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Autore: LorasWeasley    23/02/2024    1 recensioni
AU|Omegaverse [soukoku]
"-Prova a toccarlo e ti faccio a pezzi.
Dazai rise, non allontanandosi neanche di un millimetro dalla posizione che avevano in quel momento -Pensavo di aver capito che non ti interessasse di lui, che ti serviva solo per il suo potere.
-Questo prima di farlo nascere.
-E adesso?
-Adesso brucerei il mondo pur di salvarlo."
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il primo ricordo di Arthur era stata una lista di regole. Regole che ogni giorno gli venivano ripetute e che non dovevano essere assolutamente infrante per alcuna ragione.

  1. Non dire mai a nessuno il proprio cognome.

  2. Non dire mai a nessuno chi fosse la sua mamma.

  3. Non usare il proprio potere davanti alle persone se non per motivi di difesa personale.

  4. Non mettere mai in discussione gli ordini dei superiori.

Nonostante avesse solo quattro anni, non era stato difficile per lui seguirle giorno dopo giorno, poiché era quella la sua quotidianità: gli veniva naturale come gli veniva naturale respirare, mangiare e dormire.

Altra cosa che faceva parte della sua quotidianità, erano i diversi tipi di allenamenti che, ogni singolo giorno, il bambino svolgeva con alcuni membri della Port Mafia quando questi non avevano altre missioni.

 

La mattina iniziava sempre l’allenamento con Paul Verlaine. Era un allenamento per diventare un assassino, non che lo dovesse diventare per forza ovviamente, ma tutto quello che gli veniva insegnato gli sarebbe comunque stato utile nella vita, data la sua natura.

-Buongiorno- gli sorrise l’alpha biondo quando il marmocchio entrò all’interno della sua stanza che era un misto tra un ufficio e una sala allenamenti -ti senti carico oggi?

Arthur annuì facendo dondolare la codina che la sua mamma gli aveva fatto in cima alla testa per evitare che i capelli ramati gli cadessero davanti gli occhi.

Verlaine era appoggiato con il sedere al bordo della sua scrivania, una mano in aria che mostrò una tavoletta di cioccolato -Lo spero per te, perché c’è in palio questa oggi.

Gli occhi di Arthur si illuminarono, poi si mise in posa da combattimento.

-Come la vinco?

-Ti basta solo togliermela dalle mani.

E fu così che, desideroso di addentare l’intera tavoletta di cioccolato, il bambino iniziò quella lezione che avrebbe sviluppato la sua velocità.

 

Il pranzo lo passò con “la zia” Kouyou e anche quello faceva parte dell’allenamento.

Rapportarsi con gli adulti, essere educato, capire come e quando parlare in base alla situazione e all’evento in cui si trovavano erano tutte cose che avevano bisogno di un duro allenamento fin da piccoli.

Fu infatti la donna a insegnargli ogni cosa, facendo test e spiegando regole di galanteria ogni volta che riuscivano a pranzare insieme.

Kouyou era una delle uniche due persone al mondo a sapere chi fosse la mamma di Arthur, nonostante ciò il bambino evitava comunque di parlarne a meno che non gli fosse stato espressamente richiesto.

-Com’è andata con Verlaine?- domandò l’alpha mentre poggiava sul tavolino basso una serie di onigiri e della verdura scaldata come contorno.

Il bambino mise il broncio -Non sono riuscito a batterlo- ammise -ma mi ha detto che sono stato bravo quindi mi ha regalato comunque un pezzo di cioccolato.

La donna rise, poi gli si sedette di fronte ed entrambi ringraziarono per il cibo.

Arthur aspettò che fosse la donna la prima a scegliere da mangiare, così come gli era stato insegnato, e subito dopo afferrò lui stesso uno degli onigiri.

Kouyou sorrise soddisfatta di come si stesse comportando in modo impeccabile, ma si costrinse comunque a dire -Prendi anche delle verdure.

Arthur non riuscì a nascondere l’espressione di disgusto che gli cambiò il volto.

-Non mi piacciono.

Kouyou sospirò, poi promise -Se le mangi tutte dopo ci alleneremo con il pugnale.

-Davvero?- gli occhi castani del bambino si illuminarono diventando del colore del cioccolato al latte. Erano così simili a quelli di un altro ragazzino che per un periodo di tempo aveva scorrazzato allo stesso modo nei corridoi della Port Mafia, ma con la differenza che fossero ancora del tutto privi di oscurità.

-Promesso.

Arthur spazzolò tutte le verdure come se fossero la cosa più buona del mondo.

 

Ma l’allenamento più importante della giornata era quello che svolgeva il pomeriggio con Hirotsu. Un allenamento che si basava tutto sull’autodifesa.

Era stata la sua mamma a premere sul fatto che fosse una delle discipline che più doveva conoscere, poiché la sua sicurezza doveva essere messa sempre al primo posto.

Quel giorno si erano anche uniti due importanti membri della squadra dell’alpha: Gin e Tachihara, due beta senza poteri. Arthur adorava allenarsi insieme a loro perché non solo si divertivano sempre rendendo quasi tutto un gioco, ma anche perché quei due lo adoravano e lo riempivano un po’ troppo di attenzioni.

E Arhtur adorava stare al centro dell’attenzione.

Quando il bambino cadde a terra per la seconda volta di fila, Hirotsu interruppe l’allenamento e gli si avvicinò aiutandolo ad alzarsi -Ricordi cosa ti ho detto ieri?

-Sì, di abbassarmi e di colpire al ginocchio- rispose infastidito il bambino.

-E perché non l’hai fatto?

Arthur non rispose, uno sguardo di sfida negli occhi scuri mentre si rimetteva in posizione di difesa. 

Hirotsu, capendo che il bambino aveva capito il proprio errore e che non l’avrebbe commesso di nuovo, si allontanò e fece ripartire l’allenamento.

Tre ore dopo, Arthur stava mangiando soddisfatto e felice la mela che si era guadagnato, quando Chuuya fece il suo ingresso nella sala degli allenamenti.

L’uomo era colui che ogni giorno andava a riprendere il bambino alla fine dei suoi allenamenti -Arthur, hai finito? Ti riporto a casa.

Il bambino annuì velocemente mentre prendeva l’ultimo spicchio di mela che Gin gli aveva tagliato a forma di coniglietto e, mettendolo tutto in bocca, corse verso il dirigente della Port Mafia.

Fecero strada come sempre verso il complesso di appartamenti riservati ai membri più importanti del gruppo, Arthur che lo seguiva quasi correndo per riuscire a tenere il passo dell’adulto, senza dire una parola e restando a debita distanza come gli era stato insegnato.

Fu solo quando i due entrarono nell’appartamento di Chuuya e la porta fu chiusa alle loro spalle, che il bambino poté finalmente salutare l’uomo come si deve.

-Mamma!- esclamò abbracciandogli le gambe -Oggi sono riuscito a battere Tachi!

Chuuya sorrise intenerito, si tolse giubbotto, cappello e guanti e si chinò per prendere il bambino in braccio, sedendosi poi su una poltrona del soggiorno e sistemandolo meglio a cavalcioni su di lui.

-Davvero? Raccontami tutto.

All’interno della Port Mafia solo Mori e Kouyou sapevano che Chuuya fosse un omega e che Arthur fosse suo figlio. Ovviamente la gente non era stupida e non passava di certo inosservato il fatto che il bambino fosse una sua fotocopia in miniatura se si escludevano ovviamente gli occhi scuri, quindi probabilmente molti di loro erano convinti del fatto che Chuuya fosse il padre (in quanto ritenuto alpha) ma nessuno aveva l’autorità o il coraggio di chiederlo, quindi potevano solo fare supposizioni che nessuno tra quelli che sapevano la verità erano disposti a smentire o confermare.

E se quella di tornare nei loro appartamenti come se non si conoscessero per poi coccolarsi e parlare come una normale famiglia era una routine che avevano ormai consolidato, quel giorno c’era qualcosa di sbagliato.

Il sorriso morì sulle labbra di Arthur e si fece subito serio e preoccupato quando capì che la sua mamma non stava bene.

-É… Doc? Devo chiamare qualcuno?

Chuuya se lo strinse di più contro e gli baciò la fronte dopo avergli scostato i capelli ramati che gliela coprivano -No, sto bene, non sono ferito.

-Non è vero- rispose Arthur mettendo il broncio e accoccolandosi di più contro. Chuuya era un omega ma nessuno lo sapeva poiché aveva sempre nascosto il suo profumo, anche in quel momento era nascosto dal cinturino che portava al collo, ma nonostante ciò Arthur riuscì comunque a capire che la sua mamma era in stato d’angoscia.

-Non è nulla che non si possa sistemare con qualche coccola- ritrattò a quel punto l’adulto per evitare di mentire al suo bambino.

-Puzzi di alpha…

Questo fece nuovamente irrigidire Chuuya, ma cercò di rispondere come se la questione non l’avesse toccato -Sì, scusa. Ho combattuto con uno di loro, non lo vedevo da tanti anni e avevamo dei conti in sospeso.

-Hai vinto?

-Abbiamo pareggiato.

Arthur annuì, poi alzò la testa dall’incavo nel collo dove l’aveva poggiata e lo fissò con gli occhi socchiusi di gelosia -non mi piace che ti toccano gli altri, solo io posso abbracciarti.

Dopo quasi quattro anni dalla sua nascita, Chuuya pensava di essersi abituato alle espressioni del bambino così spaventosamente simili a quelle di Dazai, come appunto quando provava gelosia o fastidio, o come quando era pronto a fare una marachella sapendo che l’avrebbe fatta franca con semplicemente il suo fascino.

Tuttavia, quel giorno era diverso. Quel giorno aveva rincontrato lo stesso Dazai legato nei sotterranei della Port Mafia e avevano combattuto. Chuuya non lo vedeva da quando questo aveva abbandonato l’organizzazione, da quando aveva abbandonato lui senza una parola d’addio.

Ma la cosa che in assoluto gli aveva dato più fastidio era che quell’incontro sembrava aver scosso solo lui. 

Lo odiava.

Questo odio però non doveva toccare o coinvolgere quello che aveva con il proprio bambino, quindi allungò una mano per togliersi il collarino in modo da poterlo rassicurare con il proprio profumo, sorrise e propose -Ti va se ci facciamo un bagno insieme? Così tolgo di dosso questo odore fastidioso e tu mi puoi raccontare di tutte le cose che hai fatto oggi.

Arthur si aprì in un sorriso luminoso e scalpitò tra le sue braccia -Va bene!

Forse quella non era la vita che Chuuya aveva sempre immaginato, ma era felice e non voleva che nulla cambiasse. Sperò solo che Dazai sparisse di nuovo e che, soprattutto, non venisse a conoscenza di quello che era il loro bambino.
  
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