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Autore: Neamh Moonstar    10/01/2024    3 recensioni
[SPOILERS SECONDA STAGIONE]
Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".
Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.
Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.
Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.
E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso.
Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C'era una cosa che Aziraphale non aveva mai confessato a Crowley: quello che aveva pensato dopo il loro primissimo bacio.

Era parso scostante, come se avesse provato un moto di repulsione, quando in realtà nella sua mente non faceva che urlare: "Baciami ancora, ti prego. Fallo di nuovo."

Non aveva più avuto occasione né motivo di dirglielo. Alla fine, quel messaggio era passato ad ogni loro scambio.

E continuò a passare una volta arrivati nelle loro nuova casa.


Il cottage era rimasto esattamente come lo avevano lasciato, con tanto di coperte ben ripiegate sul divano. Nel camino erano rimasti solo ciocchi di legno sbruciacchiati e cenere, mentre nell'aria si era stipato un pressante odore di chiuso - nulla che non si potesse sistemare.

Si scambiarono un'occhiata e si misero all'opera. Aprirono le finestre sia al piano di sotto che quello di sopra, ed iniziarono a portare dentro le loro cose. Nel retro della Bentley - ora felicemente parcheggiata nel cortile - ci stavano decisamente più cose di quelle che il ristretto spazio avrebbe potuto contenere. Ovviamente, la stragrande maggioranza della roba era di Aziraphale - l'unico tra i due abbastanza attaccato a certi abiti o a certi libri da volerseli portare dietro. In quanto a Crowley, lui aveva già in mente dove posizionare le piante - che, incredibilmente, sembravano felici quanto lui.

Faceva più freddo da quelle parti a causa del vento e della vicinanza del mare, per questo riaccesero il camino e attesero che il calore del fuoco inondasse il salotto - ora più verde e pieno di libri ben ordinati sugli scaffali della libreria addossata ad una parete, sulla mensola dello stesso camino e sul tavolino davanti al divano. Crowley preparò del tè e si versò un bicchiere di vino - miracolato direttamente dalla dispensa in libreria - andando ad affiancare Aziraphale davanti al fuoco scoppiettante.

Per un po' furono solo loro, spalla contro spalla, e il silenzio rotto dal crepitare del fuoco e dalle onde lontane. Se la felicità avesse avuto un volto, per l'angelo sarebbe stato quello. Si sciolse contro lo schienale del divano, assaporando il suo Earl Grey e godendosi quel momento come se volesse cristallizzarlo per sempre.

Crowley lo stava fissando, poteva intravederlo con la coda dell'occhio.

Il rosso aveva lasciato gli occhiali da qualche parte all'ingresso, e adesso gli stava puntando addosso quelle belle pozze dorate, intanto che rigirava il poco vino rimasto nel bicchiere.

    Sorridendo, Aziraphale finì con calma il suo tè prima di chiedere: «Cosa c'è?»

L'altro, in tutta risposta, posò il vino e si contorse sul divano come solo un serpente avrebbe potuto fare. Arrivò a cingergli la vita con le braccia, stringendola come se volesse affondarvi dentro. Non disse una parola.

    L'angelo gli mise dolcemente una mano tra i capelli. Crowley li stava lasciando crescere ormai da un po', tanto che ora sembrano una miriade di onde rosse e corpose che gli scendevano fin sotto le orecchie. «Non potrebbe andare meglio di così» commentò poi, snodando con cura le ciocche scombinate dell'altro.

    Questi sciolse l'abbraccio per alzare il volto, i palmi ora piantati sul cuscino del divano. «Ne sei sicuro?» Chiese, un leggero sorriso furbo sulle guance sottili.

    Aziraphale tenne la mano sulla sua testa, stando al gioco e facendo finta di pensarci su. «Ne sono abbastanza sicuro, perché?»

    Crowley alzò gli occhi al cielo. «Il primo passo lo devo fare sempre io, eh?» Disse scherzoso prima di iniziare a baciarlo.

L'angelo soffocò un sorriso, accogliendo quel tocco che premeva in attesa di essere ricambiato. Non era del tutto vero: alle volte aveva iniziato lui, prendendo delicatamente quel volto scarno tra le mani, baciandolo con tutta la dolcezza di cui era capace. In risposta gli arrivava sempre un gesto più irruento, più disperato ma pur sempre attento a non strafare. Gli piaceva quel contrasto: sapeva di loro.


Quella volta, la situazione prese lentamente una piega diversa.

Aziraphale si ritrovò a scivolare lungo lo schienale, fino ad arrivare con la testa ben premuta sul bracciolo del divano. Poggiò delicatamente la tazza ora fredda e vuota sul pavimento, intanto che continuava ad esplorare ogni angolo delle labbra sottili dell'altro, ora ben premute contro le sue.

Crowley lo stava sovrastando, bloccandogli i fianchi con le gambe. Capì dove i loro baci sarebbero sfociati nel momento in cui le dita del rosso andarono a sciogliergli il papillon, piano, come se stessero chiedendo il permesso.

L'angelo prese subito a pensare alle implicazioni di quella cosa. Alla fin fine, era un piacere inutile che difficilmente avrebbe mai appagato l'amore e l'affetto che provavano l'uno nei confronti dell'altro. Non aveva nulla di diverso dai baci, dalle loro dita intrecciate quando passeggiavano o dagli abbracci che adesso si scambiavano un po' più spesso. Non sentiva il bisogno di farlo - stava bene anche solo con le loro normali dimostrazioni di affetto - ma era una cosa in più, un gesto che rimarcava ancora una volta quanto si amassero e quanto fossero pronti ad affidarsi totalmente l'uno all'altro. Era come sfornare un biscotto in più da mettere sul vassoio. Non vedeva perché non acconsentire.

Così concesse il permesso, sfiorando il colletto della camicia già mezza sbottonata di Crowley e sfiorandogli una clavicola con la punta delle dita. Non sapeva nemmeno dove mettere le mani intanto che l'altro si occupava di liberarlo della sua di camicia - le labbra occupate a baciargli ora la punta del naso, ora la guancia, ora le palpebre, ora la fronte...

Per un attimo si sentì persino in imbarazzo. Si chiese se il demone non lo avesse già fatto prima... Era interamente possibile: l'Inferno era il primo promotore di quel genere di cose. Gli salì un brivido lungo la schiena al pensiero, un istinto primordiale che lo sgridava e gli urlava che non avrebbe dovuto farlo.

    Tanto bastò a far fermare Crowley, ora intento a guardarlo con una punta di preoccupazione. «Stai bene? Se non vuoi, possiamo anche-»

    «No, non è quello» si affrettò a dire Aziraphale, conscio del pizzicore che sentiva sulle guance. «È che io non so... Cioè, non ho idea di come...» incespicò.

    In risposta gli arrivò una risata affettuosa. «Già, nemmeno io.»

    «Davvero?»

    «Mhmh.»

    «E allora, come... Cioè, cosa dovremmo fare?»

    Crowley fece spallucce. «Non ne ho idea» disse, riprendendo a baciarlo come se ne andasse della sua stessa esistenza.


°•°•°


Era vero: Crowley non aveva la più pallida idea di cosa stessero facendo. La constatazione lo fece sorridere intanto che, finalmente, affondava le mani nel ventre morbido di Aziraphale.

Intanto, tastò con le labbra ogni millimetro di quel volto meraviglioso, lasciando che l'angelo litigasse con la stoffa liscia della sua camicia. Un brivido di gioia gli risalì fin sopra la nuca quando si ritrovò con le spalle scoperte.

Stavano stretti e scomodi lì, ma la cosa passava in secondo piano ad ogni gesto che si scambiavano.

Ci presero la mano abbastanza in fretta, seppur goffamente. Risero quando, intenti a muoversi, si ritrovavano a scontrarsi. Sembrava un gioco del quale non conoscevano le regole, ma che non vedevano l'ora di imparare.

Alla fine, dopo essersi avvinghiati per minuti interminabili, i loro abiti finirono sul pavimento - o meglio, quelli di Aziraphale ci finirono. I suoi sarebbero probabilmente spariti ad un certo punto.

Ciò che accadde dopo fu una questione di istinto, fiducia ed immaginazione.

Il resto del mondo, semplicemente, scomparve. Erano solo loro, stretti l'uno all'altro da carezze, mani che affondavano ovunque e baci sempre più affannati che non smettevano di cercarsi.

Alle volte, a Crowley pareva di correre troppo. Avrebbe voluto ricoprire di baci non solo il volto, ma ogni singolo millimetro, ogni singola ruga, ogni singolo punto del suo angelo. Ma si sentiva un po' come un lupo che metteva un coniglietto all'angolo, sovrastandolo affamato. Così cercò di trovare un equilibrio tra i suoi brividi di piacere e i movimenti più delicati ed insicuri dell'altro.

Aveva perso una buona fetta di firmamento, ma ora aveva la sua personale stella tra le mani e mai, mai avrebbe rischiato di stringerla troppo pur di godere della luce che emanava. 

Scoprì che gli piaceva, non tanto per la goduria che ne ricavava ma più per il fatto che, così facendo, lui e Aziraphale parevano diventare una cosa sola. Un po' come Alpha Centauri: erano due stelle che da lontano parevano una.

Mise una cura spropositata in ogni stretta, in ogni spinta, in ogni tocco, come se stesse bussando ad una porta che, invece, gli sarebbe piaciuto scardinare. Amò il modo in cui, alla fine, l'angelo lo strinse forte a sé, premendolo contro il suo petto in un dolce ma fermo abbraccio.

Fu lì che si fermarono, non a malincuore. Piombò il silenzio, rotto dal crepitare del fuoco - il che fece sembrare i loro respiri profondi fin troppo rumorosi.


Non accade di nuovo poi così spesso, ma tanto non ce ne fu bisogno.

Finirono di rendere quel cottage il loro cottage. C'era una stanza al piano di sopra che Aziraphale fece diventare una specie di versione in miniatura della sua libreria - per quanto avesse già provveduto a riempire ogni scaffale e superficie inutilizzata della casa di tutti i volumi a lui più cari. Al tutto si unirono le ora più numerose piante di Crowley, le quali passavano spesso dal timore che il demone gli suscitava alla calma che la sola presenza dell'angelo gli infondeva. Nonostante ciò, nessuna della foglie verdissime mostrò mai nemmeno la più piccola macchia.

C'era una sola camera da letto che solo il rosso utilizzava a dovere, di tanto in tanto. Il più delle volte, Aziraphale si metteva sotto le coperte, accendeva la lampada sul suo comodino e si metteva a leggere. Allora, Crowley ne approfittava per cingergli la vita con un braccio e sonnecchiare tra il fruscio delle pagine, la morbidezza del suo angelo e il lontano rumore delle onde che si infrangevano sulla costa. La prima cosa che faceva al mattino era strisciare verso la guancia di Aziraphale per baciarla.


Si baciavano spesso, in ogni angolo, addossati ad ogni parete. Ormai, Crowley aveva capito come fare: i suoi gesti erano sempre repentini, ma mai violenti. Non aveva più motivo di premere contro le labbra dell'altro con la stessa foga della prima volta; così chiedeva sempre il permesso prima di avventarsi sulle sue labbra preferite con una passione che gli ballava su e giù per l'aura.

Aziraphale gli rispondeva sempre, sciogliendosi contro lo scaffale contro cui lo aveva spinto, o contro la parete sulla quale il suo corpo esile lo premeva.

Presto, diventò una cosa normale scambiarsi quei gesti di affetto. Normale ma mai noiosa, né ovvia, né scontata.

Crowley si rese presto conto di essere quello più appiccicoso - evidenza che spesso lo faceva arrossire. Gli veniva automatico: abbracciava Aziraphale da dietro intanto che questi si metteva a preparare il tè, o gli strisciava sulle cosce o attorno al braccio intanto che leggeva, aspettandosi una grattatina affettuosa sulle squame. Era sempre lui ad iniziare gli scambi più infervorati, quelli in cui le loro labbra si cercavano affamate, schioccando nell'aria placida tra le pareti. Sempre lui era quello che si arrampicava sinuoso sul corpo morbido dell'angelo, stringendolo con le gambe, le poche volte che facevano l'amore. E tutte le volte adorava gli sguardi di Aziraphale che, silenziosi, gli chiedevano di più; che avrebbero sempre voluto chiedergli di più.

L'angelo, infatti, era molto più delicato ma non certo più distaccato di lui. Aziraphale era quello delle occhiate languide e dei sorrisi carichi di affetto. Era quello delle dolci carezze sulla guancia o dei morbidi baci sulle labbra, brevi ma inebrianti. Era quello che si offriva di versare il vino, di accendere le candele sul loro tavolo quando cenavano, di leggere qualcosa ad alta voce di tanto in tanto. Era quello che, spesso e volentieri, faceva partire il grammofono e richiedeva un ballo.

Crowley amava i loro valzer. La prima volta che lui e Aziraphale avevano ballato, non si era goduto che il contatto dei loro palmi mentre volteggiavano; adesso, invece, non c'era una situazione mortale che li aspettava all'esterno, nessuno che li cercasse. Erano, assieme al mondo, sospesi in un'attesa calma come le acque di un lago durante una giornata senza vento.


Ogni mercoledì veniva a trovarli Muriel, come d'accordo. La piccoletta stringeva sempre entrambi come una bambina in visita dai nonni - e Crowley faceva sempre finta di sospirare rassegnato, dandole qualche pacca affettuosa tra le scapole; mentre Aziraphale ricambiava con la stessa cordialità di sempre.

Il rosso aveva ormai preso l'abitudine di stare in disparte intanto che i suoi angeli discutevano ognuno del proprio libro, sempre impegnati nel loro piccolo club di lettura. Ogni tanto commentava qualcosa, intanto che scivolava lungo lo schienale della sua sedia, caviglie poggiate sulla mensola del camino. Per il resto, si godeva la compagnia dell'amore della sua esistenza e di quella che ormai aveva etichettato come sua migliore amica - non che lo avesse mai ammesso ad alta voce.

Non c'era bisogno di chiedere, tanto sapeva che per Aziraphale era lo stesso. L'angelo voleva bene a Muriel in modo diverso, come se lei e Crowley fossero i libri più preziosi nella grande libreria che erano ed erano state le sue relazioni.

L'agente li teneva al corrente su Soho, su tutto ciò che avevano lasciato. Disse loro che le sarebbe piaciuto scoprire che cosa fosse Maggie - anche se, angelo o demone che fosse, le cose non sarebbero cambiate né ai suoi occhi, né a quelli di Aziraphale e Crowley.

Chissà se cambieranno a quelli di Nina, non poté che chiedersi quest'ultimo, genuinamente curioso di sapere in che modo quella bizzarra relazione sarebbe andata avanti. Solo il tempo lo avrebbe detto, perciò si limitò ad aspettare - per quanto frustrante.

Ogni tanto parlavano di Eve. Ormai mancavano solo una manciata di mesi alla sua nascita, l'evento che - non sapevano né come né esattamente dove - avrebbe stravolto di nuovo tutto.

L'idea faceva insinuare una punta di ansia nell'aura oscura del demone. Ansia che andava a riversare su Aziraphale non appena rimanevano soli.

    «Mi chiedo cos'abbia in mente quella bambina» disse una sera tardi, dopo che Muriel li aveva salutati e aveva schioccato le dita per tornare a casa. «Spero che Inferno e Paradiso non tornino a rompere le scatole appena nasce. Speravo di non rivedere più nessuno dei due.»

Erano in cucina, seduti l'uno accanto all'altro, che sorseggiavano vino nel silenzio della loro dimora.

    Aziraphale sospirò. «Ci ho pensato spesso anche io. Ma semmai dovessero tornare da noi per qualche motivo, li manderemo via.»

Lo disse con sicurezza, un tono che da solo fece sciogliere l'aura di Crowley.

Lo amava ancora di più quando faceva così.


Il tempo passò come nel migliore dei sogni. Uscivano, passeggiavano tra gli immensi paesaggi verdi e dolci delle South Downs, osservando il mare dall'alto della scogliera dritta e bianca dietro casa loro.

Viaggiavano spesso, portando la Bentley a ruggire di gioia. Andarono ovunque avessero voglia: a Londra per salutare le vecchie amicizie, a Edimburgo per fare una capatina alla Royal Mile, poi uscirono dal paese e dal continente perché Aziraphale potesse pranzare con quello che voleva.

E poi un giorno, finalmente, quando sulla Terra non ebbero voglia di fare granché, Crowley li portò dove sempre avrebbe voluto.


La verità era che anche l'angelo sonnecchiava di tanto in tanto. Era diventato un evento così raro da sorprendere il rosso le poche che accadeva. Da un lato, lo metteva leggermente in ansia: gli ricordava il periodo che Aziraphale aveva passato sul lettino in libreria, debole e prosciugato dal miracolo che aveva fatto per salvarlo. Dall'altro lo inteneriva e lo divertiva - per il semplice fatto che avrebbe potuto stuzzicare scherzosamente Aziraphale per tutto il mattino successivo, ammiccando al fatto che "il bene non dorme mai, bla, bla, bla". Il più delle volte, Crowley lo osservava per sì e no un paio di orette, passandogli le dita tra le ciocche candide e invidiandolo per la calma e l'imperturbabilità che mostrava mentre dormiva. Altre volte, invece, lo risentiva mormorare.

    La richiesta era rimasta sempre la stessa: «Portami su Alpha Centauri» detto con lo stesso, sussurrato tono che Aziraphale usava per dirgli: «Baciami ancora» quando lo incastrava in un angolo, o lo addossava alla parete di turno.

Erano entrambe richieste che Crowley non poteva certo rifiutare. D'altronde, scoprì presto il perché della prima.

    «Vedi, quando Eve ed io abbiamo parlato in Paradiso, eravamo davanti ad una vetrata» gli aveva raccontato Aziraphale stesso una mattina, steso sul letto accanto a lui, il tono ancora graffiato dalle poche ore di sonno che si era concesso. «Si vedeva Alpha Centauri da lì. Mi ha fatto pensare a te e mi sono ripromesso che ci saremmo andati. È stata una delle ultime cose che ho pensato prima di riportarti indietro. Forse è per questo che non faccio che ripeterlo.»

Si era messo ad analizzare la sua situazione così come avrebbe analizzato le strofe di una poesia. Crowley, dal canto suo, non poté che ripensare a quel gesto assurdo, troppo grande per una creatura come il suo angelo - che sì, era forte, ma non così tanto da ripescarlo ovunque finissero gli esseri cancellati dal Libro.

    Gli baciò un angolo della bocca, avvolgendogli il petto con un braccio. «Ancora non ci credo a quello che hai fatto» sussurrò, il naso che sfiorava i riccioli dell'altro.

    Aziraphale rise appena, voltandosi fino a far sfiorare i loro nasi. «Lo rifarei, se necessario.»


Partire per le stelle fu alquanto divertente; o meglio: lo fu per Crowley e la Bentley. Aziraphale rimase con gli occhi stretti e le dita affondate al sedile per tutto il viaggio. Non si lamentò solo grazie alla consapevolezza che senza velocità non sarebbero arrivati lontano.

Più si avvicinavano alla stella più luminosa della costellazione del Centauro, più il bagliore bianco davanti ai loro occhi si sdoppiava, mostrando la piccola Alpha Centauri b, la compagna spesso nascosta della prima.

Ad entrambi parve per un attimo di essere tornati agli albori, l'uno accanto all'altro in mezzo ad un'infinità di stelle vicine e lontane, attorniati da colori più o meno sgargianti che sporcavano la nera piattezza del cosmo.

Fu come respirare una boccata d'aria fresca, nonostante di aria non ce ne fosse nemmeno un briciolo lassù. Crowley tenne la mano di Aziraphale per tutto il tempo, osservando le sfumature dello spazio perdersi nell'azzurro di quelle iridi ora occupate a fissare lo spettacolare vuoto attorno a loro, rischiarato dal bagliore e dal calore delle due stelle alle loro spalle - che erano vicine, sì, ma ancora abbastanza lontane da non accecarli.

    «È bello come la prima volta» commentò Aziraphale senza guardarlo.

    Divertito da quello scambio di ruoli, Crowley ridacchiò. Il suono della sua risata rimase fermo, incapace di echeggiare. «No, angelo. È persino meglio» disse, tirandolo verso di sé, affinché potessero iniziare a danzare nell'infinito.


°•°•°


Sette anni dopo


Era da tempo ormai che Aziraphale leggeva con attenzione qualsiasi giornale di qualsiasi testata giornalistica riuscisse a trovare. Quella mattina non fu da meno. Si alzò dal letto all'alba, stando molto attento a non svegliare Crowley; scese in cucina, si preparò la colazione e attese.

Alle sette in punto, un leggero tonfo davanti alla porta gli suggerì che il primo giornale era arrivato: il Daily Telegraph ben arrotolato sullo zerbino, esattamente come aveva voluto che fosse anni addietro. Gli era bastato schioccare le dita perché arrivasse sempre alla stessa ora anche lì, dove le comunicazioni non erano sempre efficienti come in città - a meno che non si disponesse di uno di quegli strani aggeggini connessi a Internet, come il cellulare di Crowley.

Andò a recuperarlo, venendo subito investito dalla prima, frizzante, aria primaverile dell'anno che si mescolava al vento che per proveniva dal mare. Normalmente ne avrebbe goduto per un po' con il volto baciato dal sole tiepido, ma era troppo curioso di sapere quali notizie avrebbe letto stavolta. Così rientrò quasi di corsa e aprì il quotidiano sul tavolo.


Il primo giorno di primavera di ormai sette anni prima, un poverissimo villaggio della Repubblica Democratica del Congo era improvvisamente diventato uno dei luoghi più chiacchierati, studiati e intervistati del mondo. Molto semplicemente, in quello che da sempre era annoverato come uno dei luoghi più mangiati dalla fame del globo, una piccola fetta di popolazione si era ritrovata tra le mani un raccolto anomalo e quasi fin troppo abbondante di banane - soprattutto considerate le poche persone che abitavano quella lontana e triste fetta di terra.

Il raccolto non fu che il primo di tanti "miracolosi" eventi. Non troppo tempo dopo, infatti, sotto al villaggio venne trovata una miniera di diamanti che, chissà perché, nessun colosso occidentale riuscì ad accaparrarsi.

Seguirono acqua sempre pulita, alberi sempre più fitti ed animali sempre più numerosi e mai ostili alla presenza dell'uomo. Incredibilmente famosa divenne la testimonianza di una madre, la quale confessò di essere riuscita a concepire una bambina dopo svariati tentativi troncati dalla fame e dalle condizioni degradanti del luogo in cui viveva. Disse persino che il parto non era stato né particolarmente difficile o doloroso, e che i nove mesi di attesa erano passati con naturalezza, senza che lei o la piccola ne soffrissero. Scherzò, dicendo che il tutto era avvenuto prima che il villaggio iniziasse magicamente a prosperare, e che tutto pareva aver avuto inizio con la nascita di sua figlia.

Ovviamente, l'aveva chiamata Eve. E quel giorno, Eve avrebbe compiuto sette anni.


La prima pagina di quella mattina parlava di come il tipico clima della foresta pluviale pareva non abbattersi con la stessa, normale imprevidibilità di sempre nel Villaggio dei Miracoli, com'era stato soprannominato. Aziraphale non se ne stupì, ma questo non lo fermò dal leggere riga per riga, alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a capire quale fosse il piano della bambina. Già da tempo gli era poi balenata in mente l'idea di arrivare fin laggiù di persona e studiare la situazione. Avrebbe dovuto parlarne con Crowley.


    Il demone lo raggiunse verso le dieci con cellulare in mano e i rossi capelli scombinati dal sonno. «Hai visto?» Chiese in uno sbadiglio, prendendo posto accanto a lui. Aveva aperto più pagine di notiziari online e le stava guardando in successione.

    Aziraphale annuì, anche lui intento ad osservare i titoli degli altri giornali che, gradualmente, erano comparsi davanti alla porta. «Più il tempo passa più i segni si fanno evidenti. Peccato che questo non ci aiuti a capire granché.»

    Il rosso sbuffò, strofinandosi un occhio. «Scommetto che anche gli altri si stanno arrovellando il cervello» affermò, riferendosi ad Inferno e Paradiso.

Su quello non ci pioveva. Persino Muriel si era messa ad indagare per conto proprio, chiamandoli spesso - alle volte al cellulare di Crowley, alle volte al telefono fisso che Aziraphale aveva messo nello studio. L'angelo si disse che anche a lei sarebbe piaciuto andare a far visita a Eve. Lo avrebbe detto sia a Crowley che a Muriel, allora.

    Una cosa per volta. «Ti preparo qualcosa?» Chiese, scostando qualche scombinata ciocca cremisi dalla fronte del compagno. Si erano fatte davvero lunghe, tanto ricadergli leggermente sulle spalle.

    Crowley fece spallucce. «Se ti va» disse, stampandogli un bacio sulla guancia.

Aziraphale gli sorrise e andò ai fornelli, ancora non ben sicuro di cosa fare. Il suo demone mangiava di gusto solo quello che preparavano lui e Muriel, perciò non aveva di che preoccuparsi. Qualsiasi cosa poteva andare bene, ma era un gesto d'amore quello: ci avrebbe messo il cuore, come al solito.


Le sue intenzioni vennero bloccate da un ritmico, quasi allegro bussare alla porta. Sia lui che Crowley si voltarono, straniti. Nessuno veniva mai a trovarli così presto, a parte forse Muriel il mercoledì.

Ma non era mercoledì.

    «Vado io, caro. Resta pure dove sei» disse Aziraphale, mettendo una mano sulla spalla di Crowley intanto che lo superava per dirigersi alla porta.

Di sottecchi, vide il demone alzarsi e seguirlo fino all'entrata della cucina. Lo stava tenendo d'occhio come un cane da guardia, sicuramente pronto a balzare se alla porta si fosse presentata qualcuna delle loro vecchie, non tanto gradite, conoscenze. Aziraphale non poté che provare una punta di piacere e affetto, intanto che andava ad aprire.

Non che si aspettasse veramente qualcuno dall'Inferno o dal Paradiso, ma era una possibilità tangibile che, seppur per un attimo, lo preoccupò.

Una volta schiusa la porta per dare un'occhiata all'esterno, però, quel pensiero scomparve come neve al sole.

Sull'uscio, composta e sorridente, c'era Eve.

    «Ciao, Aziraphale» lo salutò la bambina. Teneva le mani dietro la schiena, e spostava il peso dai talloni alle punte, evidentemente felice e a suo agio.


La fecero accomodare in salotto e lei andò subito a mettersi davanti al fuoco.

Era leggermente diversa dall'ultima volta che l'avevano vista. Non aveva più gli occhi grigi, ma di un profondo color nocciola più simile a quello degli umani che abitavano nell'area in cui aveva scelto di nascere. I capelli le erano stati tutti abilmente raccolti, richiudendo i suoi riccioli corvini in tante treccine fini e decorate da fili di tessuto colorato. L'unica cosa bianca e linda che indossava era la giacchetta che ancora si ostinava a tenere addosso, mentre il resto del suo abbigliamento era estremamente semplice, anzi: Aziraphale notò con tenerezza le scarpe intatte ma sporche e polverose della bambina, ricordandosi che quello, alla fin fine, era sempre stato il modus operandi di Eve. Poteva nascere nello sfarzo e nella comodità senza sforzo né problemi, ma, di nuovo, aveva volutamente deciso di non farlo, puntando invece al migliorare un luogo che aveva decisamente bisogno di un miracolo.

    «Dì un po'» le disse Crowley, affiancandola, «che ci fai qui?»

    Lei fece spallucce, accettando con gratitudine il tè caldo che Aziraphale le stava porgendo. «Volevo vedere come stavate.»

    L'angelo la affiancò al lato opposto, sorridendo per un secondo al valore simbolico delle loro posizioni: Crowley a destra, lui a sinistra e Eve giusto in mezzo. «I tuoi genitori saranno preoccupati» commentò, genuinamente in pensiero per i nuovi prescelti che adesso si sarebbero ritrovati a fare i conti con qualcosa di molto, decisamente più grande di loro.

    Lei ridacchiò affettuosamente. «Non sarà comunque peggio di quella volta che ho mollato i miei per andare al tempio.»

    Anche a Crowley scappò da ridere. «Il lupetto non ha perso il vizio.»

Aziraphale non poteva che concordare. Da molti punti di vista, Eve non era cambiata affatto. Era il mondo ad essere cambiato, e tanto pure. L'angelo si chiese come avrebbe agito la piccola adesso. Magari si era presa del tempo prima di nascere apposta per guardarsi attorno, capire esattamente con che cosa aveva a che fare.

    La osservò intanto che sorseggiava, poi si ritrovò addosso i suoi occhietti scuri e seri. «Non devi preoccuparti. La mia nuova mamma lo sa che vado sempre in giro, alle volte molto più in là del nostro villaggio. Con il tempo capirà che mi spingo anche oltre il Congo o oltre l'Africa, come stavolta» spiegò. «Anche se qui da voi fa davvero freddo. Non ci sono abituata.»

Ecco spiegato il motivo della sua giacchetta fin troppo immacolata. Aziraphale capì che doveva averla fatta comparire dal nulla per reggere al cambio di temperatura repentino.

    Le rivolse un sorriso e fece per alzarsi. «Se vuoi, ho un plaid di sopra» iniziò a dire, prima che lei gli afferrasse le dita della mano per fermarlo.

    «Aspetta, vado io» disse, balzando in piedi e finendo il tè ormai tiepido in pochi sorsi. «Voglio vedere casa vostra.» In un attimo era già su per le scale.

    Crowley sospirò e si tirò su con un unico, fluido movimento. «La seguo» disse solo. C'era un tacito: "Non so se e dove metterà le mani, ma non voglio che frughi in giro" nel suo sguardo. Ad Aziraphale parve come se ce lo avesse scritto in fronte, proprio sotto la cortina di ciocche rossastre.

    «Va bene, caro. Io credo che mi metterò a fare le crepes.»

    «Ma non avevi già fatto colazione?»

    L'angelo alzò gli occhi al cielo. «È il compleanno di Eve, Crowley. Direi che per l'occasione vanno bene.»

Detto ciò si alzò le mani della camicia fino al gomito - movimento che il demone osservò per qualche secondo di troppo - e tornò in cucina.




Crowley seguì Eve su per le scale. La trovò nello studio, intenta a guardare i libri di Aziraphale con curiosità e stupore.

Si poggiò con una spalla allo stipite della porta e si mise ad osservarla, braccia incrociate. Quasi sussultò quando gli occhi della bambina si posarono su di lui, ora privi di innocenza e ricolmi di una serietà che fin poco si addiceva a quel volto infantile.

    «So cosa vuoi chiedermi» gli disse, sfilando un volume alla cieca e andando a prendere posto sulla poltrona dell'angelo. Solo allora scollò lo sguardo da quello di Crowley, affondandolo nella pagina che aveva appena aperto. «Puoi farlo. Non sei tu se non fai domande.»

    Il rosso sospirò. Era impossibile scappare da lei: rimaneva pur sempre un terzo di suo Padre. Aveva un modo diverso di vedere le cose, e sicuramente aveva scrutato la sua domanda appena entrata. Non aveva motivo di indugiare. Così chiese: «Come avete fatto? A riportarmi indietro, dico. Non sei esattamente scesa nei dettagli l'ultima volta, e Aziraphale non ricorda granché.»

Se non il vuoto in cui è rimasto intrappolato per mesi, pensò con un brivido.

    Eve si strinse il volume al petto e riprese a guardarlo, stavolta con un sorriso. «Credo che tu la sappia già la risposta.»

Crowley la guardò stralunato intanto che lei si alzava e trotterellava via dalla stanza, diretta in camera da letto.

    La seguì, incespicando nella lingua più volte. «Perchè devi sempre essere così criptica?» Lamentò. Mai una volta che lei e Sua Maestà dicessero le cose così come stavano. Si divertivano a far scervellare chiunque non fosse all'altezza dei loro pensieri ineffabili.

Oh.

Si bloccò davanti al letto, sbarrando gli occhi. Eve pareva divertita.

Ma certo, non poteva dirglielo: era uno di quei concetti troppo alti da essere espressi in parole. Che novità.

    «Mai una soddisfazione» commentò, intanto che la bambina poggiava il libro sul materasso, mettendosi il plaid sulle spalle a mo' di mantello.

Solo allora Crowley si rese conto che Eve aveva scelto una delle tante bibbie che Aziraphale amava collezionare, chissà per quale motivo. Era come se volesse riscriverla direttamente tra quelle pagine la storia - e magari ne sarebbe stata perfettamente capace.


Prima di tornare di sotto, lei lo stupì prendendolo per mano. Aveva veramente le ditina gelide.

Il rosso si ritrovò trascinato verso il salotto in un modo del tutto simile a quello che Aziraphale aveva adottato per trascinarlo in mezzo al ballo in libreria. Si sentì quasi obbligato a rimanerle accanto sul divano, in silenzio, intanto che sfogliava le pagine sottilissime alla ricerca di chissà che cosa.

Tornarono in cucina solo quando Aziraphale li richiamò. Effettivamente, nell'aria iniziava a sentirsi l'odore dello zucchero a velo.

Eve lasciò il libro sul tavolino davanti al divano, ripiegò il plaid e fece sparire la sua giacchetta. Saltellò da Aziraphale, aiutandolo ad apparecchiare senza che le venisse chiesto né detto dove avessero riposto le posate e i bicchieri. Si sedette a capotavola e l'angelo le posò una crepes ben impiattata e decorata davanti con un sorriso leggero e cordiale.

    «Beh, buon natale» scherzò Crowley, buttandosi sulla sua sedia.

A vederla così, con gli occhioni che le luccicavano e la bocca sporca di cioccolata, Eve sembrava una piccola umana qualsiasi. Eppure, da lì a qualche anno, avrebbe stravolto il mondo in un modo che solo lei sapeva.

    Incredibilmente, fu l'angelo a mettere in ballo la questione, stuzzicando un angolo del suo dolce con la punta della forchetta. Si rivolse alla piccola con una certa riverenza. «Allora, hai già qualche piano per il futuro?»

    Ancor più incredibilmente, Eve annuì. «Ho in mente una perfetta entrata in scena. Andrò in Europa con un aereo privato, e ci sarete anche voi.»

    Fino all'aereo, a Crowley sarebbe anche scappato da ridere. Il resto della frase, invece, portò lui e l'angelo a guardarsi, straniti. «Noi?» Chiese, incredulo e persino preoccupato. L'ultima cosa che voleva era essere di nuovo infilato in qualche affare, angelico o no che fosse.

Il punto, però, era che né il Paradiso né l'Inferno c'entravano, stavolta. C'entravano solo Eve e l'umanità.

    Difatti, la bimba annuì di nuovo. «Voi due siete perfetti per la mia causa» affermò, ora un po' più seria - e meno sporca in viso. «Vorrei che il mondo vi somigliasse almeno un po'.»

Fu tutto ciò che disse. Non scese nei dettagli, non delineò un piano né chiese loro se fossero d'accordo. Li avrebbe lasciati ragionare sulla questione, questo sì. Forse, un giorno, li avrebbe messi al corrente di tutto.

Crowley sorrise amaramente. Certo che passare da dodici discepoli a solo due era davvero una gran bella differenza. D'altronde, lui era un demone, ma a lei non pareva importare.



Eve se ne andò verso mezzogiorno - non senza aver prima aiutato Aziraphale a sparecchiare.

Prima di uscire, riprese il suo fare da bambina e, con un saltello, andò ad abbracciare l'angelo, gettandogli le braccia attorno alla vita.

Il biondo rimase interdetto per un attimo e lanciò un'occhiata a Crowley prima di posare una mano sulle scapole e sulla testa della piccola.

Nemmeno il rosso avrebbe saputo come reagire, in realtà. Fissò la scena con una leggera ruga tra le sopracciglia e gli venne automatico indietreggiare di un passo quando Eve si staccò, sguardo fisso in quello ceruleo di Aziraphale.

    «Sai, Metatron era l'angelo personale di mio padre» affermò lei.

Il demone sorrise appena, l'aura crogiolante di soddisfazione. Era, ha detto: "era". Ha usato il passato.

    «Vorrei che tu fossi il mio. Non adesso, ovviamente: quando sarò più grande» concluse poi Eve, portando sia Aziraphale che Crowley a sbarrare gli occhi d'innanzi a quella proposta.

A differenza di quanto era accaduto con il capo dei Serafini, stavolta l'angelo rivolse al suo demone una silenziosa richiesta. La richiesta di un parere.

    La bambina se ne accorse. «Oh, tranquilli. Non ho nessuna intenzione di separarvi: come ho detto, vorrei che ci foste entrambi.»

    A quel punto, Crowley non poté più tenere il dubbio a freno. Ma, in fondo, Eve aveva ragione: non era lui se non faceva domande. «Posso capire che tu voglia Aziraphale al tuo fianco» affermò infatti. Lo voglio anche io al mio, per sempre, fu ciò che non disse. «Ma io? Cosa te ne fai di me? Sono l'essere più sbagliato in assoluto.»

    L'angelo avrebbe voluto replicare, ma lei lo fermò con un semplice gesto della mano, ora concentrata sul rosso. «Anche le stelle cadono, Crowley» affermò poi, il tono placido. «Ma sempre stelle rimangono. Anzi: gli umani paiono preferirle quando sfrecciano nel cielo.»


Quelle parole rimasero ferme nell'aria quando lei se ne andò.

Aziraphale e Crowley rimasero l'uno accanto all'altro d'innanzi alla porta aperta del loro cottage, accarezzati dall'aria primaverile. A quanto pareva, il loro lavoro non era ancora finito. Quella era solo una tregua: la calma prima di, beh, qualcosa. Forse una tempesta, forse una semplice pioggerella.

    L'angelo prese delicatamente la mano del suo demone, stringendola lievemente. «Qualsiasi cosa accada, almeno saremo assieme» affermò, speranzoso e fiducioso.

    Crowley lo guardò negli occhi e non poté che sorridere. «Hai ragione» mormorò, ricambiando la stretta. Poi, con un unico movimento fluido dei suoi, lo baciò e richiuse la porta con la mano libera.


I loro baci si protrassero, intermittenti, fino a sera. Come sempre, le loro labbra si separavano per poi ritrovarsi ancora, e ancora, e ancora. Quello era il loro modus operandi, il loro modo di amarsi, addossati ad una parete o contro una finestra.

Quando le tenebre calarono del tutto, uscirono in giardino, mani strette e dita intrecciate. Sopra di loro, evidente nel cielo notturno, una stella bianca - che in realtà erano due - vegliava su di loro fredda e costante.

Il cielo era stupendo laggiù, più pulito e quindi piu terso, più pieno di dettagli. Il nero era sporco di blu tenue, bianco e azzurro laddove le stelle lo rischiaravano. Eppure, Aziraphale non lo stava guardando: i suoi occhi erano troppo occupati a delineare l'alta, slanciata figura alla sua sinistra.

    Crowley se ne accorse, ma non se ne stupì. In fondo: Aziraphale era quello delle occhiate languide. «Cosa c'è?» Chiese solo, il tono caldo e morbido, come la cioccolata calda.

Sapeva già la risposta.

    Difatti: «Baciami ancora» chiese l'altro.

E Crowley lo fece. Avrebbe fatto quello e molto, molto altro. Lo avrebbe baciato fino alla fine, qualunque fosse la fine o in qualsiasi momento sarebbe avvenuta.

Qualsiasi cosa sarebbe successa da adesso in poi, l'avrebbero affrontata insieme, si ripeté. Ormai lo aveva capito: facevano cose incredibili quando collaboravano, ed era per questo che Eve li voleva entrambi accanto a sé. Lei lo sapeva, così come Muriel lo aveva sempre saputo, così come tutti tranne loro avevano sempre pensato.


Non c'era bene senza male, o ombre senza luce. Loro erano la prova provata di quell'equilibrio.

E, secondo Eve, erano ciò di cui il mondo aveva bisogno.


- Fine



--


ANGOLO AUTRICE:

E anche questa avventura è giunta al termine. Nata come fanfiction sfogo post seconda stagione, è presto diventata il mio lavoro più seguito e recensito. Per questo, ringrazio chiunque abbia letto, chiunque abbia atteso e chiunque abbia commentato. Dal profondo del mio cuore, grazie e ancora grazie ♥️

Dato poi che l'anno è appena cominciato, vi auguro un felicissimo 2024 e vi abbraccio tuttə dalla distanza. Che le vostre giornate siano liete, e che anche nei momenti bui le stelle possano darvi speranza con la loro luce.

Vi adoro da qui fino ad Alpha Centauri.

Con amore,

Neamh.


   
 
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