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Autore: _Alcor    29/11/2023    6 recensioni
Quando Ashley riceve la possibilità di tornare indietro nel tempo per impedire la morte della sua migliore amica, la afferra senza esitazione. Ma deve riuscirci nei minori tentativi possibili, perché ogni reset le strapperà una parte della sua umanità.
Eppure, si dice, diventare un demone pur di salvare quella ragazza non sembra così male.
{ho un debito creativo enorme verso il kagepro | e per la cover di fight song di Izuru | angst&loop temporali}
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Warden of humanity'
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XIX.
[Ronye Brionac]



Spalmo la spalla contro il muro di facciata del Granaio e prendo fiato, mi scoppiano i polmoni. Venti minuti di corsa solo per arrivare qui, avessi avuto le gambe lunghe di Ashley ci avrei messo la metà. Tossisco, schizzi acidi si spargono sull’asfalto e gettano sottili fili di fumo.

Uno spasmo mi scuote il petto, me lo artiglio. Onestamente, avrei bisogno anche dei polmoni di Palo.

Nuvole cariche di pioggia si sono stese sulla città, il tempo è talmente nero da sembrare notte. Se altri squarci si aprissero nel cielo, non sarebbero visibili. I lampioni si accendono con uno sfrigolio elettrico, i coni di luce rischiarano a stento la zona.

Lancio un’occhiata al telefono, mamma e papà staranno per accorgersi che non sono tornata a casa. Lo caccio in tasca e butto la mano alla porta del museo civico, la sbarra rossa cede. È aperta.

Le scaglie sulle dita si scoloriscono e riassorbono, il dolore allo stomaco si calma ma la vescica da bruciatura sulla mano rimane. Entro; se solo i segni di anomalia svaniscono, significa che la bastarda è qui.

Dalla cima della scalinata la sua incisione mi rivolge un sorriso quieto. Raggiungo l’ufficio e mi spingo fino al retro dove ci sono i bagni: trovo solo un paio di scatole piene di cartacce e nastro adesivo isolante accatastate in un angolo. Corro nelle stanze opposte.

Quadri, quadri e quadri.

Niente da fare. Salgo le scale con le orecchie tese, un piagnucolio debole spezza il suono dei miei passi, qualcuno tira su con il naso. Non sembra una voce familiare… Arrivo in cima alla rampa, oltre le ampie vetrate il cielo nero viene spezzato da un fulmine che illumina la città a giorno.

Qualcuno sbuffa, è un suono gracchiante che pare arrivare da vecchie casse. «Non sono così tanto spaventosa.»

«Ma’am. Signora entità… io–» La voce del collega di Ashley si fa acuta.

Le seguo fino alla stanza dove ci sono tutti i manufatti degli schermitori, il ragazzo – Seth? – è accartocciato dietro a uno degli espositori. Una nuova statua luminescente si trova accanto a quella dello scudo rosso, coperta da una mantella bianca bordata d’oro e circondata da frammenti di cristallo vorticanti.

Yelena?

La statua fa un passo. Salto indietro e il ragazzo tira uno strillo.

La donna si avvicina a uno degli espositori, il volto privo di fattezze si concentra su ninnoli e stoffe custodite nella teca. Batte il dito azzurrino a livello di una coppia di dadi a dieci facce. Mi sono persa una trentina di timeline per strada!?

Seth mi lancia uno sguardo, gli occhi sbarrati e le labbra tremanti. «Chi cacchio sei tu?»

«Amica di Ashley.» Quanto lo preferirei svenuto, gli intralci dovrebbero stare zitti e muti. «Se ti può aiutare, sei nel primo episodio di una serie televisiva e stai per essere trascinato a salvare il mondo.»

«Scusa!?»

Yelena getta indietro le spalle e scoppia a ridere, la voce è come unghie sul vetro. «Avevo l’impressione che tu e Ashley non aveste preso seriamente la cosa, ma una serie televisiva? Magari.»

Costeggio il muro per raggiungere una delle spade decorative esposte, sarà meglio di nulla.

Yelena si passa una mano sul viso da manichino. «Lasciatelo dire, prima che sprechi energia.» I frammenti che le girano intorno vibrano, sono scaglie di colori diversi, in ognuno ci sono milioni di piccolissime immagini sovrapposte. «Ashley Sterling è irrecuperabile. Dovrei ricrearla da zero e sarebbe solo una imitazione della tua amica.»

Balle. Ha perso il controllo di tutto; ma se può resettare un intero mondo, deve poter recuperare una sola persona. Sfilo la spada da schermitore appesa al muro: tutti i gioielli che decorano l’elsa la appesantiscono inutilmente e la lama avrà visto solo cerimonie.

La punto contro la donna. Non è pensata per essere utilizzata in battaglia e io voglio usarla contro una divinità. Soffio via l’ansia.

Seth piagnucola. Stesse zitto!

Yelena mi mostra il palmo aperto e indica da capo a piede. «Si è rotta per risparmiarti la morte e tu fai questo?»

«Salvarla? Yep, lo sto facendo.»

Schiocca la lingua, l’anello di frammenti tintinna come campanelle a vento. «Non saremmo a questo punto se mi aveste ascoltato fin dall’inizio!»

«Se volevi farti ascoltare, dovevi porti in modo diverso.» Saggio il peso della spada, la stringo. Ci sono teche espositive e vecchi mobili sfalsati che ingombrano il passaggio, chiudere le distanze senza farsi attaccare sarà borderline impossibile. «È da quando abbiamo iniziato che non fai altro che riproporci la sceneggiata della dea incompetente, ma sei onniscente. E ti sei rifiutata di lasciarci informazioni basiche.»

Yelena tamburella le dita cristalline sulla teca, il volto passa su tutte le vestigia delle schermitori. «Una recensione piuttosto dura, eh.»

«Obiettiva, vorrai dire.» Passo intorno a uno degli espositori. «E poi non mi hai aiutato a ricordare questa volta, perché?»

Un singhiozzo soffocato di Seth echeggia nella stanza. Un fulmine squarcia il cielo, si riflette sulla pelle cristallina della dea e l’anello di frammenti. Decine di coni di luce esplodono in ogni direzione con l’intensità di una flashbang, stringo la spada e tendo le orecchie.

Mi colpirà da dove–

Le macchie scure nella vista spariscono, Yelena è ancora lì accanto alla teca con i dadi. Era il momento perfetto per disarmarmi e non l’ha fatto… si sente così superiore con la sua divinità?

Eppure ha perso potere, non sarebbe in questo stato altrimenti.

«Cosa vuoi da Ashley?»

«Chissà…»

Lo sa benissimo cosa vuole e se voglio contrattare devo scoprire di che si tratta. Procedo a passi leggeri, con la guardia alta.

Yelena fa un passo indietro. «Oh no-no! Non toccarmi.» Allarga le braccia, il cerchio di cristalli intorno a lei freme. «Ognuno di questi frammenti contiene almeno tremila anni di ricordi. Se tu perdi il senno perché li tocchi, non avremo una conversazione produttiva.»

Un brivido freddo mi scende la spina dorsale, ecco il mio biglietto per uno scambio equo. E non so se è un prezzo che sono in grado di pagare, ma se ci riuscissi… potrei fermare l’apocalisse e recuperare Palo.

Espiro, mi trema la mano.

Spingo il tavolino espositivo di mezzo e scatto, le gambe di legno grattano sulle piastrelle ma si spostano di appena una manciata di dita. Sbatto contro l’angolo con il fianco e trattengo un’imprecazione, sono partita malissimo. Corro avanti.

Yelena si getta dietro la teca dei dadi e abbassa, seguita dal tintinnio dei pendenti dorati della mantella. «Tu e Ashley siete dannatamente uguali!» protesta.

«Vieni qui!» Tendo le dita sull’anello di frammenti, che si ritira fino a sfiorare le sue spalle. La spada è inutile se questo è il suo modo di affrontarmi.

«Non farmi essere volgare!» replica.

Agguanto le gambe del tavolo che ci separa e lo rovescio, le chincaglierie di chissà quale schermitore volano giù dalle loro posizioni e si mischiano nella teca con un gran baccano. Yelena tende la mano per fermarlo, l’anello di frammenti si allenta.

Afferro una pietra. L’odore pungente dello zolfo mi pizzica il naso, la ruvidezza del legno contro il viso. Uno dopo l’altro, decine di frammenti mi sbattono contro il braccio teso. Diversi macigni mi premono sullo stomaco mentre galleggio nel mezzo di un mare verde, il sapore della sacher di Marie-Anne è un retrogusto dolce sul fondo della lingua.

La stanchezza.

Sono così stanca…

Yelena si sfoca in una macchia azzurra e bianca. Uso la pietra come appiglio e calcio il terreno, placco la donna.



«Saresti tu la marionettista? Ah-ha! È imbarazzante.»

«Yel, tu puoi aver il dovere di difendere l’umanità. Io voglio salvare le persone che amo.»

«L’oceano mi piace, là sotto non ci sono persone.»

«Penso che taglierò questi fili, credo sia ora di un cambiamento Guardiana»

«___________________!»



C’è troppo. I ricordi di Yelena sono davvero troppi.

Sono sdraiata sulla sabbia, sto scalando il monte più alto e bruciando sotto macerie. Milioni di voci parlano una sopra l’altra, distinguo a malapena pochi urli nel caos. Una mano d’ansia mi stringe il petto.

Sono così arrabbiata.





«Joshua che ha trovato quella caverna piena di cristalli, Marie-Anne che fa quella variante della sacher che ti piace. Cael e Aer, non sono l’umanità, sono persone!»



«Tu la chiami vittoria? Ti rendi conto di quanti sono stati sacrificati!?»





Corro giù per una vallata, bagno le gambe nel fiume fresco e accolgo il sole caldo sulla pelle nello stesso istante. Le urla mi sommergono e sorrido, sorrido perché che altro posso fare? Si deve andare avanti, qualcuno deve custodirla l’umanità – qualcuno che possa fare eccezioni, non un sistema automatico che segua regole fredde e rigide.

Riposo sotto calde coperte e studio seduta a una scrivania di mogano, il treno mi sta portando lontano… in una regione in cui la guerra è appena scoppiata ed è finita da cento e passa anni. Il popolo taglia la testa al reggente e assisto, perché non ho alcun diritto di mettermi in mezzo.

Assisto?







«Non pensi che la Corona abbia bisogno di qualcuno che sa quello che fa?»





«Non voglio ancora addormentarmi, ho così tanto da fare…»





La campana batte il tredicesimo tocco.

Un silenzio innaturale cala sulla via del mercato, centinaia di persone ammassano la viuzza ma neanche una emette un soffio. La brezza scuote le cordicelle che pendono dai banchetti. Su ogni filo sono stati legati tre nodi a quadrifoglio, uno per ogni console che si è sacrificato per portare la pace.

Il quattordicesimo tocco risuona.

Il brusio si alza con l’intensità di una bomba. Sguscio tra una coppietta che sta scegliendo delle stoffe e costeggio il banchetto di libri antichi, la maggior parte di essi saranno imitazioni. I trenta rintocchi di Caer Ys mi accompagnano, memoria della fatica che è stata fatta per riscattare la libertà.

Ricordare è una cosa che piace agli esseri umani.

Raggiungono il marciapiede e seguo la strada. L’insegna del Giardino della regina è incuneata tra decine di stendardi a memoria dei tre consoli; sono gialli, rossi e blu: i colori delle tre famiglie dai quali provengono.

Mi fermo davanti alla vetrina della pasticceria, questa volta hanno piccole fette di torte tradizionali, biscotti e frutta candita. È tornato il sette del terzo mese! Dovrei scegliere qualcosa per festeggiare anche se non mi è ancora ben chiaro come far stare tremila e passa candeline su una sola torta…

Mio fratello avrebbe scritto vecchia sulla torta con il cioccolato e l’avrebbe chiusa lì. La gola mi si chiude, la sua faccia è una macchia sbiadita tra una collezione di macchie.

Se ricordare è per essere umani, devo aver smesso di esserlo da un po’.











Mi siedo e stendo le gambe oltre il bordo del tetto, la città è un mare verde. Riconosco ancora il profilo degli edifici, strade e automobili ma, con la morte dell’ultimo essere umano, la pianta infesto-tappezzante-chi-cavolo-ne-capisce-non-io-di-certo ha ricoperto tutto.

«Buon compleanno a me,» canticchio.

Il cielo è punteggiato di poco meno di otto miliardi di stelle, l’umanità si è estinta da a malapena cinquantatré giorni, a occhio e croce.

È tornato il sette del terzo mese, da queste parti lo chiamavano Fonte dell’acqua in quella lingua gracchiante che non sono mai riuscita a padroneggiare. Capisco improvvisamente perché i nonni non hanno mai voglia di imparare le nuove tecnologie, è sfibrante sentire tutto sfuggirti di mano e non riuscire a starci dietro.

Mi sdraio, il cemento mi rinfresca la schiena. Ho finito il mio lavoro, potrei chiudere gli occhi…

Ma il mio dovere è riportarli indietro ogni volta che si annientano.











Mi sporgo dalle mura; Caelum è in piedi al centro del giardino interno, circondato da corpi ammassati. Non voglio sapere quanti di loro hanno già esalato l’ultimo respiro. Pianta la spada a terra e drizza la schiena, rivolge il viso fradicio di sangue al sole.

Lui ha avuto la decenza di rimanere vivo.

Lo spettro delle labbra di Ardens contro la fronte brucia, stringo le labbra e mando giù la frustrazione. Scavalco le mura e mi lascio cadere, la mantella bianca mi appare sulle spalle e si gonfia all’aria.

Gli occhi cristallini mi seguono, atterro e gli corro incontro. Prima o poi doveva succedere una tragedia il settimo giorno del terzo mese, no? È ovvio quanto il fatto che il sole sorge la mattina.

Gli tendo la mano. «Riposa, Cael.»

Scoppia a ridere, la voce è un mormorio lacerato dalle urla delle ultime ore. «Quando Ardens diceva che eri una visione divina, non pensavo questo.»

«È tardi per iniziare a rispettarmi ora.»

«Meglio tardi che mai.» Si lascia cadere di schiena con uno sbuffo.

Non tengo a nessuna di queste persone…


Io non sono Yelena.





Riemergo e prendo un respiro, una ventata mi travolge e mi capovolta indietro. Rotolo su un pavimento nero che si confonde con il cielo punteggiato di stelle. Un forte bagliore bianco mi ferisce gli occhi, pianto le mani sulla superficie liscia ma vengo spinta comunque.

Tiro indietro i capelli, il paesaggio è spezzato da un enorme einheri che emerge da terra come un iceberg. Scie di luce lo avvolgono, si stringono e allontanano, regolari come pulsazioni di un cuore gigantesco.

Una si allarga di botto e mi frusta, mi riparo la faccia con il braccio.

«Tu la chiami vittoria? Ti rendi conto di quanti sono stati sacrificati!?»

Una stoccata di dolore alla gamba mi toglie il respiro, il peso di diecimila notti insonni mi schiaccia le spalle. Ho lasciato morire parecchie persone perché non posso intromettermi, devo proteggere l’umanità ugualmente.

Qualsiasi persona, anche i malvagi.

Stringo i denti, non lo farei mai.

«Io sono Ronye,» mi dico. Anche se ho vissuto milioni di vite umane attraverso i ricordi di “Yelena”, io sono Ronye. «Mi stai trascinando nelle tue paturnie. Dimmi come salvare Ashley.»

Il cristallo lampeggia e un’altra scarica di luce mi arriva addosso, mi schiaffeggia il viso.

«Saresti tu la marionettista? Ah-ha! È imbarazzante.»

Ho paura del sorriso soddisfatto che mi rivolge, sono immortale e mi spaventa. Si pulisce le mani dal sangue delle paladine che ho creato per difendere la terra. Non era quello che avevo scritto. Le ho create per vincere!

…Gioco con le vite umane? Non ero un essere umano anch’io?

Mi guardo le mani e le stringo. «Ronye, il mio nome è Ronye.» Mi metto in piedi e cammino verso il cristallo, ho le gambe stanchissime.

Un filo di luce mi schiaffeggia il fianco.

«Yel, tu puoi aver il dovere di difendere l’umanità. Io voglio salvare le persone che amo.»

Continuo a camminare, sento lo spettro di labbra gentili contro le mie. Non c’è niente di confortante nella stretta di Ardens, lo sto per perdere per una stupidaggine. Non si rende conto che non può salvarmi morendo?

Scaccio anche quei ricordi intrusivi, l’iceberg è distante due falcate. «Yelena, giuro che ti prendo a schiaffi non appena mi dai quello che mi serve.»

Ashley, mi servono ricordi che la riguardano.

Uno dopo l’altro frammenti di luce mi schiaffeggiano. Sono una cacofonia dissonante, molto più facile da ignorare rispetto a un solo ricordo per volta. Se per riavere Palo devo improvvisarmi psicologa, ben venga.

Sfioro la pietra.

Qualcosa nel mio petto si riscalda, una debole luce si tende da me e tocca l’iceberg, che si restringe. Un battito di ciglia, al posto della gigantesca struttura rimane una donna raggomitolata con le gambe al petto, gli occhi color galassia nascosti dalla frangia rossa. Il vento sparisce e i capelli mi ricadono in ciuffi disordinati ovunque, li sposto con una manata.

Yelena neanche mi fissa.

Ho raggiunto la sua anima e non si presenta per un’ultima protesta? Premo la lingua contro il palato, il cuore mi martella le orecchie e le gambe minacciano di cedermi. Mi siedo, si è fatta carico dell’umanità da sola e si è ridotta così.

Abbiamo un’idiota a custodirci, c’è da piangere.

Fortuna che sono abituata a trattare con gente del genere.

Le metto una mano sulla spalla e mi concentro su Palo, il piccolo filo di luce che ci collega si tende come se fosse stato tirato. I ricordi di Yelena mi afferrano, prima l’odore della salsedine, il freddo del vento sulla pelle…





Una folata fa tremare le fronde degli alberi, tengo fermo il cappuccio della mantella bianca e mi infilo nella stradina incuneata tra due villette vacanze. Il braccio scintilla di azzurro sotto il sole estivo, mi sono ridotta a un cristallo su gambe e non riesco ad assumere forma umana.

«Non sono capace di fare nemmeno la cosa più basica.»

Sbuco nella strada che costeggia la spiaggia; oltre la sottile striscia dorata, onde rabbiose ricadono sulla cordata di boe che parte da riva. Nuvole da tempesta colorano l’orizzonte, il vento mi sibila nelle orecchie. Sta arrivando un temporale sovrannaturale con i fiocchi.

Siamo messi male. Improvvisamente dare un’ultima occasione ad Ashley sembra parecchio più stupido di fronte al destino del resto del mondo.

Raggiungo la pensilina dell’autobus dove l’ho lasciata prima. Sta seduta con una gamba stretta al petto e l’altra tamburella l’asfalto. Il viso è una spolverata di puntini rossi, incassato tra le spalle.

L’ala che le ha sostituito il braccio destro le sfrega per terra; Ashley liscia il piumaggio castano e ci affonda le dita, strappa. Un tremito la scuote, scintille cadono a terra e vengono portate via dal vento.

Da questa cosa non può più cavarsi fuori da sola e io non ho i poteri per salvarla prima che distrugga tutto. Non la posso neanche toccare per confortarla per non rischiare di metterla in contatto con i miei ricordi incasinati.

Alza gli occhi arrossati. «…quindi, cosa stiamo aspettando?»

Un miracolo, vorrei dire.

Mento. «…è il tuo ultimo giorno sulla terra, pensavo volessi godertelo un po’ di più.»





I capelli rossi di Yelena mi solleticano il naso, il suo ginocchio mi preme contro il fianco e il braccio sinistro, bloccato sotto di lei, mi prude. La statua di Caelum Rothshild, con la spada piantata a terra e uno stendardo che gli pende sul viso, veglia su questa scena assurda.

Mi faccio indietro con il busto, schiaccio qualcosa di pungente che scricchiola.

Vetro?

Sono tornata al Granaio, sono avvinghiata ad una dea e… non so cosa fare. Uno strano calore mi scalda il petto; seguo quella sensazione e, ancora una volta, percepisco la presenza monumentale dell’einheri di Yelena con i suoi millenni di ricordi e non una soluzione utilizzabile.

Gli occhi della donna sfarfallano, slaccia le gambe dalle mie e se le fissa. «Co-cosa?» Mi afferra le spalle, le stelle negli occhi frullano come dotate di vita propria. «Mi hai ripristinato! Cosa diamine hai fatto quando mi hai toccata?»

«Nulla!» Sto perdendo sempre più sensibilità all’arto, lo strattono via e mi metto a sedere. Il braccio intorpidito inizia a formicolare, lo massaggio. La sala di esposizione è un casino di tavoli rovesciati e vetrine spaccate, i dadi che Yelena fissava con tanta adorazione sono finiti ammassati tra vecchie monete e la spada cerimoniale.

Il cielo oltre le finestre è nero.

L’impazienza di Yelena mi scuote il petto, piego la testa e le rivolgo uno sguardo di sfuggita. Il corpo è lì, che mi fissa a labbra strette, ma non appena sbatto gli occhi l’iceberg di cristallo mi sovrasta con il peso di tutti i suoi ricordi.

Soffio. «Ho cercato informazioni su Ashley.»

«Non ti sei subita i ricordi, hai cercato.» Gli occhi lampeggiano, scatta in piedi. «Hai fatto entrare in risonanza i nostri einheri e ci hai collegato. Io mi sono stabilizzata perché–»

Un tremito le scuote l’anima, è sgradevole. Vengo continuamente immersa nelle sue emozioni se mi deconcentro un solo istante.

Mi tende la mano. «Ronye, devo chiederti a quanto sei disposta per salvarla.»

«Tutto.» Gliela stringo.

Mi tira su di peso, i pendagli dorati della sua mantella tintinnano. «Non dire tutto prima di sapere il prezzo.»

Ho vissuto quasi seimila timeline per salvarla, dubito ci sia un prezzo più alto da pagare. «Vuoi che faccia con lei la stessa cosa che ho fatto con te, no? Collegare le nostre anime. Renderci–» Qualcosa nel legame che ho con Yelena mi suggerisce le parole. «Stelle binarie.»

Fa una smorfia. «…Appena questa cosa finisce ti stacco da me, è inquietante.»

A chi lo dici. Sposto lo sguardo verso Seth. «E tu, ci serve la tua macchina. Alzati.»

Il ragazzo, nascosto dietro un tavolo rovesciato, singhiozza.

  
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