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Autore: Destiny_935    28/12/2023    1 recensioni
Destiny conduce una vita normale, come molte delle sue coetanee. Scuola, amiche e pensieri vaghi su un futuro ignoto. Un giorno, però, si ritrova ad Elysian, un mondo alternativo ma collegato alla Terra in modi e situazioni particolari, in cui, però, gli umani non sono accettati. Qui tutto sembra funzionare egregiamente grazie ai Guardiani: prescelti che controllano gli elementi di entrambi i mondi. Ma le cose non sono così perfette come possono sembrare ad Elysian e dopo parecchi anni, alcune ombre iniziano a muoversi all'orizzonte...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattina dopo fui svegliata da un raggio di sole infiltratosi abilmente tra le tapparelle che puntava in direzione dei miei occhi. Mi portai la mano al viso e la strofinai. Il silenzio che aveva preso possesso di quella casa, quella mattina, era incredibilmente magico. Respirai a pieni polmoni per cercare di prendere un po’ di quella calma e trasferirla anche dentro di me. Presi il telefono, che nella notte aveva deciso di danzare e infilarsi in fessure del letto a me sconosciute.

Le 9:43.

L’orario mi pesò più di quanto mi aspettassi. Nessuno mi aveva chiamata per la scuola, nessuno aveva cercato di svegliarmi. La tristezza e la delusione si mescolarono insieme, buttandosi su di me come se fossi un’ottima preda. Sbuffai e mi alzai dal letto. In ritardo il secondo giorno di scuola non era proprio il risultato a cui ambivo. Presi i primi vestiti dall’armadio e mi diressi verso il bagno. Aperta la porta, mi colpii subito quanto il silenzio fosse totale. I miei passi sembravano quelli di un gigante, era una situazione davvero strana.

“È tutto nella tua testa, Destiny.”

E forse lo era davvero, forse stavo ancora sognando e quello che stavo vivendo era un sogno. Sarebbe stata una spiegazione valida all’estremo silenzio e al fatto che nessuno mi avesse chiamata per prepararmi. Oppure ero diventata invisibile e non lo sapevo. Mentre mi muovevo in direzione del bagno, in fondo al corridoio, buttai un’occhiata alle camere alla mia sinistra, rispettivamente quella di mio fratello e quella di mia madre. I letti erano vuoti e ancora disfatti. Cercai di non badarci ulteriormente e aprii la porta del bagno per sistemarmi.

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Tempo una ventina di minuti ed ero già alla fermata del pullman che fortunatamente non distava molto da casa. Il cielo non era dei migliori e qualche tuono in lontananza aveva già deciso di far sentire la sua presenza ma ancora nessun accenno di pioggia. Solo grosse nuvole grigie che si muovevano distrattamente. Tentai di non pensare a quanto era successo la sera prima e a come quella sequela di eventi avessero portato all’essere completamente esclusa la mattina successiva. Ecco perché preferivo non rispondere, le discussioni non portavano mai a nulla di buono e quella ne era la prova. Alzai lo sguardo al cielo e mi sentii proprio come una di quelle nuvole in cielo: grigia, distratta e senza una meta. Fu il rumore del motore dell’autobus a riportare il mio sguardo a terra.

Salii e presi posto, rigorosamente in fondo e con il finestrino alla mia destra. Il mezzo era semi vuoto, l'orario di punta era ormai passato ed i passeggeri erano in netta minoranza rispetto a quando lo prendevo la mattina presto. L'autista fece due fermate e poi prese la direzione verso la scuola. Essendo un autobus di linea, mi avrebbe lasciato un po' distante dalla scuola ma andava bene lo stesso. Lottai costantemente contro la mia vocina interiore che mi diceva di tornare a casa, che la giornata era già pessima di suo. Qualche goccia di pioggia iniziò a decorare il finestrino e vi poggiai la testa, stanca e affranta. Mi sentivo un enorme vuoto in petto e la sensazione era quella che mi stesse divorando dall'interno. Forse sarei diventata davvero invisibile a breve. Fu qualcosa di luminoso a lato della strada a riportare i miei pensieri in ordine. Eravamo fermi ad un semaforo e riuscii a vedere chiaramente di cosa si trattava.

Il gatto bianco.

Non era possibile. L'impulsività ebbe il sopravvento, presi con foga lo zaino e corsi verso l'autista. Dovevo approfittarne in quel momento mentre l'autobus era ancora fermo.

«La prego apra le porte, devo scendere!» dissi a voce alta.
«Non posso aprire le porte mentre siamo per strada, devi attendere la prossima fermata.» fu la risposta secca dell'autista che nemmeno si girò per guardarmi.
«Le sto chiedendo per favore di aprire le porte, ho urgenza di scendere qui» dissi nuovamente.
«Signorina, le ho già detto che non pos-»
Persi la pazienza e sbattei il pugno sulla vetrata.
«Apri queste cazzo di porte!» urlai.

Non riconobbi me stessa in quel gesto o in quelle parole ma qualcosa in me iniziò a muoversi nuovamente e non potevo lasciar sfuggire quella sensazione. L'autista si girò a guardarmi con gli occhi leggermente spalancati e senza dire una parola, aprì le porte del mezzo. Lasciai uscire uno sbuffo e corsi per gli scalini. Il gatto era ancora lì, mentre io velocizzavo il passo a lato della strada, senza marciapiede e con solo il guard-rail da separatore. Velocizzai il passo ma mentre fui a solo pochi passi dal felino, lui corse verso sinistra, superando la protezione. Fu solo in quel momento che alzai lo sguardo e realizzai dov'ero. Davanti a me si ergeva maestoso il bosco del paese, cupo ed angosciante come non mai. La pioggia aumentò leggermente di intensità. Il mio sguardo tornò sull'autobus che aveva ripreso la sua corsa verso le successive fermate e sentii qualcosa dentro di me muoversi in segno di negazione mentre guardavo in quella direzione ma agitarsi ferocemente mentre voltavo gli occhi nuovamente su quella distesa immensa di alberi e folta vegetazione.

«Maledizione» sospirai a bassa voce e scavalcai il guard-rail. Potevo ancora vedere la scia luminosa del gatto, favorita dal fatto che l'atmosfera era grigia in quel luogo, nonostante la pioggia non fosse comunque di grande aiuto. In poco tempo, le mie scarpe furono piene di fango e resero più fastidioso addentrarsi dentro al bosco. Tutte le storie che per anni mi avevano raccontato su cosa albergasse in quel posto tornarono alla carica nella mia mente, provocandomi allucinazioni e facendomi vedere ombre dietro gli alberi.

Ma non mi interessava.

Dovevo trovare quel gatto e capire questa crescente curiosità interiore da dove scaturisse. La mia parte razionale si faceva sempre più piccola e la sentiva a malapena dirmi che stavo facendo una pazzia e che addentrarmi in un bosco, nel bel mezzo di un acquazzone a inseguire un gatto di cui non sapevo nulla era da folli totali. Ma non volevo più sentire il vuoto e la delusione che avevo provato quella stessa mattina. Saltai alcuni rami e dovetti passare attraverso dei rami che ostruivano il passaggio di fronte a me. Più mi addentravo, più il bosco sembrava diventare incredibilmente buio, favorito anche dal fatto che non vi era la minima traccia di sole quella mattina. Un dolore alla mano sinistra arrivò pungente: mi ero tagliata con qualche spina o qualcosa del genere. Tornai al mio obiettivo. La scia lasciata dal felino era l'unica cosa che riusciva a guidarmi in quella folta vegetazione. Salii sopra due grandi massi e, lentamente, scesi per trovarmi di fronte altri rami che mi bloccavano il passaggio. Spostai il più possibile con le mani, tirando su le maniche del giubbino per non peggiorare la ferita alla mano sinistra e quello che trovai di fronte a me fu pazzesco.

Uno stagno di dimensioni abbastanza grandi che brillava di un azzurro intenso nel bel mezzo della foresta.

«E questo che ci fa qui?» esclamai. Non ricordavo che nessuno aveva mai menzionato di uno stagno di tali dimensioni e di un colore così vivace all'interno del bosco. La sorpresa durò comunque poco perchè dall'altra parte dello stagno vi era il gatto che mi fissava muovendo la coda velocemente. Mi affrettai per raggiungerlo ma ogni volta che mi avvicinavo, lui scappava sistematicamente dall'altro lato.

«Davvero divertente micio ma voglio solo aiutarti a trovare la tua casa.»

Il gatto rimase immobile senza distogliere mai lo sguardo da me e da ogni mio movimento. Fu in una frazione di secondo che accadde qualcosa di inaspettato. Il micio balzò in aria e si gettò a capofitto nel centro dello stagno. Rimasi qualche secondo paralizzata da quella scena senza capirne il significato. Alle prime bolle che si increspavano sulla superficie dell'acqua, tornai in me, sbattendo gli occhi rapidamente. Dovevo agire in fretta. Forse era stata una sua sbadataggine, forse era scivolato, dovevo comunque salvarlo. Lasciai lo zaino a terra e mi immersi in acqua. Era gelida e dovevo fare il più in fretta possibile. Più mi addentravo verso il centro, più mi sembrava che l'acqua diventasse ogni mio passo più torbida ma forse era solo il cambio di prospettiva. Mi mossi in acqua aiutandomi con le mani, spostando l'acqua davanti a me e cercando sul fondale traccia del gatto bianco ma non riuscivo a vedere nulla. La pioggia si fece ancora più forte e mentre mi guardavo attorno, sentii il panico crescere ma non ebbi modo di farlo entrare nella mia testa perchè qualcosa mi tirò a picco verso il fondo. Chiusi gli occhi d'istinto e tentai di tornare verso la superficie ma il mio corpo era completamente paralizzato.

"È la fine. Non ci credo che il mio istinto mi ha portato alla morte."

Tentai di pensare a come uscire da quella situazione ma qualsiasi idea veniva frenata dal fatto che il mio corpo semplicemente non rispondeva più, come se avesse avuto un blackout. Ebbi solo la sensazione di girare in senso orario, una, due e poi tre volte. Fu allora che mi ritrovai di nuovo in superficie. Aprii gli occhi di scatto, mi misi seduta e respirai in maniera concitata per cercare di riprendermi da quello che era successo. Mi toccai la testa, poi il petto, la gambe, ero ancora tutta intera. Solo dopo realizzai del sole che si stagliava alto nel cielo.

"Sole?" pensai. Un acquazzone del genere che finisce in poco tempo e fa tornare il sole non era decisamente normale. Poi diedi un'occhiata più approfondita ai dintorni. Mi trovavo in una radura verdeggiante, con qualche fiorellino sparso qua e là e un leggero venticello che impediva al sole di essere spietato con il suo calore. Mi accorsi di essere seduta su una pozzanghera d'acqua che si stava ritirando sempre di più fino a lasciare solo qualche gocciolina attorno a me e nel punto in cui ero seduta.

Che cosa diamine stava succedendo?
Ero morta e finita in paradiso?
Dov'era finito il gatto?
Dov'ero finita io?

«Ooooohi!»

Il turbinio di dubbi e pensieri fu interrotto da una voce che urlava a distanza e proveniva dietro di me. Mi voltai restando seduta con le mani unite sul petto, quasi a sperare che stessi sognando e che in realtà non era successo nulla. L'autobus, il gatto, il bosco, lo stagno, probabilmente stavo sognando tutto. La figura che mi aveva urlato poco prima si avvicinava sempre di più e più vicina si faceva, più velocemente mi accorsi che erano due persone e non una. Vestite con una divisa bianca e rossa, erano due uomini dai capelli scuri che a prima occhiata mi sembravano quasi identici. Solo quando furono ormai davanti a me mi rivolsero nuovamente la parola.

«Che ci fai qui? Hai perso la strada per l'accademia?»
«Accademia?» replicai.
Uno dei due sollevò il braccio indicando in lontananza verso sinistra «L'accademia è per di là, se hai perso la strada ti ci portiamo noi. Siamo studenti.»

Ero ad un passo dal mettermi a urlare.

«In questa accademia c'è un telefono con cui posso fare una chiamata?» chiesi.
I due si guardarono quasi divertiti da quella domanda ma non vi era alcun segno di schernimento nei miei confronti.
«Certo che c'è un telefono!»
Il secondo ragazzo, che non aveva ancora proferito parola, mi porse una mano per aiutarmi a sollevarmi da terra. La presi e mi rimisi in piedi sulle mie gambe, constatando che non avevo nulla di rotto. Mi ricordai della ferita alla mano sinistra provocata da quell'inseguimento nel bosco ma quando la cercai, era completamente sparita. Sulla mano non vi era segno di alcun taglio. Feci un respiro profondo senza riuscire però a placare le miriadi di emozioni che si stavano accalcando dentro di me in quell'istante. Fu ancora una volta quella sensazione nel petto a spingere la mia volontà e decisi di seguire i due giovani, nella speranza di poter trovare un telefono in questa Accademia che mi avrebbe riportato a casa.
   
 
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