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Autore: Antys    14/02/2024    1 recensioni
Non gli piacevano le emozioni negative che l’invadevano ad ogni aneddoto del suo passato che condivideva con quella cerchia pittoresca, accrescendo il malessere che tentava di seppellire dentro di sé. Ti prego, anche per stanotte dammi tregua.
[…]
L’aveva registrato con ritardo, come il licantropo l’avesse toccato con totale naturalezza e senza essere attraversato dal minino dubbio per calmare la sua crisi di panico. La temperatura corporea si era insinuata sottopelle, carezzandolo, ed era stata una sensazione così familiare a cui abbandonarsi e lascarsi vezzeggiare da risultargli totalmente anomala per la semplice ragione che Derek Hale non l’avesse mai toccato in vita sua.
[…]
Derek non era in grado di capire quale fosse il problema. «Stiles».
Ma era inutile chiamarlo, il figlio dello sceriffo era completamente sordo alla sua voce, probabilmente a tutte. «Sta arrivando».
Derek si guardò intorno, una mano sul braccio di Stiles ad arrestare la sua avanzata, a cercare ed individuare se una minaccia si stesse avvicinando, ma non sentiva nulla, c’era soltanto il totale silenzio e la brezza congelata che smuoveva le foglie degli alberi. «Non sta arrivando nessuno».
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Derek Hale, Derek/Stiles, Stiles Stilinski, Theo Raeken, Tracy Stewart
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Titolo: The Light Start to Tremble

Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po’ tutti

Pairing: DerekxStiles [Sterek]

Rating: Giallo

Genere: Angst, Sentimentale, Soprannaturale

Avviso: AU, Slash, Slow Burn

 

 

 

 

 

 

 

 

1° Capitolo

 

L’aria era fresca e sopportabile, gli riempiva i polmoni come se volesse comunicargli che quello era realmente un nuovo inizio. Che poteva finalmente provare a respirare senza trattenere il fiato, lasciarsi gli incubi alle spalle e ricominciare qualcosa che gli aprisse le porte per il futuro.

Il Michigan State University brillava al sole che si estendeva sui suoi ettari ed ettari di terreno, il verde rigoglioso era visibile ovunque posasse gli occhi, centinaia di alberi all’orizzonte, studenti di tutte le età che lasciavano le loro orme sui sentieri d’asfalto di cui era disseminato l’intero campus; chi correndo impacciato, disorientato e con le valigie al seguito, mentre altri apparivano già di casa, sapendo esattamente come muoversi.

Arrivò all’accettazione con un sorriso enorme sul volto, l’entusiasmo e l’adrenalina che sgorgavano a fiumi, propenso ad assorbire ogni informazione che gli avrebbero fornito; i dépliant in mano insieme alla mappa, un cerchio rosso che gli indicasse l’ubicazione del suo dormitorio e l’edificio del dipartimento da lui scelto diversi anni antecedenti, il College of Social Science, con l’intento di specializzarsi in criminologia.

Rimase incantato dallo stile gotico quando arrivò davanti al Mayo Hall, i compagni di dormitorio che si affollavano per inoltrarsi all’entrata per raggiungere le loro rispettive camere.

Quando entrò dentro la stanza che probabilmente, e speranzosamente, l’avrebbe accolto per i futuri quattro anni, incontrò un letto a castello libero, un divanetto situato al di sotto e un letto singolo classico collocato sulla parete di fronte. Purtroppo appariva già occupato.

Le mani di Stiles tremarono, i polmoni si chiusero e il panico minacciò di sgorgare, senza dargli minimamente il tempo di reagire e trovare una soluzione alternativa. «Scusa… posso prenderlo io?» provò a chiedere al suo coinquilino sconosciuto con la trachea asciutta, l’affanno che tentava di controllare, il terrore che si impadroniva di lui. «Ho difficoltà a prendere sonno, devo sapere di avere i piedi per terra».

Il suo nuovo compagno di stanza fu richiamato all’attenzione, distogliendola dai bagagli che si stava sbrigando a disfare. Lo guardò con i suoi occhi scuri, l’impassibilità nei tratti asiatici, lo sguardo che cadeva sulle dita affusolate del suo interlocutore che ancora erano attraversate da spasmi agitati. «Nessun problema».

Quando il figlio dello sceriffo vide gli oggetti del neo coinquilino spostarsi per dirigersi al divanetto verde bosco, il sospiro di sollievo lo colse nell’immediato e la tranquillità si espanse lentamente per tutto l’organismo. «Grazie» disse sentitamente, la nuova tracolla in tela rossa e dai dettagli bianchi, che il padre gli aveva regalato quando la lettera di accettazione era arrivata, che adagiava sopra il materasso, piantando la valigia nel metro quadro in cui si trovava. «Mi chiamo Stiles» si presentò subito dopo, rendendosi conto di non aver iniziato proprio nel migliore dei modi.

«Jiang» si limitò a mormorare l’altro, concludendo la conversazione e dedicandosi alle faccende domestiche.

Stiles si chiese se la sua assente buona stella gli avesse fatto incontrare un altro silenzioso e burbero ragazzo.

 

Non resistette e si avviò a girare ed ispezionare tutto quello che poteva nel breve tempo che quella giornata gli concedeva. Stette mezzora davanti il grande portone del College of Social Science, chiedendosi se potesse già entrare, anche se le sue leziosi sarebbero iniziate soltanto il giorno dopo, alle dieci del mattino.

Nella sua indecisione, si studiò la mappa in cui erano segnati tutti i padiglioni che contenevano ogni dipartimento e corso di studio che il Michigan State University offriva, ammirando ancora una volta l’enorme varietà che conteneva dentro di sé.

Prese a camminare alla cieca, le pupille che leggevano il nome delle strade, i vari chioschi e negozi di cui era pregno il campus, la mappa che metteva in controluce strizzando gli occhi e tentando di carpire i suoi segreti con più facilità. Un nuovo edificio gli si presentò davanti, gli studenti che entravano ed uscivano, il nome di autori famosi che vibravano l’aria. Dalla vista periferica adocchiò un College of Arts & Letters e lo sovrastò con la stilizzazione che trovò sul dépliant.

Era tra i padiglioni più vicini al suo, senza alcun collegamento a lui se non le virate casuali agli incroci per cui aveva optato. Non gli catturava alcun interesse tuttavia era lì davanti immobile, chiedendosi se all’interno potesse esserci qualcuno che un giorno sarebbe entrato tra le sue conoscenze. Pensiero che formulava su qualsiasi edificio su cui posasse lo sguardo.

Eppure, se esisteva un luogo papabile che lui avrebbe potuto frequentare, rientrando tra le sue preferenze, era proprio uno come quello.

Nell’immobilità delle sue speculazioni senza fondamento si chiese se non fosse giunto il momento di fare una capatina al punto Starbucks che distava diversi metri da lì e rischiarirsi la mente.

 

Non arrivò mai allo Starbucks da lui selezionato, ma la sua attenzione fu catturata dal suo viaggio senza meta e senza consultare la mappa, che lo condusse a una caffetteria dal nome esilarante: Crescent Moon.

Luna crescente, la sua vita non smetteva di essere ironicamente malevola.

Vi entrò comunque, forse perché era più sadico di quel che credesse o forse perché sperava in qualche sorta di esorcizzazione.

Era riservato e curato, il simbolo dello spicchio di luna in un lilla pastello che sferzava in angoli strategici, l’accoglienza calorosa del personale che lo fecero accomodare ad uno dei tavolini colorati, portandogli il suo bicchierone di caffè, addolcito dallo sciroppo ai frutti rossi. Si domandò se fosse molto frequentato dal campus o se fosse un posticcino tranquillo per pochi eletti. Stranamente, lo trovò un luogo confortante in cui tornare.

«Mangiamo qualcosa insieme?» ma la giornata continuava ad avanzare e l’ora della cena, insieme al suo stomaco brontolante, si affacciò e quando tornò in camera per indossare qualcosa di più pesante, si lanciò in una proposta vagamente invitante al suo coinquilino.

Jiang lo guardò notevolmente colpito e sorpreso, il computer portatile ancora accesso, seduto su quel divanetto verde di cui si era appropriato. «Mi dispiace, ho già preso un impegno».

«Oh, okay, mi sembra giusto» Jiang non gli chiese se volesse aggiungersi al suo impegno precedentemente preso, supponendo fosse una cosa veritiera, e Stiles non era mai stato troppo bravo a farsi degli amici. Perlopiù dei nemici.

L’unico amico che avesse avuto fino ai suoi sedici anni era stato Scott e prima di lui era sempre stato solo. Poi qualcosa era cambiato, Scott si era innamorato di una bella brunetta appena trasferita nella loro città natale, Beacon Hills, e le cose si erano fatte più complicate, complesse. Il loro duo si trasformò in un trio e quello a sua volta si allargò, finché tutto non sembrò prendere le sembianze di un branco.

Ma il branco arrancò quando Allison Argent, il grande amore del suo migliore amico, morì e le ferite non si erano ancora rimarginate. Soprattutto quelle di Stiles.

«Possiamo fare domani» gli propose Jiang, forse cogliendo la sua malinconia.

«Va bene» ma Stiles era fuori nella notte da solo, le temperature che si abbassavano notevolmente, totalmente diverse da quelle calorose della sua California.

Ritornò al Crescent Moon. Gli serviva un posto con cui avesse un minimo di familiarità, qualcosa che non lo sballottasse troppo, incidendo sui suoi nervi.

Sperò che quella notte non gli giocasse degli scherzetti.

 

Quando il sole sorse e la sveglia sul cellulare prese a squillare, Stiles sbadigliò, nascondendosi sul cuscino ed assottigliando gli occhi, ancora frastornato e incerto su dove si trovasse. Impiegò qualche minuto a carburare e riconoscere le tre finestre lunghe e strette che permettevano alla luce di entrare nella camera senza alcun problema.

Istintivamente si toccò le gambe, controllò in che posizione fossero le scarpe e buttò un’occhiata al suo nuovo compagno di divisione di spazi, trovandolo tranquillo e non per nulla indispettito da suoi improbabili comportamenti.

Il battito del cuore accelerò e poi rallentò lentamente; non era successo niente, era tutto al suo posto. Lo era anche lui. L’ansia preoccupata allentò la presa e Stiles poteva iniziare ad affrontare la giornata che si prospettava piena di esperienze mai sperimentate.

L’ora successiva, dopo aver fatto colazione alla caffetteria più vicina al suo dormitorio, il figlio dello sceriffo poté finalmente oltrepassare la soglia del suo dipartimento e si immerse totalmente nell’immagazzinare tutto quello che avrebbe appreso nelle lezioni che lo attendevano.

All’uscita, la sua intenzione era quella di raggiungere nuovamente il Crescent Moon, semplicemente perché non era in possesso della pazienza di sperimentare troppo in una volta sola ed aveva continuamente bisogno di avere a che fare con qualcosa che conosceva, anche se frammentariamente. Era consapevole di che cosa lo attendesse nel tragitto che aveva imparato, il ritrovarsi ancora una volta davanti al padiglione di letteratura. Continuava a non capire che cosa lo conducesse da quelle parti, che cosa si aspettasse di vedere. Un volto amico? Una vaga conoscenza? Stiles non conosceva nessuno in quei dintorni, una singola persona in tutto il campus. Tuttavia il suo subconscio stava sviluppando qualcosa.

«Mi incontrerò con alcuni miei vecchi compagni del liceo, vuoi unirti?» Jiang l’aveva sorpreso quando l’aveva invitato nel tardo pomeriggio, ad unirsi per la cena insieme a lui e altri ragazzi che frequentavano lo stesso college. Non sapeva dire perché l’avesse fatto, l’aveva visto girovagare tutto da solo? Non sapeva nemmeno se fosse una proposta sincera, se si aspettasse che rifiutasse, ma quando Stiles accettò, al suo coinquilino andò piuttosto bene.

Erano andati dalla parte opposta al loro dormitorio, lasciandosi il fiume alle spalle e raggiungendo i suddetti vecchi compagni in un punto ristoro che le sue tasche potessero fortunatamente permettersi; il numero presente al campus non era molto vasto.

«Da dove vieni?» Donovan e Theo erano i loro nomi, il primo appariva troppo eccentrico, tutto indirizzato su di sé, mentre il secondo non sapeva ben inquadrarlo; ad una prima analisi sembrava accomodante, forse troppo compiacente con chi interagiva con lui, come se volesse entrare tra le grazie del suo interlocutore.  E Stiles si chiese che tipo di grazie si aspettasse da lui.

«Beacon Hills» fu la sola risposta che diede. Anche se aveva un disperato bisogno di far conoscenza e trovarsi degli amici, non era certo di volere quelli girargli intorno.

«E dove si trova?» Donovan appariva confuso, era una località che gli era totalmente estranea.

«California» non era mai stato di poche parole, ma si ritrovava a contarle con il contagocce, senza avere davvero una motivazione. Ma d’altronde era mai riuscito a socializzare in vita sua partendo dalle basi?

«Sei molto lontano da casa» Theo lo disse con un’inclinazione speziata, che prese coscienza nei brividi che gli attraversarono la colonna vertebrale.

«È questo lo scopo del college, allontanarsi» disse semplicemente Jiang, come se non capisse perché andasse sottolineato.

Ciò che Stiles aveva appreso era che venissero tutti e tre da Alexandria, Virginia, e che ognuno si stava specializzando in settori diversi. Il suo compagno di stanza in economia, Donovan in psicologia – anche se aveva la netta sensazione che fosse la facoltà sbagliata per uno come lui – e scienze politiche per Theo. «I nostri dipartimenti si incrociano» disse quest’ultimo con le iridi dell’azzurro più incredibile che Stiles avesse visto e che vennero stuzzicate dalla notizia dei suoi studi criminologici. «Ho intenzione di proseguire con legge successivamente, ci incontreremo di sicuro».

Stiles ingoiò malamente il nodo di saliva che aveva incastrato in gola. Non era più abituato a quegli approcci, in realtà non credeva che gli fosse davvero mai capitato, si era trovato a ballare senza nemmeno accorgersene, trascinato dagli altri. «Sì, è possibile».

«Hai vinto una borsa di studio? Per cosa?» Donovan non apprezzava di passare in secondo piano, era quasi certo che ci fosse una contesa in corso tra lui e Theo, il che era lusinghiero, ma il figlio dello sceriffo non sapeva gestire bene la cosa.

«Per merito» anche se la sua vita era stata un calvario, soprattutto al giungere dei sedici anni, non si era mai permesso di far abbassare la sua media da continue e costanti A. Era stato difficile, non aveva idea di come avesse fatto a non cedere e lasciarsi inghiottire dall’oscurità che l’aveva continuamente avvolto, ma aveva stretto i denti, ripetuto che quella era l’unica opportunità che aveva per realizzare i suoi sogni, seguire la strada che aveva tracciato e raggiungere il college in cui aveva sempre desiderato studiare. Allontanarsi da Beacon Hills.

«Oltre che carino, sei anche intelligente» ammiccò spudoratamente Theo, il commento che non riuscì proprio a tenere per sé né ne aveva le intenzioni.

Stiles se non avesse smesso di bere il suo bicchiere chi Coca-Cola un minuto prima, si sarebbe sicuramente affogato, non aspettandosi minimamente quella presa di posizione così palese.

Jiang scosse la testa trattenendo un ridacchiare leggero, conoscitore che presto le doti da seduttore del suo vecchio compagno di scuola si palesassero, completamente a carte scoperte. Se Theo era intrigato da qualcuno, difficilmente lo nascondeva e Stiles rientrava interamente tra i suoi interessi.

La matricola di criminologia spostò leggermente lo sguardo verso il suo coinquilino che non appariva per nulla disturbato dal teatrino che i suoi due amici avevano messo in scena e si ritrovò a spostarlo sulle gemme di zaffiro, che colpivano in modo preciso; il ghigno spezzante come tocco finale. Stiles non riusciva proprio ad identificare che tipo di persona fosse, quanto stesse recitando per attirare i suoi favori, ma se le sue percezioni erano infastidite da Donovan, non si poteva dire lo stesso per Theo. Quegli occhi azzurri avevano un insolito ascendente su di lui. Si domandò, per la prima volta, se non avesse una sorta di preferenza per le iridi chiare.

Il corteggiamento da parte dello studente di psicologia e di scienze politiche andò avanti per tutta la serata, facendolo ridere interiormente. Non è che disdegnasse, semplicemente non pensava che avrebbe incontrato qualcuno che gli prestasse interesse così presto, lasciandolo spiazzato. Non era quello che cercava; in realtà non cercava proprio niente e quella situazione, se in qualche modo lo divertiva, in un altro lo teneva bloccato. Non voleva più sentirsi così. Così come non gli piacevano le emozioni negative che l’invadevano ad ogni aneddoto del suo passato che condivideva con quella cerchia pittoresca, accrescendo il malessere che tentava di seppellire dentro di sé. Ti prego, anche per stanotte dammi tregua.

 

Derek non l’aveva sentito arrivare, non aveva percepito la sua scia in quei primi due giorni del nuovo anno universitario autunnale, i primi per le matricole che riempivano gli spazi con la loro effervescenza, l’eccitazione e l’agitazione, l’ansia e la costante paura, appestando tutti gli ambienti e facendo impazzire il suo olfatto.

Ma il suo olfatto in quelle ore notturne del secondo giorno del suo terzo anno di college, captò bene quell’odore frizzante e penetrante che avrebbe saputo distinguere in qualsiasi situazione.

Quando uscì per strada, abbandonando il suo appartamento privato, si inoltrò per le numerose vie del campus, preoccupato di sentire la sua essenza ad un orario così tardo, con le vie deserte e la maggior parte degli studenti a ronfare nei propri letti.

Si ritrovò nei pressi del fiume Red Cedar, a pochi passi da uno dei ponti che lo attraversava e che collegava l’altra parte del campus della Michigan State University, lì dov’era collocato il suo dipartimento, a meno di venti minuti dalla sua abitazione. È lì che sentì il suo odore farsi spaventosamente vicino, la sua presenza farsi più palpabile, come se l’avesse sotto gli occhi e dovesse soltanto strabuzzarli, dargli una forma.

Ma una forma la prese ed era avvolta da un pigiama rosso, i piedi nudi e freddi che camminavano alla cieca, senza minimante avere la percezione di cosa la circondasse, le iridi di miele offuscate e vitree, così vuote che Derek si spaventò. «Stiles» fu tutto quello che articolò, le lettere che scivolavano dalla lingua, il suono che prendeva consistenza.

Lo dividevano poche falciate e non riuscì a non notare quanto fosse cresciuto da quando l’aveva visto l’ultima volta, due anni prima. I capelli si erano allungati, l’altezza contava nuovi centimetri, i lineamenti del viso più marcati, ma aveva ancora tutti i suoi nei al loro posto, la pelle diafana come sempre, impossibilitata ad essere violata perfino dai raggi della calda California, eppure sapeva che era tutto diverso, che qualcosa era mutato oltre l’aspetto esteriore.

Il figlio dello sceriffo non riusciva a vederlo, ad avvertire la sua presenza, anche se era esattamente davanti a lui, a chiamare il suo nome per attirare la sua attenzione. Perseverava a camminare nel buio senza una guida, i piedi scalzi scorticati dal percorso intrapreso. «Stiles» chiamò di nuovo in allarme, le mani che andarono a circondargli il viso gelido, fermando la sua avanzata. Esigette che posasse gli occhi nei suoi, che prendesse consapevolezza di chi avesse davanti, ma lo studente di criminologia non lo fece. «Che cosa succede?».

«Sta tornando» furono le prime parole di quello Stiles in catalessi, il fumo della condensa fredda che usciva dalle labbra rosse. «Sento che sta tornando. Non mi lascerà mai in pace».

«Chi?» Derek contemplò la possibilità che Stiles avrebbe risposto a chiunque l’avrebbe fermato, incontrandolo durante un episodio che decretò fosse probabilmente di sonnambulismo. Ne aveva mai sofferto? Derek riusciva a sentire tutto il suo dolore, l’affanno e la pena che stava provando in quel momento e non sapeva minimamente da cosa fossero scaturiti.

«La volpe oscura» rivelò in modo devastante, come unica verità, quella che non smetteva di bersagliarlo e non gli permetteva mai di respirare davvero.

Le gemme di smeraldo si spalancarono e Derek non credeva di aver capito bene. Di aver capito davvero quello che Stiles intendesse. Un pollice gli accarezzò uno zigomo e lo studente del terzo anno si rese conto di quanto la matricola fosse completamente alla sua mercé e non c’era niente di più sbagliato di quello.

Appoggiò la fronte contro la sua, il calore che sprigionava che invase i tessuti del ragazzo che presto avrebbe compiuto diciannove anni, riscaldandoli e scacciando il gelo di quelle iniziali notti di settembre. Sapeva che non fossero mai stati così vicini, che non aveva mai permesso che accadesse, che sentire il suo fiato sulla propria pelle avvalorasse la prova di quello che stava accadendo, ma Stiles in quel momento aveva bisogno proprio di quello e non poteva negarglielo, essere così negligente. «Andremo in un posto dove non potrà trovarti. Va bene?».

Stiles tacque per qualche attimo di troppo, tanto che Derek credette che si fosse finalmente risvegliato, ma specchiandosi in quelle iridi d’ambrosia spente, seppe che era molto lontano da quella consapevolezza di se stesso. «Sì».

Condurlo al suo appartamento, al 1855 Place, fu estremamente facile, talmente tanto che Derek provava preoccupazione e rabbia al pensiero che Stiles avrebbe potuto incontrare chiunque altro non fosse lui, essere introdotto in posti in cui non sarebbe dovuto mai entrare, al cospetto di persone che avrebbero potuto approfittare di quella momentanea fragilità.

Lo accompagnò fino al letto a due piazze, gli scostò le coperte e lo coprì malamente, impegnato com’era a curare le lacerazioni che la pianta dei piedi riportava, togliendo e ripulendo ogni elemento estraneo che incontrava nel suo percorso, dalla terra, all’erba ed ai piccoli sassolini del terreno e dell’asfalto. Chissà per quanto tempo aveva camminato, chissà quanto lontano si era spinto dal suo dormitorio, uscendone senza nemmeno essere notato, senza notarlo lui stesso. Quanto ancora avrebbe proseguito prima che Derek lo trovasse.

Quando ripulì e rimediò ad ogni escoriazione, assorbendo un dolore che quello Stiles sonnambulo non provava, ma che invece esisteva, Derek lo rimboccò per bene, sistemandolo in modo da non interrompere quella fase REM precaria che poteva causare maggiori danni. «Lei non ti troverà» ripeté con più convinzione, la voce calda che l’accompagnava.

Stiles sospirò di liberazione, abbracciando il cuscino su cui il padrone di casa l’aveva adagiato e Derek seppe che stava finalmente dormendo come sarebbe dovuto accadere fin dall’inizio.

Seduto sul materasso in cui il figlio dello sceriffo stava riposando realmente, Derek si prese il viso tra le mani, chiedendosi cosa si fosse perso in quei due anni, lontano da Beacon Hills e da lui. Da quell’umano pittoresco che aveva continuamente associato ad un’incantevole e astuta volpe dal manto infuocato.

Era tutto grottescamente esilarante.

 

Anche quella mattina Stiles fu svegliato dai raggi del sole che penetravano dalla finestra, il tepore della coperta che l’avvolgeva e la sensazione di avere il cuore più leggero. Ma fu solo un frammento del tempo che la sua mente impiegò per rendersi conto che la parete su cui posava lo sguardo assonnato non era la sua.

Era piuttosto sicuro di non avere una finestra ai piedi del letto, da cui poi partiva l’armadio aperto, pieno di roba non propria. In più era certo che di finestre ce ne fossero tre e soltanto dove vi erano collocate le due scrivanie su cui presto lui e Jiang avrebbero studiato.

Oltre a quella serie di elementi piuttosto indicativi anche per la sua mente annebbiata e ancora addormentata, vi era la concretezza che vi fosse un corpo estremamente caldo dietro di sé, il respiro leggero e riposato che si scontrava con il suo collo, solleticandolo.

Stiles non condivideva il letto con qualcuno da diverso tempo, il fatto che non lo trovasse disturbante lo preoccupava alquanto, perfino il fiato che lo accarezzava era piacevole, eppure ne era terrorizzato allo stesso tempo perché non ne aveva alcuna memoria.

Restò immobile per attimi di troppo, spaventato da quello che avrebbe incontrato una volta che avrebbe preso coscienza di sé, di quello che gli era capitato e con chi fosse avvenuto.

Strizzò gli occhi, la forza di volontà che lo spinse a girarsi una volta per tutte, accartocciando le lenzuola con cui era evidente fosse stato rimboccato con cura ‒ un’attenzione che suscitò il suo stupore.

L’irrefrenabile bisogno di mettersi ad urlare lo colse appena incontrò i tratti facciali del ragazzo che era disteso al suo fianco, su quel materasso a due piazze che sembrava più grande delle dimensioni a lui conosciute. Le labbra erano schiuse e sgomente, ma colui che l’aveva ospitato teneva ancora le palpebre serenamente serrate e non era ancora pronto per venire assordato dall’incredulità dello studente di criminologia. «Derek» soffiò annichilito, le iridi del miele sgranate ed incredule, l’impossibilità di quel nome che veniva pronunciato in quel contesto, in quel luogo, dopo così tanto tempo dall’ultima volta che si era permesso di farlo. Com’è che era solito dire? Era l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere? Sarebbe stato vero se Derek fosse appartenuto ad una qualche lista ipotetica, ma Stiles non ne aveva nessuna in cui figurava il suo nome. Non era mai esistita.

Le iridi verdi del padrone di casa si mostrarono e Stiles si ritrovò a trattenere il fiato, in apnea. Non erano assonnate come probabilmente apparivano le proprie, erano semplicemente consapevoli di trovarsi al cospetto del figlio dello sceriffo. «Sei davvero tu? Derek Hale?».

«Stiles» fu tutto quello che Derek disse, a rispondere in modo nitido su chi fosse e avesse perfettamente coscienza con chi avesse condiviso le lenzuola.

Era anche la voce che ricordava, benché fosse leggermente rauca. Sicuramente era dovuta alla chiarissima spiegazione che la matricola non si fosse mai risvegliata accanto all’Hale, evento che l’avrebbe condotta direttamente alla morte per le più svariate ragioni. «Ah» Stiles stava per essere sopraffatto da un attacco di panico, diverso da quello che inizialmente lo minacciava, terrorizzato dalla vaga consapevolezza con chi avrebbe potuto intrattenersi nella notte, le figure di Donovan e Theo che non gli toglievano gli occhi di dosso, chiaramente intenzionati a volerselo mangiare in ogni modo inimmaginabile, approfittando della sua momentanea debolezza. «Cos’è successo? Tu cosa ci fai qui? Dove siamo?» scattò a sedere, la spalla che colpì la parete a cui il letto era accostato, le coperte che scivolarono, mettendo in mostra il pigiama che indossava la sera prima. Sono vestito, fu l’unico pensiero rassicurante che lo colse.

«Al 1855 Place» rispose prontamente Derek, aspettandosi una reazione esagerata tipica dello studente del primo anno.

«Al… 1855 Place» i gesti avventati di Stiles si fermarono, disorientati. «Perché conosco questo nome?» domandò più a se stesso che al suo interlocutore, spremendosi le meningi e richiamando a sé ogni ricordo che gli veniva alla mente, stupefatto della risposta che elaborò. «Siamo ancora dentro il campus».

Derek si limitò ad annuire, non scomponendosi in alcuna maniera e non abbandonando la posizione da disteso che ancora teneva.

Apparentemente i tessuti di Stiles si rilassarono, anche se non vi era alcuna ragione per cui dovesse accadere. Si ritrovò a fissare Derek con più consapevolezza, il punto interrogativo che si affacciava sul viso. «Perché sei qui?».

«Per la tua stessa ragione, studio» Derek non si perse in spiegazioni, certamente non si sarebbe prodigato per formulare qualcosa di più sostanzioso.

Stiles non credette minimamente alle sue orecchie, dovevano essere ancora bloccate alla fase onirica. «Studi qui? Proprio qui?» ma quante probabilità potevano esserci?

«Questa è casa mia, Stiles» oh, era tanto tempo che non sentiva il suo nome essere usato come un rimprovero, Derek era un mago in quello. «Solo gli studenti di questa università possono affittarla».

. «Io…» non riusciva ad esserne persuaso, non aveva abbastanza elementi ed era confuso, provato, la presenza di Derek lo destabilizzava come mai aveva creduto potesse accadere. La necessità di raggiungere la finestra, spostare la tenda corta che ammorbidiva l’invadenza dell’Astro d’Apollo e guardare ciò che si affacciava davanti a sé, era vitale, non riuscì a trattenersi.

Le strade, gli edifici bassi, le strade larghe e affollate di studenti, i negozietti appositi, che dovevano rispettare i loro orari mattutini già attivi. Non era un paesaggio che conosceva, non era ancora stato da quella parte del campus e non era certo che l’avrebbe riconosciuto dal punto di osservazione in cui si trovava, sul letto di Derek Hale ancora caldo. «Che cosa studi?».

«Letteratura» nessuna esitazione, ma un dato di fatto.

Stiles sentì perfettamente la contorsione al petto da cui fu investito, la testa che si voltava nuovamente verso Derek, gli occhi giganti che non smettevano di essere increduli, impressionati. No, non poteva essere. Era quella la ragione per cui veniva continuamente attirato dal College of Arts & Letters? L’incoscienza che sapeva figurarsi fin troppo bene quali fossero le sue preferenze, il luogo a cui sarebbe dovuto appartenere se si fosse concesso una scelta. Era il suo viso che sperava di scorgere nella folla? Da quali problemi era affetto il suo subconscio? «Come sono arrivato qui?» doveva spostare i pensieri, cercare di metterli in ordine e svelare il mistero sul perché si trovasse avvolto tra le coperte di Derek Hale. Tutto il resto era secondario. Ma lo era davvero?

Derek esitò, incerto su quanto potesse dire e se il figlio dello sceriffo gli avrebbe creduto. «Ti ho trovato» non riusciva a togliersi dalla testa perché fosse stato necessario un’azione come quella. «Era notte fonda, eri gelato e girovagavi con solo il pigiama addosso» non era per niente l’abbigliamento adatto e lo spessore degli indumenti era quasi nullo; irrisorio sotto coperte adeguate ai primi giorni di settembre, ma deleterio nelle ore buie, con i gradi che si abbassavano notevolmente.

Ti ho trovato. Girovagavi con solo il pigiama addosso, l’istinto di ispezionarsi, toccarsi le gambe e controllarsi i piedi fu qualcosa che non poteva frenare. Era tutto intero, nulla faceva presagire che avesse vagabondato nell’ora delle streghe, eppure il trovarsi nell’appartamento privato di Derek raccontava un’altra storia. «Come mi hai trovato?».

«Ho seguito il tuo odore» nemmeno quello era un aspetto che avrebbe voluto condividere, ma non poteva tenerlo per sé, non aveva alcun senso, Stiles lo avrebbe soltanto sommerso di più domande.

Le iridi d’ambrosia brillarono e si ingrandirono, espandendosi così tanto da essere sopraffatte dal nero delle pupille. «Già, sei un lupo anche tu» i ricordi fiorirono tutti insieme, non che potesse dimenticarlo. Sapeva soltanto che non si sarebbe mai liberato di quella vita. A volte si chiedeva se lo volesse davvero. «Conosci il mio odore?» era la prima domanda che gli era affiorata tra i pensieri, per la meraviglia incredula, ma riconoscere la vera natura di Derek era stato più immediato, più importante, ma si chiese se in effetti lo fosse. Non capiva come potesse Derek aver immagazzinato così bene il suo odore, soprattutto alla luce che si fosse costantemente tenuto alla larga da lui. Da qualsiasi cosa lo riguardasse.

«Sì» era inutile negare l’evidenza né alla creatura della notte piacesse sottolineare l’ovvio, ma capiva perché quello stupisse Stiles, forse più di tutto il resto. «Ho pensato fosse meglio portarti qui».

«Qui» l’essere umano ebbe bisogno di guardarsi attorno, controllare in un’ispezione maggiormente prolungata, posare gli occhi su tutto l’ambiente che portava l’impronta di Derek. Era tutto ordinato e pulito, nessuna confusione in vista, dei teli lunghi a tentare di coprire l’armadio aperto e la scrivania dov’erano sistemati alcuni libri molto spessi. Stiles non riusciva a quantificare cosa significasse davvero qui.

Derek non aggiunse altro e non sapeva proprio spiegarsi cos’è che indispettisse davvero Stiles. La sua natura da lupo mannaro o l’essere stato trovato da lui in un momento di debolezza? Ma il fatto che non gli chiedesse cosa fosse esattamente successo, perché camminasse senza meta per le strade del campus nelle ore più gelide, lo mise in allarme, quasi come se per Stiles fosse qualcosa di quotidiano, ripetuto nel tempo.

«Che ore sono?» la matricola sembrò svegliarsi, prendere coscienza delle lancette dell’orologio che ticchettavano, andando avanti senza di lei.

Il licantropo non fu davvero sorpreso e adocchiò la sveglia digitale che sostava sul comodino. «Le otto e mezza».

«Merda!» imprecò a denti stretti, alzandosi e camminando sul materasso, azione non molto carina considerando che non era il proprio. «Ho lezione tra un’ora» ma quando i piedi toccarono il pavimento freddo, si rese conto di dover affrontare delle complicazioni. L’agitazione si espanse a macchia d’olio.

«Stiles» lo richiamò la creatura della notte, seguendolo a ruota, ponendosi proprio davanti alla sua strada.

«Come esco di qui?» la domanda era sincera, Stiles continuava ad inciampare nel proprio panico, nell’essere bloccato da una situazione da cui non trovava soluzione. Si indicò, il pigiama rosso a scacchi blu, i piedi completamente scalzi e nulla che gli venisse in aiuto.

Tutto quello che Derek sentì fu quanto Stiles fosse rotto dentro. «Non è successo niente. Non ti è successo niente» fu guidato dall’avventatezza di catturargli il viso tra le mani come aveva fatto soltanto alcune ore prima, fargli sentire che il mondo girava ancora per il verso giusto. «Stai bene».

Il figlio della massima autorità della loro città natale trattenne un singhiozzo, ma il lupo lo udì lo stesso. «Vorrei fosse così» non riusciva a registrare nulla di quello che gli stava accadendo in quegli istanti.

Stiles era sempre stato sfuggente, ma mai ad una tale dimensione. «Usa la doccia» accarezzargli le guance con i polpastrelli fu conseguenziale, calmarlo nell’unico modo il cervello gli suggerisse. «Ti darò un cambio. Tutto quello che ti servirà per andare dove devi».

Stiles lo guardò come se fosse un alieno e Derek dovette farsi forza per separarsi da lui, smettere di essere la sua colonna portante. Prese la prima maglietta e paio di pantaloni che gli capitarono sotto tiro e glieli porse in mano. «Vai a sinistra».

Lo studente del primo anno non sapeva che pesci prendere, rimase titubante per una decina di secondi, indeciso su come procedere. Ma c’erano altre scappatoie? Prese i capi che il mannaro gli offrì, avviandosi verso la direzione che gli aveva indicato, oltre la voce, con un gesto della mano, a chiarire che si riferisse alla sua sinistra.

Stiles individuò la porticina che stava a fianco alla porta principale, lasciata socchiusa come a comunicargli che era lì il luogo in cui doveva entrare. Quando l’aprì e attraversò l’uscio, si ritrovò all’interno di un bagno privato. Non era enorme e aveva l’essenziale, ma era confortevole, racchiuso, la possibilità di chiudersi dentro e scappare alle avversità che la vita continuava ad avere in serbo per lui.

Vi era una tenda da doccia chiusa malamente, a mostrare la vasca e anche le tubature che potevano essere usate esclusivamente per la doccia se lo si preferiva. La plastica era stranamente di colori allegri, caldi, opposti alla personalità buia e fredda del lupo che attendeva oltre la parete. La tonalità dominante era un arancione rosso, che sfumava al bianco, per concludere con una punta di nero quasi impercettibile. Ricordava talmente tanto la pelliccia di una volpe rossa da farlo stare male. Lo atterrava ancora di più la certezza che fosse dipesa da una scelta volontaria di Derek.

Stiles avrebbe voluto sigillare la porta, dare un colpo di chiave, ma essa non era presente e non doveva stupirsene. A cosa serviva una chiave in una casa abitata da una sola persona?

Appoggiò i vestiti sul mobile bagno su cui era incastrato il lavello ed in cui erano riposti tutti gli effetti personali della cura giornaliera del mannaro. Aveva le vertigini, non riusciva a realizzare di essere tra le mura private di Derek Hale, all’interno del suo bagno che avrebbe usato, indossando i suoi vestiti. Una sorta di sconforto lo invase, per l’ilarità di quel frammento di vita che gli era toccata. Non sapeva davvero contabilizzarla, catalogarla. Non riusciva a dargli un senso. Che progetto era previsto per lui?

Quando uscì fresco e pulito, vestito di tutto punto con qualche taglia in più rispetto alla propria, il telo doccia bagnato che aveva scovato nel mobiletto perfettamente piegato, insieme ad un asciugamano per tamponarsi i capelli – c’era perfino un phone, Stiles sapeva di starsi allargando troppo –, l’umano raggiunse il padrone di casa nell’ala più avanti, i piedi avvolti perfino dentro dei calzini.

Derek era vispo, indossava soltanto i pantaloni del pigiama e beveva il suo caffè appena preparato davanti alla macchinetta per la tostatura, il sole che irradiava dalla grande finestra che illuminava tutto il piccolo soggiorno con annesso di cucina, un divano a tre posti collocato proprio al di sotto, regalando l’illusione che fosse un ottimo punto in cui studiare. Quello che però Stiles notò, fu che si rese conto di quanto Derek fosse ancora dannatamente attraente. Forse perfino di più rispetto ai due anni precedenti. Si sarebbe superato ancora? Non era un pensiero logico che avrebbe dovuto formulare, considerando la situazione precaria in cui si trovavano, ma la sua testa non gli dava mai particolarmente retta, soprattutto davanti l’ovvio. E Stiles stava per compiere diciannove anni, sì, ma i suoi ormoni non si erano ancora dati una calmata. Probabilmente non sarebbe mai accaduto.

«È per te» si sentì dire probabilmente dopo che l’aveva squadrato un po’ troppo.

Stiles impiegò qualche attimo in più a focalizzare la tazza di caffè che Derek gli stava offrendo. Il fumo usciva invitante, facendogli gola e il calore lo sentiva già scendergli a riscaldarlo, a svegliarlo una volta per tutte. «Non era necessario» disse quando alla fine accettò, ricevendo un alzamento di spalle disinteressato dal suo salvatore. Lo fece scivolare sul tavolo e la matricola lo afferrò, imprimendosi la sensazione del caldo che gli scorreva tra le mani. Afferrò anche come Derek stesse azzerando la possibilità di contatto fisico tra loro, diversamente da com’era accaduto soltanto venti minuti prima ‒ l’aveva registrato con ritardo, come il licantropo l’avesse toccato con totale naturalezza e senza essere attraversato dal minino dubbio per calmare la sua crisi di panico. La temperatura corporea si era insinuata sottopelle, carezzandolo, ed era stata una sensazione così familiare a cui abbandonarsi e lascarsi vezzeggiare da risultargli totalmente anomala per la semplice ragione che Derek Hale non l’avesse mai toccato in vita sua.

«Lasciali lì» proseguì il mutaforma, riferendosi ai teli in panno che aveva utilizzato per asciugarsi, indicandogli una sedia in cui poggiarli.

Stiles individuò anche un’altra cosa, una piccola lavapiatti e di fianco una porta, che supponeva fosse il ripostiglio, ma se era in possesso di una lavastoviglie, dubitava che quell’appartamento non fosse accessoriato anche di una lavatrice e asciugatrice. Aveva voglia di sorpassare Derek, spalancare la porta e scoprire se fosse una lavanderia a tutti gi effetti. Era bello essere ricchi e permettersi certi lussi, ma Derek aveva pagato un prezzo enorme per avere quell’autonomia.

C’era anche da specificare che Derek non avrebbe avuto problemi nemmeno prima, che il denaro scorreva a fiumi nella sua famiglia, fondatrice e protettrice di Beacon Hills, ma tutta quella beltà era finita e divisa tra le mani di sole tre persone. Non c’era nessun altro.

Il lutto persistente del lupo Stiles lo conosceva come nessun altro, era l’unico con cui il mannaro si era permesso di condividerlo. Era qualcosa che aveva privato perfino a Laura. «Grazie» la sua voce che gli comunicava con il dolore nel cuore li ho uccisi io, è colpa mia Stiles non era mai riuscito a sradicarla, in un momento esclusivamente loro, dove non esisteva nessun altro. Stiles non gli aveva creduto, non l’aveva fatto nemmeno quando Derek gli aveva sputato addosso la verità di cui era l’unico conoscente, la colpa di cui si era macchiato. Ma era soltanto quello, l’avventatezza di essersi fidato della persona sbagliata. Stiles non aveva mai saputo se fosse riuscito a farglielo capire, alleviare il suo tormento.

«Prendi anche quelle» Derek ignorò il suo ringraziamento, nulla di nuovo per lo studente di criminologia, ma quando la sua visione periferica fu catturata dal punto che il mutaforma voleva che guardasse, Stiles si irrigidì.

«Derek» la negazione era udibile, il suo dissenso evidente.

«Ti servono, non puoi ferirti di nuovo» difficilmente il mannaro accettava un rifiuto e quell’occasione non rientrava tra le rarità, era fuori discussione.

Una scossa gli attraversò vertebra per vertebra e seppe che la sua abitudine di controllare le condizioni della pianta dei piedi non era tempo perso. «Mi hai curato tu» lo sconcerto gli sfuggì senza rendersene conto. Perché non era arrivato prima alla soluzione? Era impossibile che Derek l’avesse trovato incolume, che i suoi piedi non avessero nemmeno un graffio. Stiles se li era feriti tante e troppe volte, nessun lupo che potesse alleviare le sue sofferenze. Nessuno a cui Stiles volesse rivelarlo.

«Prendile e basta» lo studente di letteratura non si preoccupò di confermare le rivelazioni di Stiles, non gli importava affatto.

Stiles odiava quella situazione, essere così in svantaggio da non potersi opporre, ma che soluzioni gli rimanevano? Le calze offerte dal licantropo non potevano fare miracoli.

Stiles terminò il suo caffè preparato appositamente per lui, come tutto quello che Derek gli aveva fornito, indossando finalmente le scarpe che gli aveva sistemato pronte per l’utilizzo. Non erano perfette, probabilmente di un numero superiore al proprio, ma erano gestibili. «Grazie» lo ripeté, ma per quante altre volte avrebbe dovuto dirglielo? Avrebbe dovuto ringraziarlo da quando aveva aperto gli occhi quella mattina sano e salvo, al sicuro, ma invece l’aveva attaccato e Derek l’aveva ignorato, come lo caratterizzava.

Eppure, consapevole di quello, si defilò senza proferire parola aggiuntiva. Uscì semplicemente dalla porta principale, percorse il condominio e scese le scale in fretta, diretto verso il dormitorio per cambiarsi ancora una volta e prendere i libri che gli occorrevano per la lezione che lo attendeva.

Si ritrovò ad essere curioso di quanto lontano fosse andato, quanto avesse camminato, in che punto Derek l’avesse trovato e fermato la sua avanzata. Perché l’avesse trovato.

Ma un altro interrogativo bersagliava la sua mente acuta, irrefrenabile, a cui aveva tentato di togliere voce: come poteva Derek essere così certo del suo odore? Riuscire a percepirlo ad una notevole distanza, isolarlo da tutti gli altri e condurlo esattamente al punto preciso.

 

 

 

 

 

 

Inspiegabilmente mi ritrovo da queste parti, a scrivere ancora di questi due, convinta di aver già detto quello che c’era da dire, ma non è mai vero. Le idee su di loro non terminano mai, una si concatena all’altra e va avanti all’infinito. Alcune storie riescono a sopravvivere, altre rimangono solo pensieri non espressi.

Questa è una storia che voleva essere racconta e che ha richiesto molto lavoro, quasi due anni, partita da una mia stessa domanda banale e che magari rivelerò alla fine di questo percorso.

Non è stata betata da nessuno eccetto che da me stessa, non il miglior occhio critico per refusi o distrazioni.

Spero possiate apprezzarla.

Buon San Valentino Sterek.

A settimana prossima,

Antys

   
 
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