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Autore: Neamh Moonstar    15/12/2023    3 recensioni
[SPOILERS SECONDA STAGIONE]
Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".
Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.
Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.
Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.
E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso.
Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I led avevano iniziato a sfarfallare davvero, stavolta; ma non li aveva che intravisti.

Un attimo dopo c'era luce dappertutto: veniva da lui stesso, lo accecava e faceva male, pareva ustionargli il viso. Era peggio che staccarsi l'aureola dalla testa.

Ma doveva fidarsi.

Gli era stato promesso che la sua piuma sarebbe ricresciuta, perciò doveva resistere.

Solo un altro po', qualche minuto ancora.

Poteva farcela.


°•°•°


    «Ad Aziraphale non piacerebbe vederla in questo stato.»

Quello era ormai il mantra che lo buttava giù dal letto ogni mattina. A dirla tutta, era anche la convinzione che lo spingeva a vivere in tutto e per tutto.

Muriel lo aveva capito, per questo non faceva che ripeterglielo.

E così, Crowley strisciava fuori dalla sua camera - alle volte in senso letterale - e si faceva aiutare.


Erano state settimane difficili. I primi tempi non era quasi mai uscito; semplicemente, se ne stava buttato nel letto a fissare la piuma del suo angelo.

Si era spesso detto che non poteva essere vero: un mondo senza Aziraphale, semplicemente, non poteva esistere. Lui senza Aziraphale non poteva esistere. Perciò doveva esserci un inghippo da qualche parte, qualcosa che era sfuggito a tutti, persino ad Eve.

Era quasi arrivato a crederci. Poi, un pomeriggio, non ce l'aveva fatta più.

Aveva dato un pugno alla porta, poi alla parete e poi - dato che ormai reggersi in piedi era diventata un'impresa titanica - era ricaduto sul letto e aveva soffocato un urlo nel cuscino.

Era stata Muriel, santa Muriel, a rinsavirlo.

Si era ripromesso di non attaccarsi a lei: era ingiusto. L'agente aveva tutto il diritto di godersi la libertà come se l'era goduta lui quando l'aveva ottenuta, e invece si ritrovava a prendersi cura di un demone a pezzi.

Quel che era peggio, è che pareva persino non darle fastidio. Ma, in fondo, si parlava di Muriel: lei faceva sempre tutto con un saltello e un sorriso. Chiunque avrebbe voluto avere la spensieratezza che aveva lei; e per questo era davvero ancora molto strano ricordarla abbattuta.

    Fortunatamente, la piccoletta aveva smesso di abbattersi il giorno in cui Eve se n'era andata. «Le va di fare una passeggiata?» Aveva spesso chiesto.

E Crowley, pur di non sprofondare in qualche altra brutta crisi, pur di non farsi sanguinare di nuovo le nocche, pur mantenerla contenta, diceva sempre di sì. Si infilava una giacchetta e le creava una tasca solo perché la piuma ci stesse, poi si passava una mano tra i capelli - che aveva deciso di lasciar crescere per i fatti loro - prendeva Muriel sotto braccio e andava a prendere una boccata d'aria.

Il più delle volte funzionava a meraviglia - nonostante non fosse ancora pronto a camminare per più di mezz'ora di fila - lasciandolo un po' più tranquillo di quand'era partito. Forse era il sole a calmarlo, o forse il ritorno della solita confusione - che invece Muriel continuava a detestare.


Era venuta a trovarli Maggie, un giorno. Aveva confermato che il bel tempo era tornato di punto in bianco e nessuno aveva battuto ciglio. Sembrava contenta, poi il suo sorriso era crollato una volta che le avevano detto cosa fosse accaduto. Ci era rimasta talmente male da chiudere il negozio per un po' - ma chissà se qualcuno se n'era accorto. Crowley si chiese cos'avrebbe raccontato a Nina, o all'intera Soho.


In quel periodo, iniziò a parlare alla piuma. Era da pazzi - di ciò era conscio, tanto che all'inizio si chiese dove fosse finita la sua santità mentale - ma lo trovava rilassante, persino piacevole.

    Semplicemente, una sera si era lanciato sul materasso e l'aveva ripresa tra le dita. «Vorrei che fossi qui» aveva mormorato, senza pensarci. Poi aveva preso a raccontare della sua giornata, del tempo che si era riassestato, delle persone che aveva visto per strada, del modo in cui la piccoletta si prendeva cura di lui e della libreria tutto allo stesso tempo. «Dovresti vederla: saresti fiero di lei.»

    Alle volte finiva di parlare e poi, piuma stretta al petto, iniziava a chiedere: «Non potresti tornare qui, anche solo per un secondo? Giuro che non ti prenderò a schiaffi come avevo pensato». O ancora: «Muriel ti farà la cioccolata calda come piace a te: stracolma di panna e chissà quante altre schifezze zuccherose in mezzo». Una volta che era leggermente più di buon umore, aveva persino provato a scherzarci su: «Potrei provare a vendere qualche libro: scommetto che questo ti farebbe ritornare.»

Ma più le sue parole andavano a finire nel vuoto, più la piuma tra le sue dita restava in silenzio, lentamente ma inesorabilmente, le chiacchierate diventavano più simili a preghiere.

Preghiere e suppliche.

    Muriel, per tirarlo su, riproponeva il mantra: «Ad Aziraphale non piacerebbe vederla in questo stato». Poi aggiungeva: «Dovrebbe provare a sperarci.»

    «Sperare? E in cosa?»

    «Nel suo ritorno.»

    «È morto, agente. Non può tornare.»

Eppure, ogni singola sera, Crowley tornava a pregare alla sua piuma; a parlarle come fosse il suo angelo e non solo un pezzo del suo angelo. In un certo senso, sotto sotto, ci sperava anche lui; ma a vincere era sempre la realizzazione del fatto che non si trattava di essere ottimisti, stavolta, ma realisti.

    «Ci sto provando a vivere l'esistenza che mi hai ridato» confessò una volta alla sua morbida, candida ed inanimata confidente. «Ma non ci riesco senza di te.»


Gli ci volle un bel po' per tornare a camminare da solo. Fu alquanto snervante.

Vero era che tornare in vita dopo essere stati completamente cancellati non capitava tutti i giorni, ma i giramenti di testa, le gambe molli e le camminate fin troppo brevi andarono a minare il suo già altalenante stato d'animo.

    «Non riesco a fare niente» si era lamentato una volta, faccia nei cuscini del divano.

Era mercoledì, e lui e Muriel si stavano godendo un po' di pace e solitudine. Era il loro giorno preferito: l'unico in cui nessuno veniva loro a fare domande scomode, o a cercare tomi vecchi di millenni.

    «Deve darsi tempo» lo aveva consolato lei, posandogli una mano tra le scapole.

    «È passato un mese. Anzi, quasi due.»

    «Beh, magari ce ne vogliono tre, quasi quattro.»

    Crowley fece riaffiorare la faccia per guardarla storto. «Ma come fai ad essere così ottimista?»

    «Gliel'ho detto: dobbiamo avere speranza.»

No, dobbiamo avere fede, si disse lui. E io quella non ce l'ho più da un bel pezzo.

    In realtà, non era del tutto vero. La verità era che si fidava di due sole creature: una era Aziraphale, l'altra Muriel. Il primo non c'era più, l'altra era fin troppo ottimista; ma soprattutto: «Te l'ha detto Eve, no? Guarda che quella è sempre stata criptica» commentò. «Ti fa capire una cosa per l'altra e poi si lamenta se nessuno fa mai quello che chiede di fare.»

    L'agente rimase in silenzio per un po', pesando quelle parole. «Lo so, ma voglio crederci comunque.»

    A quel punto, Crowley aveva sbuffato, tornando ad eclissarsi. «Buon per te.»

Alla fine, comunque, fu grazie al fare giulivo dell'amica che il rosso riuscì a riprendersi completamente. Lentamente, le loro passeggiate si allungarono di qualche minuto, qualche mezz'ora, qualche ora... e lui riuscì a gestire sempre meglio i giramenti.

Ciò che davvero non riusciva a gestire, per quanto ci provasse, erano i suoi stati d'animo.


Un mattino non ce l'aveva fatta proprio ad alzarsi; nemmeno dopo il solito: "Ad Aziraphale non piacerebbe vederla in questo stato".

Perché era ovvio che fosse così, ma tanto Aziraphale non lo avrebbe mai visto in quello stato. Non lo avrebbe rivisto proprio.

Voleva solo raggomitolarsi nelle coperte e non uscire mai più. Non prese nemmeno in mano la piuma: vederla gli avrebbe fatto troppo male; gli avrebbe ricordato le chiacchierate attorno ad un tavolo, davanti ad un bicchier di vino, magari riguardo qualche strano meccanismo dell'universo.

No, non poteva farcela. Così, semplicemente, rimase immobile e sperò che la polvere lo ricoprisse fino a sparire.


La cosa si ripeté spesso, giorno dopo giorno. Non era mai facile capire di quale umore Crowley si sarebbe svegliato la mattina, o con quale umore sarebbe andato a dormire - sempre se ci riusciva, a dormire.

Ci volle un po', ma come sempre fu Muriel, santa Muriel, a risolvere la situazione.


°•°•°


La luce era sparita.

A dirla tutta, qualsiasi cosa era sparita.

Tranne una voce.

    «Vorrei che fossi qui» aveva detto.

E lui avrebbe voluto tornarci, lì. Però non ci riusciva, non da solo.

Era troppo stanco: aveva lavorato tanto. Aveva raccolto secoli e secoli di ricordi, chiacchierate, litigate, risate, sorrisi... Poi aveva schioccato le dita, e la sua mente e la sua aura si erano come svuotate.

Non era sicuro di essere riuscito nel suo intento. Non era più nemmeno sicuro di quale fosse il suddetto intento.

Sapeva solo di esserci ancora, da qualche parte. Non era sparito, e la voce stava iniziando a farsi familiare.

Doveva essere un buon segno.


°•°•°


Ne passarono sette di mesi.

Mesi in cui non accadde nulla di importante, tranne forse che Crowley aveva finalmente reimparato a scendere le scale saltando tre scalini alla volta.

Era tornato quello di sempre: solite posizioni innaturali sul divano, solito fare sarcastico, solita camminata da male alle anche, solita dolcezza nascosta sotto chili e chili di nonchalance misto durezza.

Almeno, al di fuori sembrava così.

In realtà, il dolore che aveva dentro non passava mai. Muriel continuava a cercare di indirizzarlo verso la positività, ma per lui non c'era verso di vederla. L'unica consolazione che aveva erano le lunghe chiacchierate con la piuma - che portava sempre con sé e che custodiva gelosamente.

Anche l'agente continuava a contribuire, ovviamente. Nel momento in cui l'estate aveva lasciato posto all'autunno, l'aveva portata a vedere i colori delle foglie che cambiavano. Quando l'autunno aveva lasciato posto all'inverno, l'aveva portata a visitare i posti della Terra dove nevicava di più. Le faceva vedere le cose che le piacevano: il cielo che si annuvolava, gli odori in mezzo alle strade che mutavano assieme alle stagioni, tutte le piccole cose che l'umanità ignorava ma che affascinavano Muriel come fosse la prima volta.

Faceva bene ad entrambi, alla fine. Era una piacevole distrazione la loro reciproca compagnia.


Quando l'inverno lasciò posto alla primavera, il rosso iniziò a stancarsi di raccontare della sua giornata a qualcuno che, sapeva, non avrebbe risposto mai più.

Decise di darsi un ultimatum.

Non era per niente convinto del fatto che, così facendo, il dolore sarebbe passato; ma vero era che non poteva continuare a rimanere attaccato a ciò che era accaduto. L'unica cosa sana che poteva fare era ricordare ciò che era stato e vivere l'esistenza che gli era stata data un giorno per volta - o almeno tentare.

Per quanto straziante fosse, aveva ancora qualcuno su cui contare; aveva la libertà, una bambina da tenere d'occhio, le sue piante da accudire, i sei espressi di Nina e le visite di Maggie. Aveva la libreria da mantenere esattamente come Aziraphale avrebbe voluto che rimanesse.

C'era solo un'ultima cosa che doveva provare.


Era un placido primo pomeriggio. Si era chiuso in camera con la scusa di voler fare un sonnellino e aveva tirato fuori la piuma.

La fissò in controluce: era ancora immacolata e perfetta, così come l'aveva mantenuta. Aveva sempre cercato di non strapazzarla troppo, di non piegarla, di non esporla alle intemperie... pareva una reliquia, ormai: la teneva come fosse in una teca e le rivolgeva le sue richieste.

C'era una comodino accanto al letto che Crowley non utilizzava mai - se non per poggiarci il cellulare durante la notte. Aveva tre cassetti, tutti vuoti.

Ne aprì uno.

    «Allora, sono arrivato ad una conclusione» disse alla sua silenziosa interlocutrice. «Ho deciso di pregarti per bene. Lo so, è blasfemo, ma ormai le ho provate tutte. Posso solo fare un ultimo tentativo; un tentativo in cui metterò tutta la fede, speranza, positività e, non so, cose belle possibili». Proprio come vuole Muriel.

Come sempre, gli rispose il silenzio.

    «Perciò, eccoci qui: siamo solo noi due, come ai bei vecchi tempi. Te lo chiederò un'ultima volta, dopodiché, se non funziona, ti metterò in questo cassetto e non ti recupererò mai più.»

Gli erano venute le lacrime agli occhi. Non era pronto, forse non lo sarebbe stato mai.

Quello era il punto di non ritorno.

    «Quindi, ti prego, ti supplico se necessario. Nulla è più lo stesso senza di te. Voglio che torni da me. Ho bisogno che torni da me.»

Ne ho bisogno, pensò più forte. Ho bisogno di te.


°•°•°


    Ho bisogno di te.

Anche lui lo aveva detto, una volta. Forse non era stata la cosa migliore da dire, ma rendeva bene la disperazione e la supplica che aveva cercato di esternare.

Stavolta era accaduto lo stesso, ma qualcosa era cambiato: poteva sentirlo.


Come si era ritrovato in quella situazione? Nel ripensarci, gli tornarono in mente lunghe ciocche rosse, due bellissimi occhi dorati e tanti piccoli gesti che avevano stravolto tutto il suo mondo, tutte le sue convinzioni e tutti i suoi punti di vista.

Ma certo, se lo ricordava benissimo: si era innamorato. Qualcuno gli aveva detto che era stato il primo a farlo, persino.

Ai tempi non aveva idea di cosa stesse provando. Persino adesso che lo sapeva, faceva fatica a capire sempre come avrebbe dovuto comportarsi. Aveva fatto tanti errori, ma aveva salvato l'amore della sua esistenza apposta per riparare i danni.

Magari aveva persino esagerato.

Ma lui era un esagerato, pur non facendolo apposta - il più delle volte. I suoi difetti erano parte di lui e c'era qualcuno, là fuori, che li amava.

Che lo amava.


Adesso sì che aveva la forza per tornare, anche se, ora come ora, non sapeva bene né dove né da chi.

Ma qualunque fosse il posto, era casa.

Chiunque fosse la persona, era amore.


Raccolse tutta la fede, la speranza, la positività e le cose belle che gli stavano arrivando. Si concentrò.


E schioccò le dita.


°•°•°


Le loro separazioni non erano mai per sempre.

In fondo, lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".

Crowley avrebbe dovuto capirlo, ormai. Certe cose non cambiavano mai, come lo scorrere delle stagioni o il carattere imprevedibile del suo angelo.

Avrebbe dovuto capirlo che c'era un inghippo, esattamente come aveva spesso e volentieri cercato di convincersi.

Avrebbe dovuto smetterla di rotolare nella sua stessa disperazione e stare a sentire Muriel, dato che era estremamente intelligente e riusciva a capire le cose molto prima di lui. Cacchio, le aveva pure fatto una marea di complimenti. 


Quando la piuma aveva iniziato a brillare lievemente tra le sue dita, aveva fortemente creduto di esserselo immaginato - il che era molto possibile, conoscendosi.

Poi, però, aveva iniziato a pizzicargli contro i polpastrelli. La lasciò andare di colpo, dolorante, e la vide posarsi lievemente sul letto.

Rimase attaccato alla porta, basito, intanto che fissava il bagliore andare e venire.

Poi, l'intermittenza finì e per tre lunghi secondi regnò la luce.


°•°•°


Lo avvolsero tanti odori diversi. Riconobbe un misto di polvere, pagine stampate e tè, e subito si sentì meglio.

Casa aveva anche uno strano sentore di cioccolata calda, secoli di storia stipati in piccoli scaffali e piantine in vaso. Concentrandosi sui rumori in sottofondo, scoprì che era circondata da macchine, chiacchiere e persone che entravano ovattate da chissà quale finestra.

Il nulla era stato sostituito da qualcosa di morbido sotto la sua schiena. Lenzuola, si disse, che sapevano di pulito, ma anche di petricore e lacrime.

Era tornato, ma ancora non sapeva bene dove: nella sua mente parevano mancare dei pezzi che, lentamente, stavano tornando e trovando il loro posto - o che comunque sarebbero tornati, prima o poi.

Non aveva nessuna fretta.

Poteva tranquillamente riposare adesso che tutta la fatica e tutti i miracoli gli gravavano addosso come macigni.


O meglio, così credeva.


Una manata gli arrivò veloce sulla guancia, facendolo trasalire. Una scrollata lo fece ritrovare faccia a faccia con gli stessi - preoccupatissimi - occhi dorati che aveva rivisto nei suoi ricordi. Erano confusi, offuscati dalla testa che gli girava e dal peso che sentiva fin dentro l'aura, ma erano proprio loro.

    «Avevi detto che non mi avresti preso a schiaffi» lamentò.

Era sicurissimo di averlo sentito. Non poteva essersi sbagliato.

    In risposta gli arrivarono un singhiozzo e la voce familiare, stavolta rotta dal pianto: «Questo è perché sei l'essere più stupido, imbecille e idiota che io abbia mai conosciuto!» Esclamò. Non era per niente adirata: quello che Aziraphale sentiva era un misto di sbigottimento e sollievo.

Per questo non si offese, anzi: sorrise persino. Sarebbe volentieri tornato a dormire, ma venne bloccato dalle labbra dell'altro che premevano forte e disperatamente sulle sue.

È proprio come la prima volta, si disse. Anche il primo bacio che Crowley gli aveva dato era stata una disperata richiesta.

Era stato un: "Resta".

E Aziraphale sarebbe rimasto, stavolta. Perché ora ricordava perfettamente: era per questo che lo aveva fatto, era per questo che adesso Crowley era di nuovo lì con lui. Lo aveva fatto perché potessero stare e restare insieme.

Così si lasciò andare e accolse quel bacio, quelle mani ora sulle sue guance - una occupata ad accarezzare la gota ferita. Non si mosse se non per ricambiare, separarsi brevemente per poi tornare a cercare il contatto che tanto aveva voluto provare ancora, e ancora, e ancora...

    Quando si separarono, fu solo perché un altro bacio - dolce e delicato, stavolta - potesse solleticargli il naso. «E questo è perché ti amo» udì, nient'altro che un sussurro lontano.

Adesso sì che poteva tornare a riposare. Aveva chi vegliava su di lui e una mano che gli accarezzava i capelli.

Sarebbe andato tutto bene perché erano solo loro, stavolta. Erano un "noi", un gruppo di due, una coppia. Tutto quello che volevano, lo sarebbero stati - o lo sarebbero diventati, se necessario.

Avevano fatto l'impossibile.

Non restava loro che godere del resto.



ANGOLINO AUTRICE RAPIDO: Hanno confermato la terza stagione! 😭 Per quanto sapessi che sarebbe accaduto, ammetto che avevo speranze molto basse per la fine di quest'anno. Avrei voluto pubblicare ieri per festeggiare, ma chi ci stava con la testa? L'ho fatto oggi con rinnovato entusiasmo. Buon annuncio di terza stagione a tuttə e a tuttə buona lettura ❤️
   
 
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