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Autore: Sunnyfox    20/11/2023    3 recensioni
Solo quando all'improvviso Rufy cacciò un urlo animalesco, si rese conto che la squadra di Kendo del loro liceo aveva fatto il suo trionfale ingresso.
«Eccoli che arrivano!» esclamò, agitando le braccia per catturare l'attenzione di Zoro che seguiva il capitano della squadra e andavano a posizionarsi accanto agli altri kendoka.
Nami lo vide alzare lo sguardo verso di loro, come se fosse davvero riuscito a sentire il richiamo dell'amico, in mezzo a tutto il fracasso esploso all'ingresso delle squadre. Rufy si agitava così tanto che dopotutto sarebbe stato impossibile non notarlo. Zoro non fece altro che alzare lo Shinai in segno di saluto. Una conferma che li aveva scorti e aveva, a modo suo, apprezzato la loro presenza. Se non fosse stato così distante, Nami avrebbe detto di averlo persino visto sorridere.
[High School AU]
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16.

 

Nami aveva ragione.

Il temporale non si scatenò. Le nuvole furono spazzate via dal vento senza trovare sfogo in una pioggia salvifica.

Il cielo era tornato in parte sereno, spaccato in due: da una parte il rosa di un tramonto in arrivo, dall'altra il blu profondo e il grigio oscuro delle nubi che si stavano allontanando.

Zoro non le aveva chiesto nulla, solo di seguirlo.

L'aveva portata a casa con sé, sotto lo sguardo inquisitorio, preoccupato di un Koshiro che però non si era intromesso. Aveva messo su del tè e ne aveva consegnato una tazza fumante alla ragazza che se ne era rimasta lì, seduta su una seggiola della stanza di Zoro, lo sguardo perso in profonde meditazioni.

«Pensi sia il caso di avvisare a casa?» chiese Koshiro, quando Zoro gli riportò la tazza appena ammezzata.

«Magari più tardi» gli rivolse uno sguardo che non chiedeva nient'altro che tempo, e un po' di comprensione. L'uomo annuì concorde, consapevole che ancora non fosse il caso di mandare segnali d'allarme.

Zoro rientrò in camera, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle; Nami aveva aperto la finestra e se ne restava così affacciata, ad assistere alle ultime vampate rossastre del giorno che sparivano all'orizzonte.

Si sedette in silenzio sul futon ancora disfatto dalla notte precedente, aspettando che fosse lei, nel caso, a prendere la parola.

Ne studiò il profilo senza sapere davvero cosa pensare. Sconvolta a quella maniera non l'aveva vista mai, nemmeno durante uno dei suoi sfoghi per le angherie di Arlong o quando Bellmer sembrava non riuscire a trovare un lavoro fisso, mentre le difficoltà continuavano ad accumularsi. Niente però era riuscita davvero mai a spegnerle il sorriso. Era sempre riuscita ad affrontare, superare qualsiasi cosa, Nami. Vederla in quello stato l'aveva turbato.

Sopratutto se considerava il fatto che tutte le parole che gli aveva rivolto, nel bene o nel male, non sembravano affatto essere destinate a lui.

La sentì riprendere fiato, come se lo avesse trattenuto troppo a lungo, ridestandosi dalla sua silenziosa riflessione. Quando si volse a guardarlo, Zoro si rese conto che stava sorridendo.

«Devo esserti sembrata una squilibrata là fuori...»

Per un po' non disse niente, cercando di interpretare la tonalità della sua voce, se vi fosse ancora qualche traccia di inquietudine, di tormento: non ne trovò. Sembrava solo tanto stanca.

«Non più del normale» cercò di stemperare, concedendole solo un po' di quella leggerezza che aveva sempre caratterizzato il loro ambiguo rapporto.

Nami si limitò a restituirgli un cenno d'approvazione, ringraziandolo tacitamente di averle permesso una pausa.

La guardò districare le gambe dalla sedia e voltarsi completamente nella sua direzione, le spalle contratte che cercavano disperatamente di rilassarsi. Seguì il suo sguardo vagare per le pareti della stanza, soffermarsi su dettagli che a lui sembravano piuttosto insignificanti.

«Credo che sia la prima volta che finisco in camera tua, lo sai?» gli chiese, indugiando sulla bacheca piena di volantini e fogli sparsi.

«Non è vero...» cercò di negare lui. La verità è che non ricordava affatto un dettaglio simile.

«È vero», confermò lei, facendo scivolare le rotelline della sedia, fino ad avvicinare la scrivania. Raccolse una cornice con una foto che ritraeva un fiore. Gliela mostrò senza dire niente, con aria perplessa.

«È la foto che vendono assieme alla cornice. Non ci ho trovato mai niente da metterci»

«Troverò io una foto da metterci...» decise, posando la cornice sulla scrivania ma al contrario, come se ritenesse una cosa sconveniente avere una foto che non lo rappresentava in alcun modo.

Abbassò lo sguardo e si chiese per quanto ancora intendesse andare avanti a prorogare le sue spiegazioni, se mai avesse avuto intenzioni di darne.

Sembrava solo tergiversare per rimandare il più possibile il momento.

Solo quando il silenzio e la curiosità per la sua camera parvero sopiti, Nami sembrò pronta a parlare sul serio.

«Mio padre vuole conoscermi» lanciò nel silenzio statico della stanza. L'affermazione, lanciata casualmente, ebbe la risonanza di uno schiocco.

Zoro sapeva che il padre di Nami era sparito ancora prima che nascesse. Non gliene aveva mai davvero parlato, come fosse un avvenimento sconveniente. Sminuito fino a diventare insignificante.

Ma insignificante non lo doveva essere per niente, se la causa di tutto ciò che era successo quello stesso pomeriggio, dell'agitazione che sembrava averle sconvolto l'animo, le viscere, trovava concretezza in quell'unica, semplice frase.

«Dopo quasi diciotto anni ha deciso, di punto in bianco, di conoscere la figlia che non si è nemmeno preso la briga di veder nascere» gli sembrarono parole dure. Amareggiate. Forse il tumulto interiore si era sgonfiato in quella piccola crisi che l'aveva colta proprio sulla spiaggia. Ma non era certo non si fosse spento del tutto.

«E vuoi sapere perché?» gli lanciò uno sguardo rigido, ma che sotto sotto celava la fragilità di chi era impreparato a dare una risposta a quella stessa domanda «Perché a quanto pare è malato. E probabilmente è talmente tanto egoista da aver pensato di meritare una sorta di assoluzione prima che giunga l'irreparabile»

Zoro cominciò a capire l'assoluta disperazione che seguiva quelle sue parole.

«Non per affetto. Non per amore, solo per togliersi dalla coscienza diciotto anni di assenze.»

Non riusciva a dire niente e forse Nami nemmeno si aspettava che lo facesse. La guardò passarsi una mano sul viso, cercando di scacciare via la smorfia abbruttita delle sue conclusioni.

«Mi sono chiesta spesso perché se ne fosse andato. Anche quando ero più impegnata a preoccuparmi che mamma stesse bene, che Nojiko stesse bene. Poco mi importava di come stesse lui o cosa stesse facendo della sua... miserabile vita. Però mi sono chiesta spesso perché avesse deciso di abbandonarci, perché non ci avesse scelto. Una parte di me si è sempre sentita rifiutata. Nonostante tutto l'amore che mamma e Nojiko si sono sempre preoccupate di trasmettermi. Mi sono domandata perché, nel mio caso, se ne fosse andato ancora prima di potermi conoscere. Come se non valesse la pena farlo, come se non fosse importante» abbassò lo sguardo ormai fattosi cupo, «come se io non fossi importante.»

Zoro lasciò il peso di quelle parole cadere fra le pareti della stanza. Se ne sentì oppresso lui stesso.

Ora forse capiva cosa intendeva dire con le parole gridate al vento, pochi minuti prima, sulla spiaggia: valgo la pena?

Il dolore di non aver mai conosciuto davvero un genitore pesava anche sulla sua, di coscienza. Ma la differenza fra il non averlo potuto fare per cause di forza maggiore e quello di sapere che non avevano voluto farlo, sembrava mostruosa.

«Che cos'è quest'uomo per te... ?» le domandò, prima di qualsiasi altra cosa. Le prime parole che le rivolgeva erano solo una domanda, all'apparenza semplice.

Nami serrò le labbra, l'espressione arresa.

«Probabilmente solo uno sconosciuto»

Zoro annuì, ma forse era l'unica risposta che voleva sentire.

«Chiediti allora se hai davvero bisogno dell'approvazione di uno sconosciuto per sapere che sei importante...»

«Però è sempre mio... padre. Non è così che funziona? Anche se non mi ha mai riconosciuta»

«Padre è chi ti cresce, chi è presente e si prende cura di te. E ti ricorda, ogni giorno, anche senza dirtelo, quanto tu sia importante»

Come Koshiro aveva fatto con lui, senza pretendere niente in cambio. Donandogli molto più di quanto non avesse mai chiesto.

«Non è così semplice...»

«Lo so» le disse. Non era certo sua intenzione sminuire i suoi sentimenti, le sue percezioni «ma quanto tu sia importante sono sicuro te lo dimostrino tutte le persone che ti vogliono bene e che ti conoscono.»

Nami socchiuse gli occhi, traendo un lungo sospiro.

«Alle volte avrei bisogno di sentirmelo dire»

Una richiesta inconscia.

Koshiro non gli aveva suggerito di ribaltare gli schemi? Di lasciarsi andare? Sopratutto quando sapeva di poter atterrare al sicuro. Perché sì, con Nami non poteva fare niente altro che sentirsi al sicuro.

«Tu per me lo sei» disse.

Nami riaprì gli occhi e raccolse le gambe sopra la sedia, nascondendoci in parte il viso, senza coprire il suo sguardo che ora sembrava colmo di un'emozione incontenibile.

«Grazie» la sentì sussurrare. Un soffio quasi silenzioso ma sentito.

Le sorrise senza dire altro, per farle capire che era vero, non una concessione che le faceva solo per tirarla su di morale.

«Mi dispiace di aver cercato di strapparti una dichiarazione, prima, alla spiaggia...» rimase ferma nella medesima posizione, un po' in imbarazzo. «A casa gridavano tutti, e io devo essere andata in confusione...»

Zoro scrollò le spalle; non doveva preoccuparsi, non per questo.

«Magari potevo risponderti e basta» le disse «era un po' che me ne volevi parlare, giusto?»

«Come fai a-?»

«Nell'aria. Magari a volte sembro ottuso, ma certe cose le capisco»

«L'ultima volta che abbiamo parlato sembravi... indeciso»

Zoro non poté far altro che annuire.

«Lo sono ancora...» decise di non mentirle, decise di non lasciare che l'improvvisa rigidità che aveva avvertito in Nami lo frenasse dall'esprimersi sinceramente «non proprio indeciso, forse più... disorientato. Ma non perché tu non mi piaccia» inspirò a fondo a farsi coraggio a non interrompersi sul più bello, a non dare per scontata nessuna sfumatura di quella conversazione.

«Hai smosso delle cose di me che nemmeno sapevo di possedere...» lo aveva risvegliato da un torpore sentimentale che credeva di non avere o che non si sarebbe mai concesso di sperimentare. Gli aveva risvegliato sensi che faceva davvero fatica a giostrare, a tenere a freno. A volte si era chiesto se non avesse contratto la stessa identica malattia di quell'idiota di Sanji. Perché pensava a lei molto più di quanto avesse fatto in passato. Si preoccupava per lei con più trasporto mentre il sentimento, il coinvolgimento lo avvolgeva a volte in modo tanto violento da soffocarlo. Ne era spaventato. Quanto potere poteva esercitare su di lui una sola persona?

Quelle che si era permesso di amare profondamente, incondizionatamente erano scomparse dalla sua vita in modo improvviso. E sebbene avesse aperto il suo mondo ad altri, concedendo respiro alla sua solitudine, persone per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa, quello specifico tipo di sentimento, quello che adesso riusciva ad associare solo a Nami così profondo, intenso e brutale nella sua intensità, stava ancora cercando di interpretarlo, di non averne timore.

Era pronto a concederle l'onere di poterlo distruggere con un solo gesto, una sola parola?

O di sollevarlo tanto in alto da desiderare di arrivare a farsi bruciare dal sole?

Nami era riuscita a incrinare una barriera in quel cuore un po' maltrattato e dalla crepa riusciva a intuire quanto violenta potesse essere la forza delle onde che avrebbero potuto travolgerlo.

«Sto imparando a capire. A gestire questa cosa nel migliore dei modi»

La guardò dritta negli occhi, senza indugi, sincero.

«Tu mi piaci. Mi piaci davvero. Devi solo darmi il... tempo per imparare a dimostrartelo»

Nami aveva serrato le labbra e non aveva fatto altro che osservarlo, in parte curiosa, in parte fosse spaventata di quello che avrebbe potuto dirle. Ma adesso sembrava sollevata. Sciolse le braccia che ancora avvolgevano le sue gambe, concedendosi di alzare la testa, lo sguardo.

«Lo fai continuamente...» disse, prima di scivolare giù dalla sedia e raggiungerlo. Inginocchiata di fronte a lui sul futon, gli afferrò entrambe le mani.

«Anche se a volte sono troppo irruenta e impaziente per capirlo. Sei sempre stato silenzioso, riflessivo, ma anche se te ne stai spesso in disparte sei sempre stato presente. Ovunque io avessi avuto bisogno di te. Questa è la cosa che, più di ogni altra, avrei dovuto capire.»

Zoro avvertì un piacevole calore risalirgli su per lo stomaco. Era la prima volta che qualcuno parlava di lui, con lui, in questi termini.

«E oggi hai perfino trattato con indulgenza i miei eccessi. E questo è già piuttosto straordinario, considerato quanto puoi essere stupidamente insensibile a volte» lo prese in giro.

Gli strinse le mani, intrecciando saldamente le dita alle sue.

«Prometto che tratterò con gentilezza il tuo cuore...» concluse «s-se mi permetterai di stare con te, ancora per un po'»

Le parole di Nami lo sorpresero. Aveva forse paura che desiderasse... lasciarla? In qualsiasi declinazione avessero mai considerato il loro rapporto.

«Stupida ragazzina...» stemperò con un insulto che non le rivolgeva da tempo. Forse il primo che le avesse mai rivolto, il giorno stesso in cui si erano conosciuti.

Il momento era ancora vivido nella sua memoria. Non l'aveva mai dimenticato, il giorno in cui era entrata a far parte nella sua vita.

Nami sbuffò una risata divertita, consapevole. Come se nella sua mente fosse passato lo stesso identico ricordo. Alzò il viso per offrirgli le sue labbra.

Chi l'avrebbe mai detto che sarebbero finiti così? Considerato che le prime parole che si erano rivolti erano state stizzose.

Ricambiò l'offerta azzerando le distanze.

Gli piaceva baciare Nami, si chiese come avesse mai potuto fraintendere o dubitare di una cosa del genere.

 

-

 

Nojiko era passata a prenderla un paio d'ore dopo.

Koshiro aveva insistito per invitarle entrambe a cena, ma avevano gentilmente rifiutato. A Nami parve di aver approfittato fin troppo della loro disponibilità, della loro gentilezza.

Alla domanda di Zoro: «Cosa hai intenzione di fare con tuo padre?» la risposta era stata «Sarai il primo a saperlo non appena lo avrò capito.»

Sussurrato come fosse un segreto, prima che le concedesse il congedo sul cancello di casa.

Era stata Nojiko a chiamarla per sapere dove fosse finita. Nami non le aveva chiesto di passare a prenderla, si era offerta lei di farlo.

Si sentì in colpa per averla abbandonata in un momento che per lei doveva essere stato altrettanto intenso. Sua madre era dovuta scappare a lavoro e lei era rimasta sola ad affrontarlo.

«Mi hai fatta preoccupare...» le disse durante il tragitto, guardando la strada, non lei.

«Ti chiedo scusa»

«Dovrei farlo io» le rispose a sorpresa «mamma ed io abbiamo esagerato con i toni»

«Sono abituata ai vostri toni» le concesse «ma non al ritorno di papà...»

Ed era così, perché se pur vero che ad agitare e montare il suo stato erano state le grida, la furia, il risentimento delle persone che più amava al mondo, per colpa della persona che forse più doveva trovare insignificante al mondo, la realtà era che quella notizia aveva anche rimescolato le carte in tavola.

Carte di una situazione consolidata da diciotto anni che erano state travolte da uno tsunami imprevisto.

«Nemmeno io» Nami avvertì l'amarezza e la frustrazione della sorella come una frustata.

«Sarei dovuta rimanere con te»

«Per niente. Mi pare tu abbia trovato conforto in ciò di cui avevi bisogno»

Nami arrossì appena. Non le aveva ancora parlato di Zoro, forse adesso non era più nemmeno necessario farlo.

«Mentre io avevo bisogno di stare sola, quando mamma è andata a lavoro. Per mettere insieme i pensieri, sai?»

Si fermò alla luce di un lampione, nei pressi di un piccolo negozio di alimentari.

«Io papà lo ricordo poco. Ma quel poco che ricordo non è sempre stato così sgradevole, ci credi?» la guardò, trovandola amareggiata da quell'ammissione, «forse è proprio per questo che fa ancora più male sapere che se n'è andato, senza mai più voltarsi indietro. Il buono che c'era, che poteva esserci, è stato spazzato via nel preciso momento in cui lo ha fatto.»

Nojiko finalmente ricambiò il suo sguardo.

«So che hai le stesse mie domande che ti frullano nella testa. E che ti sei sentita abbandonata, rifiutata, quando mi ci sono sentita io. Per quello non voglio che mi rispondi adesso, ma... nel caso volessi conoscerlo, o non conoscerlo io seguirò solo la tua decisione»

Nami sgranò gli occhi incredula e forse un po' indispettita da quella dichiarazione.

«Mi lasci questa responsabilità? Davvero?»

«Sì, perché io ho già deciso cosa fare. Ma ti sarò accanto, qualsiasi cosa deciderai di fare. Sei sempre stata più importante tu. Ed io al contrario di quell'uomo, non ho intenzione di lasciarti sola.»

L'irritazione le scivolò di dosso molto rapidamente. Nami avvertì per la prima volta quel pizzicore alla gola che preannunciava il pianto. Cercò di ricacciarlo indietro. Aveva resistito fino a quel momento, non aveva intenzione di crollare proprio ora. Proprio adesso che Nojiko le stava di fronte e le diceva, a modo suo, che l'amava.

Non si era mai sentita tanto avvolta, travolta d'affetto come quel giorno.

«E pensare che eravamo convinte che mamma frequentasse Genzo» disse e un po' le venne da ridere.

«Oh, lo frequenta»

«Come?»

«A-ah, è passato lui a prenderla per accompagnarla a lavoro. E quando li ho sbirciati dalla finestra, la stava abbracciando, sussurrandole paroline all'orecchio»

«Occazzo, questo dovevi dirlo subito!»

«Nami e le priorità, parte uno» scoppiò a ridere Nojiko, l'espressione tesa spazzata via. Era questo che le piaceva di sua sorella, la straordinaria capacità di ridestarsi da qualsiasi malumore, molto più rapidamente di lei.

«E tu invece quando avevi intenzione di parlarmi del samurai, mh?» le passò un braccio attorno alle spalle.

«Non adesso» le rispose, cercando di districarsi. Nojiko la lasciò andare solo per non infierire.

«Mi piace come ti guarda...» le disse a sorpresa.

Nojiko tornò a camminare, non lungo la strada, ma verso l'ingresso del negozio «Prendiamoci una pizza surgelata per cena, che dici?»

Nami si affrettò a raggiungerla solo quando fu certa che il cuore fosse tornato a battere regolarmente. Quando fu libera di pensare che sì, anche a lei piaceva come Zoro non solo la guardasse... ma la vedesse.

   
 
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