosi solo della giacca e delle scarpe, raggiungendole in soggiorno.

«Ho chiesto a Nojiko di preparare il tuo piatto preferito»

«Che solo il caso vuole che sia lo stesso che piace a te... ?» commentò Bellmer con uno sguardo sornione.

«Solo un caso...» si strinse nelle spalle, sbirciando la sorella che si era messa distrattamente a versare del succo di mandarino a tutte.

Se dovevano parlare era meglio farlo subito o aspettare che finissero di mangiare, per evitare che il pranzo andasse loro di traverso?

Bellmer, ignara dell'agguato, aveva già cominciato a consumare il suo pasto, senza darsi pensiero di aspettarle.

«Mamma...» si decise a prendere la parola Nami, dopo una silenziosa consultazione di sguardi con la sorella «Nojiko ed io ci chiedevamo come te la passassi, in questo periodo»

Bellmer ingoiò il boccone con cui si era appena servita e passò lo sguardo sulle figlie con aria confusa.

«Intendete con il lavoro?»

Nojiko guardò Nami e viceversa.

«Anche, ma in generale» si strinse nelle spalle, «è che ci sei sembrata un po'... pensierosa ultimamente» decise di non tergiversare troppo, di non lasciare adito a fraintendimenti. Non era un accerchiamento feroce, solo una richiesta di dialogo. Si erano ripromesse di dirsi sempre tutto, o quasi. Di parlare chiaramente quando nella loro famiglia c'era qualcosa che non andava, dalle gioie più frenetiche alle più oscure disperazioni. Dal giorno in cui Bellmer aveva subito quel terribile incidente, alla disoccupazione, non avevano mai più lasciato niente al caso.

Bellmer sembrò restia a rispondere sulle prime, ma quando posò il cucchiaio, capirono che qualcosa da dire doveva effettivamente esserci.

Solo che l'atmosfera era cambiata in modo così repentino che Nami si chiese se non l'avesse infastidita, in un momento che doveva essere quantomeno... sereno. Se forzare la mano fosse stato uno sbaglio. Dopotutto poteva essere un argomento potenzialmente delicato?

«In effetti c'è qualcosa che dovrei dirvi»

Eccoci, pensò Nami. Lo sguardo di Nojiko sembrava intendere la stessa identica cosa.

«Se non ve ne foste accorte, probabilmente avrei rimandato all'infinito questa conversazione. Ma... immagino che non stia a me scegliere. E in fondo non mi è mai sembrato giusto tacervelo...»

Nami sembrò preoccupata del tono in cui stava affrontando il discorso. Che sua madre fosse così convinta avrebbero preso tanto negativamente il suo desiderio di rifarsi una vita? Certo non aveva mai fatto salti di gioia al pensiero che presto o tardi un uomo avrebbe fatto irruzione nella loro quotidianità familiare, ma Genzo era comunque una brava persona, avrebbe potuto andare peggio, avrebbe potuto inciampare nello stesso errore di tanti anni prima, l'anno in cui aveva conosciuto e amato quello che poi era diventato...

«Vostro padre mi ha contattata qualche settimana fa»

Nami avvertì un sordo tuffo al cuore. La stanza sembrò farsi più oscura e silenziosa, ad accompagnare un'affermazione che nemmeno le pareti di quella casa sembravano pronte ad accogliere.

«Che stai dicendo, mamma?» la voce di Nojiko strappò la situazione dal gelido impasse.

«Quello che ho detto: vostro padre mi ha contattata. E mi ha chiesto... di potervi vedere» la sua voce era calma, apparentemente misurata, ma a Nami non servì un'analisi approfondita per capire che quel controllo le stava costando fatica.

Da quanto tempo non si vedevano? O parlavano? Era anche lei turbata, tanto quanto Nami aveva appena scoperto di essere?

«Che non ci pensi nemmeno. Per quanto mi riguarda può andare all'inferno senza averla mai vista la mia faccia da adulta» replicò all'improvviso Nojiko impietosa, implacabile. Lei che quel padre lo aveva a malapena conosciuto, che forse ne ricordava a fatica i lineamenti nei suoi ricordi di bambina. Foto in casa non ne giravano, ma quell'unica volta che Nami aveva visto il suo viso, non lo aveva più scordato. Una foto sbiadita di un ragazzo, poco più che ventenne, che aveva sperato di creare una famiglia. Di mantenerla, forse. E che quando si era reso conto di non averne la forza o la volontà aveva preferito fuggire. Senza lasciare tracce.

Vigliacco.

Non era certa di provare lo stesso risentimento di Nojiko per un uomo che non aveva mai conosciuto. L'unico amore che aveva assorbito era stato quello di sua madre. L'unico e il solo di cui credeva di aver avuto bisogno. Ma la verità era che la sola idea di sapere che là fuori c'era qualcuno che non si era nemmeno preso la briga di volerla conoscere... le spezzava il cuore. Un rifiuto che forse si sarebbe portata appresso per tutta la vita. Sebbene, lei, di colpa, sapeva di non averne alcuna.

Si può provare nostalgia per un amore mai sperimentato?

«Perché adesso?» la sua stessa voce sembrò provenire da corde vocali non sue.

Si sentì addosso lo sguardo di Nojiko e di Bellmer ma non abbassò lo sguardo per ritrattare o formulare domande più specifiche. Doveva esserci un motivo se quell'uomo aveva deciso di comparire, dopo quasi diciotto anni di oblio.

E la risposta arrivò più brutale che mai.

«Perché pare sia molto malato...»

 

-

 

Zoro aveva optato per dei blandi esercizi in casa. Mentre fuori Koshiro e Trafalgar Law allenavano un branco di bimbetti delle elementari, lui se ne stava dentro la palestra a sollevare pesi.

Sentiva solo il vociare delle grida eccitate di pargoli incontrollabili e si chiese se un giorno avrebbe mai potuto ereditare l'attività di Koshiro, se quelle erano le premesse. Non era sicuro di avere quella stessa pazienza. In realtà era sorpreso ne avesse Law.

Era così frenetica l'attività là fuori che nemmeno si era reso conto di essere osservato.

Si volse solo quando andò a sistemare i pesi a terra, vicino al bilanciere e una sagoma aveva invaso praticamente il vano delle porta del dojo.

«Scusa l'intrusione» Law se ne stava appoggiato allo stipite, le braccia conserte, come avesse atteso con pazienza che finisse i suoi esercizi.

«Nessuna intrusione, ho finito...» gli rispose. In realtà si stava allenando da pochi minuti, ma aveva deciso di non esagerare. I muscoli erano ancora indolenziti dall'intensità dello scontro di un paio di giorni prima.

«Allora non ti scoccerà se ti chiedo un paio di minuti per fare due chiacchiere»

Zoro sbirciò fuori dalla finestra: Koshiro stava facendo correre in circolo i bambini. L'allenamento non era ancora terminato, ma evidentemente Law aveva chiesto una pausa. Gli sembrò una cosa importante.

«Parliamo» disse, recuperando una bottiglietta d'acqua. Si mise a sedere su una delle panche in legno, invitandolo a fare lo stesso. Ma Law fece solo qualche passo nella sua direzione, senza sembrare intenzionato a mettersi comodo. Come volesse sbrigare quella conversazione più come un atto formale che come un confronto cuore a cuore.

«Il maestro Shimotsuki mi ha raccontato quello che è successo a te ed i tuoi amici, qualche giorno fa»

Si stava riferendo allo scontro con Doflamingo, era evidente. Non gli servì però su un piatto d'argento il resto della conversazione, era curioso di capire cosa avesse intenzione di dirgli.

«So che non hai fatto il mio nome. E di questo ti sono... grato»

Zoro si strinse nelle spalle. Ancora aveva dei dubbi sulla parola data?

«Ma non volevo che venissi coinvolto. Eppure forse dovevo aspettarmelo. Non mi sono assicurato di metterti davvero in guardia su Doflamingo e la sua squadra»

«Lo hai fatto. Ma non credo tu possa controllare le loro azioni»

Il fatto che lo avesse ammonito non lo aveva comunque messo al sicuro dalle loro ritorsioni, perciò perché farsene carico a questo modo?

«No, questo no...» ammise.

«Ammetto che mi piacerebbe conoscere un po' meglio questa storia» disse Zoro. Forse un po' se lo meritava. Per il suo silenzio e per essere finito in mezzo a una diatriba non sua.

Law si limitò a fissarlo per un lungo istante. Ma era evidente che stava solo cercando le parole giuste per cominciare, che alla fine era venuto a cercarlo per quel motivo.

«Sì bè... immagino che ti sarai già informato per conto tuo, in qualche modo.»

«Qualcosa del genere» tralasciò il fatto che fosse stata Tashigi a fare il grosso del lavoro, non era così importante «so che non pratichi più il kendo per via di un incidente. Immagino che questo Doflamingo c'entri qualcosa»

«Già» confermò con una smorfia amara «In realtà tutto è cominciato perché mi sono immischiato in una storia che non mi riguardava. O meglio... mi riguardava in parte. Il fratello di Doflamingo era un mio compagno di squadra. Un senpai. Amava il kendo tanto quanto lo amavo io» si mise a sedere sulla panca di fronte a Zoro, allungando le gambe.

«Una cosa che a Doflamingo non è mai andata giù. Era come se la passione e la dedizione che Rosinante metteva negli allenamenti, nelle competizioni, per qualche assurdo motivo mettesse in evidenza la condotta disordinata di Doflamingo. I loro genitori sostenevano Rosinante, mentre bè... immagino capirai da solo cosa disapprovassero del loro figlio maggiore.»

Zoro cominciava a tracciare un quadro piuttosto chiaro della vita familiare del fenicottero. Ma era curioso di capire quale fosse stato l'apice della storia, perché a prescindere da tutto non c'era giustificazione nelle sue azioni.

«... e poi un giorno, durante un ritiro per la sessione finale degli allenamenti, in vista dei campionati nazionali... Doflamingo e i suoi hanno fatto irruzione in palestra. Le provocazioni sono andate oltre le parole e le cose sono degenerate in fretta. Immagino che il piano fosse solo quello di fare un po' di casino, di provocare uno scandalo tale per cui la squadra sarebbe stata espulsa dal campionato nazionale e Rosinante messo alla porta proprio il suo ultimo anno di liceo... la verità è che è finita molto peggio di così»

A Zoro sembrò che a Law costasse fatica portare a termine il racconto, ma cercò di farsi forza e passatosi una mano fra i capelli, riprese.

«Al contrario di Rosinante io non sono mai stato una persona pacifica. Sebbene sulle prime battute lui abbia fatto di tutto per sedare gli animi, io non sono riuscito a stare a guardare mentre distruggevano mezza palestra. Ho cercato di fermare uno di loro prima che spaccasse uno shinai sulla gamba di un ragazzino del primo anno. Ci ho visto rosso e sono intervenuto, prendendolo a pugni. Lì è degenerato tutto»

Si passò una mano sul viso.

«Ma è stato quando Doflamingo ha cercato di spaccarmi la testa con un'asta di metallo che aveva raccolto da chissà dove che Rosinante si è messo in mezzo. Ancora adesso non riesco a ricordare davvero le dinamiche dell'incidente. È stato... tutto così veloce. So solo che ad un certo punto mi sono trovato seduto per terra e Rosinante era accanto a me, accasciato al suolo, privo di coscienza. Mentre Doflamingo reggeva in mano quel cazzo di bastone di metallo e non sembrava nemmeno aver capito cosa avesse appena fatto. Poi sono arrivati un sacco di professori, studenti... il caos»

Zoro poteva solo intuire il resto del racconto a quel punto.

«Gli ha praticamente spaccato la schiena» concluse «non so nemmeno quanta forza possa avere un uomo per spaccare la schiena a un'altra persona. Doflamigo è stato portato via, lui e la sua banda, io sono stato scagionato dalle dinamiche della rissa, ma il dojo ha dovuto prendere provvedimenti... non ho più messo piede in palestra, da quel giorno»

«E perché Doflamingo e i suoi sono venuti a cercarti qualche giorno fa?»

«Perché? Te lo domandi anche? Per vendicarsi. Perché Doflamingo pensa che non sia stato giusto che sia stato lui l'unico a pagare davvero per quella storia. Perché pensa che io sia corresponsabile della sua discesa agli inferi e della vita di merda che ha passato suo fratello, da quel giorno in poi. E magari in parte ha pure ragione...»

«Non dire stronzate...» lo interruppe Zoro. I rimorsi di coscienza di Law poteva anche comprenderli ma l'addossarsi la colpa dell'avvenimento gli sembrava davvero eccessivo «e comunque sono sicuro che sapesse esattamente dove lo avrebbe condotto una simile iniziativa. Altrimenti non si sarebbe sprecato a venire ad accertarsi pure con me di non aprire la bocca sul nostro incontro.»

Aveva paura di finire di nuovo dietro le sbarre. E voleva tappare la bocca a chiunque con metodi poco ortodossi. Ma sapeva cosa rischiava, forse per quello non aveva mentito agli interrogatori, sarebbe stato inutile.

«Come dici tu...» rispose Law, poco incline a riceve il perdono di chicchessia.

«Che fine ha fatto il fratello di Doflamingo?»

Law alzò su di lui uno sguardo arreso e si mise in piedi.

«Diciamo che a me è andata di lusso a scegliere di non praticare più il kendo. Lui non ha potuto scegliere un bel niente», non sembrò volergli fornire altre informazioni, ma non volle insistere a riguardo: aveva comunque avuto la storia che meritava.

«Detto questo... ora che sai tutto, ti chiedo se ti stia ancora bene prendere lezioni da me. Hai detto che sono sleale e forse un po' è vero. Non ho certo intenzione di rovinare la carriera ad altre persone.»

Zoro si mise in piedi a sua volta, a decretare che la conversazione stava volgendo al termine.

«Koshiro ha detto che mi ha affidato a te per un motivo preciso. Mi fido di lui. Imparerò anche a fidarmi di te.»

Il caos. Capiva molte cose ora Zoro.

Law non rappresentava solo il caos, Law era il caos. Era frutto di tutto il rimescolio interiore che si portava appresso da anni. Aveva accettato di allenarlo e di diventare maestro di un minuscolo dojo di provincia perché il kendo gli piaceva. Ma i suoi sensi di colpa nei confronti di Rosinante gli impedivano di tornare a calpestare palestre competitive.

«E penso che dovresti rivalutare l'idea di riprendere» si permise di suggerirgli allora, perché nonostante le sue tecniche poco ortodosse, Zoro aveva capito che era davvero in gamba «Altrimenti non conta quante volte Doflamingo finisce dietro le sbarre. Vince sempre.»

Law li lanciò uno sguardo in tralice e Zoro capì di aver parlato troppo. Ma non si pentiva di averlo fatto. Non era solito lasciare in sospeso una conversazione. O non dire esattamente quello che pensava.

«Torno dai ragazzini...» replicò Law, senza dargli la soddisfazione di una risposta. Non che se l'aspettasse davvero.

«Ah», sembrò ripensarci, fermandosi poco prima di uscire «Shimotsuki-sama mi ha chiesto di sbirciare se ti stessi allenando e nel caso di farti smettere, che gli devo dire?»

Zoro sgranò appena gli occhi, sapendo di essere stato colto in flagrante, ma Koshiro non gli aveva impedito di allenarsi del tutto? O sì? Forse gli allenamenti leggeri che intendeva non prevedevano l'uso di pesi tanto consistenti.

«Che sto andando a farmi un tè... ?»

«Ottimo»

E se ne andò.

Forse avrebbe dovuto rendere reale quella mezza bugia.

 

-

 

Nami aveva camminato avanti e indietro per mezzo pomeriggio, fino alla spiaggia, e poi una volta lì ancora avanti e indietro con i piedi scalzi nella sabbia, seguendo i moti delle onde, violente, incostanti. Come il suo umore.

Era lì che, presa da uno stato febbrile indefinibile, incontenibile aveva preso il telefono e chiamato la prima persona che le fosse venuta in mente.

«Ho bisogno di vederti...» aveva masticato a fatica, il fiato corto di tutto quell'andirivieni. Contrastata dalla sabbia, dal vento, dalla gola serrata da un'emozione incomprensibile.

Si chiese quanto tempo fosse passato dal momento in cui aveva deciso di uscire di casa, di non ascoltare più la discussione fra Nojiko e Bellmer, di quanto fosse opportuno o meno assecondare le paure di una persona che si sentiva messa alle strette dalla vita, schiacciato dai sensi di colpa.

Non era riuscita a sentire niente di più, fra le grida, le lacrime mal trattenute e tutti quei sentimenti violenti che permeavano la casa come una polveriera in procinto di esplodere.

Era scappata. Con una scusa, con la volontà di avere bisogno di tempo per schiarirsi le idee, di non preoccuparsi per lei. Si rendeva conto, solo in quel momento, in balia delle perturbazioni incontrollabili della natura di non avere idea di cosa provasse per davvero.

Il cielo era plumbeo, le nuvole si muovevano rapide. Il clima mite della mattinata stava lasciando spazio a minacce temporalesche. Un po' le invidiava: presto o tardi, da qualche parte, almeno loro avrebbero trovato uno sfogo.

Ne avvertì la presenza ancora prima di sentire la sua voce. Aveva scelto la spiaggia ancora prima di sapere sapere che lo avrebbe chiamato, che quello era uno dei pochi luoghi che persino uno come lui avrebbe potuto raggiungere senza fatica.

«Nami! Allontanati da lì, si sta alzando la marea!»

Lei arretrò appena, senza voltarsi, senza guardarlo, la spuma dell'oceano le lambiva i piedi, le caviglie. Il vento le scompigliava i capelli, si divertiva a frustarle il viso.

«Non mi succede niente...» mormorò come se potesse sentirla, come se il vento potesse portargli il suo messaggio.

«Mi hai sentito?» si sentì strattonare all'indietro, proprio quando un'onda più violenta delle altre sembrò volersi prendere gioco della sua fiducia nell'oceano.

«Sta per piovere, non ci dovresti stare qui»

Zoro la stava guardando, come non gli aveva mai visto fare. Teso, forse preoccupato. Per un attimo le sarebbe piaciuto vedersi attraverso i suoi occhi. Come doveva sembrarle, se si stava preoccupando per lei?

«Non pioverà» cercò di rassicurarlo, assecondando la sua presa, abbandonando il bagnasciuga, le scarpe legate insieme per le stringhe che le ballavano sul fianco.

Si ritirarono di molti metri dall'oceano, che si stava lentamente gonfiando, minacciando la sua furia.

«Mi spieghi che succede?» le domandò, ancora quel tono inquieto.

Il perché lo avesse chiamato al momento le sfuggiva, la verità è che sebbene fosse scappata dalle donne della sua famiglia, in fondo, forse non voleva rimanere davvero sola.

Lì, in piedi di fronte a lui, adesso si sentiva straordinariamente persa, come se tutte le emozioni che aveva scatenato la notizia di Bellmer stessero confluendo una dopo l'altra tutte insieme, in un unico sfogo.

«Io ti piaccio, Zoro?» gli chiese, in una domanda apparentemente slegata da tutto ciò che la stava davvero agitando tanto.

«Mi hai chiamato qui per questo motivo?» quella di Zoro era sorpresa, forse frustrazione, forse rabbia?

«Rispondimi. Valgo la pena?»

«Questa mi sembra una-»

«Rispondimi, perché non vuoi rispondere? Perché non riesci a rispondere?!» le uscì più accalorato di quanto avesse preventivato. Quella che doveva essere una domanda che si era preparata da tempo, che voleva introdurre in una conversazione più tranquilla, seria, matura, si stava improvvisamente trasformando in un grido disperato che sembrava non avere alcuna ragion d'essere.

«Perché non ha alcun senso che tu me lo stia chiedendo ora! Non così. Che sta succedendo?» la voce di Zoro venne fagocitata dal vento che aveva preso ad agitare le palme in riva all'oceano.

«Invece ha sempre senso! Ha senso pretendere di sapere quanto si è amati!» le uscì in un grido distorto, in parte dovuto all'ululato del vento che rischiava di spazzare via anche le sue parole, in parte perché la deflagrazione sembrava il risultato di un silenzio durato diciotto lunghi anni.

«Lo sai che significa, chiederselo ogni singolo giorno, da quando sono nata?» singhiozzò, senza nemmeno rendersene conto.

Zoro la osservava ammutolito e confuso, forse appena consapevole da quale luogo della sua coscienza fosse uscita quella frase, quello sfogo.

Non sembrò doverci pensare molto per attirarla a sé, senza doverle chiedere spiegazioni.

Nami represse un sospiro violento, un gemito che non trovò sfogo nel pianto.

Il solido abbraccio di Zoro, l'unica fortezza a contrastare la ferocia degli elementi, fuori e dentro di lei.

 

Note:

Per la descrizione della rissa in palestra ho brutalmente scippato l'idea da Slam Dunk.

   
 
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