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Autore: FreDrachen    15/01/2024    0 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Capitolo 35

Di tutte le idee pessime che avevo avuto nella mia vita, quella doveva essere una delle peggiori.

Perché mi ero lasciato trascinare in quella situazione?

Potevo mettere a tacere il mio cazzo d'orgoglio una volta tanto?

Non ero mai stato un amante dello studio, da quando conoscevo Akira avevo iniziato a fare un poco di più ma non avevo acquisito tutta quella voglia di prepararmi alle gare della chimica, almeno non in modo serio.

Per dimostrare che non ero scemo come ci si sarebbe potuti aspettare da uno come me avevo accettato di sottopormi a quella tortura.

Già di chimica non facevo abbastanza in classe la mattina? Perché prolungate l'agonia?

Dovevo essere diventato un masochista.

«Ripetimi ancora una volta del perchè mi trovi qui anziché spaparanzato sul letto a fare nulla».

Akira stirò le labbra in un sorriso, alzando gli occhi al cielo.

«Per arricchire le tue conoscenze in materia e perché vorresti battere il tuo compagno nella competizione?»

Sentirmelo dire mi fece sentire ancora più stupido di quello che ero in realtà.
Abbassai la testa, sbattendola contro il banco. «Voglio morire» mugugnai.

«Non preoccuparti, ci sarò io a farti da spalla su cui piangere».

Ruotai il capo verso di lui, osservandolo con sguardo tradito. «Quand'è che arriveresti alla parte in cui mi tiri su di morale?»

Lui appoggiò il capo contro il palmo della mano sempre continuando a sorridere.

«Dovresti smetterla di non avere fiducia nelle tue capacità».

«Di quali capacità parli? Per esempio quella di parlare prima di pensare ritrovandomi in situazioni come questa?» domandai retoricamente.

«Anche» annuì. Speravo che negasse per consolarmi ma Akira era troppo sincero anche solo per mentire a fin di bene, e questo era uno degli aspetti che mi aveva fatto innamorare di lui.

Gettai un'occhiata a ciò che mi circondava. Tutti eravamo seduti attorno al tavolo lungo e rettangolare che si trovava in aula magna, l'unica sala presente nella scuola in cui potevamo starci senza correre il rischio di morire sardinati. E per tutti intendevo i masochisti che si erano presentati di loro spontanea volontà, con una eterogeneità di età. Andavamo dai primini fino a noi di quinta. Quelli di prima si riconoscevano per lo spaesamento con cui si guardavano attorno. Sembrava che fossero stati costretti indirettamente a partecipare dai loro prof, per questo provai compassione per loro. Quelli di quinta erano solo sei, compreso il sottoscritto, di cui solo Akira dei BA, io e Quattrocchi di BS (evento raro perché di solito la nostra sezione non partecipava) e i rimanenti di CM, chimica dei materiali, due ragazze e un ragazzo dalla faccia abbastanza simpatica ma con cui non avevo mai colloquiato e che non avevo avuto in classe nel biennio. Ero posizionato all'esterno del lato lungo opposto alla porta d'entrata con a fianco Akira. Quattrocchi era seduto di fronte a me ed era da un po' che mi osservava.
Se non fosse che era entrato il prof di impianti di CM e analitica ai BA, che aveva portato il silenzio in aula, gli avrei fatto dono di un bel dito medio.

I prof erano due, uno che si sarebbe occupato dei ragazzi del biennio e uno per il triennio. Ai più piccoli era toccata la prof di organica, la prof Liguori, una donna sulla sessantina e prossima alla pensione, abbastanza bassa e rotondetta molto dedita al suo lavoro. Il suo unico difetto era che parlava molto lentamente, e talvolta mi perdevo durante la spiegazione dopo magari un attacco di abbiocco, dato che era la mia prof di materia. Forse per questo non appena mi aveva visto aveva alzato un sopracciglio con fare dubbioso. Grazie prof per avere fiducia nelle mie capacità.

A noi il prof di impianti e analitica, il prof Cavalieri, un uomo più giovane della collega ma già con i capelli scuri un po' brizzolati. A volte mi chievevo se avesse una vita fuori dalla scuola visto che lo trovavo sempre in mezzo ai piedi a ogni ora e momento. Si andava in laborarorio di organica? Lui era lì a chiacchierare con l'assistente tecnico. Si andava al piano zero in quello di microbiologia? Era lì a chiedere chissà cosa (per quest'ultimo gli andava bene per il fatto che il laboratorio della sua materia era quello di fianco).

Ci dovevamo spostare per e dalla palestra?
Era lì!
Sembrava davvero una persecuzione.

«Quest'anno vi voglio tutti almeno nelle prime posizioni» stava dicendo.

Che esagerato!

Ero una persona abbastanza competitiva, altrimenti non sarei sopravvissuto nel campo da calcio ma ognuno aveva le sue priorità.

Vidi con la coda dell'occhio Quattrocchi che aveva alzato le spalle in un gesto di orgoglio. Vero, lui poteva essere un favorito ma non avevo dimenticato la scommessa che avevamo fatto. Ero intenzionato a batterlo, altrimenti la mia presenza lì sarebbe stata completamente inutile.

Ci consegnò un foglio su cui erano appuntati degli esercizi simili a quelli delle vecchie edizioni delle gare.

I primi erano due problemi di analitica, fattibili se solo mi fossi ricordato le formule da utilizzare, qualcosa di organica e per finire la maggior parte degli esercizi su impianti. Era vero, le gare vertevano su tutti i rami della chimica e sforavano anche nella biochimica. Il fatto che il mio corso, tra i tre, era considerato quello più inferiore ci aveva sempre indotto a lasciare la competizione a quelli di CM e BA, e al tempo stesso questi ultimi che faticavano per le domande di impianti.
Sul foglio mi osservavano degli strani disegni incomprensibili, tanto da farmi salire la disperazione.

Mi voltai verso Akira con fare angosciato trovandolo girato verso la sua vicina di sinistra, una ragazza che sembrava scarsamente avere dodici anni, cosa impossibile dato che si trovava con noi e non alle medie. Aveva i capelli castani acconciati in una treccia lunga di cui non riuscivo a vedere la fine dalla mia posizione e occhi anch'essi castani celati dietro a un paio d'occhiali dalla montatura sottilissima nera e dalle lenti rotonde come quelle di Harry Potter.
Era magrissima tanto da farla sembrare in 2D, ma sembrava essere in possesso di una grande grinta celata dalla sua figura esile e all'apparenza fragile.

Come se avesse sentito il mio sguardo su di sè la ragazzina alzò lo sguardo confermando la mia prima impressione. Se ne fosse stata capace avrebbe staccato la testa a uno se l'avesse provocata.

Stava discutendo con Akira un esercizio dei suoi, diverso da quelli che dovevamo svolgere.

Per un attimo mi sentì geloso di quell'attenzione e premura.

Da brava persona matura mi proruppi in un colpetto di tosse per richiamare la sua attenzione e Aki voltò il capo.

«Scusami Luca-chan, finisco un attimo con Elisa».

La chiamava per nome?
Chi era questa ragazza?
Da quando la conosceva?
Cosa mi ero perso?
Perché cazzo mi facevo tutte queste paranoie?

Lei mi fissò impassibile prima di inclinarsi all'indietro, celandosi dietro la figura di Akira. Cos'aveva in mente?

Incuriosito indietreggiai a mia volta e notai che aveva piegato le dita facendo assumere alla mano la forma di pigna, nel tipico gesto di Lionel Messi, come per dire: "Che vuoi?", il tutto senza farsi notare da Akira preso dall'esercizio, al che mi irritai non poco. Cosa volevo?
Magari che non monopolizzasse il mio ragazzo, per dirne una.

Sentivo che mi stavo comportando da immaturo ma era più forte di me.
Rimasi in silenzio mentre osservavo i due scambiarsi idee sulla risoluzione del problema in questione.

Nel mentre Quattrocchi di fronte a me avvanzava spedito e ogni tanto mi guardava accennando un sorriso. Mi stava per caso prendendo per il culo?
Decisi di concentrarmi sui problemi che potevano essere alla mia portata ma già alla prima frase sentivo i neuroni prendere fuoco.

Volevo tornare a casa!
Perché mi ero impegnato con una cosa che andava oltre le mie capacità?

«Pensavo fossi più competitivo» sentì mormorare Quattrocchi di fronte, per questo gli scoccai un'occhiata gelida. Chi era lui per criticarmi?

«Taci» gli ringhiai contro.

Gliel'avrei fatta vedere chi aveva deciso di sfidare!

Inforcai la penna e cominciai a scrivere come un forsennato sotto lo sguardo sbigottito suo e anche di Akira e della ragazzina.

Sembrava che con la penna volessi ammazzare il foglio, e in effetti era vero. Stavo facendo finta che a ogni risposta data, a ogni croce barrata e calcolo fatto stessi scoccando in colpo a Quattrocchi, avvicinandomi sempre di più alla vittoria.

Finì tra i primi, beccandomi pure un'occhiata perplessa da parte di Akira. Mi sentivo davvero soddifatto di me stesso, come forse non era mai accaduto nella mia vita.

Il prof cominciò a correggere gli eservizi, chiamando un ragazzo per volta. Ogni volta alzai la mano, per dimostrarmi preparato e carico. Tuttavia ogni volta il prof mi ignorava e chiamava altri. Alla fine aveva fatto un giro completo dei nostri mi preparai a rispondere, ma con sorpresa mi saltò.

«Scusi, ci sarei anch'io» dissi, forse in tono più scazzato del consentito.

Difatti lui mi rivolse un'occhiata contrariata.

«Tranquillo non mi aspetto molto dai BS».

In prarica era come dire: "Tollero a stento la vostra presenza ma per me valete meno della suola delle scarpe". Davvero simpatico.

Ma il caro Quattrocchi, che era BS come me, era stato chiamato e gli era stata data la possibilità di rispondere quando uno di CM aveva aveva avuto problemi con un esercizio legato alla biochimica.
Glielo feci notare senza filtri, non mi andava questo atteggiamento così discrimatorio.

Il prof mi rivolse un'espressione che avrebbe rivolto a uno scemo.
«Casale mi sembra l'unico del vostro corso meritevole di star qui».

«Anche io mi sono fatto in quattro a fare questi esercizi e per ora li ho fatti giusti» ribattei, sempre più irritato.

«Sei seduto vicino a Vinciguerra, li avrai copiati tutti».

Lo fissai a bocca aperta. Era professionale che un docente si rivolgesse così a uno studente?

Akira intervenne prima che potessi peggiorare la situazione.

«Questi prof non li ho fatti, mi sono perso un attimo con Elisa con un suo problema».

Tiè! Ben ti sta! Prima di colpevolizzarmi doveva avere le prove!

«Io proverei a controllare. Loro passano così tanto tempo insieme...» cominciò a parlare Quattrocchi, che si bloccò non appena si accorse del mio sguardo inceneritore.

Akira di tutta risposta si alzò e portò il suo quaderno al professore, dove effettivamente non aveva svolto quei quesiti.

Mi trattenni dal fare a Quattrocchi una beffa. Così imparava a fare il lecchino infame.

Il prof lasciò perdere la questione ma continuò a ignorarmi. Che gran bastardo!
Non meritava il mio genio!

Uscimmo di lì che ero un faccio di nervi, tanto da far preoccupare Akira.

«Non prendetela Luca-chan. Sono certo che conoscendoti il prof comincerà ad apprezzarti» tentò di rincuorarmi, camminando al mio fianco, in lontananza vedevo già l'auto di mia madre in attesa.

«Della sua approvazione me ne frega poco e niente. Mi dà solo un enorme fastidio che parta così premunito nei miei confronti. Gli anni scorsi non avevo molta voglia di studiare e sono sempre stato promosso con una media del sei e mezzo stirato. Ovvio che poi si facciano una certa idea di me. Ma un conto è pensarlo, l'altro esternarlo in quel modo».

«Posso parlargli, fargli capire che sta sbagliando completamente su di te».

«Non è il caso, tanto penso che dalla prossima volta non mi presenterò. Tanto alla fine a cosa serve? È solo una competizione tra cervelloni. Non c'è spazio per uno che ha avuto sempre e solo il pallone in testa» dissi, atteggiando le labbra in un sorriso amaro.

«Appunto è una competizione e hai mai mollato di fronte a un ostacolo? Ti rispondo io. Mai! Sei sempre andato dritto per la tua strada, e quando sei caduto ti sei sempre rialzato sempre». Mi gettò un'occhiata. «Anche se adesso è una cosa un po' triste da affermare. Ma se pensi anche ora. Hai deciso di lottare contro ciò che sei diventato per riappropirarti della tua vita. Prendi queste gare come una partita da vincere».

«Come fai a sapere come mi sono comportato in quei casi?»

Di tutto il suo discorso era ciò che mi era rimasto più in presso nella mente.
Lui arrossì, distogliendo lo sguardo con fare imbarazzato.

«Ecco...forse sarei venuto a vedere qualche tua partita» mormorò.

«Qualcuna?»

Dovevo aver sentito male. Akira era venuto a vedermi giocare? Non seppi come interpretare del tutto le emozioni che mi esplosero dentro, un mix d'orgoglio e timore.

«Sì ecco...quasi tutte quelle casalinghe» rivelò passandosi una mano tra i capelli.
Venni assalito dal bisogno primordiale di attirarlo verso di me e baciarlo. Sì, di fronte a tutti senza esitazioni. Mi trattenni solo per lui e la sua richiesta.

«Venerdì dopo scuola ti andrebbe di rimanere a dormire da me? Inizia il weekend, così non c'è il problema scuola per il giorno dopo, in cui possiamo stare un po' assieme».

«Sei troppo ligio al dovere. Se dovessimo saltare un giorno di scuola non è la morte di nessuno».

«Siamo al quinto anno. Ho già fatto delle assenze, non vorrei farne altre».

Alzai le mani in segno di resa. «Mi dichiaro sconfitto. Ci vediamo direttamente a casa tua?»

«Se vuoi ti vengo a prendere nel pomeriggio, così puoi preparare con calma ciò che ti serve».

«Sai, sarebbe funzionale se mi decidessi a lasciare un cambio da te e uno spazzolino di riserva, per queste esigenze» scherzai, e notai che il volto di Akira si fece rosso per l'imbarazzo per la seconda volta nell'arco di pochi minuti.
Come mai...ah! Ah...cazzo!
Ero stato davvero inopportuno!

Tentai di scusarmi ma lui mi bloccò con un cenno della mano.

«Non me la sono presa, tranquillo. È solo che...non me l'aspettavo, ecco».

«Colpa mia che parlo troppo e do aria alla bocca senza motivo» sospirai.

«Mi piace quello che dici» disse, non essnedo certo che l'avesse detto tanto per dire o se davvero ne fosse convinto.

Ci salutammo non appena arrivai dall'auto di mia madre. Ovviamente anche lei volle fare la sua parte, facendomi sentire in completo imbarazzo, salutando Akira come fosse un suo compagno di classe.

Quanto desideravo sotterrarmi.

A casa mi gettai sul letto e subito Freddy venne ad acciambellarsi al mio fianco. Era migliorato da quel giorno in cui io e Akira l'avevamo trovato, aveva il pelo più folto e sembrava più in salute. Sembravano passate ere invece erano solo pochi mesi.
Cominciai ad accarezzarlo sulla testa e a fargli i grattini, che avevo scoperto apprezzare parecchio.
Avevo una voglia matta di fiondarmi a casa di Aki immediatamente e di rimanere lì per sempre ma non potevo.

Freddy allungò le sue zampette anteriori per intrappolare tra le mani munite di cuscinetti e artigli il mio indice sinistro, avvicinandolo al suo musetto, cominciando a mordicchiarlo con i dentini. Mi aveva per caso preso per un croccantino?

Cercai di liberarlo ma la sua presa era forte, e nell'impresa finì con la maggior parte del corpo sul mio petto. Sembrava piccolino ma era davvero tenace, e aveva un che di buffo. Meritava una foto.

Fu per questo che recuperai il telefono per immortalarlo. Dopo lo scatto entrai nella galleria per vedere come fosse venuta, e mi accorsi che avevo inquadrato anche la mia mandibola con un accenno di barba, che non facevo per pigrizia da qualche giorno.

Era davvero una bella foto, così vera e speciale. E poi sia io che Freddy eravamo abbastanza fotogenici.

Entrai su Instagram e mi accinsi a pubblicare la foto. Mi fermai un attimo con il dito sull'icona della conferma della pubblicazione, con fare incerto. La mia bacheca era ferma a una foto di Quel giorno, il momento in cui avevo mostrato con fare orgoglioso la mia maglia di giocatore titolare nella mia squadra del cuore che aveva deciso di credere e investire su di me.

Peccato che qualche ora dopo avevo perso tutto. La maglia me l'avevano lasciata ed era chiusa con cura in una scatola sotto il letto che non avevo più tirato o fatto tirar fuori. Non ne avevo avuto il coraggio, così come avevo perso il deisiderio di immortalarmi o postare qualche mia foto.

Forse era arrivato il momento di fare un altro passo per riprendermi la mia vita.

Aggiunsi qualche tag, senza però descrizione e cliccai sull'icona. In futuro se non me la sentivo di vederla lì potevo sempre cancellarla o archiviarla. Mi fece una strana impressione, prima era all'ordine del giorno un post e storie in cui raccontavo le mie vicissitudini calcistiche.

Bloccai il telefono e lo appoggiai al mio fianco, tornando a concentrare la mia attenzione su Freddy tornato alla carica del mio povero dito.

L'avviso di una notifica fece sobbalzare Freddy che rimase inchiodato sul posto. Riuscì a liberarmi il dito e cominciai a coccolarlo per tranquilizzarlo.

Era arrivato il primo "mi piace" da Akira, fatto che mi soprese perché non sapevo che mi seguisse, con annesso un breve commento.

Poi ne arrivarono altri, a cascata tanto da mandarmi in tilt.

Molti scrissero cose del tipo "Bentornato" o "Dove sei stato fino a questo momento?" e un "Ci sei mancato bro!", quest'ultimo da parte di un mio ex compagno di squadra che ancora giocava e che frequentava anch'egli la mia stessa, pur essendo in un altro corso.

C'era qualcuno che aveva notato così tanto la mia assenza e a cui potevo essere mancato sui social? Non me l'aspettato assolutamente.

Tolsi il suono alla modalità audio per non inquietare Freddy ma dentro di me lo apprezzavo.

La foto ben presto raggiunse i duecentocinquanta like e malgrado fosse un numero irrisorio se paragonato a quelli a cui ero abituato mi fecero commuovere.

Per questo entrai nella modalità di modifica della parte scritta del post per aggiungere la dicitura: "Sono tornato".

Il giorno dopo a scuola mi sentivo su di giri, come non accadeva da tempo. Mi avrebbero potuto tempestare di quattro che non avrebbero avuto il potere di togliermi il sorriso.

Mi trovavo in corridoio in attesa di Akira, che ancora non si vedeva all'orizzonte.

Avevo appena fatto verifica di Igiene. Avevo studiato, con Freddy acciambellato sulle cosce, e speravo sempre in una sufficienza, anche se mi aspettavo di più.

«Ah finalmente ti ho trovato!»

Mi voltai e intravidi Pigmalione raggiungermi di corsa. Anche quel giorno forgiava un look eccentrico, con una maglia rossa morbida che gli lasciava scoperta una spalla (qualcuno aveva avuto il coraggio di dirgli che essendo Febbraio non era l'abbigliamento più corretto? Anch'io soffrivo il caldo, ma non sarei arrivato al suo livello) strappata sui fianchi come se fosse stato artigliato da un licantropo e jeans scuri larghi e con i tasconi ai lati, cargo come mi sugggerì la vocina interiore dopo che Agnese mi aveva ripetuto almeno mille volte quel termine, sopra in paio di scarpe alte nere. Anche quel giorno sfoggiava un trucco nero, dalla matita all'ombretto nero che facevano risaltare i suoi occhi viola tenue. Prima o poi avrei raccolto tutto il coraggio che possedevo per domandarlgi se le sue iridi erano vere o derivate da lenti a contatto colorate, ma non sarebbe stato questo il giorno.

Lo fissai senza capire, al che lui si premurò a spiegare.

«Ho sentito discutere Akira con il prof Cavalieri. Ho sentito il tuo nome e ho pensato di chiedere direttamente alla fonte. Allora...che cos'è successo?»

Perché Aki ti sei messo in questa situazione? Che stupido rischiare di non uscire con la lode per un problema non suo.

Gli spiegai in breve cos'era successo il giorno prima, e Pigmalione rimase ad ascoltare in silenzio.

A racconto finito diede dello scemo (perché dire Testa di Cazzo a un professore gli sembrava troppo irrispettoso) al prof per poi inclinarsi un poco verso di me.

Non era tanto alto, in condizioni normali mi sarebbe arrivato ad altezza naso, ma in quel momento svettava e mi faceva sentire...basso! Non mi sentivo così dalla prima superiore in cui mi ero alzato in altezza.

«Per quanto riguarda la ragazza ti stai riferendo a quella con la treccia di seconda, Elisa Montenapoleone?»

«Si potrebbe. Ma com'è che tutti la conoscono?»
"E per me é stata la prima volta durante quel pomeriggio?" avrei voluto aggiungere ma mi sarei sentito più cretino di quello che mi pareva essere.

Pigmalione si grattò il collo con fare nervoso.

«Lei mi passa libri da leggere. Insomma, ci siamo conosciuti perché lei è venuta a sbattermi contro mentre leggeva un libro piuttosto...interessante e, diciamo, che ci siamo rivolti la parola per quel motivo. Gli altri forse perché, seppur sia ancora piccola  è davvero molto brava dal punto di vista scolastico e umano. La prof di organica è affascianta da lei, e per questo spera che la sua scelta per il triennio ricada in un corso chimico, sai per avere la possibilità di averla come allieva prima di andare in pensione».

Ah. Un piccolo genio. Se non fossi stato a conoscenza dei gusti di Akira avrei quasi pensato che potessero stare bene insieme. Due super cervelloni che avrebbero potuto conquistare il mondo.
Che. paura.
Meglio non pensarci.

«Sembrava...simpatica».

Quanto un cactus, ma anche questo pensiero lo tenni per me.

Lui sorrise. «Vero? Io l'adoro. È una delle poche persone con cui non ho paura di essere me stesso, perché so che qualsiasi cosa dica o sia non mi giudicherà mai».

«E io?» domandai un poco risentito.

«Anche te considero come un amico. Ma è diverso. Lei sa tutto di me».

«E cosa dovrei sapere che non so? Che nascondi un cadavere sotto il letto?»

Lui sorrise appena. «Qualcosa sotto ol letto lo nascondo, ma per fortuna non è un cadavere».

Non era molto rincuorante lo stesso.
Feci per dirglielo ma intravidi Akira avvicinarsi.

Gettò un'occhiata a Pigmalione, molto simile a quella che gli aveva regalato la volta che ci aveva beccati in bagno. Tutto in lui risuonava un senso di possesso e gelosia, e non seppi se esserne lusingato o no.

«Com'è andata la discussione con il prof? Ah già giusto, non è un problema mio. Ci vediamo».

Sorrise con fare impertinente, con l'aggiunta di una strizzata d'occhio prima di dileguarsi, lasciandosi soli.
Gettai un'occhiata ad Akira e lo trovai funereo. Non l'avevo mai visto in quello stato e mi fece non poco paura.

Lo invitai a spostarsi in modo da parlare con calma in un luogo tranquillo, e lui mi seguì in silenzio.

«Non devi rischiare per colpa mia» gli dissi non appena fummo soli.

Lui mi fissò con i suoi occhi ossidiana, straboccanti di emozioni di ogni natura. «Non potevo stare con le mani in mano dopo che lui ti ha sminuito in quel modo».

«È il tuo coordinatore di classe. Cazzo Akira! Potrebbe decidere di abbassarti il voto di condotta o convincere gli altri a farlo con quello della propria materia».

«È solo un numero» ribattè lui calmo.

«Non voglio che butti via tutti i tuoi sacrifici per me».

Ci fissammo negli occhi. Non era una litigata, almeno non di quelle burrascose ma era la prima volta che il nostro discorso assomigliava a una discussione.
Lui si inginocchiò e poggiò la sua testa su quello che rimaneva delle mie gambe, emettendo un lungo sospiro. Gli passai una mano tra i capelli.

«Apprezzo quello che hai fatto per me» iniziai continuando a giocherellare con le sue ciocche setose. Quando una giorno, speravo mai, avesse deciso di tagliarli per me sarebbe stata la fine. «Ma quella era una mia battaglia che avrei dovuto affrontare io. Capisci cosa intendo?»

«Non l'avresti fatto. O sì?»

Alzai lo sguardo al soffitto, constatando che alcune piastrelle in cartongesso che lo costituivano sembravano in bilico, per cui pregai tutti gli dei affinchè mi venisse risparmata la testa.

«Forse prima avrei lasciato perdere, ma ora non posso. Non più. Ed è colpa tua» accompagnai queste ultime parole con un sorriso, abbassando lo sguardo su Akira. Avevo per un attimo perso il mio spirito competitivo, che per fortuna avevo recuperato grazie a lui.

Lui mi fissò aggrottando le sopracciglia.
«Cos'hai intenzione di fare?»

«Aspetta e vedrai».

«Aspetta e vedrai»

 

Scoprì da Akira che il prof Cavalieri si trovava ancora in classe sua, in cui mi feci largo con la sedia a rotelle sotto lo sguardo incuriosito dei compagni di classe di Akira. Solo Pigmalione, appoggiato a quello che doveva essere il suo banco, visto l'astuccio pieno di brillantini che avrei associato solo a lui, sembrava essere consapevole di quello che sarebbe successo.

Mi fermai di fronte al prof che mi osservò con superficialità, come se la mia presenza non lo intaccasse per nulla. Degnò di una breve occhiata Akira con sdegno, facendomi sentire un poco in colpa. Speravo che Akira non avesse problemi da lì in poi.

Ora toccava me. Dovevo ripetergli il discorso epico che mi ero creato in testa. Facile come bere un bicchiere d'acqua.
Presi un bel respiro e parlai.

«Le dimostrerò che sono valido tanto quanto i suoi studenti».

Che schifezza di discorso avevo fatto? Ma chi ci avrebbe creduto?

Lui incrociò le braccia al petto. Sulla cattedra vidi impilati i suoi libri, segno che se ne stava andando e io l'avevo bloccato. «E come pensi di riuscirci?»

«Li batterò uno ad uno fino ad arrivare primo» dichiarai con troppa enfasi. Inutili furono i tentativi della mia mente di frenare le parole prima che uscissero di bocca. Non era quello il mio obiettivo, ma solo superare Quattrocchi, insomma una gara interna nella stessa classe. Che chance avevo di battere dei BA? E poi lui era anche prof dei CM...ah...cazzo!

«Non credo che ci riuscirai».

«Questo è tutto da vedere» continuai, ormai infervorato. Ormai mi ero incasinato e avrei portato avanti questa scelta fino alla fine.

Suonò la campanella in quel momento interrompendo le occhiate in cagnesco che ci stavamo lanciando, senza esclusione di colpi.

L'uomo si fece largo verso la porta dopo aver recuperato i libri, bofonchiando che sarebbe arrivato tardi nell'altra classe, dove aveva lezione, per colpa mia. Seh, credici!

Sentì alcuni commenti dei compagni di clase di Akira che

«È completamente pazzo».

Grazie, me n'ero accorto da solo senza doverlo sottolineare.

«Non ce la potrà fare».

Ma la potevano smettere di gufare?

«Figurati se un BS ci può battere».

Farsi i cazzi suoi no?

«Secondo me può farcela. Lo sottovalutate troppo» si intromise la voce di Pigmalione.

«Ma lo sai chi è? È un calciatore».

«E che vuol dire? Pensate che i calciatori siano tutti stupidi?»

Dalle facce dei suoi interlocutori capì che si, ci consideravano scemi. Una motivazione in più per batterli e cancellare il loro sorriso borioso dal viso.

Salutai Akira e Pigmalione, ignorando gli altri, per tornare in classe, trovando Ippolito appoggiato allo stipite della nostra porta. Era a braccia incrociate, lo sguardo perso in chissà che pensieri. Forse era preoccupato per la partita imminente contro la Juve.

Non appena mi intravide sorrise. «Ho sentito che hai avuto una discussione con il prof Cavalieri. Come ti sei sentito quando hai compreso di essere stato sconfitto?»

Non gli risposi, non avevo voglia di scontrarmi anche con lui. Quella mattina avevo già dato.

Gli passai di fianco, e lo sentì mormorare:
«Ricordati, ci sono battaglie che non puoi vincere».

   
 
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