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Autore: ClodiaSpirit_    04/02/2024    1 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore][Un Professore]Simone e Manuel sono rispettivamente un principe elfo e un guerriero.
E' un AU FANTASY. Un po' ispirata a LOTR e un po' con licenza poetica.
- - -
Sei un elfo, sei un soldato, sei un comandante.
Si ripetè in testa prima di approcciarsi all'altra metà del suo stesso esercito. Invece che sciolto, Simone risultò rigido di fronte alla vista di quell'intero schieramento, composto da facce sconosciute, in aspettative, altre invece note perché di gente cresciuta nella sua Terra. Per la prima volta, avvertì dopo tanto tempo, la paura attraversargli ogni fibra del corpo dalla punta delle orecchie fino ai piedi sospesi perché in groppa alla sua fidata cavalla.
Sei anche un principe, aggiunse.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Inverno, Roccabuia.

 

 

 

« Manuel? »

La voce gli accarezzò il viso nonostante il tono più robusto. Chi la possedeva si accovacciò sulle ginocchia, accanto al corpo del ragazzo mezzo coperto da uno strato di lana e per metà le braccia erano poggiate una su e l'altra ricadente su un guanciale ricucito con qualche toppa.

« Manuel. »

Si immaginava il suo volto come se fosse ancora presente in terra, era assurdo quanto fosse reale trasformare un ricordo in un'immagine vivida.

« Manuel svegliati, » riprese quella, aggiungendo un sospiro « so che ti piace sonnecchiare, ma c'è da lavorare e aiutare tua madre oggi. »

Il ragazzo aprì gli occhi focalizzando per prima cosa il soffitto di travi di legno, poi aprì incurante la bocca in uno sbadiglio. Il nocciola dell'iride si fissò in quello più scuro del padre. La candela spenta e abbandonata sul mobile piccolo.

Era quello lo sguardo e il viso di chi lo aveva cresciuto.

« Alla buon ora. Abbiamo fatto le ore piccole ieri, mh? »

L'indice indicò il libro aperto a faccia in giù a terra, in più la risata di Mauro gli diede la conferma che ormai era fatta: doveva lasciare il calore del letto e mettersi in moto per un'altra giornata. Il braccio di Manuel cercò di raccogliere il tomo, ma suo padre fu più veloce.

« Ti è piaciuto proprio il tuo regalo. » commentò l'uomo.

Il primo libro che aveva davvero posseduto, letto: un tomo di poesie.

Manuel si grattò la nuca con la mano libera.

« Mamma è già in piedi? »

Mauro gli battè una mano sul ginocchio coperto dalla lana.

« No, dorme ancora... avevo pensato di svegliarla a metà faccende compiute. » la bocca assunse una smorfia sbilenca, sopra la peluria.

Il ragazzo annuì ancora mezzo intontito.

Manuel mise fuori i piedi dal letto, scalzo avvertì il contatto gelido del pavimento ma non ci volle molte per visualizzare i calzini abbandonati all'angolo dei piedi del letto.

« Mi do una sistemata, vado da Maximus e ti aiuto a preparare la colazione, allora. »

« A Maximus c'ho già pensato io, tranquillo. » lo fermò suo padre sorridendo, il ragazzo rispose con un broncio « Se finiamo in tempo, puoi anche portarlo fuori. Dai, forza. »

Papà.

Cercava la forza per muovere le labbra e dare forma a quelle quattro lettere.

« Mi spieghi che senso ha che sei sempre tu a dargli da mangiare per primo? »

« La risposta ce l'hai già ragazzo: quel cavallo è cocciuto più di un mulo e ti vedrebbe presto se solo tu non dormissi così tanto. »

Manuel sbuffò.

« Da quando dormire è diventato una colpa? »

Mauro gli scombinò i ricci con la mano grande e ruvida.

« Su dai non prendertela, » il figlio allora si metteva in piedi e si trascinava verso la tinozza che veniva riempita già di acqua tiepida « ti ricordo che per spazzolarlo e insultarlo sei sempre il primo. »

Di nuovo il rumore e l'imitazione della stessa risata di poco prima gli riecheggiò in testa provocandogli una fitta nostalgica al petto.

« Lo insulto perchè lo merita, certe volte è intrattabile! » il ragazzo si sciacquò il viso, suo padre gli passò una tovaglia piccola e pulita dall'unico cassettone in stanza. Manuel con le mani ancora gocciolanti, la prese e se la tamponò sulla pelle. « Però... questo non vuol dire che non gli voglia bene. »

Uno sguardo pieno, l'amore istillato dentro.

« Lo so, Manuel, lo so. » la mano di Mauro poi si aprì e si chiuse per strizzargli leggero la spalla « Dai, ti aspetto di sotto. »

In quel momento il viso di suo padre si sgranò, il sorriso del ragazzo di soli dodici anni svanì. Manuel aprì gliocchi, o meglio cercò di aprirne uno soltanto - ricordava di aver ricevuto unpugno sul sinistro - per come riusciva e si rese conto di aver di nuovoperso i sensi durante il giorno o forse la notte. Da dentro non riusciva bene a capire se ci fosse il sole o se fosse ancora buio. Non gli scese nessuna lacrima al pensiero di aver rievocato un ricordo, perché i ricordi seppur distanti e passati erano sempre motivo di gioia e non di rimpianto. Sentiva però la bocca secca e deglutiva a fatica.
L'ultimo sorso d'acqua gli era stato forzatamente dato più non sapeva quante ore prima e adesso sperava solo di resistere il più a lungo possibile per quanto il corpo più debole ormai, a forza di scossoni e botte, glielo permettesse.
Non aveva parlato, non lo avrebbe fatto e sapeva come sarebbe andata a finire da lì a poco.
Si chiese se Maximus stava bene, se Simone avesse già capito dov'era e si stesse muovendo per raggiungerlo.
La unica consolazione fu quella: chiudere gli occhi e recuperare immagini ora più amare che dolci per tenersi ancora saldo, integro in qualche modo.

Più restava in quel sudicio anfratto, un buco buio, più preferiva imporsi di ricordare cose comuni e piacevoli, colorate, rustiche.
Di comune non aveva mai sentito la religione, non prima che Nathan scomparisse.
Eppure, in quel frangente era stato il canto di Simone ad accendergli un barlume di quel credo a lui ignoto.
Non era mai stato vicino a qualcosa come la fede.
Non aveva mai messo in conto di pregare o che si sarebbe trovato a farlo.
Nemmeno alla morte di suo padre aveva osato peccare di quella che lui definiva cosa priva di ogni logica, tuttavia lo fece: Manuel chiuse gli occhi e invocò qualsiasi cosa potesse avere in quel momento più potere di quanto potesse averne lui con mani legate e gambe intorpidite e fiacche.

Avrebbe voluto vederlo un'ultima volta prima di andarsene, rispecchiarsi in quegli occhi grandi non tanto diversi dai suoi.

Manuel non stava chiedendo di ricevere salvezza, ma se possibile, protezione per i suoi cari, lui compreso e una morte veloce e indolore.

Fai che gli arrivi tutto questo,
chiunque cosa, chiunque tu sia.

 

 

 

**

 

 

 

Dopo aver galoppato per due ore piene, Simone aveva permesso una sosta al suo cavallo e ad Elvira e quel povero ragazzo, che ora sembrava aver bisogno di cibo.
Si era concesso di uccidere solo per soddisfare e rifocillare il corpo e lo spirito di chi lo stava aiutando.
Tornò nel punto in cui si erano fermati a cielo aperto e senza ripari, con la piccola refurtiva, un cinghiale già ferito e zoppicante e colpito da qualcun'altro.
L'elfo si era scusato per la sua vita.
Ne consumò di meno di quanto la sua porzione richiedesse, lasciando la parte più grande ai suoi compagni.
Elvira lo osservò per tutto il tempo mentre si poggiava con la schiena a Neve in cerca di conforto.
Il principe cercava qualcosa su in cielo, il profilo senza un difetto, la mascella serrata, le labbra strette. Vagava con lo sguardo in cerca di altro, forse lo immaginava.
Sembrava un sognatore.

Il ragazzo che li aveva guidati invece, non fece complimenti, sembrava non vedere un pasto decente da almeno una settimana e vi si buttò sopra vorace e feroce.
Una povera bestia scheletrita a confronto, non avrebbe poi fatto tanto meglio.
Per bere ognuno aveva la sua borraccia - almeno in questo gli orchi erano stati più magnanimi, rispetto a cosa portava in dosso - poiché anche il loro mandante ne aveva una, abbastanza dignitosa in dimensioni ma più grande di un sacchetto di ceci.

« Volete che vi dia il cambio per cavalcare? » suggerì.

L'elfo non si accorse nemmeno che Elvira si era avvicinata a lui. Alzò il viso per rivolgere una rapida occhiata.

« No, ti ringrazio » commentò, non spostò il corpo di un millimetro, il dorso di Neve era un giaciglio scavato apposta per lui « ma non sono ancora stanco. »

La ragazza si sedette a una giusta distanza tra lui e il cavallo. Scrocchiò le dita e quel rumore provocò non pochi pensieri nella mente del principe. Poi, con un solo gesto, Elvira lo stupì.

« Questa me la ha regalata lui. » estrasse una piccola moneta protetta da fili di una corda usurata e custodita dentro la tasca della veste, al di sopra della cinghia. « O meglio, lui mi ha offerto la prima birra dopo il primo scontro. Le monete erano molte di più, ma mi ha fatto tenere il resto.
Le altre le ho spese, questa no. Avevo capito fosse cocciuto già da quella volta...»

Simone non riusciva a seguire il filo del discorso della ragazza.

« Non capivo perché mi ostinavo a conservarla, pensavo che non avesse senso. Poi un giorno l'ho girata e ho visto l'incisione sul retro. Non credo sia un caso se ci sia sopra una figura bendata. »

L'elfo restò impassibile.

« Ti chiedo scusa, ma non riesco a seguirti. »

Elvira aprì la bocca, la richiuse, scosse la testa.

« Giusto, per voi avrà un'altra di sicuro  immagine... questa donna incisa qui sopra è la fortuna. »

Simone annuì, risponde amaro e lucido.

Quella è solo una moneta.

« Delle quindici divinità che abbiamo non c'è nessun correlativo simile per noi. La fortuna è più fedele agli umani... »

Calò allora il silenzio.

Il povero ragazzo aveva finito invece la sua cena, lasciando il suo segno di gradimento con le mani sulla pancia e un epiteto non indifferente.
Elvira provò di nuovo, doveva trovare un minimo punto di contatto che la aiutasse a confermare la sensazione che stava provando.

« Quello che voglio dire è che lui non si lascerebbe uccidere. È audace, fin troppo.
Credo abbiate imparato anche voi com'è fatto, Manuel è... lui è senza limiti.»

Lui è l'uomo che ho messo in pericolo.

« Se non fosse stato per me non si sarebbe cacciato nei guai. »

« Non credo sia il tempo di piangersi addosso. Non serve a nulla, né a voi, né a me. »

Elvira ricacciò indietro quel tono troppo diretto, si morse le labbra. Sospirò.

« Hai ragione, se mi hanno mandato a cercare vogliono trattare e io sono pronto qualsiasi cosa sia. Hanno capito e sapevano dove eravamo ubicati. In più non otterrebbero nulla...uccidendolo. »

L'ultima parole gli morì in gola, serrò gli occhi.

« Vi chiedo scusa. »

Simone venne deragliato da quel pensiero, si fermò davvero a guardare la ragazza questa volta.

« Non c'è bisogno che tu lo faccia, Elvira. »

« Ho giudicato quello che provate per lui. E so che non è giusto, ma il mio istinto ha parlato per me. Manuel è l'unico amico che ho lontano da casa, l'unico di cui mi fidi ciecamente al campo, l'unico con cui ho trovato una connessione sincera e quando ho capito cosa eravate, » continuò spostandosi due ciocche dietro l'orecchio « mi sono sentita una completa scema per non averlo saputo prima. Per poter consigliarlo meglio, ma alla fine non è affar mio decidere per lui. »

La mano che sapeva fredda si posò con incertezza sul ginocchio della ragazza. Simone sapeva di non andarle proprio a genio, che facendo così poteva risultare affrettato e troppo in confidenza per essere la prima volta che parlavano così, apertamente. Lei però non si ritrasse.

« Lo so, anch'io penso a cosa non può andare, anch'io ho paura come voi. »

Elvira riconobbe il colore della pelle chiara rispetto alla sua, fredda nonostante il cibo caldo e cucinato su qualche pezzo di legno rimediato sul posto e attizzato col fuoco.

« Dovete avere fede. »

Simone non riuscì a replicare al sorriso incoraggiante della ragazza.

Non conosco il suo Dio, conosco solo i miei.

L'elfo annuì a viso basso, fissando il suolo.

« Resteremo un altro po', poi riprenderemo la strada. Non voglio stancarla troppo. »

Elvira si alzò più sconfortata, comprendendo che non avrebbe migliorato di un grammo l'umore del principe.

« Va bene, ditemi quando volete ripartire. »

Elvira osservò le ossa dell'animale sacrificato per la cena lasciate abbandonare sul terreno. « È fortunato ad avere trovato uno come voi. »

Simone avrebbe voluto risponderle che l'unica fortuna che si aspettava di trovare era Manuel incolume. Avrebbe voluto tanto che fosse vero.

« È più fortunato ad avere te, Elvira. » giocherellò con un filo d'erba sul terreno con l'indice e il pollice. « Se vuoi puoi darmi del tu... grazie per avermi voluto seguire. »

Elvira non rispose, si limitò ad annuire. Simone fece lo stesso, un sorriso piccolo durò giusto tempo di una lingua di fumo perché si spense subito.
I due si guardarono per un po'.
Era una ragazza diretta, non c'era ombra di dubbio sul perché lei e Manuel si fossero trovati all'istante.
Non sapeva se poteva ancora dubitarne, ma di sicuro lui non le era poi ancora così indifferente. Pensò che a Manuel quello avrebbe fatto piacere e si sentì ancora peggio.

« Non vorrei disturbare mh... » il ragazzo parlò biascicando parole disteso libero sull'erba la pancia piena « ma se non c'è intenzione di partire adesso, potrei finire sul serio rischiare di addormentarmi qui »

« Allora ci conviene farlo adesso. » commentò Elvira.

Simone annuì, si levò sulle gambe, in piedi.

« Felix, se riuscissimo a tirare fuori Manuel da lì, vorrei provare.... vorrei che tu ti unissi al nostro accampamento. »

Elvira si voltò verso l'elfo.
Il ragazzo si sollevò sui gomiti. così sconvolto, si stupì che qualcuno si ricordasse come si chiamava. Non era abituato.

« I-io... » balbettò Felix, si alzò. La mano finì per grattarsi la nuca.

« Se riuscissimo nella prima impresa, non vedo perché non trovare altrettanto un modo per farti fuggire. »

Simone scambiò uno sguardo con la ragazza, Elvira si concentrò sul tono più solenne, come se in un secondo avesse ispessito i suoi occhi.

« Se gli orchi avessero anche loro qualche sottospecie di animale sarebbe più facile.»

« Più strani muli, che cavalli in realtà. »

« Non è veloce quanto il primo ma... dobbiamo ancora studiare un piano, ma potrei occuparmene io. »

Simone annuì.

« Funzionerebbe solo se Neve restasse nascosta per un po' e ci dividessimo. Siamo in troppi, potremo dare nell'occhio. »

Il ragazzo ascoltava i due parlare sempre più confuso. Il principe e la ragazza si scambiarono un'altra occhiata d'intesa. 

« Basterebbe un segnale. Uno solo. » Elvira si grattò il mento.

« Sono d'accordo. E sarebbe meglio se anche tu restassi nascosta ma in una buona posizione. »

Elvira lo guardò.

« Devo farmi portare dentro. Mi disarmeranno e dovrete entrare in gioco voi.
Qualsiasi sia il segnale, lo userò solo una volta che avrò recuperato Manuel... lo useremo. » si corresse, gli occhi grandi si spostarono in quelli di Felix.

« Non so cosa dire... ma sarei onorato di aiutarvi. Cercherò del mio meglio, signore. » il povero ragazzo si inchinò maldestro.

Simone rispose con una sola alzata di mento.

« Nessun bisogno di cerimonie. » 

Mormorò qualcosa in elfico alla sua cavalla, che si alzò. L'elfo saettò verso Elvira e Felix « Rimettiamoci in marcia. Felix facci segnale quando saremo vicini, » il battito gli montava già in petto « non dobbiamo fare mosse affrettate. »

Il fuoco nemico era acceso,  tutti radunati e molto vicini, quei mostri stavano divorando chissà che cosa durante l'ora di cena. L'accampamento era fatto da tende insudiciate o combinate da più stracci assembrati insieme.
L'odore pestilenziale si levava nell'aria tarpando tutta la freschezza e l'odore naturale di erba. A una prima occhiata, rannicchiati com'erano tutti e tre dietro un varco tra qualche cespuglio ed albero, sembrava che quelle fossero più delle capanne raffazzonate che dei veri rifugi per guerrieri.

« Dio mio che puzza! » commentò bisbigliando la ragazza tappandosi il naso.

« Non dirlo a me, prova a viverci tutti i giorni! » le rispose secco Felix.

Elvira si legò il più silenziosamente i capelli in una coda ancora più alta. Il naso di Simone era più che abituato a quell'odore, ma condivideva senz'altro il pensiero. A pensarci bene dentro quel pentolone sudicio che ribolliva messo proprio a creare un semicerchio storto, doveva esserci dentro una carcassa non proprio fresca. Ipotizzò che gli orchi non si scusassero con il loro cibo prima di cuocerlo o che comunque, non se ne curavano visto che a mali estremi, mangiavano tutto ciò che trovavano. La ragazza si voltò verso l'elfo.

« Secondo te dove lo tengono? »

Gli occhi di Simone perlustrarono tutta la zona, andando oltre i grossi busti degli orchi e le loro bocche intente a mangiare. C'erano fin troppi punti controllati, ma di sicuro, un prigioniero non sarebbe mai stato fuori dalla sorveglianza di qualcuno.

« Tu non lo sai, Felix? » Simone glielo chiese senza perdere il controllo sull'area.

« Se lo sapessi ve lo direi, ma a nessuno che non sia uno di loro è permesso ciondolare tra le tende. »

Gli occhi grigi del ragazzo si erano fatti seri.

« Nemmeno io ne ho una, è già tanto se sono riuscito a rubare loro una misera coperta, ma mi è costato due giorni di dolori. »

Simone lo guardò pieno di dispiacere.

« Spero tu possa averne una allora, se tutto filerà liscio. »

Ora che Simone abbandonava gli occhi ora speranzosi del ragazzo, ritornava a guardare meglio. Superate meglio circa una decina di tende, due orchi più bassi ma non meno tarchiati, se ne stavano in disparte a gambe divaricate. Consumavano la loro cena succhiandosi i tozzi pollici sopra una serie di armi come seduta, proprio davanti a quella che sembrava la tenda che dava meno nell'occhio. Quella più spoglia di tessuto, ma rinforzata con quelle che sembravano foglie e fanghiglia.
Simone sussurrò vicino ad Elvira.

« Qualcosa mi dice che sia in quella più in fondo rispetto a tutte. La più sudicia. »

Elvira si fece più a tenta, gli occhi erano ora due fessure.

« Mi sembrava un albero. »

« Hai ragione, credo sia fatto apposta.  Èper via del palo di legno conficcato come base, » mormorò « d'altra parte se non possono rubarle, le costruiscono. »

Simone si toccò l'elsa della spada con una mano e la pietra che portava al volo con la sinistra, l'arco e le sue frecce erano state affidate ad Elvira, per sicurezza.

« Elvira, Felix, ricordate, dovete uscire solo al segnale. »

Guardò entrambi, annuendo.
Non lo sapevano, ma lui li stava ringraziando. Non sapeva sei avrebbe rivisti, perciò era meglio farlo in quel modo, in modo semplice ma efficace.

« Io vado. »

Simone insistette su Felix che recuperò la briglia del suo cavallo.

« Che dio ce la mandi buona! » mormorò.
L'elfo si alzò in piedi.

« Buona fortuna. » sentì la voce di Elvira fin troppo bene ma non rispose.

Simone e il ragazzo girarono procedendo a ritroso, facendo meno rumore possibile oltre gli alberi dove si erano nascosti, per simulare un ingresso pulito dal campo.

Quando furono abbastanza distanti per non essere notati, l'elfo salì sul cavallo del ragazzo. Poteva avvertire il battito di Felix andare all'impazzata soltanto da come teneva le redini dell'equino, le mani gli tremavano.
Fece un respiro profondo e gli diede l'ordine di partire.
Simone deglutì e si tenne forte la mano alla collana.
Anche il rumore del suo cuore non scherzava, solo che Felix non poteva avvertirlo.
Così, mentre l'animale si avvicinava al campo degli orchi, lui pregò ad ogni movimento che accorciava le distanze l'unica figura in cui aveva creduto fino all'età di sette anni: sua madre.









 

« Padrone »

Felix aveva parlato per primo scendendo da cavallo, inchinandosi davanti a una una schiera di sei orchi, di cui quello al centro si distingueva benissimo: era, sicuramente, il più grosso ed insolito. Simone lo aveva seguito, le mani lungo i fianchi.
Si fece avanti.

È lui.

L'orco dalle fattezze di un elfo per gli occhi più umani rispetto ai suoi simili e le orecchie, contorse il volto in un sorriso. Si schiacciò la cicatrice che segnava metà della faccia sul lato destro, creando dei solchi su quella pelle grigio-giallognola.

« Quindi sei tu, la causa di tutto questo caos. » sibilò compiaciuto.

Anche la sua voce suonò strana alle orecchie dell'elfo, era gutturale ma non sporca come quella di chi lo circondava. Tuttavia, ora che Simone gli fissava le mani, quelle invece erano tutt'altro che diverse dalla specie che lo circondava.
Il loro padrone era un ibrido.

« Non sono io ad avere occupato le terre degli altri, derubandoli e saccheggiato villaggi. » rispose secco.

Gli occhi dell'orco si fecero più sottili.

« Noi non abbiamo mosso un capello alla vostra gente. »

« Gli umani sono comunque delle vite andate perdute. » Simone serrò i pugni lungo i fianchi, ma mantenne il tono.  « E il merito va senz'altro a voi. »

« Pensavo vi facesse piacere liberare un po' le zone, purificare i terreni, gli umani sanno essere così lagnosi... »

La sua risata venne condivisa dai suoi simili. Si toccò la testa con una mano, i capelli erano folti e lunghi.

« Che strano, per la prima volta un orco fa un favore a un elfo e questo ha pure da lamentarsi! »

Simone furioso, non esitò a sguainare la spada, la mano scattò sull'elsa. La puntò contro il più grande di loro. Tutti quietarono le loro risa, l'ultimo fu proprio quello contro cui l'elfo brandiva l'arma.

« Dov'è il soldato che tenete prigioniero? Non me ne andrò senza di lui!»

Il capo aprì bocca ma fu un altro di loro a parlare per lui.

« Ouch, la sgualdrina. » commentò quello, provocando ancora l'ilarità degli altri.

Bastardi.

« Un bel modo di fuorviare gli umani, senza dubbio! A me salirebbe la cena al solo pensiero puah! » replicò un altro.

Simone indurì la mascella e la punta della spada non si mosse da dove era puntata.

« Principe, o dovrei dire, » l'ibrido afferrò la punta della spada e con uno strattone l'elfo venne tirato in avanti « vostra altezza elfica? »

Venne fuori il loro disprezzo, ne era circondato.

« Simone. Simone Yondethil.» pronunciò fiero nonostante la durezza dei volti attorno a lui.

Le risate aumentarono e qualcuno di loro pungolò l'elfo creando una specie ragnatela in cui venne passato da una parte all'altra. Solo quando il capo brandì la sua spada, gli altri chiusero quel gioco.

Simone venne sollevato da terra da Felix. L'orco maggiore lo guardò insistente, orgoglioso.

« Avanti, calmatevi, calmatevi » non distolse il contatto visivo con l'elfo, inarcò la fronte perchè quel sopracciglio era troppo sottile. L'orco inclinò la testa, continuava a sorridergli davanti inquietante. « Sua maestà potrebbe sentirsi male e non è giusto approfittarsi di un Reale. »

« Dove lo tenete? Mi avete convocato qui, » ringhiò Simone inasprendo la voce « dov'è? »

« Rispetto fetido! » lo ammonì uno venendogli addosso « Stai parlando con il grande Zolmor! Signore, lasciatelo a me.» l'orco si passò la lingua tra i denti.

« Calma, ho detto. » ordinò Zolmor. Fece retrocedere il suo sottoposto, ritornò al principe. « Non c'è motivo di scaldarsi, perché prima non trattiamo? Vi garantisco che il vostro fedele soldatino è in ottime mani, » gorgogliò, gli occhi strani che indossava brillavano. « sono sicuro che potremmo essere soddisfatti entrambi se troviamo  un accordo. »

Simone avrebbe voluto indietro la sua spada ma quella era stata passata e ora, era tenuta gelosamente tra le mani di un altro di loro.

« Cos'è che volete? » le mani lungo i fianchi, il busto rigido e gli occhi che stavano alle condizioni di una trattativa. « Nominatelo e vedrò di darvelo. Oro, argento, entrambi? Posso concedervene in quante quantità volete, ma non subito.»

Il maggiore grugnì.

« Mio padre è pur sempre un Re e non rifiuterà certo una richiesta di suo figlio.» commentò.

Non si chiese nemmeno se ciò fosse possibile, ma avrebbe di sua mano rubato nella sua stessa casa se fosse stato necessario.                                                                                                                                    

Quell'essere non diede piacere o motivo di essere persuaso.

« E cosa dovremmo farcene noi dell'oro senza una terra dove vivere? »

« Avete occupato le nostre terre, » rispose l'elfo senza remore, impuntandosi « esiste già un posto per voi, ed è al confine oltre le montagne, dove avete formato già delle radici. Se cercate un accordo, questo è l'unico modo per raggiungerlo. »

« Riflettete: pensate davvero che gli umani non cederanno, non abbandoneranno la vostra stupida crociata? Che non saremmo in grado di ammazzarli uno per uno? »

Simone restrinse le labbra.

« Gli umani non sono poi così diversi da noi. »

L'orco assunse un'aria contrita e offesa, alzò la voce.

« Gli umani riconoscono il brutto dove lo vedono e se ne sbarazzano. Traggono profitto per loro stessi, non sono poi degli eroi, nè tanto meno dei virtuosi! »

« Non è certo col sangue o col veleno che si conquista la fiducia. »

Gli occhi di quello si incendiarono.

« Le vostre terre ci spettano di diritto! Foste voi elfi a cacciarci ai tempi per stabilire l'ordine e a volere far conquista del NOSTRO DOPO ANTENATI CHE AGIRONO MALE. » spiegò incalzandolo  « Mi chiedete di rinunciare a quello in cui crediamo, bene. NEANCHE UNA MONTAGNA D'ORO ZECCHINO POTREBBE SANARE IL TORTO! PARLATE DI METTERE UNA FINE ALLA MORTE MA SIETE SPORCO QUANTO NOI, IL PRIMO A MUOVERE GUERRA E GLI UMANI NON SONO MEGLIO DI VOI. SONO SOLO UNO STRUMENTO USATO A VOSTRO VANTAGGIO! » ringhiò sul finale.

Il petto gli si muoveva freneticamente sotto quella che doveva risultare un'armatura, ma dava più l'impressione di una scorza spigolosa e dura di un frutto scuro, acerbo e marcio al tatto. L'elfo e l'orco si guardarono e per un secondo, a Simone parve di vedere la maschera costruita cadergli da quello strano viso.

« Mia madre era un umana e fu uccisa dai miei stessi simili, so cosa vuol dire essere traditi. » mormorò l'elfo flebile, ritornò duro. « Non eleggo il mio popolo al migliore, nessuno lo è quando si parla di sacrificare delle vite. »

Gli occhi del supremo si fecero più vitrei se possibile. Simone capì che non era solo una questione di terra e orgoglio, era soprattutto, sete di vendetta. « Non posso cedervi nessun territorio, non è una cosa possibile. »

Ci fu un silenzio netto. Il capo alzò il mento e in un frammento di secondo, allungò la mano grande, quello che doveva essere il pollice si avvicinò alla mascella di Simone.

« Che peccato. Pensavo che gli elfi fossero più intelligenti di così. »

L'elfo lo fermò per il polso con riflessi pronti. Un ricordo ancora vivido gli suscitò un conato di vomito.

« Dimenticavo, preferite solo le attenzioni degli umani, no? »

La mano era ancora ferma e stretta attorno a quel polso e ci conficcò dentro le unghia. Quell'essere non si scalfì di un minimo.

« Mi fate schifo. » vibrò Simone.

Lo sguardo sostenuto dell'altro durò poco poiché inclinò il viso verso gli altri. Simone fu costretto a lasciare andare la presa.

« Molto bene, allora. Vorrà dire che morirai con lui.» affilò il sorriso, due orchi già lo prendevano per le braccia « Portatelo via! »

Simone si divincolò dalla presa, più duro guardò quel tale.

« Preferirei camminare da solo, senza essere toccato.»

Un inchino, una presa in giro. La punta della spada di nuovo nelle sue mani, ora puntata a terra.

« Come volete, maestà. »

Due di quegli energumeni si posizionarono davanti e dietro la sua figura per controllare che non potesse scappare. Il cuore gli batteva all'impazzata e poco scalpore creavano gli sguardi di quelle bestie mentre passavano tra le varie capannucole. Arrivarono alla più sudicia di tutte e Simone capì di aver avuto ragione fin dall'inizio: ci venne spinto dentro. L'aria era fetida, pestilenziale. L'elfo alzò lo sguardo verso l'unica cosa che davvero importava all'interno di quel tugurio. Ebbe giusto il tempo di vedere nella penombra un corpo inclinato. Sembrava una decorazione raccapricciante issata su un palo di legno, la testa inconsapevole della forza di gravità ricadeva sulla spalla, le gambe incollate, i ricci come unica corona morbida a contrasto di quelle membra avvilite. Poi venne spinto di nuovo a terra e legato a sua volta, mani e piedi. 

Scelsero il lucchetto di un baule o forse era un forziere e strinsero forte ai polsi con più giri di corda. Simone non diede nemmeno loro soddisfazione di lamentarsi. L'elfo nemmeno sentì i loro insulti prima di lasciarlo solo, gli occhi erano persi a guardare solo nella direzione del prigioniero.

 

 

 

 

 

Simone cominciò a muoversi contro quel dannatissimo forziere a cui era legato. Il rumore del baule o di qualsiasi cosa fosse non svegliò l'altro prigioniero. L'elfo si aggrappò con tutte le sue forze al pensiero che Manuel fosse solo incosciente, nulla di più. Così, mise più forza nei suoi movimenti che si fecero meccanici, nel tentativo di strofinare i polsi contro qualcosa di appuntito, qualche parte spigolosa di quell'oggetto pesante per liberarsi. Più si dimenava, più sembrava non trovare nessun elemento che potesse aiutarlo. Cominciò a ruotare col bacino nonostante i piedi legati. Il polso si incurvò e un piccolo ansito di dolore gli sfuggì dalle labbra.

Finalmente, qualcosa smosse il suo dolore: si era tagliato.

Con le dita tastò sulla superficie ruvida: uno spunzone abbastanza arrugginito fu al caso suo. Mosse quindi i polsi legati dalla corda inarcando le braccia quasi ad angolo parallelo.  Replicò il movimento meccanico. La corda divenne pian piano filamentosa mentre si bagnava leggermente di rosso. Si premurava di alzare lo sguardo rapido ogni tanto, sul corpo muto e abbandonato di Manuel per poi riprendere. Continuò così fino a quando non fu libero e la corda si spezzò a metà. Simone poi, posizionò metodico il suo corpo con la forza delle braccia e inarcando la schiena in avanti cominciò a slegare la seconda corda legata intorno ai piedi. Il sangue gocciolò chiaro, ma all'elfo non importò. Digrignò i denti e sentì a poco a poco la pressione rilasciata sulle piante dei piedi, man mano che la corda si allargava.

Il sollievo gli si disegnò sul volto: se quello era stato un nodo ben fatto, Simone avrebbe potuto riderne, perché fu più facile scioglierlo rispetto alle mani. Una volta libero, raggiunse il corpo di Manuel.

A guardarlo da vicino riscontrò la pelle livida sotto l'occhio, cerchiato di nero, la camicia o quello che ne rimaneva era aperta e ridotta a brandelli in più punti, le labbra quelle belle labbra carnose ora erano piene di qualche spaccatura e secche. La mano di Simone si piazzò leggera sul suo zigomo e si costrinse a non piangere. Non poteva perché Manuel respirava, flebile, ma il suo petto si alzava e abbassava anche se debole.

« Manuel, amore mio » mormorò senza nessuna forza.

Inspirò e buttò fuori aria, per impedirsi di crollare proprio in quel momento.

« Manuel, sono qui » continuò Simone imperterrito ad accarezzargli il viso.

Riprese ancora un'altra volta in quando almeno il respiro dell'uomo si interruppe per qualche istante e l'elfo pensò di morire.

In realtà, Manuel contrasse la fronte, era in fase di risveglio e cercò di aprire gli occhi.

Simone strizzò i suoi invece, sollevato.

Grazie al cielo.

Faticò a mettere a fuoco, la vista gli risultava annebbiata ma senz'altro distingueva le forme dolci del naso, del mento, gli occhi meravigliosi che aveva lasciato al campo qualche giorno fa.

Manuel era stanco, ma appagato e sognante.

« G-grazie per avermelo l-lasciato vedere un-n'ultima volta » la sua voce era così afona, disse quello increspando le labbra, le piccole crepe che ne formavano la totale secchezza.

Sorrideva perso e incosciente.

Simone sentì il cuore farsi microscopico in petto. Strinse di più il palmo, aperto sul suo viso. Il viso di Manuel ricadde stanco e pesante dalla parte opposta e l'elfo lo sostenne con entrambe le mani, adesso.

No, no, no.

« Manuel, devi tenere aperta la bocca, mi senti? »

L'altro bofonchiò qualcosa sconnesso e Simone riuscì a catturare solo la ultima parola so-gno. Simone si tastò in vita: gli orchi non gli avevano portato via la borraccia, era ancora piena. Si chiese da quanto non bevesse un solo goccio d'acqua, slacciò in fretta la sacchetta in cuoio e inclinò il viso di Manuel con un pollice sotto al mento.

« Amore, devi bere. » mormorò deciso.

Nonostante gli avesse sollevato la testa, Manuel non dava segno di risveglio. Simone piantò premendo la fronte contro la sua.

« Manuel, non è un sogno, » disperato, si aggrappò piano alle sue labbra stampandoci sopra le sue più di una volta « mi senti? Sono davvero qua. »

Proprio quando sembrò essere sul punto di scoppiare in lacrime, Manuel rispose: riaprì di nuovo e in modo estremamente lento gli occhi. Sbatté più volte le palpebre. Poi, Simone si spostò appena per lasciargli piena visuale.

Manuel deglutì.

La bocca del soldato era dischiusa, ora era compito degli occhi dire il resto, dire tutto. La realizzazione sul suo viso cancellò il resto dei pochi elementi in quel tugurio.

« S-im-one »

Simone annuì a più riprese.

« Sono qui, amore mio , sì, sono qui. » ripeteva mentre l'altro riprendeva conoscenza, vedendolo ora sorridere stanco « Manuel, adesso, hai bisogno di bere, » Simone gli accarezzò i capelli con una mano, gli fece forza « apri la bocca, per favore. »

Manuel annuì meccanico ancora intontito.  L'elfo posizionò la borraccia sulla sua bocca e lasciò che mandasse giù piccoli sorsi a più riprese in modo che non si affogasse. Ogni volta che Manuel deglutiva, riprendeva piano quel gesto. Fino a quando non furono le labbra dello stesso avide ad incollarsi all'apertura e Simone lo portò ad abbassare il viso, controllando lui stesso la pressione della borraccia.

Una volta calmata la sete, Simone non gli diede il tempo di parlare.

« Manuel, ora cerco di liberarti »

E così dicendo frugò dentro lo stivale destro. Ne estrasse fuori, piano e attento un grimaldello. Sul fondo della piccola cassa delle armi lo aveva trovato in mezzo al resto: non si era mai chiesto cosa ci potesse fare lì, ma lo teneva sempre con sé da quando era stato aggredito e molestato. Non era un pugnale certo, ma la punta ricurva e fine sarebbe stata efficace, con un colpo netto avrebbe sciolto le corde di Manuel.

Simone si piazzò dietro quel tronco d'albero. Le dita, le nocche di Manuel erano bianche e quasi finì per lasciarsi scappare un piccolo lamento se non si fosse morso a forza le labbra. Con pochi tocchi la corda venne via. Manuel era così stanco che a mani libere faticò a muovere le articolazioni delle braccia, così Simone fu pronto ad aiutarlo.

L'elfo annuì verso l'altro.

« Ora, i piedi. »

« Sapevo saresti arrivato. » borbottò. Simone frenò gli occhi, Manuel era così indifeso, totalmente sconosciuto dal suo soldato in quel momento. Increspava le labbra, gli occhi erano quelli di un combattente sopravvissuto. « Mi d-dispiace per come ci siamo l-lasciati »

L'elfo gli accarezzò piano e di nuovo il viso.

« Ssh, non è il momento di parlarne » 

Simone si forzò di sorridere, provò a mantenere una facciata tranquilla mentre il suo cuore piangeva sia per il solleivo che per la colpa. Nello stesso modo di poco prima tagliò la corda avvolta intorno ai suoi piedi, solo allora si immaginò gli stessi cerchi che portava ai polsi. I nodi erano stretti e la corda era più spessa della precedente. Una volta libero, l'elfo buttò fuori altra aria e cauto si avvicinò di nuovo all'altro.                                                                                                                

Le mani di Manuel per quel poco cercarono di toccarlo, le dita si sgranarono a fatica sulla maglia. Fu l'odore stesso a guidarlo, il naso si incastrava fra il collo e la scapola.

Annullava momentaneamente la stanchezza, tutto quanto.

« Sono così felice che t-tu sia qui » esalò.

Simone lo tirò piano a sé tenendogli con cura il viso con entrambe le mani, la testa di Manuel si incastrava in modo perfetto in quel piccolo spazio.

Un abbraccio sostenuto per vigore e forza, dal più grande.

Scusami.

Ti prego, scusami.

Socchiuse gli occhi, respirava di meno, recitava col pensiero un ringraziamento a chi solo lui sapeva.

« Tirerò entrambi fuori da qua, non preoccuparti. » il respiro di Manuel era presente ma così debole, era complicato rimanere saldo davanti a lui. « Non ti lascio. »

 

 

   
 
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