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Autore: Mairyelf    20/01/2024    2 recensioni
"Crowley, niente dura per sempre..."
Queste erano le parole che il demone si portava dietro da quella che a lui pareva un'eternità - e ai comuni mortali pareva un anno. L'Innominato, così ora NON si riferiva un certo angelo, era asceso Quel giorno e non si era più fatto vedere. Non che gli importasse, ovviamente. Crowley era rimasto del tutto imperturbato. Aveva solo mandato tutti al diavolo, o all'angelo, in base alle non preferenze, e aveva cambiato stato. Il nord Italia, con tutto quel vino e quella gente blasfema, era diventato il suo posto preferito. E il demone Crowley ci stava pure abbastanza bene, nella sua villetta in mezzo ai vigneti, se non fosse stato per l'apparizione di quel maledetto libro che tanto gli ricordava un passato non troppo lontano: "Le Discrete e Aspecifiche Profezie di Sibilla Cumina, Strega Amatoriale".
*** NOTE: i personaggi citati avranno il proprio nome inglese. Lo stile narrativo è ispirato a quello del libro, mentre le vicende sono ambientate dopo la seconda stagione della serie TV. ***
Genere: Romantico, Satirico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Movieverse | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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6

Da qualche parte vicino a Verona
Presente

 
 
Crowley, demone tentatore, causa di alcuni grandissimi conflitti mediatici e serpe del Paradiso Terrestre, se ne stava in quel momento seduto su una poltroncina a fiori color cipria, nel salotto di una ragazzetta appena incontrata che per qualche motivo gli ispirava simpatia.

Forse ad attrarlo erano stati i capelli dello stesso colore dei suoi, o magari le lunghe trecce, o forse ancora quell'aria saccente di chi sapeva di possedere informazioni importanti, restava il fatto che in quel momento si trovava in attesa di lei come una vecchia pettegola attendeva la propria comare. 

«Hai pure le calze spaiate?» Domandò quando la giovane sbucò dalla cucina e poggiò sul tavolino davanti a lui un paio di bicchieri d’acqua.

Lei sollevò la testa per guardarlo, aggrottò le sopracciglia e si sedette sul divano dietro di sé. «No, non sono Pippi Calzelunghe.» Borbottò. «E non ho neanche ucciso mio padre come il più buono dei rossi, s’è per quello.»

Crowley annuì pensoso, domandandosi di colpo se quella volta prima di addormentarsi nel XIV secolo non avesse per sbaglio creato uno spauracchio.[1] Ciò avrebbe spiegato il perché per due secoli buoni la gente avesse continuato a guardarlo storto.

«Perché cerca il libro di profezie?»

Crowley si riscosse. «Perché…» Scrollò le spalle. «Mi serve.»

«Lo sa che se vuole può toglierseli gli occhiali da sole, vero?»

«Sto bene così.»

«È ipersensibile alla luce?»

«Uhm, no?»

«E allora perché li indossa?»

Crowley strinse gli occhi da sotto le lenti nere. «Fai un sacco di domande.»

«Sono curiosa. E la domanda è solo una, ma in varie versioni.»

Al demone sfuggì una smorfia divertita. «Com’è che ti chiamavi?»

«Eva.»

«Ho conosciuto una Eva tanti anni fa…» Oltre seimila anni fa. E non aveva nulla a che fare con questa di Eva. «Bisogna sempre stare attenti a fare domande, ragazzina, fidati.»

«Chiedere è lecito, rispondere è cortesia.» Rimbrottò lei e il demone avrebbe tanto voluto concordare. Ma chiedere non era sempre lecito. Soprattutto se eri un angelo. O un demone. O un qualsiasi dipendente che non si trovasse al vertice della piramide alimentare capitalista.

Crowley sbuffò. «Dov'è il libro?»

«Glielo dico solo se mi dice il perché degli occhiali.»

A quel punto il demone si domandò se non fosse il caso di fare un piccolo miracolo demoniaco, darle una spintarella a fare quello che voleva lui, e finire lì quella baggianata. Ma poi ragionò sul fatto che, in fondo, quella conversazione si prospettava la più interessante da un anno a quella parte – sproloqui con contadini ubriachi sul significato della vita esclusi.

«Non mi piace mostrare gli occhi alle persone.» Disse. Non gli pareva di avere nulla da perdere nell’ammetterlo.

«Perché?»

«Inquietano tutti.» Quasi tutti, gli suggerì la sua mente, ma la zittì.

La ragazzina arricciò il naso, squadrandolo dalla testa ai piedi. «Andare in giro vestito di nero e con degli occhiali neri in una macchina nera è meglio?»

«È stile.» Sibilò.

«Stile da becchino?»

Il demone scattò, punto dritto nell'orgoglio, e alzò il braccio per schioccare le dita. «Basta dom-» Iniziò, ma il miracolo demoniaco che stava per pronunciare gli morì in gola con un rantolo frustrato nell’esatto momento in cui si rese conto di quello che stava facendo. Non sarebbe stato giusto, alla fine stava solo facendo qualche domanda. Tolse gli occhiali di scatto e fissò Eva dritta negli occhi. «Toh. Contenta?»

La ragazzina sobbalzò da seduta, attaccandosi con la schiena al divano. Si era zittita di colpo, ma Crowley le lesse comunque sulle labbra una parola simile a fico.

«Il libro l’ha trovato mio padre scavando in uno dei nostri campi.» Iniziò sicura dopo un attimo di shock e continuò snocciolandogli tutta una serie di informazioni sul volume, quello che conteneva e sul perché fosse convinta che andasse a lui. Più parlava, più il demone si convinceva che sarebbe dovuto rimanere a casa propria.

«Perché è lei l’uomo nel disco d’ombra, no?» Gli domandò a bruciapelo al momento opportuno del racconto. «La nube passa sempre insieme alla sua auto…»

Crowley, che durante il racconto si era svaccato storto sulla poltroncina come era solito fare con tutte le poltroncine che gli capitavano, si sedette dritto. «Come fai a saperlo?»

La ragazzina si pulì le unghie sulla t-shirt celeste e sul suo viso apparve un sorrisetto soddisfatto. «Primo pilastro del metodo scientifico.» Disse, come se fosse ovvio. «Osservazione.»

Crowley continuò a guardarla in silenzio, pensoso. Era strano. Il suo non-miracolo avrebbe dovuto impedire a chiunque di collegare lui o la sua auto alla nube; lo aveva studiato apposta. Aveva funzionato per un anno, non era possibile che si interrompesse da un giorno all’altro.

Schioccò le dita «Immobile.» Le ordinò, ma la ragazzina sbatté le palpebre, guardandolo come fosse un pazzo. Schioccò di nuovo le dita, ma questa volta lei lo interruppe.

«Che sta facendo?» Iniziava a essere preoccupata.

«Secondo pilastro del metodo scientifico.[2]» Crowley indicò il bicchiere sul tavolino. «Sperimentazione.» L’acqua, che non aveva bevuto, mutò in vino sotto lo sguardo allibito della ragazzina. «Mmh. Pessimo segno.» Commentò Crowley, maledicendo mentalmente chiunque si divertisse a infilarlo ogni volta in quelle situazioni.

Eva era rigida sul divano e non certo a causa di un suo anti-miracolo. «Come ha-»

Il demone schioccò ancora le dita. «Sia la luce.» Sussurrò guardando fuori dalla finestra e il cielo intorno alla casa si sgomberò di colpo da ogni nuvola. A quel punto indicò lei e mentalmente le ordinò di stare calma. Schioccò le dita, ma l’atteggiamento della ragazza non mutò. «Non funziona. Oh, merda merda merda

Crowley poteva chiaramente percepire che la ragazzina stava per avere un collasso, ma era troppo occupato a non avere una crisi lui stesso. «Vino, luce, occhi assurdi… Lei è… È… Insomma, non può essere Gesù!»

Il demone si strozzò con la saliva che non produceva. «Gesù!? E cosa te lo fa pensare? Gli occhi, i vestiti o questa?» Tirò fuori la lingua biforcuta da serpente, preda di un attacco di idiozia causato dallo stress. La ragazzina se l'era cercata, aveva cominciato lei.

«Mi sto sentendo male.»

«Non ci provare!» La prese per le spalle. «Mi serve quel benedettissimo libro.»

«Lei è un demone!»

«Poteva capitarti di peggio.»

«Ah be’, allora va bene, scusi se mi sono preoccupata!»

Crowley la lasciò andare e si allontanò in cerca di una soluzione. Lui era bravissimo a imitare gli umani, non ad averci a che fare. Non era mai stato lui quello cortese, ragionevole e accomodante; da solo non aveva idea di come gestire un momento di panico, soprattutto se ne faceva parte pure lui: preferiva guardarli da lontano, risolverli rimanendo nell’ombra. Il suo guardo cadde nella stanza adiacente, la cucina, e una lampadina gli si accese in mente.

Corse di là guardandosi intorno. La cucina era una stanza spaziosa, con pensili in legno che correvano su due delle quattro pareti, una piccola credenza con un mix di piatti e libri sulla sinistra, e al centro un tavolo da pranzo in legno. Proprio lì, sotto una cupola a retina per tenere lontani gli insetti, il demone notò un piatto ricolmo di crostatine alla frutta.

Lo prese in mano al volo, ma di colpo tentennò: c’era qualcosa di strano nell’aria. Un che di caldo e accogliente, che però non dipendeva né dal mobilio in legno, né dal forte profumo di vaniglia emanato da una candela accesa poggiata sul ciglio della portafinestra aperta.

Ignorò per un istante quella sensazione e portò il piattino con i dolci alla frutta in salotto, ficcandolo tra le mani di Eva. «Mangia. Aiutano a calmarsi. Io torno tra poco, non ti muovere.»

«Ho appena scoperto che lei è un demone e non dovrei muovermi!?» Gli strillò dietro lei, ma era già tornato in cucina.

Quella sensazione, come quando i raggi del sole scaldavano la pelle, la conosceva bene, troppo bene. «Un miracolo.» Sibilò. Attraversò la stanza e si affacciò alla porta-finestra, starnutendo a causa della candela sotto di lui: aveva il naso troppo fino per quelle fragranze. Saltò fuori e si guardò intorno, convinto a un certo punto di vedere un guizzo d’ali bianche, ma non notò nulla del genere. Tornò dentro, guardandosi ancora intorno e allora lo vide.

Poggiato sulla credenza vicino agli altri libri – tutti ricettari – stava un volume in pelle che poco o nulla centrava con il resto delle copertine che lo circondavano. Emanava un calore flebile, come quello di un termosifone acceso da poco. Sembrava impregnato di aura miracolosa. Il demone seppe che era ciò che cercava, Le Discrete e Aspecifiche Profezie di Sibilla Cumina, Strega Amatoriale.

Lo prese in mano lentamente, senza sapere cosa aspettarsi ma, dopo gli ultimi eventi, molto più inquieto di quanto non fosse quella mattina. Ricordando quanto gli aveva raccontato Eva, fece scorrere le pagine fermandosi di tanto in tanto, e il risultato fu proprio come quello che gli era stato descritto. Pagine scritte, pagina vuota, pagine scritte, pagina vuota. Si rese solo conto che, ora, oltre all’introduzione si erano compilati un altro paio di fogli. Decise che li avrebbe tenuti per dopo.

Tornò al risguardo per analizzarlo in cerca di indizi, ma non vi trovò nulla di nuovo, se non un piccolo dettaglio: gli uccelli, piuttosto che stilizzati come quelli descrittigli dalla ragazzina, erano delineati in oro e con una certa precisione anatomica.

«Pft.» Crowley voltò la pagina stizzito. «Usignoli.»  
 

 
 
[1] L’unica cosa che aveva fatto era stato qualche piccolo dispetto ai suoi vicini di casa, quel tanto che bastava a tenere loro e le loro pulci lontani dalla sua proprietà. Nulla che altri prima di lui non avessero già fatto: mettersi un paio di corna da demone, sbraitare la notte, perseguitarli con false maledizioni… Le solite cose. Il collegamento con i capelli lo avevano fatto gli umani.
[2] Che il demone conosceva bene perché, verso il XVII secolo, in cerca di una bella conversazione sull’astrologia, aveva fatto visita a Galileo Galilei per un goccetto. Che era degenerato presto in un sorso. E in un bicchiere. E in varie bottiglie. Non ricordava i dettagli della conversazione, se non uno sproloquio di Galileo sul suo metodo e un suo commento simile a: «Se sapeste, Galileino mio, che la Terra è pure tonda.»
   
 
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