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Autore: Marty_199    18/02/2024    1 recensioni
Sono passati ottant’anni dalla Sanguinosa Caccia che ha visto la morte di moltissime creature del deserto, gli Efir, la cui magia è stata presa dagli uomini.
Nel regno di sabbia e oro la convivenza tra umani e creature ha visto l'indebolimento dei patti e l'avanzare della guerra.
Dokor è il principe, generale dell’esercito dorato, con il sangue di una Dea è l'eroe della sua terra e ha completato la sua missione: riportare in catene l'uomo che lo ha tradito in passato.
Bellissimo, potente e pericoloso Elyim è per metà umano e per metà Efir, alla guida di creature ribelli e guerrieri contro il regno degli uomini è disposto a tutto pur di portare avanti la sua battaglia e pronto a bruciare tutto ciò che lo ostacola, compresi quei sentimenti che sette anni prima lo avvicinarono al principe.
Ma nel momento in cui si ritroveranno a collaborare in un viaggio attraverso le distese implacabili del deserto, tra Jiin furiosi, maestose corti e creature primordiali, i due dovranno muoversi in bilico tra l'essere amanti e nemici, mente le convinzioni di Dokor cominceranno a vacillare nello scoprire lo scopo della sanguinosa battaglia che gli Efir portano avanti.
*boyxboy*
*Enemies to lovers*
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 10
-Dokor-


Appena la monorotaia si fermò nella città di Bagrad Dokor ed Elyim scesero velocemente dopo essersi coperti per bene
Si erano affrettati ad allontanarsi di lì, Dokor si era guardato bene intorno cercando con lo sguardo il ladro mercante ma non lo aveva trovato, se mai avesse avuto dei dubbi si sarebbero dovuti allontanare prima che quelli potessero riversarsi su di loro.
Molto presto avrebbe dovuto cominciare a mandare dei segnali alla corte del Dekatum, doveva mantenere salda l’idea che aveva voluto dare loro.
Elyim camminava di fianco a lui in silenzio e ben coperto. Raggiunsero velocemente il centro della città, non distava molto da dove la monorotaia si fermava, era una delle città più importanti in particolare per tutto ciò che riguardava il mondo del mercato.
La via centrale e la piazza erano colorati da teli stesi tra i tetti delle case, il doppio di quanti ne avesse mai visti nella capitale e dalle fantasie più disparate, erano appese lanterne per la notte e campanelli che suonavano con il passare del vento, un rumore che veniva sovrastato dalle mille voci che attraversavano il mercato continuamente.
Non c’era momento in cui qualcuno non stesse comprando o vendendo qualcosa, non era una città nella quale si andava per riposare. Mercanti con lunghi cappotti vendevano nei vicoli oggetti rubati, carovane allestite erano appostate in ogni antro di strada e sui loro banconi era poggiato di tutto, dai giochi per bambini, alle mille spezie dei continenti del deserto ed esterni, vestiti di ogni provenienza e ogni colore, lo scintillio di bigiotteria di ogni tipo rifletteva la luce del sole, si potevano trovare in ottone, in ferro, in oro e in argento o in vetro, pietre preziose e addirittura armi che ad occhio nudo Dokor avrebbe sostenuto essere di buona fattura.
Era il posto perfetto per fare uno scambio con qualcuno che fosse disinteressato a chi erano. In quella città esisteva una ristretta cerchia di sette, facoltosi mercanti che si erano innalzati e avevano guadagnato tanto denaro da ergersi sopra gli altri. Rimanevano sotto il controllo della capitale, ma tutto ciò che riguardava gli affari di mercato era di loro competenza, avevano la piena libertà sotto il benestare del loro re.
Il palazzo nel quale si riunivano era posto alla fine della grande via del mercato che durava interi chilometri, da lontano Dokor poteva osservarlo, era maestoso e molto pacchiano, molto più di quanto poteva esserlo il palazzo reale. In effetti non aveva nulla di reale, era solo un ammasso di pietra ricoperta di ogni possibile decorazione che lo faceva scintillare sotto il sole, come a voler ricordare quanto l’oro fosse importante, dove si poteva arrivare essendo dei mercanti.
Per la maggior parte le case delle vie erano delle vere e proprie botteghe, le persone di quella città, almeno la maggior parte, tendevano a vivere e dormire nelle loro botteghe di vendita, anche di quelle era possibile trovarne di ogni tipo e quasi tutti i mercanti avevano uno schiavo al loro seguito, quasi sempre erano mezzosangue, o Efir intrappolati.
Dokor percepì immediatamente una forte magia aleggiare nell’aria, lasciata a se stessa. Era la stessa magia che veniva rilasciata dai corpi smembrati delle creature. Non aveva voluto notarli ma erano lì, solitamente non venivano mai messi in mostra pezzi non lavorati, c’erano ossa levigate in bracciali, anelli, dadi e qualsiasi altro oggetto nel quale sarebbero tornati utili, ciocche di capelli tagliate e legate da nastri colorati, occhi racchiusi in barattoli e divisi per colore, con un incantesimo di protezione potevano mantenersi per molto tempo e i loro colori erano considerati di tale bellezza che molti erano disposti a pagare cifre molto alte per averli, erano una delle parti più difficili da mantenere, motivo per cui avevano un costo così elevato.
Dokor si voltò appena verso Elyim, non poteva vederne il volto ma gli sembrava di percepire una calma furia. Era certo che sotto quegli occhiali i suoi occhi non si erano lasciati sfuggire nulla.
«Dobbiamo trovare cibo e una carovana.»
Un mezzo Efir con una benda sull’occhio passò davanti a loro, una manica penzolante senza un braccio da riempire e nell’altra mano teneva un sacco. I capelli aranciati erano tagliati in maniera irregolare, l’occhio spento per un momento si voltò verso la loro direzione, guardando dritto verso Elyim ma senza fermarsi a dire nulla, subito dopo aveva continuato il suo camminare.
Dokor riprese a camminare tenendo sempre gli occhi sulla figura di Elyim in quel momento silente, non sembrava essere stato interessato a quello sguardo. Sicuramente l’altro lo aveva percepito, Elyim aveva cercato di spiegarglielo tempo addietro il collegamento che tutte le creature avevano tra loro.
Potevano odiarsi o meno, provare meno o più simpatia ma sarebbero comunque rimaste legate, come un filo conduttore che li legava tutti insieme ma lasciandogli il libero arbitrio. Era un sentimento che Dokor non aveva ben compreso, non credeva che esistesse qualcosa del genere tra gli umani, non in quella maniera.
Si fermò davanti una carovana e scambiò uno il suo pugnale per del cibo, prese altra carne secca, ottima per il viaggio, frutta essiccata, arachidi e cereali, una boccetta di cannella in polvere, del Kefir in ciotole chiuse e due brocche di acqua piene, presto avrebbe avuto una carovana dove sistemare tutte quelle cose.
Si mise sulle spalle la sacca e le due sacche d’acqua in pelle, non avrebbe potuto permettersi quelle più raffinate con ciò che si era portato dietro. E questo fece sorgere in lui il dubbio di come avrebbe fatto a barattare una carovana con un cammello per trainarla, o un asino in caso.
«Non hai altro di valore?» Elyim doveva aver intuito lo stesso problema.
«Non molto, e non possiamo prendere un rottame o non ci porterà molto lontano.»
Una carovana in lontananza era stata lasciata nel mezzo della strada in attesa del permesso per passare, dentro vi erano solo schiavi, dalla pelle sporca, gli occhi bassi o infuriati e la maggior parte avevano le orecchie a punta. Dokor tenne lo sguardo su di essa per un momento, sapeva che diversi trattamenti e diverse leggi stavano venendo attuate per diverse ragioni ma quasi nessuna includeva la fine dello sfruttamento degli Efir più sfortunati, e come avrebbe potuto, come potevano rinunciare a qualcosa che gli aveva permesso di evolversi più velocemente e di migliorare le loro capacità.
Da quando l’Arkadia era venuta fuori la motivazione dello schiavismo politico non era che accresciuto.
Non è il momento di pensarci.
«Rubiamo qualcosa allora.»
«È pieno di guardie proprio per questo, sarebbe il posto perfetto per rubare e non sarebbe chiamata la città dei mercanti, ma dei ladri, se non ci fosse la giusta sicurezza.»
Elyim sospirò, sollevando la testa verso il sole. «Che facciamo allora?»
Dokor scosse la testa, osservando il cielo, era ancora giorno ma muoversi troppo per quelle strade non era un’idea saggia, le guardie avrebbero potuto notarli, qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo, in quella città erano molto tenuti di conto due persone, gli Efir e la famiglia reale, il che li metteva in una posizione scomoda, ma nella fretta di far uscire quei due ladri dalla sua cabina non aveva notato che effettivamente avevano rubato ciò che gli serviva.
Ho il bracciale. Ma non potrei mai darlo via, e sono sicuro che Elyim sarebbe il primo a vendere me pur di tenerlo ora che sa che lo ho.
«Troviamo una taverna dove riposare, domani mattina ci inventeremo qualcosa.»
«Questo piano è tutto un inventare è, potrebbe a modo suo essere considerata una strategia.»
Dokor ignorò la sua ironia e si diressero verso la taverna che aveva notato, dentro era molto più confortevole dell’aspetto che dava da fuori.
Il legno emanava un odore gradevole di incenso, l’atrio aveva diversi tavoli per il momento per lo più vuoti, diverse ancelle camminavano tra i tavoli pulendoli e preparandoli per la sera. Delle scale poste quasi nascoste portavano a un piano superiore dove Dokor immaginava ci fossero le camere per dormire. Il pavimento era in terriccio e le finestre lasciavano entrare la luce del sole, colonne di legno sorreggevano la struttura, sembravano essere ben salde, forse protette dalla magia.
Una donna si avvicinò a loro, indossava lunghe vesti di rosso acceso con diverse fantasie sulla gonna, un corpetto stretto e la pelle un poco troppo chiara, bruciata dal sole. I capelli neri erano corti e lisci fino al mento, aveva un naso pronunciato e un’espressione non del tutto cordiale.
«Chi siete?»
«Viandanti, abbiamo bisogno di un posto dove riposare per la notte.»
La donna lo squadrò, poi fece un cenno portandosi una pipa di ottima fattura alle labbra e inspirando.
«Avete di che pagare?»
Dokor annuì. Tirando fuori le poche monete rimaste chiuse in una sacchetta. Gli occhi scuri della donna le osservarono per poi prenderle.
«Queste bastano per una sola stanza.»
«Ce ne serve solo una.»
Elyim dietro di lui accennò un risolino infantile.
«Potresti almeno chiedermelo.» Sussurrò alle sue spalle, Dokor decise nuovamente di ignorarlo, la donna parve curiosa ma non si intromise, facendogli cenno di salire le scale.
«L'ultima è ancora libera.»
Dokor si avviò senza aggiungere altro seguito da Elyim e le scale sotto di loro cigolarono appena, una volta sul piano Dokor aprì l'ultima porta e una volta dentro la richiuse, facendo scattare il chiavistello.
La stanza era molto essenziale con un letto semplice un po' più grande, una finestra chiusa e il pavimento non del tutto pulito e un mini tavolo dove Dokor poté porre le sacche che si portava sulla schiena. Elyim si guardò intorno, levandosi gli occhiali e facendo calare il cappuccio.
«Che schifo di bettola, almeno c'è il bagno benché sia in comune.» Si voltò sorridendo, piccoli solchi rossi intorno agli occhi segnavano il punto in cui gli occhiali aderivano alla pelle. «Sai che bello quando scopriranno che facciamo tutto insieme? Anche pisciare.»
«Meglio che dormire per le strade, non sei tu quello che vive nel mezzo del deserto? A cosa ti servono certe comodità?»
«Questa fogna mancata non ha nulla a che vedere con le Corti Efir.» Si avvicinò con fare critico al tavolo che doveva avere almeno un dito di polvere, sicuramente non era un luogo famoso per l'ospitalità notturna.
Dokor scosse la testa, gli sarebbe piaciuto vedere una vera corte Efir, una di quelle nascoste, difficilmente accessibili se non nei giorni di festa con determinate regole, ne aveva vista solo una interna. Agli uomini era concesso l'accesso ai territori Efir ma difficilmente si addentravano nel vivo della corte.
Poteva essere un viaggio di sola andata.
La stanchezza sul suo corpo cominciò a farsi sentire, doveva decisamente riposare. Decise di fare in modo che Elyim non potesse disturbarlo o non potesse muoversi per permettersi di dormire e recuperare le forze che sentiva scivolare via, erano giorni che non chiudeva gli occhi in modo adeguato per permettere al proprio cervello di riposare. Il letto non era comodo, il materasso sotto di lui era duro ma aveva dormito in posti peggiori.

***

«Tu mi vorrai ancora bene fratello?»
Dokor aveva guardato sua sorella con serietà, colpito dalla domanda. «Perché non dovrei?»
«Non lo so, vivi a palazzo con noi da anni ma temo che questa situazione possa cambiare l’idea che hai di tutti noi…di me.»
Dokor non aveva risposto subito, le paure della sorella erano ben fondate. Non riusciva a capire tutta quella situazione, non la voleva capire né fare sua, se si immaginava al posto del fratello una stretta lo colpiva allo stomaco. Ma non era solo l’idea del matrimonio, aveva vissuto con loro abbastanza da comprenderne le motivazioni, mantenere la linea pura era importante per la salvaguardia della famiglia reale, erano secoli che non nasceva della stessa linea reale un fratello e una sorella. E l’affetto tra loro non sarebbe mancato, a sua sorpresa nella sua testa non lo trovava più molto strano.
Ciò che non riusciva a mandare giù era l’espressione che Aesis aveva assunto da quando lo era venuta a sapere. Forse era cresciuta con quella consapevolezza ma si era resa reale solo in quel momento. Non era felice, solo consapevole.
I capelli più lunghi al vento, gli occhi in quel momento erano lucidi e consapevoli, la veste lunga e larga e le guance lievemente porpore. Era tanto bella e tanto triste. 
«No, sei mia sorella e lui è mio fratello, questo non cambia.»
Erix però era cambiato, da quando aveva il potere di regnare, da quando aveva deciso di sposare sua sorella. Tuttavia non riusciva a smettere di volergli bene, vedeva crescere in lui qualcosa di oscuro che voleva celare ai suoi occhi. Aveva da poco ritrovato una strada e su di essa qualcosa simile a un affetto familiare si era venuto a creare, non voleva perderlo, aveva già perso la persona che aveva creduto di amare e non aveva ancora avuto il tempo di essere triste, solo arrabbiato.
Aesis si era portata la mano al polso, dove un tempo teneva il suo bracciale che da molto non indossava più. Dokor non gli aveva ancora chiesto dove lo avesse messo.
«Le carte mi hanno letto che tutto sta per cambiare.»
«Non dovresti basare la tua vita su delle stupide carte. Avranno anche un potere divinatorio ma devi viverla tu la tua vita.»
Aesis sorrise. «Non devi odiarli solo perché chi ami ti ha allontanato.»
Dokor aveva stretto il pugno, voltando lo sguardo. «Ma per il tradimento posso.»
«Dokor…non eri l’unico ad amarlo. Ha fatto la sua scelta.»
«Non ne voglio parlare. Devo partire ora.»
Era stata l’ultima conversazione su Elyim che avessero mai avuto. Poco dopo il nucleo familiare che credeva di aver creato si era sfaldato tra le sue mani.

Dokor si svegliò di soprassalto, il volto di sua sorella ancora impresso sotto le palpebre come un marchio a fuoco. Avrebbe voluto ricordare i momenti in cui sorrideva e non quel periodo in cui la sua espressione era mutata in una costante rassegnazione.
Non avevano mai più parlato di Elyim e Dokor a lungo andare se ne era pentito, si chiedeva se Aesis in caso contrario si sarebbe comportata diversamente e gli avrebbe detto della sua volontà di vederlo e del motivo, magari non sarebbe morta.
Dokor non sapeva nemmeno se il pugnale che l’aveva colpita era stato quello di Elyim, forse nella corte era successo qualcosa, ma niente cambiava che Elyim era stato presente e che non aveva fatto quanto bastava per riportarla viva a casa sua.
Si sollevò dal letto guardandosi intorno e imprecando. Le corde con cui aveva legato Elyim erano vuote e di lui non c’era traccia nella stanza.
Era certo di averlo legato stretto e di averlo anche imbavagliato per impedirgli di disturbare il suo sonno. Si sollevò di scatto recuperando il suo pugnale e la mantella e coprendosi quanto bastava per celare il suo volto. Aprì la porta e si fiondò giù per le scale. Cercò di percepire qualcosa dal legame ma era completamente silente, voleva dire che non si trovava in pericolo il che non era un buon segno, che avesse già trovato qualcuno dell’Arkadia per fuggire?
Si ritrovò nel piano terra della locanda, le fiaccole delle lanterne erano accese e rilasciavano una fioca luce aranciata, il sole era calato e il cielo si era scurito, tutta la stanza era resa opaca dalla grande quantità di fumo delle pipe e dei sigari e una piccola banda aveva preso a strimpellare, molti erano quelli che bevevano bevande tra le più disparate.
Dokor evitò un’ancella e si fece largo fino a che non notò una figura seduta in mezzo alle altre, aveva gli occhiali a doppio fondo sugli occhi e il velo intorno al capo che mascherava i suoi capelli lasciando intravedere solo le punte, anche le orecchie erano tenute nascoste e aveva indossato dei guanti che aveva sicuramente rubato. Teneva in mano delle carte e intorno a quel tavolo c’erano diverse persone.
Dokor strinse la mascella facendosi avanti.
«Oh bene, ecco il mio compagno. Vedi di non barare come prima.»
Elyim sorrise al suo avversario, un uomo panciuto con un sigaro tra le labbra coperte dalla folta barba, i capelli nascosti da un turbante che nel centro aveva una gemma. Portava diversi anelli e diversi bracciali, alcuni dei quali rilasciavano una debole energia magica.
«Che stai facendo.»
«Ci sto procurando quello che ci serve. In modo leale.» Buttò giù la sua carta, mostrando la regina di Fiori. Una donna si avvicinò a lui, strusciandosi in modo mellifluo e mettendo in mostra il seno.
«Incredibile la fortuna è proprio dalla vostra parte.»
«Il vostro compagno non gioisce con voi?» Commentò un’altra, guardandolo. Dokor roteò gli occhi riuscendo a stento a mantenere la rabbia.
«Lui non sa divertirsi, né festeggiare.» Elyim prese il gruzzoletto chiuso nella sacca posta dinanzi a lui, era lo stesso che Dokor aveva nella sacca, solo che ora contava più monete. L’avversario mandò un’imprecazione agli antichi dei e buttò le carte sul tavolo.
«Bene qui hai finito, dobbiamo tornare nella stanza e riposare prima del viaggio.» Voleva ucciderlo, era convinto che in quel caso nemmeno il loro legame sarebbe stato in grado di salvarlo. Vederlo lì circondato di un numero consistente di persone e con in mano un bicchiere di liquore scadente.
Elyim lo guardò per poi alzarsi tenendo stretta la sacca. «E qui finisce il divertimento.» Una donna strinse il suo braccio per poi farsi vicino a Dokor, aveva un profumo molto forte, un corsetto ricamato e una gonna lunga. «Ce lo aveva detto che il suo maestro era severo, ma perché non vi unite a noi invece di tornare in cabina?»
«Venite del palazzo reale?»
«No.» Dokor continuò a guardare con insistenza Elyim, mentre sorrideva cordialmente alla donna, l’unica cosa che riusciva a sentire chiaramente era il suo pugno che si stringeva e il braccio che era pronto per colpire, era a un passo dall’accogliere quella necessità.
Elyim si stiracchiò, mentre l’uomo gli richiedeva un ulteriore scontro con le carte. Era incredibile come fosse a suo agio in una situazione del genere, aveva vissuto come un nobile per anni e doveva aver frequentato molti di quei posti, per di più aveva vissuto nelle corti, quella sua apparente flemma e noncuranza erano tipici. Anche in quel momento che era un ricercato e un prigioniero si comportava come se tutto fosse nelle sue mani.
Maledetto bastardo.
Non poteva certo mettersi a urlargli contro in quel momento, ma poteva emanare sentenze di morte da tutto il suo corpo, mentre l’altro gli sorrideva in modo beffardo.
«Avrei giurato di sentir salire qualcuno proveniente dal palazzo reale.»
«Davvero?» la donna sorrise, mentre altri si facevano vicini.
«Mi sembra di averti già visto.»
Cominciava a sentirsi sopraffatto, emanando sguardi di fuoco verso Elyim, che dal canto suo continuava a sorridere come se si stesse divertente, mischiando le carte senza un motivo. Voltò solo gli occhi verso il suo avversario, serio. «Chi perde non chiede al vincitore di riprovare. Mi sono stufato.»
«Siete un soldato de deserto? Solo loro hanno una postura così dritta e portano i capelli legati in questa maniera.» Parlò un altro lì in mezzo, erano tutti abbastanza allegri da essere interessati a lui senza un valido motivo.
«Sì mio caro maestro e amico, raccontagli delle tue battaglie in campo.» mormorò Elyim, mentre prendeva un sigaro da una ragazza.
Ma non riesce a capire quanto sia rischioso?
Dokor strinse le labbra, poi la sua attenzione venne spostata a una ragazza che era certo di aver già visto, indossava gli stessi vestiti che aveva sul treno, ma non riuscì a vedere l’uomo che l’aveva accompagnata.
«È per questo che prima ho affermato di conoscervi, vengo dalla capitale e voi avete uno sguardo conosciuto, se siete un soldato potrei avervi visto, tratto molto spesso con l’esercito.»
Se lo ritrovò tra la folla di persone che ora si erano interessati a loro, Dokor gli rivolse uno sguardo veloce, per poi voltarsi verso Elyim, anche lui lo stava osservando con attenzione, gli occhi socchiusi illuminati dal sigaro che bruciava, fece una profonda tirata per poi alzarsi.
Il mercante si fece vicino, aveva anche lui le stesse vesti e lo tesso sguardo che lo aveva impensierito quando lo aveva trovato nella cabina, era furbo e attento, e ogni persona che conosceva con quello sguardo aveva tentato di fregarlo.
«Potreste dirmi la divisione di cui fate parte.»
«Non serve, non ho mai molto trattato con i mercanti, sono un pessimo barattatore.»
L’uomo spostò lo sguardo su Elyim che con la sua solita calma si era avvicinato con passo felpato e lo aveva ignorato, rivolgendo il suo sguardo verso Dokor. «Mi raggiungi in cabina? Ci aspettano giochetti interessanti.»
Nell’ultima parte aveva rivolto lo sguardo verso il mercante accennando un sorriso. Dokor aveva liquidato tutti e gli era andato dietro trattenendosi dallo sbatterlo al muro e prenderlo a pugni.
Quando la porta si era chiusa dietro di lui lo aveva visto muoversi come un gatto che si sgrullava la cenere di dosso, mentre poggiava il sigaro spento sul mobile vicino il letto e si liberava i capelli dal telo.
«Sei impazzito? Quale parte della necessità di rimanere nascosti non hai capito?»
«Non lo so, tu non sei molto chiaro.»
Non aveva urlato, il suo tono si era abbassato mal celando un’ira che lo investì tutto insieme, si ritrovò a prenderlo per il colletto della veste. «Credi che sia un gioco?»
«Forse.»
Dokor imprecò, stringendo la presa. Voleva così disperatamente picchiarlo anche se cominciava già a sentire le restrizioni del vincolo attanagliare i suoi arti.
«Non prendermi per il culo Elyim!»
I suoi occhi scintillarono, le sua mani dalle dita lunghe e le unghie spezzate si aggrapparono alla sue, coprendole.
«L’ultima volta che ci siamo visti l’hai fatto tu con me.» Sussurrò con malizia.
Dokor lo colpì senza pensarci, aspettandosi di sentirsi bloccare. Le sue nocche entrarono in contatto con lo zigomo di Elyim che fece un passo indietro per il colpo incontrando il letto dietro di sé, Dokor lo vide cadere all’indietro perdendo l’equilibrio con un verso di sorpresa.
Lo aveva potuto colpire? Che diavolo voleva dire? Il vincolo doveva essere mutato o non avevano considerato che gli avrebbe permesso di prendersi a pugni fino a che fossero rimasti vivi? Poteva apprezzare quel risvolto.
Un verso inaspettato e di dolore uscì dalla gola di Dokor quando Elyim aveva alzato la gamba per colpirlo con un calcio al ginocchio, prendendolo al centro. Dokor non si era aspettato tutta quella situazione, cadendo in avanti e ritrovandosi addosso ad Elyim e permettendogli così di prendere l’iniziativa di colpirlo al fianco, se non fosse stato così debole ancora era certo che sarebbe riuscito a fargli molto più male.
«A quindi possiamo pestarci, ottimo a sapersi.»
«Smettila.»
«Hai iniziato tu, principe idiota e mi stai anche addosso! Levati!»
Lo spinse con forza. Dokor si sollevò mettendosi di lato e fermando il pugno che Elyim aveva diretto verso il suo viso quando si era sollevato e messo seduto. Tenne il polso stretto bloccandoglielo e senza pensarci lo tirò verso di sé, facendolo sbilanciare in avanti. Per un momento più lungo del previsto i loro respiri si unirono, Dokor riuscì nuovamente ad osservare le varie tonalità di rosso che Elyim aveva chiuse dentro gli occhi.
Dokor si impose di calmarsi, non sapeva spiegarsi perché avesse agito così, perché lo avesse tirato verso di sé in quel modo, sperava solo che i suoi vestiti mascherassero il rumore che il suo cuore faceva, il suo sangue pompava nelle vene a una velocità che non si era aspettato, era furioso e se avesse potuto avrebbe voluto schiacciarlo sotto di sé.
Era certo che se avesse mostrato parte di quelle sue sensazioni Elyim sarebbe stato in grado di rigirarle a sua favore.
«Vuoi rompermi il polso? Dopo ci penserai tu a risolvere il problema.»
Era austero, i suoi occhi erano mortalmente seri, niente a che vedere con la prima volta in cui si erano ritrovati su di un letto insieme, riusciva ancora a ricordarne le sensazioni e a riviverne le immagini coperte solo da una lieve nebbia dettata dal tempo. Avrebbe potuto ripercorrere tutto il percorso che le sue mani avevano compiuto.
Le pupille di Elyim erano ristrette come quelle di un gatto, un tempo era successo quando lo aveva toccato senza chiedergli nulla, come se si fosse sentito in pericolo. Le altre volte era stato per le emozioni che aveva provato, per il modo in cui lo aveva toccato, avrebbe voluto chiedergli perché gli stava succedendo anche in quel momento.
«Il tuo corpo è più sincero di te.»
Un singulto colpì il respiro di Elyim, i suoi capelli erano sfuggiti alla treccia e delle ciocche erano calate in avanti tra loro. Non voleva lasciarlo andare e lui doveva aver compreso cosa stava accadendo.
Ecco, ora puoi fare quello che vuoi.
D’altronde anche Elyim era un cacciatore, lo erano entrambi, per quello era sempre così difficile riuscire a prendersi.
«Anche tu sei più sincero ora, da quanto volevi questo è?» i suoi occhi si assottigliarono con sospetto. Dokor sentì montare l'ennesima ondata di desiderio senza saperla comprendere.
«Di averti tra le mie mani? Non l’ho mai nascosto.» Un uncino nella carni gli tirava il petto, come se dovesse avvicinarsi di più. L’espressione di Elyim cambiò, come se non fosse riuscito a reprimere del tutto i piccoli segnali della sorpresa e Dokor sentì il suo corpo rispondere con un altro strattone nel petto alla vista dei suoi occhi.
«Tra le tue mani...»
Lo ripeté con voce più bassa e quelle parole sembrarono metterlo a nudo, la verità allo scoperto aleggiava tra loro e il silenzio li aveva colti come se potesse colmare il baratro che li separava. Elyim aveva il respiro corto, così simile al proprio. Dokor allungò una mano pronto a cogliere qualsiasi movimento della pupilla dell’altro, ma dove prima si era avventato ferocemente in quell’istante le sue dita si poggiarono più dolcemente di quanto si aspettasse, sotto la pelle calda di Elyim percepì un piccolo spasmo, a Dokor ricordava molto il modo in cui Caa’li riconosceva il suo tocco.
Posò le dita sulla sua mascella e il pollice lungo la curva del collo, avrebbe potuto fare tutto, anche stringere fino a lasciarlo senza fiato. Era certo di volerlo fare, era certo che doveva pagare.
Il corpo di Elyim era sempre controllato, in quel momento sembrava pronto alla fuga, lo sentiva da come emanava tensione e da come il fluido fantasma della sua magia entrava in contatto con lui facendo frizzare l’aria tra di loro. Si allungò appena verso la guancia, lasciando scivolare da sé la fantasia di quel potere che avrebbe potuto avere approfittando di quel momento.
Dokor in quel momento si sentì rinchiuso nel suo corpo di sette anni prima, quando erano entrati nella locanda per gioco, sfottendosi della situazione in cui si erano cacciati e non erano usciti più dopo due ore ma solo la mattina seguente. I suoi occhi si spostarono verso le sue labbra, si sentiva famelico e quel fuoco aveva bruciato ogni ragionamento logico.
«Siete nella vostra cabina?»
Qualcuno bussò e improvvisamente tutto divenne lucido. Elyim ebbe un piccolo sobbalzo e imprecò a bassa voce. Si separarono velocemente e Dokor si maledì, come aveva fatto a non sentire i passi arrivare vicino la porta?
Si sollevò in piedi con lo stomaco annodato e fece qualche passo verso la porta, senza voltarsi.
Non sarei dovuto entrare in una locanda con lui. Avremmo dovuto dormire per strada.
Dokor aprì lentamente la porta ritrovandosi davanti il mercante ladro. Avrebbe voluto sbattergliela sulla faccia e lasciarlo svenuto a terra.
«C’è un particolare motivo per cui mi ritrovo il vostro volto sempre da qualche parte?»
«Mi dovete scusare l’increscioso disturbo, volevo solo discutere un po' con voi.»
Dokor strinse il pugno.
«Stiamo riposando, ci attende un lungo viaggio.»
«Temo che le persone potrebbero pensare che il vostro...compagno abbia rubato qualcosa, qualche moneta di troppo.»
In quel momento era complicato comprendere se il calore che sentiva fosse dato da ciò che era successo poco prima o dall’urgenza di picchiare Elyim.
Il diretto interessato aprì la porta da dietro a lui, i capelli poco prima sfatti coperti nuovamente dal velo, il sorriso sul volto, «ma prego entrate pure, avevo voglia di giocare con i dadi nel frattempo ma il mio compagno è un pessimo giocatore e sfidante. Mentre parliamo potreste unirvi al gioco.»
L’uomo sorrise con fare predatorio.
«Perché no, gran parte dei miei affari sono basati sulla fortuna che mi accompagna.»
Dokor chiuse la porta quando entrò anche la donna, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo. L’uomo osservò la stanza nel centro, tenendo sempre in mano la sua piccola sacca di cuoio. Elyim aveva nel frattempo già tirato fuori i dadi e la bottiglia di alcool offerto dalla locanda con qualche bicchiere.
«Tutte le cabine sono uguali, abbastanza fatiscenti. La vostra quantomeno è più grande.» Portò gli occhi nuovamente su di loro. «Mi presento finalmente, mi chiamo Dreium
Grad, sono un mercante.»

«E una sorta di ladro che usa la scusa di un furto per entrare nella stanza di quello che accusa di essere un ladro.» Sorrise Elyim sedendosi sulla sua sedia e prendendo dei dadi in mano, Dreium si fece avanti e si mise seduto dinanzi a lui, la donna prese il posto al suo fianco.
Dokor si fece da parte sconsolato, la sua mente stava viaggiando, avrebbe voluto cacciarli senza pensarci troppo sopra ma c’era certamente qualcosa che non tornava e temeva che quell’uomo sapesse qualcosa, forse in parte voleva credere che anche Elyim avesse notato qualcosa di più, sperava solo nel suo buonsenso o l’intero deserto si sarebbe messo a braccarli.
Si mise seduto di fianco ad Elyim aspettando il suo turno. Il primo giro di lanci avvenne in silenzio, il vincente fu Elyim, Dokor non ne fu sorpreso, aveva passato notti intere a sperare di batterlo, ci era riuscito raramente e non era certo che fosse avvenuto per la sua fortuna quanto per un sentimento di pietà dal suo compagno di stanza.
Elyim si accese un altro sigaro che gli venne offerto dall’uomo per la sua vincita, dopo il secondo turno il mercante sorrise.
«Avete una mano decisamente fortunata.» Mise la mano in tasca tirando fuori due dadi bianchi e lucidi. «Userò i miei ora, potremmo alzare la posta in gioco.»
Elyim non si scompose, poggiandosi contro lo schienale. «Ovvero?»
La donna rimase in silenzio mentre l’uomo parlava, anche lei aveva buoni lanci ma nessuno che fosse servito a battere Elyim. «Siete un mezzo Efir, niente ha più valore. Una ciocca di capelli?»
Dokor scattò. «No.» S’intromise serio.
«È solo una ciocca, porterà fortuna nel mio viaggio se potrò averla. Lo percepisco da lontano che avete una retaggio molto potente, i vostri colori così rossi lo affermano.»
Elyim si irrigidì, Dokor lo percepì mentre era seduto al suo fianco e lo osservava levarsi il velo dalla testa.
«Voi potrete non avere rispetto per il vostro corpo ma qui non si tratta di una ciocca di capelli. Si tratta del fatto che il suo corpo non è una vincita. Vi accontenterete dei soldi che abbiamo.»
Era agitato, troppo agitato. Era troppo rischioso, voleva mandarli fuori prima che potessero intuire troppo. Lo sguardo di Elyim si posò su di lui ma Dokor era troppo nervoso perché potesse notare l’assottigliarsi del suo sguardo.
«Il mio compagno è molto protettivo nei miei confronti, teme gli schiavisti, ma qui siamo tra gentiluomini. Una scommessa è una scommessa solo se divertente, mi va bene, vi darò una ciocca solo se la vostra fortuna avrà l’ardire di sfidare la mia.»
Dokor ricordava che anche lui un tempo aveva creduto che in quel gioco contasse solo la fortuna e per quel motivo lo aveva sempre ritenuto abbastanza stupido, accanirsi per qualcosa che era dettato dal fato. Elyim gli aveva spiegato che grazie a ciò nessuno si concentrava mai su come lanciare i dadi, avevano una forma ottagonale e quindi il modo in cui li si faceva ruotare nel palmo poteva determinare l’uscita di un numero alto o basso, non era mai certo ma aggiungeva una percentuale di vincita notevole al di fuori della fortuna. Aveva provato ad imparare ma non ci era mai riuscito molto.
Dokor cercò di non dare a vedere quanto fosse contrariato dalla situazione, riempì i bicchieri una volta che si svuotarono. Nel mentre cominciarono a conversare del più e del meno, come se fossero amici di vecchia data, la maggior parte dei discorsi che stavamo intrattenendo lo annoiavano ed era certo che annoiassero anche Elyim.
Era bravo anche in quello, far sentire coloro con cui parlava pieni di attenzioni o dei completi idioti nel momento in cui si annoiava.
«So che ci sono dei disordini nella capitale.»
Elyim fece spallucce, buttando giù la cenere del suo sigaro. «Ah si?»
«Non venite da lì? Facevate parte della guardia d’orata? Avrete certamente frequentato l’accademia.»
Dokor prese la parola mentre faceva il suo lancio, uscì un numero alto. «È molto che non torniamo in realtà, non abbiamo diretti contatti da mesi e per questo non sappiamo tutte le ultime notizie del momento.»
«Dicono che nessuno abbia più visto il processato e che L’Arkadia si sia fatta più forte, non essendo intimorita da un processo che, sempre secondo le voci, si dice non avverrà.»
Elyim sorrise lievemente. «Parlate di un possibile perdono?»
Il suo lancio ebbe due numeri in più di Dokor, quattro in più dei loro sfidanti, segnando la sua vittoria, si allungò verso il mazzetto di monete portandolo verso di sé.
«Di una fuga, dicono che durante il processo sia successo qualcosa e nessuno ha più visto gli interni al Dekatum né la famiglia reale, si pensa che se lo siano lasciato sfuggire sotto il naso.»
«Eravate al processo?» Dokor si sistemò sulla sedia, mascherando il suo nervosismo dietro la serietà.
L’uomo di mezz’età scosse la testa, spegnendo il sigaro consumato.
«No, ma ho buoni informatori tra i mercanti delle alte sfere, gran parte dei loro rifornimenti li gestisco io.»
«Non sarebbe davvero scandaloso se fosse così? Vantano una così grande schiera di guerrieri.» Elyim bevve subito dopo per mascherare una risata. Dokor lo colpì sotto al tavolo facendolo sussultare appena.
«So che il generale, il nostro principe, ha dei lati simpatizzanti per le creature del deserto, e in particolare per gli Efir.»
«Davvero? E dovrebbe essere di una qualche importanza?» Elyim guardò la donna e subito dopo il loro ospite indesiderato. «Anche voi non sembrate negarvi la nostra compagnia. Nella gilda dei mercati tra i più facoltosi nascondono retaggi di sangue Efir nelle vene.»
«Oh non vorrei essere impreciso, chi ha sangue misto non ha alcuna colpa del suo retaggio, benché non siano totalmente affidabili, tra me e la mia compagna di viaggio c’è un patto di garanzia reciproco.»
«Non ho scelto io di essere così, ma almeno cerco di sfruttarlo a mia vantaggio.»
Rispose lei tenendosi sempre sulle sue, aveva un retaggio abbastanza debole se messo in confronto a quello di Elyim. Tuttavia era raro trovare qualcuno che lo rinnegasse in tal modo. Ed era il motivo per cui Dokor osservò Elyim interessarsi solo a lei in pochi secondi e non in maniera positiva, tutta la sua energia e la sua aurea emanarono una sensazione di pericolo e tradimento. Come se il rinnegare di quella donna lo coinvolgesse personalmente.
«In ogni caso, si vocifera che il principe si sia opposto alla condanna a morte.»
Dokor divenne teso e tenne gli occhi verso il mercante. «Ah sì? Forse può esserci strategia in un tale pensiero. Posso sapere da chi viene la diceria? Dai mercanti?»
L’uomo annuì.
«Non hanno mai nutrito simpatia nei suoi confronti.»
«Sicuramente avrà avuto qualcosa in mente, è solo che molte volte le sue azioni non sono ben comprensibili.»
Dokor si irritò ma guardò la donna che continuò a parlare. «Non ha ancora mosso l’esercito contro le terre rocciose, il mercato subisce danni continuamente per il mancato collegamento.»
«Sapete, la mia casa è lì vicino, forse conoscere voi era destino. Credete che sarebbe possibile per voi… fare una richiesta di aiuto?»
«Aiuto?» Dokor osservò velocemente Elyim, che nuovamente nascose un sorriso divertito dietro la mano.
«A fare in modo che si possa creare una via mercantile da attraversare facendo spostare la corte che si trova lì.»
Dokor trattenne la sorpresa e la risata che gli stava per sgorgare dalla gola, di Elyim non poté dire lo stesso.«Il deserto roccioso? Lo stesso territorio che è sotto il potere del re delle rocce? Lo Spaccatore? Nessun esercito prenderebbe iniziativa per muoversi in quel verso, è una delle poche corti rimaste neutre alla guerra, purché si rispettino i loro territori.»
«Dovremmo quindi accettare che il mercato rallenti i suoi giri? Che i nostri territori siano usurpati.»
«Le creature del deserto c’erano prima. È il loro territorio.»
Elyim bevve un sorso sollevando il sopracciglio mentre lo guardava, posò il bicchiere sul tavolino attirando l’attenzione con il tonfo che fece.
«So che il mercato ha già la sua via che aggira la corte, ci sono addirittura pochi scontri, lo Spaccatore non è interessato al mercato umano, con una via sicura perché scatenare uno scontro? Per cosa poi? Un pezzo di deserto senza acqua, pieno di rocce, secco e terribilmente afoso, non c’è nemmeno un’oasi vicina.»
La donna li guardò con sufficienza. «La via è troppo lunga ed è stancante per i mercanti, per non parlare dei molti carichi che marciscono nel viaggio.»
«Inoltre ritengo che definire una strada sicura con una Corte Efir così vicina non sia del tutto corretto, la maggior parte dei mercanti ne percepisce la minaccia.»
Elyim poggiò la schiena alla sedia, guardandolo. «Mi sembra troppo chiedere una guerra per una strada. Gli Efir di quel territorio comandano la terra e si nutrono dell’afa che il calore crea in quella zona, gli umani solitamente ci muoiono. Ho sentito anche di chi vi prende fuoco sotto il calore del sole quando è nel punto più alto del cielo.» Trasse l’ultimo tiro dal suo sigaro, per poi spegnerlo senza curarsi della cenere che cadeva a terra. Fece l’ultimo tiro con il dado, sorridendo divertito. «Ho vinto, non avrete oggi i miei capelli.»
Dokor cercò di calmare gli animi mettendosi dritto con la schiena e restituendo il dado a Dreium.
«Vedrò se riuscirò a mettermi in contatto con qualcuno dell’esercito e se con gli ultimi movimenti sia possibile fare qualcosa. Adesso direi che la partita è conclusa.»
«E quando avverrà? Nel frattempo i miei carichi e quelli della gilda dei mercanti sono in continuo rischio. Sappiamo bene quali azioni andrebbero svolte ma sarebbe necessario parlare con il Re, so che la sua clemenza nei confronti degli Efir è diminuita, forse finalmente qualcuno che potrà liberarci dalla loro piaga.»
Dokor strinse il pugno, ma non fece in tempo a parlare che il mercante si voltò nuovamente verso Elyim. «Volete alzare un po' la posta in gioco?»
«Potrebbe essere divertente. Ma altri soldi? Non sono interessato, abbiamo vinto quanto ci basta.»
Rispose annoiato, voltando lo sguardo. L’uomo richiamò la sua attenzione prendendo la sacca e tirando fuori da essa un barattolo con al suo interno contenuti una decina di occhi ammucchiati tra loro e non lavorati per la presentazione.
Solitamente sul mercato erano cristallizzati, resi come se fossero pezzi di vetro lavorato e difficilmente si andava a pensare con quanta violenza venissero strappati da dei corpi reali. Non li si vedevano mai in quello stato, sporchi di sangue raggrumato, spenti di ogni possibile luce, schiacciati tra loro mentre anche da chiusi emanavano un odore nauseabondo. Tirò fuori un ulteriore scatola sigillata e l’aprì rivelando delle dita essiccate, delle ossa non lavorate e piccole creature bloccate da spilli.
Dokor fece una smorfia di disgusto e vide Elyim sbiancare, perdendo del tutto il sorriso che fino a poco prima aveva. La sua postura era rigida e i muscoli tirati, spostò gli occhi verso la donna che non sembrava molto toccata dalla cosa, anche se aveva voltato lo sguardo.
Poteva sentire la sua ira crescere.
«Che cos’è questa roba?» Dokor sollevò gli occhi sul mercante, stringendo le labbra tra loro senza nascondere il disprezzo.
«Mercanzia.»
«È una tratta di parti illegale, non si possono trasportare senza permesso tanto meno prenderle.»
«Permesso? Sono parte della Gilda dei mercanti, il mio lavoro è avere la materia migliore per permettere la creazione di oggetti utili a tutti, anche il vostro anello di osso è stato creato grazie ai mercanti.»
Dokor allontanò la mano come se fosse stato scottato, aveva odiato dover indossare quell’oggetto ma era stato necessario per portare avanti le sue qualità magiche, si era assicurato che fosse stato trattato da ossa di una creatura appartenente alla gilda dei maghi che era morto per cause naturali, ma questo aveva alleviato di poco il peso di averlo al dito.
«In ogni caso provengo da una famiglia di buona casta a cui è stata data la licenza per esercitare la professione all’interno della gilda dei mercati.»
«Non del mercato nero» rispose Dokor con tono baritonale, sentendo montare dentro di sé una forte collera. All’interno del mercato nero le cose giravano in modo diverso, non tutte quelle parti provenivano da creature morte o quantomeno adulte.
«Cosa volete?» intervenne Elyim, senza staccare gli occhi dall’uomo.
«Avete degli occhi splenditi, siete sicuramente un discendente di casta importante. Nessuno dei pezzi che ho ha questi colori, siete quel tipo di Efir che viene denominato una “giada del deserto”, mi manca.»
Devo mettere fine a questa storia.
L’uomo allungò appena la mano verso il volto di Elyim, indicando le parti che agognava di avere. Un verso di sorpresa lasciò le sue labbra quando il suo braccio venne sbattuto contro il tavolino con forza sotto la presa della mano di Dokor. Era certo di non aver sentito alcuna sensazione di pericolo da parte di Elyim, solo disprezzo, eppure era intervenuto lo stesso.
«Qui dentro non si fanno trattative per il mercato nero. Ho detto che il suo corpo non è oggetto di scommessa. Potrei denunciarvi alla guardia d’orata, non si possono avere parti di corpo dei Efir se sono in vita, non se si fa parte del mercato legalizzato.»
Dreium si voltò verso di lui, non sembrava troppo colpito dalla minaccia. La donna aveva messo la mano al pugnale, pronta a colpire.
«Non scateniamo una guerra qui dentro, abbiamo trovato una maniera molto più divertente e civile. Se non volete partecipare potete uscire.»
«Fatti da parte» Elyim gli spostò il braccio facendogli lasciare la presa sull’uomo, Dokor si voltò verso di lui.
«Sei fuori di testa? Che pensi di fare?»
«Ho detto che devi farti gli affari tuoi.» I suoi occhi scintillarono e la sua voce fu simile a un ringhio. Tornò a guardare l’uomo. «Affare fatto, se vinco io avremo tutti i pezzi e tutto il denaro in vostro possesso, nonché la vostra identità nelle mie mani. Per la vostra parte in caso di vincita avrete sicuramente ciò che necessità per l’estrazione.»
L’uomo fece un cenno ed Elyim chiuse il pugno con forza. Dokor non gli avrebbe permesso di andare fino in fondo o che quel mercante lo toccasse, sarebbe intervenuto in qualsiasi modo. Era una situazione troppo pericolosa, soprattutto per la perdita di controllo che il suo compagno stava avendo.
«Vedi di stare calmo, non è il momento adatto.»
Elyim si voltò verso di lui con uno scatto.
«Di ogni pezzo richiesto ne ho un altro. Si chiama contrattare, se non sei capace fatti da parte.» Lo fronteggiò sollevandosi in piedi.
Dokor si fece vicino. «Stai perdendo il controllo, non sei lucido.»
«Non ti mettere in mezzo. Potrei dire a tutti chi sono e cosa stiamo facendo.»
«Oh su questo non preoccupatevi troppo, avevo qualche dubbio ma mi sembra di capire che forse la fuga del prigioniero non è poi tanto fasulla.»
Nonostante le parole dell’uomo Elyim non smise di guardare Dokor, che dal canto suo continuò a ricambiare lo sguardo. Avrebbe voluto afferrarlo e allontanarsi da lì o prenderlo a schiaffi. Poteva capire la sua ira ma stava del tutto perdendo le staffe.
«Bene. Se sapete chi siamo non perdete tempo a fare le vostre minacce e sparite di qui.»
«Siete sicuro di ciò che dite? Ne avrei più da guadagnare a consegnarvi.»
«Sei il prigioniero...fai parte dell’Arkadia.» La donna si sollevò di scatto, allontanandosi di qualche passo. La mano stringeva ormai l’elsa del pugnale.
Elyim si voltò nuovamente tornando con gli occhi scintillanti di rabbia verso l’uomo. «Abbiamo un accordo.»
«Ho detto di no. Fuori di qui.» Ringhiò Dokor, furibondo.
«Davvero? Non mi interessa cosa fate con lui, ma questo accordo è conveniente per tutti noi, non sono interessato al suo arresto, la guerra non fa che aumentare il disprezzo per le creature e può tornare utile ai miei fini. Voglio solo le parti del corpo richieste, che voi vogliate riportarlo in cella o farne un uso personale è conveniente anche per voi, sarà più docile.»
Dokor tremò dalla rabbia, Elyim aveva perso le staffe ma qualcosa dentro di lui si ruppe e la voce che gli imponeva di rimanere imparziale il più possibile si spense. Non aveva avuto la certezza che quell’uomo avesse intuito chi era, era stato chiaro solo su di Elyim, avrebbe rovinato la sua vita, tutta la scalata che aveva portato avanti, tutta la falsa che aveva montato per tenersi il posto che si era guadagnato. Tutto scomparve e il suo tono di fece imponente mentre sbatteva la mano sul tavolino.
«Fuori. Ora
Dreium sussultò appena ma nessuno dei due fece in tempo a fermare la mossa di Elyim. Si era spostato velocemente verso la donna, sbattendola contro la parete e colpendola con furia. Dokor se lo sarebbe dovuto aspettare, il tradimento che doveva aver sentito dentro di sé non era qualcosa che avrebbe ignorato, nessuna creatura vi sarebbe passata sopra.
Poteva avere la vita da criminale che desiderava, ma che si affiancasse in quel modo a un mercante del mercato nero e che rinnegasse il suo sangue era stato troppo. Dokor fece per avvicinarsi ma fu distratto dal dover bloccare il mercante dal colpirlo.
Un rombo lontano fermò il tempo. Le finestre chiuse bloccarono il corpo proveniente da fuori ma l’intera casa sembrò tremare facendoli barcollare tutti, Dokor riuscì a tenersi in piedi mentre Dreium cadde a terra. Elyim e la donna si schiantarono contro la parete di pietra impreparati.
Qualcosa stava avvenendo fuori dalla locanda. Dokor si avvicinò alla finestra, aprendo una sola anta. L’aria era piena di sabbia sollevata da quella che doveva essere stata un’esplosione relativamente lontana, sotto di lui, per la strada, diverse persone avevano preso a correre in confusione.
«Un attacco.»
«Maledetti Efir. Hanno attaccato i nostri territori. Sono i terroristi dell’Arkadia.»
Elyim sollevò il volto, rimettendosi dritto e separandosi dalla donna. «Devono aver attaccato una monorotaia vicina.»
Dokor si voltò, chiudendo l’anta mentre percepiva il tremolio del terreno sotto di loro. Lo scontro non doveva essere finito.
«Le monorotaie sono controllate, ogni singolo Efir deve essere dichiarato e avere un permesso, sono controllate e protette dalle rune.»
«Non tutto passa per la magia.» Elyim sorrise. «Voi inventate marchingegni come le bombe, possiamo usarle anche noi. Devono essersi infiltrati, avranno fatto saltare qualche carico. Tra poco potrebbero attaccare la città.»
Dokor trattenne la rabbia nel sentire che il suo tono era calmo e lucido, come sapesse del pericolo e di quella eventualità, non glielo aveva detto. La città mercato era tra le più sorvegliate di tutte per la sua importanza e per i continui attacchi che subiva, la maggior parte appartenevano a piccole fazioni ribelli che avevano voluto affrontare la fortuna.
L’arkadia in sé non aveva mai tentato un diretto attacco e Dokor sperava di non ritrovarsi proprio in quella eventualità.
«Fate qualcos...!»
La voce della donna morì in un gorgoglio improvviso, i suoi occhi si spalancarono e il sangue prese a sgorgare dalla sua gola aperta, riuscì a portare le mani intorno al collo emettendo gli ultimi versi grotteschi prima di perdere qualsiasi luce negli occhi. Elyim roteo nella mano il pugnale che gli aveva rubato, macchiato di sangue come le sue vesti.
«Adesso avete nuovo materiale per la vostra collezione.»
Si voltò nuovamente verso il mercante, seduto a terra ed immobile.
«Peccato che non avrete nessuna collezione da portare avanti. È davvero una noia, io non ci ricaverò niente dal vostro corpo.»

ANGOLINO
Grazie a chiunque legga >.<

   
 
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