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Autore: Marty_199    14/01/2024    0 recensioni
Christopher è un ragazzo senza troppi problemi, se non si conta la sua lotta contro la famiglia riguardo il suo futuro e il suo non essersi dichiarato riguardo il proprio orientamento sessuale. Tutto ciò che ama lo ritrova nel mondo dell’arte e in tutte le sue sfaccettature.
Gabriele è un ragazzo semplice, evita nella maggior parte dei casi contatto con gli altri a causa dei suoi problemi di udito. Si incontreranno nel momento giusto e Gabriele ispirerà in Christopher una strana idea per risolvere il suo problema con la famiglia: grazie al suo aspetto androgino Gabriele dovrà fingere di essere la sua ragazza per un solo pomeriggio, trasformandosi nel suo “Apollo” personale.
Da un piccolo patto dettato da necessità reciproche nascerà un rapporto che li cambierà entrambi e che permetterà a Christopher di affrontare le difficoltà che si presenteranno davanti alle scelte che prenderà e a Gabriele di liberarsi dei pesi del passato e delle proprie insicurezze.
Il patto di una finta relazione diverrà la loro unica ancora di salvezza, perché Apollo è un Dio eternamente giovane, bello e rappresentatore dell’arte e Christopher è un’amante di essa e non aspetta altro che poterla creare con le sue mani.
BOYxBOY
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO 3

Mangiatore di fagioli
Gabriel

Era tornato a casa abbastanza tardi, stordito dalla musica ma completamente sobrio, era stata in sé una serata più tranquilla di quello che si sarebbe aspettato. A fine mese gli sarebbe entrato lo stipendio e tanto bastava per portarlo avanti nonostante sentisse la stanchezza appesantire i suoi arti.
Certo non si sarebbe mai immaginato di incontrare un compagno della sua stessa università e che lo stesso gli avrebbe rivolto una richiesta tanto inaspettata quanto ambigua. Aveva scelto quel locale proprio perché lontano dal quartiere dell’università e da quello che credeva i ragazzi di quei quartieri avrebbero frequentato. Li aveva visti uscire la sera e non dubitava che bevessero e altro ma era quasi certo che difficilmente sarebbero venuti in quello. Aveva avuto ragione fino a quella sera.
Camminò velocemente verso la macchina, aprendola e lasciandosi scivolare sul sedile del guidatore, alzando il volume dell’apparecchio che portava all’orecchio, non poteva tenerlo a volume normale in quel locale. Accese il motore dopo essersi legato i capelli, le parole di quel Christoper continuavano a rimbombargli nella testa.
Lo aveva visto diverse volte nelle aule e nei corridoi, motivo per cui lo aveva riconosciuto subito ed era fuggito in un primo momento, lo aveva sempre osservato da lontano; vestiva bene, sembrava abbastanza popolare e aveva il suo bel gruppo di amici, studiava nella stessa aula almeno due volte a settimana e aveva una voce imponente. Lo aveva conosciuto così e riconosciuto nei giorni a venire, motivo per cui lo aveva osservato spesso.
Era così facile sentirlo parlare.
«Che dovrei fare...» sussurrò parcheggiando sotto casa. Non aveva idea di che cosa fare in quella situazione, la prima risposta che gli era venuta in mente da dare era un pieno e assoluto no, era troppo strano e improvviso perché potesse pensare di farlo, vestirsi e atteggiarsi come la ragazza di qualcuno, era vero che grazie al suo aspetto era stato preso a lavorare in quel night club, ma cominciava a credere che quello fosse decisamente esagerato, non aveva nemmeno voglia di vestirsi in modo ambiguo a lavoro per essere più attraente e misterioso, come diceva il suo capo, ma doveva sopportarlo in quanto quello era un lavoro con contratto che gli permetteva di pagarsi gli studi e di pagare le bollette con sua madre.
Salì le scale del palazzo in silenzio con la luce pallida a fargli da guida. Aprì piano la porta cercando di fare meno rumore possibile, non voleva certo svegliare sua madre, doveva essere sfinita per i turni lavorativi. Posò le chiavi sul comodino vicino l’entrata ed ignorò la foto del padre poggiata sullo scaffale della libreria in salone, più cercava di spostarla più sua madre si ostinava a tenerla lì. Aveva levato tutte le altre, rinchiudendole in uno scatolone sotto il letto ma non quella. Non riusciva a capire cosa ci fosse di speciale in quella foto ma non aveva voglia di chiederlo alla madre.
Si spostò verso la cucina, voltandosi e vedendo sul divano del salone sua sorella. Gabriele rimase sorpreso nel vederla lì e un piccolo sorriso gli colorò le labbra.
I capelli biondi sparsi sopra la federa, una copertina addosso e la luce del telefono che le illuminava il viso di una pallida luce bluastra. Abbassò il telefono puntando gli occhi castani su di lui. Gabriele la salutò e muovendo le dita delle mani le chiese se desiderava bere qualcosa.
Sara gli rispose con un semplice assenso e Gabriele si spostò in cucina, prendendo del latte caldo per la sorella e un succo per lui. Si spostò sul divano sedendosi al fianco di Sara che aveva piegato le gambe per fargli spazio. Gli porse il bicchiere bevendo poi in silenzio.
“Il doppio di quanto prendi qui.”
Era una buona occasione nonostante tutto.
Gabriele voltò nuovamente lo sguardo verso Sara, che sollevatasi seduta beveva il suo bicchiere di latte. Appena finito gli chiese con un cenno veloce delle mani cosa ci fosse che non andava.
Gabriele sorrise di nuovo, passandosi una mano sugli occhi.
«Perché sei sveglia? Resti quasi sempre a dormire a lavoro o dai tuoi colleghi.»
Sara fece spallucce, mentre gli rispondeva che semplicemente voleva dormire a casa. Gabriele era contento di rivederla lì con lui, da ben due anni passavano poco tempo insieme, Sara si rinchiudeva a lavoro e Gabriele era quasi certo che in parte tentasse di evitarlo o di non passare molto del suo tempo con lui, poteva chiamarla fase di ribellione o per meglio dire preferiva pensare che la motivazione fosse quella, non aveva ancora capito bene la situazione perché per quanto potesse sentirla un poco più lontana da sé, in quei momenti lei era sempre Sara, avrebbe potuto dirgli tutto ed era certo che lei sarebbe stata lì.
C’era qualcosa di cui dovevano parlare ma non era ancora arrivato il momento giusto. Motivo per cui sentì che spiegargli tutta la situazione non fosse l’idea migliore.
Si limitò a dirgli che aveva avuto una piccola offerta di lavoro limitata e che era indeciso se accettare o meno.
Le sopracciglia di Sara si contrassero, la sua espressione rimase uguale se non per un piccolo sbuffo. Le sue dita si mossero velocemente, i primi anni gli capitava di perdersi molte delle sue parole.
Gabriele sbuffò e le scompigliò i capelli, Sara si voltò dall'altra parte col broncio per poi girarsi nuovamente verso di lui, doveva per forza guardarlo per sapere la risposta.
«Certo che è legale.»
Sara fece spallucce, facendogli un cenno veloce del capo e finendo di interagire con lui per riprendere il cellulare in mano e riprendendo a giocare al suo videogioco. Se sue sorella gli diceva di riposarsi voleva dire che era tornato decisamente stanco da lavoro.
Gabriele la guardò per un istante poi si alzò dirigendosi verso il bagno per struccarsi. Aveva bisogno dei soldi quello era certo, da quando suo padre era finito in carcere aveva lasciato sulle loro spalle solo il peso della sua assenza e la presenza dei suoi debiti.
Lui doveva pagarsi gli studi e doveva aiutare sua madre con le bollette, con la spesa, con tutto quello che poteva. Da quando era piccolo si era preso cura di Sara, era grazie a lei se conosceva la lingua dei segni, era fondamentale per Gabriele che Sara potesse seguire la sua strada e da quando sua sorella aveva dimostrato una vera passione per il mondo video ludico era diventato fondamentale per lui che lei potesse farsi una carriera nel mondo della creazione di videogiochi e le avrebbe dato tutto il suo supporto. Forse era per questo che Sara si era allontanata da lui, non voleva aggredire i suoi spazi ma nulla avrebbe potuto tenerlo lontano dal darle una mano in qualsiasi momento.
E qualsiasi cosa Sara volesse pensare, la sua situazione e il suo apparecchio acustico insieme alle varie visite erano dei pozzi che inghiottivano i soldi che guadagnavano.
Gabriele si sciacquò il viso, levandosi con il sapone il trucco dal viso per poi passarsi la crema e sospirò. Forse gli conveniva mettere da parte i dubbi ed accettare, se anche non fosse andata bene lui non avrebbe avuto molto da perderci, stava imbrogliando delle persone ma non per sua scelta, doveva solo essere pagato per un semplice pomeriggio passato con addosso vestiti da donna in mezzo a degli sconosciuti, niente che gli fosse impossibile.
"Non sarebbe un comportamento simile a quello di mio padre? Diventerei come lui."
Gabriele scosse la testa, spogliandosi e indossando il leggero pigiama che attendeva sul termosifone. Sua madre non la smetteva mai di preoccuparsi per loro come fossero eterni bambini e lui non aveva il cuore di rinunciare a quelle piccole gentilezze. Gli piaceva pensare anche che sua sorella fosse lì per assicurarsi che sarebbe tornato a casa senza difficoltà, gli piaceva pensarlo ma non ne era sicuro.
"
È una bugia in cui io non c’entro nulla, non fa del male a nessuno, se la gestirà lui dopo. Ho bisogno di soldi extra, potremmo levarci gli ultimi debiti rimasti."
Come poteva rifiutare? Spense la luce del bagno, tornando nel salone. Sara era ancora lì, indossava la tuta e non il pigiama, era solita andare a dormire tardi e le era utile il fatto che lavorasse prettamente nel pomeriggio, poteva svegliarsi tardi senza problemi.
Gabriele si lasciò cadere sul divano in pelle nera con un sospiro, poggiando la testa indietro. Non aveva voglia di stare solo nella sua camera, era da un po' di tempo che non rimaneva vicino a sua sorella in quel modo silenzioso ma confortante, non aveva voglia di parlare o discutere, voleva solo rimanere lì sdraiato e chiudere gli occhi.
Sara gli toccò la gamba con il piede, richiamando la sua attenzione. Gabriele riaprì gli occhi e si voltò verso di lei, lo schermo del cellulare che aveva davanti gli mostrava la schermata iniziale di un videogioco che non aveva mai visto, il logo sulla sinistra era lo stesso dell’impresa per cui lavorava Sara.
«L’hai progettato tu?» Scandì il movimento delle labbra, Sara annuì con vigore. Aveva sempre amato i videogiochi ed era fenomenale nel programmarli. I sottotitoli per non udenti erano chiari e limpidi, rendendo il gioco immersivo per chiunque e accessibile anche a lei e ad altri. Gabriele era tanto fiero dei suoi progressi che sorrise spontaneamente, «mi piace, sembra un bel gioco. Mandamelo poi.»
Lo comunicò in entrambe le lingue, sperando che quella volta sua sorella non fingesse di non capire.
Gabriele rise alla sua risposta, effettivamente Sara non aveva tutti i torti, lui era una vera frana nei videogiochi ma lo divertivano comunque e avrebbe volentieri fatto parte di qualsiasi cosa creata dalla sua sorellina. Mentre Sara si portava il telefono davanti gli occhi Gabriele poggiò nuovamente la testa indietro chiudendo gli occhi. Non voleva dormire sul divano, solo stare tranquillo per un momento e quando arrivò il momento non si accorse nemmeno di star scivolando lentamente nel sonno.
Percepì la luce spegnersi e per ultimo sentì Sara allungare e poggiare le gambe sulle sue. Quella sensazione familiare gli permise di addormentarsi velocemente.
"
Devo accettare."

***

La mattina seguente si era alzato con la sensazione di fastidio al collo e la consapevolezza che in camera non ci era mai arrivato, aveva dormito storto sul divano accanto ad Sara. Si voltò vedendola sdraiata scomposta a pancia in su, un braccio sopra la testa, il telefono accanto a lei e le gambe ancora allungate sulle sue, i capelli le coprivano parte del viso in un groviglio confusionario di nodi.
Gabriele sorrise, gli spostò con delicatezza le gambe attento a non svegliarla e si allungò verso il cellulare, erano le sei di mattina, sapeva che era presto ma se non gli avesse scritto ora temeva che non lo avrebbe più fatto.
-Va bene.-
Gli sembrava troppo freddo, cosa avrebbe dovuto scrivergli, ciao? Non aveva senso, avrebbero avuto tempo per parlarsi. Doveva solo dirgli che ci stava, aveva poco tempo quello stesso pomeriggio si sarebbe dovuto presentare.
-Sono Gabriele. Va bene.-
Inviò il messaggio e si spostò in cucina, bevve il suo succo e mangiò due fette biscottate, la luce da fuori era ancora lieve e illuminava abbastanza la cucina da non fargli accendere la luce. Voleva tenersi quella lieve pace per ancora alcuni secondi.
«Hai fatto tardi anche ieri.»
Gabriele sobbalzò, voltandosi verso l’arco della porta della cucina, sua madre si spostò verso il lavandino prendendo un bicchiere d’acqua. Le occhiaie sotto i suoi occhi erano abbastanza pronunciate, la coda si era sfatta nel sonno e le teneva a malapena i capelli ora più corti, il segno del cuscino rosso sulla guancia suggeriva che almeno doveva aver dormito in modo profondo.
«Al solito.»
Sua madre non approvava il tipo di lavoro che faceva, si preoccupava per gli orari e per il luogo in sé, ma Gabriele glielo aveva spiegato, l’orario notturno veniva pagato di più e lui non aveva intenzione di lasciare che sua madre dovesse spaccarsi la schiena con doppi turni in ospedale. Era bastata una sola volta, non si era più opposta, ma continuava a preoccuparsi. L’unica cosa che infastidiva Gabriele era che potesse perderci le ore di sonno che le servivano per riposare.
«Senti...questa sera sto fuori di nuovo.»
Gabriele si alzò posando il bicchiere nel lavandino, sua madre si voltò verso di lui con gli occhi castani preoccupati. Lei e sua sorella custodivano quel caldo marrone cioccolata che riusciva sempre a fargli percepire il calore dentro si sé, lui era l’unico ad aver preso l’azzurro intenso degli occhi di suo padre.
«Non ti faranno fare di nuovo il turno di notte, devi riposare.»
«Tranquilla non vado al locale. Un mio amico ha bisogno di un aiuto con un lavoretto, mi metterò da parte dei soldi extra.» Sciacquò il bicchiere. Sua madre si versò del latte nel bicchiere riscaldandolo nel microonde e preparando la sua cialda di caffè.
«Che lavoro?»
Gabriele fece spallucce, poggiando le braccia e la schiena al lavabo, «deve pitturare le pareti della casa dei suoi genitori, gli servono due mani in più.»
«Mi fa piacere, è un po' di tempo che non esci con i tuoi amici.» Sua madre si versò il caffè nel latte, sedendosi al piccolo tavolo della cucina. Sara nell’altra stanza si mosse con un verso di fastidio.
Gabriele si voltò verso il salone. Sapeva che era stupido, ma ogni volta che sentiva sua sorella emettere qualche suono dalle labbra, che fosse un verso o una parola stentata era attratto dalla sua voce, quando era piccolo se lo era chiesto molto spesso. Che voce avrebbe avuto sua sorella? Che intonazione? Acuta o profonda? Si era reso presto conto che erano domande stupide, senza senso, sua sorella aveva la sua lingua, la sua splendida mimica e lui aveva smesso di farsi domande.
Tuttavia non era capace di non voltarsi quando la sentiva.
«È tornata ieri sera?»
Sua madre annuì, «quella ragazza mi farà uscire fuori di testa, perché sta così tanto tempo fuori casa?»
Gabriele sorrise, grattandosi il collo. «Lasciala fare, si sta immergendo nel lavoro e si sta creando la sua indipendenza. Credo ne abbia tanto bisogno.»
Non era solo quello, ma avrebbe aspettato ancora per capire. Per adesso poteva solo starle accanto fino a che gli era possibile.
«Gabriele...»
Lui si voltò nuovamente verso sua madre che lo guardava in attesa, gli ricambiò uno sguardo confuso, «mi hai detto qualcosa?»
«Ti stavo chiedendo a che ora devi andare. Forse dovresti tornare dal medico e far controllare l’apparecchio, magari un altra visita all’udito sarebbe utile.»
«No, credo solo sia impostato basso, ora lo sistemo, andrò a fare la visita a fine mese. Ora vado a prepararmi.»
Sua madre annuì, Gabriele uscì dalla cucina portandosi la mano all’orecchio e levandosi l’apparecchio per sistemarne il volume e poggiarlo sulla mensola sopra il lavandino del bagno per buttarsi sotto la doccia.

***

Si era incontrato al bar con Christopher giusto in tempo per poi andare a lezione, ecco un’altra cosa che non avrebbe mai creduto gli sarebbe tornata utile per una situazione del genere, la lingua dei segni. E non era certo di come avrebbero fatto a capirsi tra di loro nel mentre, magari si sarebbero accordati in serata.
Durante la materia di economia aziendale non riuscì a prestare l’attenzione dovuta al professore, prendeva appunti in modo automatico senza ben capire che cosa stava scrivendo, odiava studiare in quel modo ma non riusciva a non pensare che quella sera davvero avrebbe indossato i vestiti di sua sorella davanti dei sconosciuti che l’avrebbero creduto essere la nuova ragazza del loro figlio.
"
Come posso prestare attenzione ai bilanci? L’unico bilancio che mi viene in mente è quanto 50% di stronzata sto facendo e se il restante 50% di guadagno valga la pena. E sicuramente sto sbagliando, è più un 70% - 30%."
Sospirò prendendo a disegnare in modo fin troppo dettagliato la curva di guadagno sul grafico, poggiò la testa sulla mano dopo aver allentato l’elastico che gli stringeva i capelli. Non riusciva ancora ad inquadrare quel Christopher, lo aveva osservato per un po' ma vederlo così da vicino era diverso. Aveva un accenno di barba che doveva levarsi molto spesso, non sapeva immaginarselo con, aveva un viso molto bello e squadrato, gli occhi erano più chiari di quanto gli erano sembrati da lontano, non castano scuro ma chiaro come fossero costantemente illuminati dal sole, i capelli castani gli cadevano bene sul viso con il taglio che aveva, gli davano un’aria molto sbarazzina e libera.
La lezione del professore non era altro che una cantilena di sottofondo ai suoi pensieri, scandita dal rumore dei tasti dei vari computer di chi prendeva appunti in modo digitale e dalle penne che passavano la punta sui quaderni. Christopher non era venuto a lezione, effettivamente se ci pensava era un bel po' di tempo che non lo intravedeva nelle aule, o nella 206.
Era davvero inutile l’essere venuto a lezione quel pomeriggio.
Subito dopo la fine di quelle due ore si alzò velocemente, raggruppando le sue cose nello zaino e dirigendosi verso l’uscita. Ricordava come i primi giorni si era sentito sperduto tra quei corridoi ampi e pieni di studenti già avviati ai corsi, tante aule da perderne il conto e ben quattro piani su cui erano distribuite, si era sentito del tutto perso. La segreteria all'entrata l’aveva visto talmente tante volte che ormai lo salutavano ogni volta che lo vedevano, anche perché molte volte era dovuto entrare dentro per poter sentire le indicazioni, prima di entrare nell’università non aveva mai pensato che quei corridoi potessero essere tanto chiassosi da rendergli complicato sentire. Tuttavia si era trovato molto meglio che al liceo, non aveva dovuto dire dinanzi a tutta l’aula e a tutti i suoi professori della sua lieve disabilità e delle sue necessità, gli era bastato sedersi ai posti davanti e scoprire che quasi tutti i professori usavano i microfoni per spiegare, poteva perdersi qualche parola ma trovava sempre il modo di recuperare.
Scese i gradini d’entrata attraversando il giardino e uscendo dal complesso universitario, passando vicino i dormitori. Tirò fuori il telefonino guardando l’orario, erano le quattro del pomeriggio, doveva cominciare a prepararsi. Perse la metro e appena arrivato a casa poggiò lo zaino nella sua camera. Sua madre era fuori e molto probabilmente anche sua sorella doveva essere andata a lavoro.
«Che diavolo dovrei indossare…»
Da ciò che so, sono abbastanza facoltosi...mia sorella avrà qualcosa di adeguato?”
Si spostò nella camera di sua sorella, era abbastanza ordinata da quando sua madre la puliva. I poster dei videogiochi coloravano le pareti giallo ocra, la scrivania era piena di matite colorate con cui buttava giù le bozze delle trame dei suoi progetti. L’armadio era posto di fianco al letto rifatto, quando lo aprì si ritrovò davanti una bella sfilza di jeans, camicie, felpe e poche gonne in pelle, effettivamente più che un vestito una gonna con un maglione sopra sarebbero stati più adeguati, il vestito troppo stretto al suo corpo avrebbe reso complesso nascondere le sue forme troppo maschili.
Prese una gonna in pelle nera lunga fino alle ginocchia e un maglione non troppo pesante ma abbastanza largo da farlo stare tranquillo.
Calze, mi servono le calze e...oddio anche il reggiseno?”
Si sarebbe visto dal maglione? Non lo sapeva, gli conveniva provarlo e decidere poi. Chiuse l’armadio spostandosi verso i cassetti sotto. Aprì il primo, mutande, lo richiuse immediatamente appena intravide il pizzo.
«Merda, che situazione.» Sospirò e aprì quello sotto con solo canottiere e reggiseni, ne prese uno piccolo, per sua fortuna aveva il busto abbastanza stretto.
Un rumore lo distrasse e quando voltò lo sguardo gli prese un infarto. Sara lo guardava dalla porta con un sopracciglio alzato, la domanda dipinta in volto. Spostò gli occhi dal suo viso ai vestiti che teneva sul braccio.
Gabriele avrebbe voluto sotterrarsi.
«Mi serve...per un amica, per stasera.»
Sara si corrucciò, poco convinta. Non aveva nemmeno bisogno della lingua dei segni per capire la domanda che aveva dipinta sul viso.
Gabriele le rispose nuovamente facendole leggere il labiale, le sue mani sembravano essere pietrificate. Per una volta che aveva sperato che sua sorella fosse davvero fuori casa, lei era rimasta.
«Sono più belli dei suoi, te li riporto domani, se succede qualcosa te li ricompro okay? Ora devo...devo andare.»
I suoi occhi castani si fecero attenti. Maledizione, non faceva mai domande. Proprio quella sera che avrebbero potuto parlare un po' di più Gabriele voleva solo sparire sotto terra.
«Il lavoro per amici che ti ho detto. Ti spiego un altra volta okay?»
Sara fece spallucce, trattenendo quella scintilla di curiosità che aveva negli occhi. Ma il suo sguardo parlava chiaro, solo per il momento, non sarebbe fuggito per molto. Avrebbe almeno avuto tempo per inventarsi una scusa credibile.
Adesso però non posso certo mettermi a provarli qui, non mi deve vedere vestito così o non avrò più pace.”
Gabriele prese il suo telefonino, ci pensò un momento prima di premere il tasto della chiamata. A malapena si conoscevano ma per la situazione che avevano tirato su era d'obbligo che certi imbarazzi venissero sorvolati.
Pensa hai soldi...mi servono.”
Gli rispose al terzo squillo. «Pronto?»
«Sono Gabriele...»
«Sì...» gli sembrava di aver udito per un momento un punto di domanda e di confusione.
«Non posso vestirmi a casa mia. Non sono solo.»
«Ah, capisco, beh potrei venirti a prendere puoi...prepararti qui.»
Faticava a trovare le parole ed effettivamente anche Gabriele non era a suo agio, per sua fortuna il lavoro che aveva fatto in quegli anni lo aveva un po' sciolto. Certo non abbastanza da farsi vedere vestito da donna dalla sorella, non aveva alcuna voglia di rispondere alle sue domande ed aveva il timore che se avesse saputo che lo faceva solo per un altro lavoro e non per piacere personale quella lontananza tra loro si sarebbe accentuata.
«Sì, va bene.» Gli disse il suo indirizzo e guardò l’orario subito dopo aver chiuso la chiamata, entrò nella sua camera e recuperò una busta in cui mettere i vestiti, per fortuna possedeva già dei trucchi suoi necessari per il locale dove lavorava, non avrebbe saputo come spiegare anche quella sparizione alla sorella.
Quando sentì il campanello suonare si avviò alla porta dopo aver salutato sua sorella e aver lasciato un biglietto per sua madre. Si legò i capelli in una bassa coda e indossò il giacchetto. Riconobbe subito la macchina, era la stessa della prima sera, una fiat rossa lucida e perfettamente curata. Avrebbe voluto una macchina anche lui, gli avrebbe reso più facile ogni giornata.
Bussò al finestrino e Christopher gli aprì. Era vestito in modo elegante, indossava una camicia color pSara e pantaloni beige accuratamente stirati, i capelli mori erano sistemati e pettinati e l’accenno di barba era sparito. Gli sorrise leggermente e piccole fossette si crearono sulle sue guance.
Gabriele entrò e si mise seduto al suo fianco e lo salutò.
«Mi dispiace per l’improvvisata ma c’era mia sorella...non mi sembrava il caso.»
«A no, figurati. L’incontro è tra due ore.»
«Sarò pronto, sono abituato a vestirmi velocemente.»
Subito dopo il discorso sembrò morire, Christopher sorrise quasi divertito e partì immediatamente. Gabriele sentì nascere dentro di sé una sensazione di nervoso misto all’imbarazzo. La città cominciava ad avvicinarsi verso l’imbrunire e i lampioni cominciarono ad accendersi lungo la strada, la solita nuvolona uggiosa e grigia copriva il cielo di Londra preannunciando la pioggia della sera.
«Nel frattempo posso insegnarti qualcosa sulla lingua dei segni.»
«È una buona idea, non ne so nulla. Avevo pensato di improvvisare la traduzione.»
Gabriele nascose un sorriso guardando fuori il finestrino, era sicuro che sarebbe finita così, forse alla fine tutto l’impegno della serata sarebbe stato il non sbottare a ridere davanti a tutti.
 

Angolino 
Un grazie a tutti quelli che leggono
^^.



Se vi può interessare nel frattempo sto scrivendo anche una storia fantasy (tanto per rendermi le cose complicate :D), "Il fuoco della Fenice" 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4067630&i=1 

 
   
 
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