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Autore: NightWatcher96    15/02/2024    0 recensioni
Dopo la morte del suo migliore amico Izuku Midoriya, Katsuki ha inizialmente trovato conforto nel cibo ma un atteggiamento Bulimico ha avuto ripercussioni sul suo aspetto fisico. Una sera, poco prima di chiudere il combini dove lavora, un cane entra e di lì a poco anche un certo Eijiro Kirishima. Una cosa è certa... quel cane dal collare rosso ci ha messo le sue zampe!
Warning: AU, no Quirk, Tematiche Delicate
Ship: KiriBaku
R-18!
Genere: Azione, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Grazie. Arrivederci!».

Katsuki sospirò dopo che le porte scorrevoli del combini dove lavorava si chiusero. Non sapeva quanti clienti avesse servito ma sperava che quei due fidanzatini sdolcinati e palesemente omosessuali sarebbero stati gli ultimi.

Si passò una mano sui capelli color del grano, i suoi occhi rossi come la passione caddero su ciò che da sempre lo faceva sentire molto insicuro.

Da quando il suo migliore amico, Izuku Midoriya, era venuto a mancare in seguito a un male incurabile che l'aveva strappato via a soli quattordici anni, lui aveva trovato conforto nel cibo ed era rapidamente lievitato.

Poi, un giorno, aveva smesso di mangiare e il suo peso era drasticamente calato. Ma ancora, la voglia di riempire la voragine nel suo cuore lasciata dall'amico d'infanzia gli aveva fatto costruire un addome un po' sporgente, accennate maniglie dell'amore e pettorali piuttosto pronunciati.

Katsuki ci aveva provato... era andato in palestra, aveva scelto una dieta equilibrata ma era bastato recarsi al cimitero, la prima volta dopo ben cinque anni, per ricadere nelle sue abitudini alimentari disordinate.

Abbuffate seguite da vomiti che si ripetevano fino a quando non cadeva addormentato con il sapore dell'acido in bocca e fitte allo stomaco.

Distrattamente sfiorò l'addome un po' sporgente visibile sotto il grembiule nero che indossava. Il colore scuro di certo lo mascherava ma quando si voltava sentiva gli occhi dei clienti cadergli sui fianchi appena pronunciati ma morbidi, incastrati sotto la t-shirt bianca e la cintura dei jeans corvini.

Non l'aveva mai voluto veramente accettare ma era bulimico.

Avrebbe preferito essere anoressico con un controllo mostruoso sulle calorie; almeno non sarebbe stato skinny-fat. Il maledetto grasso si concentrava sull'intero addome, maledizione! Tutto il resto era proporzionato e aveva anche una discreta quantità di muscoli sulle braccia.

La cintura gli stringeva.

Katsuki sospirò per l'ennesima volta, strizzando a due mani il suo stomaco incredibilmente morbido.

«Vaffanculo» mormorò sottovoce. «Sembro incinto di dieci cazzo di settimane!».

Aveva ragione. Il beffardo grasso attorniava l'ombelico e quando indossava t-shirt non oversize e non nere, le ombre e le luci creavano un effetto bloating. Katsuki era costretto ad allacciarsi i jeans e le tute sotto lo stomaco mediamente gonfio o l'ombelico, nella speranza di poterlo far sparire.

La cosa che più lo innervosiva era quella sorte di braccio di ferro che si sviluppava in lui quando mangiava di tutto a sazietà. Anche con lo stomaco gonfio ciò che sentiva dentro, prima della voglia di vomitare, era un'immotivata felicità e uno strano pensiero: fino a quando le sue t-shirt oversize, le tute e i jeans non sarebbero stati troppo stretti o impossibili da indossare non gli avrebbe dato fastidio.

Ma poi, quando vomitava e imprecava le cose cambiavano... tutto diventava oscuro e freddo, come una landa desolata dove lui era costretto a vagare in mezzo ad alti piloni di ghiaccio che gli mostravano ciò che il cibo gli infliggeva.

L'ago della bilancia saliva e scendeva, il numero non era mai lo stesso. E così i suoi sentimenti. Quando sentiva stringere i suoi jeans preferiti urlava, piangeva e si tirava dolorosamente la pelle del ventre e dei fianchi. Quando era in pigiama, spaparanzato sul divano con numerosi involucri di patatine e merendine semi-vuoti, non era neanche un suo vero problema. 

Particolare il cervello, eh? Un organo magnifico e complesso ma strano.

Nei suoi momenti di follia e colpevolezza, digiunava fino a sentirsi stanco, fiacco e spossato ma fieramente forte, con quel controllo su tutto, sui sentimenti e soprattutto sul cibo. Il suo nemico era un amico solo in rare occasioni.

Katsuki Bakugo gettò un'occhiata sull'orologio del registratore di cassa. Erano quasi le venti e trenta; questo significava che poteva iniziare a sbrigare le operazioni di cassa inerenti al denaro incassato durante tutto l'arco della giornata, spazzare e lavare il pavimento e, soprattutto, chiude-.

Il rumore sibilante delle vetrate scorrevoli che si aprivano fu peggio di una botta in testa. 

Katsuki alzò furiosamente gli occhi rabbiosi a chiunque fosse entrato a disturbarlo.

Un piccolo abbaio, però, gli fece scemare la rabbia come se sul suo fuoco ardente fosse stata appena gettata una grossa secchiata di acqua gelida. 

Il ragazzo biondo di anni diciannove si sporse oltre il bancone: rimase stupito. Un volpino di Pomerania pelosissimo, non del tutto nero, con un collare rosso e il guinzaglio sul pavimento color pistacchio sbiadito del combini, lo guardava con la lingua rosata e penzolante fuori dal musetto.

Le zampine erano di un color cioccolato, i peli dalla mandibola fino all'inizio della coda invece quasi biancastri.

Spinto dal suo amore per i cani di qualunque razza e taglia, il commesso gli si avvicinò. Quando si accovacciò, per un attimo, un bagliore di rabbia e delusione attraversò i suoi occhi. La cintura gli era sprofondata nella pancia e stringeva maledettamente.

«Beh, almeno tu non puoi giudicarmi» mormorò al cane.

Katsuki allungò lentamente la mano, in attesa. Il volpino inclinò la testolina come per studiarlo. Ponderò il da farsi solo per una manciata di secondi, dopodiché gli allungò una zampetta. Il sorriso piegò le labbra del giovane; lo accarezzò tra le orecchie mentre gli muoveva il piccolo e corto arto nella mano.

«Sei di qualcuno?».

Il collare con il lungo guinzaglio aveva una targhetta dorata a forma d'osso.

«Red Riot» lesse. «Ma che cazzo di nome ti ha dato il tuo o la tua padrona?».

Il cane abbaiò per poi emettere un guaio. Fece un giro su sé stesso, infine rimase seduto e a scodinzolare.

Katsuki si alzò con le mani sui fianchi. Cercò di non pensare alle sue dita che affondavano nella carne. Il cane era sicuramente di qualcuno.

La risposta che silenziosamente cercava giunse con l'apertura delle porte scorrevoli del combini. La prima cosa che scorse fu una sgargiante chioma dal colore rosso leggermente scuro e degli occhiali da sole neri.

La paura di poter essere visto troppo o ricevere qualche commento storto a fine giornata portò Katsuki a nascondersi dietro al bancone. L'altezza, infatti, avrebbe camuffato tutto il suo ventre e fianchi, facendolo immancabilmente sentire al sicuro.

Gettò distrattamente un'occhiata all'esterno. Fuori il cielo era meraviglioso. Più in alto il blu, poi il viola, il magenta, il rosso, l'arancio e il giallo che segnava una linea perfettamente orizzontale tra i palazzi e gli edifici più lontani.

Le stelle si intravedevano tra le soffici nuvole e l'aria già calda di fine maggio era rinfrescata da piacevoli brezze di vento. Il rumore dei sempreverde che frusciavano piaceva a Katsuki: gli ricordava i picnic che faceva da bambino con Izuku.

I suoi occhi si oscurarono, il formicolio delle lacrime gli sfrigolò nelle narici e immancabilmente la sua nitida vista si annebbiò per il pianto che di lì a poco sarebbe sicuramente arrivato.

Non aveva mai superato veramente la perdita di Izuku. Era stata uno degli eventi più traumatici della sua vita e mai l'avrebbe dimenticata. Il suo amico si era spento sotto ai suoi occhi, dopo aver chiesto di tenergli la mano perché spaventato dell'imminente trapasso.

«Kacchan, promettimi che sarai forte. Io veglierò sempre su di te».

«Non lasciarmi... dobbiamo andare insieme al mare e poi imparare a surfare!».

Lo sguardo smeraldo si era fatto più fioco, Izuku aveva sorriso un po' e tossendo aveva ripreso: «Puoi stringermi la mano? Ho paura...».

Katsuki si era trattenuto a forza pur di non piangere ma gli occhi gli si erano dipinti di rosso e fatti lucidi. Il suo amico aveva chiuso le palpebre, ormai agli ultimi respiri.

«Ti... voglio... bene...» la mano stretta in quella del più alto si era afflosciata un po'. «... Kacchan...» e dopo quest'ultima parola, il cardiofrequenzimetro aveva emesso un suono terribilmente piatto.

L'abbaio di Red Riot lo riportò alla realtà.

Il commesso si cancellò le poche lacrime sulle sue guance con il dorso della mano sinistra.

«Stiamo chiudendo» disse con voce stanca e apatica.

La figura sbatté contro un piccolo scaffale zeppo di lattine di ramen istantaneo. Qualcuna cadde rumorosamente sul pavimento.

«S-scusi... sto cercando il mio cane...».

Katsuki sbuffò. La palla di pelo si diresse rapidamente verso il suo padrone; gli venne da ridacchiare per via del buffo movimento ondulante del sederino e della coda un po' a ventaglio e il rumore delle zampette sulle maioliche verdi.

Non appena abbaiò due volte, il ragazzo dai capelli rossi si rianimò.

«Red Riot!» esclamò con le braccia aperte.

Il cane gli saltò addosso e lo leccò in volto con visibile gioia. Katsuki, che si era avvicinato silenziosamente per godersi la scena, invece era incazzato a morte per via delle lattine in terra.

«Mi dispiace» disse il rosso. «Il mio cane è molto curioso e spesso mi sfugge. Non avrà fatto danni, vero?».

«Lui no ma tu sì».

Il sorriso entusiasta del ragazzo dalla criniera rossa scese un po'. Il cane agitò le zampette anteriori con un lieve guaito dispiaciuto. Katsuki lo trovò adorabile.

Il giovane era muscoloso e con un'insolita dentatura a squalo, aguzza e bianchissima. Inoltre, anche molto più alto di lui; ad occhio e croce infatti, la sua testa bionda gli sarebbe arrivata a malapena alle clavicole.

La t-shirt a mezze maniche nera, senza loghi, fasciava quel corpo possente e allenato con grazia. I pantaloni larghi verde militare e pieni di tasche celavano l'effettiva grandezza delle gambe ma non troppo il pacco tra le gambe.

Katsuki rimase a guardare con fin troppo interesse la patta che creava un'angolazione tondeggiante. Doveva essere mostruoso lì sotto. Sì, si disse nel mentre che annuiva appena alla sua intuizione, decisamente superiore alla norma.

Le scarpe erano insolitamente identiche alle sue, bianche di suola, rosse sopra e loghi con lacci neri. Ma comunque più grandi.

«Se non devi comprare niente puoi anche andartene. Sto chiudendo».

Il tono acido fece sobbalzare il più grande.

«Mi chiamo Eijiro Kirishima. Mi servirebbero un paio di cose».

«Prendi un cestino e trovale da solo. Io sarò alla cassa» rispose gelido Katsuki, mentre si accovacciava per raccogliere le lattine.

Lo fece senza voltarsi, dandogli ostinatamente la schiena, pur di camuffare ciò che lo disgustava ogni volta che apriva gli occhi, alle sei in punto. Per un momento rifletté: avrebbe celato la pancia, certo ma non i fianchi. Si morse ferocemente le labbra a causa del disgusto forte che provò verso sé stesso.

«Ecco...» mormorò il rosso.

Ma Katsuki non gli concesse più una singola attenzione; andò silenziosamente al bancone con la rabbia visibile sul volto. Quanto odiava i clienti che arrivavano a un minuto dalla chiusura di quel combini che non era aperto h24!

Lavorava lì, in quel piccolo ma fornitissimo posticino in una strada poco trafficata di Musutafu, dalla seconda settimana di dicembre. Quando aveva i corsi all'università, primo anno tra l'altro, lavorava di pomeriggio.

Il proprietario, un nerboruto e calvo uomo gentilissimo, si chiamava Banjo Daigoro. L'aveva assunto senza troppe pretese e Katsuki si era trovato subito al proprio agio.

La paga era anche buona.

Un altro rumore e dei pacchi di caramelle caddero rumorosamente. Il biondo sbatté la mano sul nastro trasportatore.

«Oi! Che cazzo pensi di fare? Mettermi il locale sottosopra?!» scattò.

«Mi dispiace!».

Red Riot abbaiò, scendendo dal braccio sinistro del suo padrone. Si avvicinò di nuovo al bancone, roteò su sé stesso e poi puntò il musetto in direzione di Eijiro.

Katsuki sollevò un sopracciglio con fare un po' curioso. Andò a controllare.

«Ma che cazzo stai facendo?!» disse furiosamente.

Eijiro era al centro dei pacchi di caramelle cosparsi in terra. Tre le sue mani capeggiava una scatola di preservativi al gusto arancia.

«Scusa... ma avrei bisogno del tuo aiuto».

«Perché? Sei un tale idiota che non sa distinguere neanche i prodotti?» Katsuki si mise una mano sul fianco e gli puntò il dito contro. «Sai che cosa hai tra le mani almeno?».

«Del tè?».

«Sono preservativi» sbuffò il biondo, poi aggiunse con lieve stizza: «Avanti... che cosa ti serve, prima che mi distruggi il locale?».

«Oh...! Preservativi!» esclamò il rosso crinito, arrossendo un po'. «A Red Riot servirebbero delle scatolette alla bistecca e dei croccantini al manzo».

Katsuki annuì. «Quanti te ne occorrono?».

«Dieci per entrambe le cose».

Il necessario era disposto ordinatamente su uno scaffale di legno accanto alla cassa.

«Poi?».

«Questi li prendo» disse Eijiro, riferito ai preservativi e Katsuki lo fissò in cagnesco, senza un apparente motivo. «Un paio di bottiglie di tè freddo e del ramen alla carne... ma di queste me ne servono tre. Poi basta così».

A ordinazione conclusa, il biondo si occupò di prezzare. Prima che potesse dire l'effettivo prezzo, però, il rosso gli appoggiò sul nastro trasportatore il portafoglio nero.

«Cosa?».

«Per favore, prendili tu i soldi che ti devo. Io...» Eijiro fece un sorriso malinconico. «... sono ipovedente».

Gli occhi caddero immancabilmente sui bianchissimi, perfetti ma aguzzi denti. Quel ragazzo sembrava uno squalo. Un grosso squalo rosso particolarmente docile. Un peluche gigante di quelli visti su internet.

Quando si tolse gli occhiali, Katsuki sentì una stretta al cuore. Aveva le iridi rosse, poco più scure delle sue ma il cristallino era lievemente opaco in entrambi gli occhi.

Era stato davvero arrogante. Dannata la sua cazzo di lingua!

Per farsi perdonare, prese meno della metà. Infine mise tutto in un sacchetto e lo spinse accanto al portafogli.

«Ci sei rimasto male?» domandò Eijiro.

«Ah?» Katsuki corrugò le sopracciglia. «Su che cosa?».

«Sul fatto che sono ipovedente?».

«No».

Eijiro non si mosse né parlò per qualche istante, dopodiché sorrise brillantemente. Nella mano sinistra stringeva il guinzaglio di Red Riot, l'altra raccolse i due manici della spesa.

«Non dimenticare il portafogli».

«Ah, giusto! Grazie!» Eijiro lo cercò passando le dita sulla parte di metallo del bancone, accanto al nastro trasportatore. «Sei proprio un onesto bravo ragazzo. Chiunque, al tuo posto, me lo avrebbe fregato».

«Io non sono chiunque. Ora puoi andartene».

Eijiro ridacchiò e di nuovo afferrò il sacchetto. Red Riot zampettò poi guaì felicemente: l'odore del suo cibo preferito, sebbene debole, dalle confezioni di croccantini gli stava facendo venir fame.

«Posso sapere come ti chiami?».

«Perché ti interessa?» domandò acido Katsuki.

«Beh, primo perché io mi sono presentato e secondo... saprò a chi rivolgermi la prossima volta che verrò qui, in questo combini».

Il biondo gli guardò acutamente i neri occhiali da sole. In effetti, poteva anche presentarsi. Così, con un pesante sospiro, decise di farlo.

«Mi chiamo Katsuki Bakugo, diciannove anni».

«Compirò diciannove anni ad ottobre, il tredici per la precisione!» cinguettò Eijiro, felicemente.

«Li ho già compiuti il venti aprile ma ora basta con le parole che devo chiudere il combini. Voglio tornare a casa e dormire che sono stanco!» sbottò il biondo.

«Oh, sì! Hai ragione. Grazie per l'aiuto».

Katsuki lo vide voltarsi in direzione delle porte. Red Riot annusò il pavimento e tirò verso l'uscita. Poco prima di lasciare il negozio, si voltò a tre quarti per salutare con una mano alzata.

Il biondo fece un cenno del capo, senza ricambiare. Aveva le braccia conserte.

-Ma poi... avrà visto il mio saluto?- pensò con curiosità.

Eijiro sorrise con fare smagliante, infine andò via, svoltando a destra.

Il commesso afferrò il cellulare poggiato su un alto sgabello sotto al bancone. Andò in Wikipedia per poter capire cosa fosse effettivamente l'Ipovisione.

Lesse velocemente, divorando rigo dopo rigo per via dell'enorme fame di sapere. Non sapeva se Eijiro fosse affetto da Ipovisione media o grave ma si rese conto di quanto la sua vista era molto deteriorata.

«Cecità notturna: è l'incapacità di vedere le zone scarsamente illuminate; gli oggetti da vicino e lontano sembrano avvolti da un bagliore e la vista centrale o periferica è quasi sempre accompagnata da un punto cieco».

Katsuki puntò gli occhi alle porte del combini.

Improvvisamente aveva un po' di preoccupazione nel petto.

«Ma che m'importa?!» si disse qualche secondo dopo. «Chi lo conosce a quello lì? Perché cazzo dovrebbe interessarmi?».

Il fatto che Eijiro lo avesse definito bravo ragazzo gli aveva scaldato un po' il cuore. Non riceveva mai complimenti, del resto e gli aveva fatto molto piacere.

In fretta e furia sbrigò le operazioni di cassa, spazzò, lavò il pavimento e poi chiuse serrande e luci.

La sera era ormai scesa e l'aria si era fatta molto più fresca, davvero piacevole. Il vento faceva frusciare le cime dei sempreverdi che abbellivano, a tratti, i marciapiedi.

I lampioni biancastri creavano sull'asfalto e marciapiedi cerchi dal bordo smussato. Le stelle si divertivano a rendere meno scuro il cielo, in attesa dell'arrivo della loro madre Luna.

Katsuki si aggiustò i manici della sua borsa di tela bianca. Era logora, con qualche sfilaccio da eliminare ma ci teneva moltissimo. Dopotutto era un regalo di Izuku.

Il logo di un coniglio con una x aranciata era tutto rovinato ma a lui poco importava. Tra l'altro era grande e molto capiente.

Istintivamente, i suoi occhi rossi caddero sul suo riflesso nella vetrina illuminata a giorno di un negozio di abbigliamento accanto al combini. Spietata, mostrava beffarda il suo aspetto e l'illuminazione creava ombre molto scure sul suo dannato ventre.

Rabbioso, il giovane se lo spremette fino a farsi del male e a stropicciarsi la t-shirt bianca. Odiava indossare i colori! Ma era la divisa del combini, alla fine e non poteva mettere ciò che voleva.

«Vaffanculo!» ringhiò al suo riflesso.

Da quando il disgusto si era definitivamente impossessato del suo aspetto, si rifiutava categoricamente di guardarsi negli specchi. Lo faceva solo per radersi la barba ogni mattina.

Katsuki si allontanò a passo svelto, a sinistra.

L'appartamento dove viveva in affitto era un monolocale di dieci metri quadri, strutturato in modo da avere un angolo cottura con lavatrice e frigo, un bagno con doccia e una stanza con il suo computer e la scrivania.

Era estremamente luminoso quanto tranquillo, collocato al settimo piano di un condominio in una strada alle spalle del centro di Musutafu.

Oltre ad essere vicino a tutte le più importanti attività, poteva recarsi a piedi sia per prendere il treno quando rincasava i weekend e li passava con i suoi genitori e zia Inko. Oppure all'università, dove studiava sperando di diventare un bravo Oncologo... e soprattutto raggiungere senza fretta il posto di lavoro.

Katsuki sbuffò. La sensazione di preoccupazione continuava a crescere dentro di lui e lo rendeva nervoso. Istintivamente si voltò nella direzione dov'era andato Eijiro.

Non era così luminoso. Inoltre non c'era nessuno.

Rimase lì, immobile e fermo, con il vento che accarezzava i suoi capelli e sussurrava nelle orecchie cose che non avrebbe mai compreso.

«Sono proprio un coglione» si disse alla fine.

Proprio quando iniziava a voltarsi, però, un rumore tintinnante gli arrivò nelle orecchie. Quando tornò a fissare il pseudo-buio, scorse una palla di pelo nerastra che correva velocissima verso di lui.

«Red Riot?».

Il volpino iniziò ad abbaiare senza sosta. Si sollevò sulle zampine posteriori e usò quelle anteriori per tenersi in equilibrio contro gli stinchi di Katsuki.

Il guaito spaventato cancellò ogni dubbio in quest'ultimo.

«Portami dal tuo padrone, Red Riot!» gli ordinò con determinazione.

Il cane lo comprese perché schizzò come una saetta nella medesima direzione dalla quale era arrivato. Katsuki fece schioccare la lingua contro i denti: il suo sesto senso col cazzo che sbagliava mai...!
  
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