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Autore: Sapphire_    03/03/2024    0 recensioni
Quando Iris arriva alla festa in maschera di Giovedì Grasso, è convinta di star finalmente vivendo il suo momento da fiaba. Ha un vestito favoloso ed è sicura che, quella sera, riuscirà finalmente ad ammaliare Giacomo per cui ha una cotta da ormai mesi.
Peccato che niente vada come sperava.
Ed è in quel momento, quando ormai si arrende all'idea che nulla di quella serata ha le sembianze di una fiaba, che l'aiuto sopraggiunge inaspettato.
Di certo, non era in quel modo che si immaginava una fata madrina.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Chimes at Midnight








Non so dire esattamente il momento nel quale mi ero addormentata, ma a svegliarmi fu la voce nasale della Giamberti – decisamente non un risveglio piacevole.
«Vi ricordo che la scadenza per la consegna del paper è fra due settimane, potrete caricarlo a partire dalla prossima settimana.»
Il terrore di essere stata vista mi fece tirare su più velocemente di quanto volessi e finii per colpire accidentalmente il telefono poggiato di fianco al pc, che nel frattempo era andato in stand-by. Soffocai un’imprecazione mentre mi chinavo per raccoglierlo e, distratta e ancora assonnata, non mi accorsi del bordo sporgente finché non lo colpii con la testa.
«Merda.» questa volta non riuscii a trattenermi.
«Buongiorno, stellina.»
Lanciai un’occhiataccia a Giulia che, non cercando minimamente di trattenere le risate, sistemava il laptop dentro lo zaino.
«Potevi svegliarmi.» borbottai infastidita – ebbene sì, appena sveglia ero una di quelle persone insopportabili.
«Ci ho provato tre volte e ogni volta mugugnavi qualcosa e continuavi a dormire. Ho lasciato perdere prima che la Giamberti se ne accorgesse.» mi rispose per poi alzare gli occhi al cielo «Anche se conoscendola non so quanto le sarebbe importato.» mugugnò più tra sé che altro.
Il mio imbarazzo fu mascherato solo dal trucco più pesante che avevo usato quella mattina – unico modo per nascondere la faccia devastata dalla stanchezza della nottata precedente.
Ero tornata alle cinque del mattino e, piuttosto coraggiosamente oserei dire, mi ero trascinata alla lezione di mezzogiorno dopo qualche ora di sonno che non si era rivelata riposante quanto speravo, data la quantità di gin lemon ingeriti durante la notte. Il ricordo dei bicchieri che trangugiavo per non fare caso a Giacomo e Veronica che parlavano e ballavano ininterrottamente riemerse prepotente.
«Alla fine non mi hai ancora fatto vedere il vestito che hai indossato.»
Giulia mi riscosse dai pensieri e mi sbrigai a mettere via le mie cose mentre l’aula iniziava già a svuotarsi.
«Era su Persefone, giusto?» continuò guardandomi in attesa, già infilata nel cappotto caldo e con lo zaino poggiato sul banco.
Ma come, Persefone, non l’hai ancora capito? Sono la tua fata madrina”.
Le parole dello sconosciuto venivano scandite con estrema chiarezza nella mia mente, e con la stessa chiarezza il suo viso e la sua espressione si dipanavano tra i miei ricordi. Potevo ancora percepire distintamente come mi ero sentita quando, dopo il suo incantesimo, avevo osservato il mio riflesso.
La mitologia e la fiaba si erano mescolati in un altro racconto di finzione da cui avevo cercato di sfuggire per tutta la notte, cercando di concentrarmi sul presente, ma allo stesso tempo la mia stessa testa si prendeva gioco di me e accarezzava continuamente quei brevi ricordi cercando un modo per estraniarmi dalla sensazione di disagio scaturita dalla visione di Veronica e Giacomo.
«Sì.» risposi con finta indifferenza mentre mi avvolgevo la sciarpa al collo.
Giulia parve perplessa.
«?» ripeté «E mi dici solo questo? Mi hai tormentata con questo vestito per una settimana!»
«Tormentata? Gentile da parte tua.» ironizzai e l’anticipai verso l’uscita.
«Oh, avanti, sai che intendo! Non mi hai nemmeno mostrato una foto.» insistette lei.
Fuori il campus di San Giobbe era desolato come al solito, gli edifici aranciati che ricordavano capannoni invasi dagli studenti che si spostavano da un’aula all’altra.
Quando raccontavo di studiare a Venezia, la maggior parte delle persone pensava che facessi lezione in mezzo ai canali, o forse su una gondola, ma la verità era che la facoltà di Economia veneziana era circoscritta a un campus a differenza del resto delle facoltà umanistiche, sparse per i sestieri della città. Il resto degli studenti ci invidiava da morire per questo – Veronica in primis, che si lamentava di come dovesse girare come una trottola da una parte all’altra tra le diverse lezioni – e in generale non potevo negare la comodità di avere aule, biblioteca e bar vicini, ma rimanere sempre in quella circoscrizione era piuttosto deprimente.
Da quel punto di vista, il fatto che non fossi una pendolare e vivessi stabile a Venezia mi consentiva perlomeno di godermi la città nel tempo libero.
«A dire il vero c’è stato un problema con il vestito.» le accennai sedendomi rapida su una panchina miracolosamente libera.
«Che genere di problema?» mi guardò con gli occhi chiari spalancati, impegnata a girare una sigaretta con le dita veloci e abituate.
Tacqui per qualche secondo, incerta su cosa dire.
«In pratica, durante la serata una ragazza è inciampata sul mio vestito e l’ha strappato.» a quelle parole Giulia si bloccò con l’accendino a mezz’aria, un’espressione orripilata sul viso che mi fece quasi scoppiare a ridere «E poi la stessa ragazza mi ha versato per sbaglio il vino sul vestito.» conclusi con una smorfia.
Ancora ricordavo con vivido imbarazzo la sensazione di freddo e appiccicaticcio datami dal vino.
«Non ci credo.»
«Sul momento nemmeno io.»
Giulia continuava a guardarmi con gli occhi a palla e quell’espressione, unita ai suoi riccioli tinti di rosso, mi fecero ricordare una vecchia bambola che avevo da piccola.
Com’è che l’avevo chiamata? Lulù?
Mi distrassi appena con quel ricordo, ma ritornai subito al presente.
«No, vabbè, e tu cos’hai fatto?» mi chiese tirando nervosamente dalla sigaretta.
«In quel momento? Niente. Ho fatto finta di nulla perché – indovina un po’, sai di fronte a chi mi è successo?» le lanciai un sorriso amaro mentre lei, alla mia espressione, inorridiva ancora di più mentre comprendeva a chi mi riferissi.
«No.» disse incredula.
Annuii.
«E invece sì.»
Giulia si mise una mano sulla bocca.
«Giacomo? Proprio lui?» anticipò a bassa voce – perlomeno aveva l’accortezza di non urlare, dato che i nostri compagni di corso erano ancora intorno a noi. Mi si avvicinò.
«Ma scusa, non c’era con te quella tua amica – Veronica, giusto? Ti avrà aiutata, spero.» parlò a bassa voce e per la vicinanza il prepotente odore di fumo mi invase le narici.
«Sì, ma…» tacqui, incerta su cosa dire.
Non volevo parlare male della mia amica, d’altronde non era colpa sua né il fatto che Giacomo ci avesse provato con lei né che lei ci stesse. Piuttosto, io avrei dovuto essere più sincera. Ero consapevole di tutto ciò, ma non cambiava come mi sentivo.
Ovvero una schifezza.
Giulia mi guardava in attesa.
«Allora?»
Sbuffai.
«Proprio due minuti prima che succedesse questo casino con il vestito, Giacomo ha iniziato a provarci con lei e lei ci è stata.» dissi secca.
Se il ricordo non fosse stato ancora dolorosamente bruciante, sarei scoppiata a ridere all’espressione scioccata di Giulia, era come guardare un meme. Le ci volle qualche secondo per rispondere.
«Ma che stronza!»
Quella volta non tentò nemmeno di sussurrare e alcuni studenti intorno a noi le lanciarono un’occhiata.
«No, Giulia, frena.» la bloccai «Non è colpa sua, non ha idea che mi piaccia.» ammisi.
«Come non lo sa?»
Scrollai le spalle, a disagio, e spostai lo sguardo su un gruppo di ragazzi poggiati su uno dei tavoli esterni della caffetteria.
«Non gliel’ho detto.»
«Ma va? Fin qua c’ero arrivata anche io.» replicò sarcastica «Intendevo perché.»
«Lei non è una di quelle a cui piace parlare di ragazzi e cose così.» borbottai giocando distrattamente con la fibbia dello zaino «Volevo parlargliene, ma ogni volta rimandavo e alla fine non c’è stata l’occasione. E ieri sera non mi sembrava proprio il caso di tirare fuori il discorso.»
Giulia mi osservò in silenzio, per poi terminare la sigaretta e gettare il mozzicone all’interno di un posacenere esterno.
«Quindi, ricapitoliamo: durante la festa, dopo che hai beccato Giacomo» sussurrò appena il suo nome «lui ha iniziato a provarci con la tua amica, e poco dopo una tizia a caso è inciampata sul tuo vestito, te l’ha strappato e ti ha versato lo spritz addosso, giusto?» sintetizzò massaggiandosi il ponte del naso con l’indice e il pollice.
«Il vino.» la corressi.
«Sì, quello che è.»
«Esatto.»
Lei mi guardò, gli occhi celesti colmi di fastidio – verso la situazione, immaginai.
«Quindi tu che hai fatto?»
«Che dovevo fare?» replicai «Sono andata in bagno cercando di non piangere e facendo finta che non fosse successo nulla, ovvio. Non volevo che Giacomo mi vedesse in quelle condizioni.» la vidi aprire la bocca e la anticipai «E Veronica voleva venire con me, sono io che le ho detto di rimanere lì, avevo bisogno di stare da sola.»
Giulia mi guardò dubbiosa.
«Quindi te ne sei andata a casa?»
«L’idea era quella sinceramente.» ammisi «Ma in pratica è successa una cosa stranissima.»
«Oddio, cosa?»
L’urgenza della sua voce mi fece sorridere, eppure mi bloccai.
Non avevo raccontato ancora a nessuno dello strano incontro con quello sconosciuto. Nemmeno a Veronica che, quando mi aveva vista arrivare al bar in cui mi aspettava con Giacomo e Nicola, sul momento non mi aveva riconosciuta. Era stato alquanto divertente, dovevo ammetterlo, ma quando mi aveva chiesto che cosa fosse successo al mio vestito, al mio trucco e, insomma, a tutto il resto, mentire mi era venuto assolutamente spontaneo. 
Ho usato un po’ d’inventiva”, avevo detto ridendo e lei era sembrata sollevata di vedere quell’espressione distesa, e aveva deciso di non farmi ulteriori domande.
Ero decisa a non raccontare a nessuno di cosa fosse successo, a dire il vero. Non per qualche motivo in particolare, semplicemente volevo tenere la cosa per me. Per questo, una volta tornata a casa, mi ero ripromessa di non raccontarlo né a Veronica, né ad Agnese e Rebecca, le mie coinquiline.
Alzai lo sguardo verso Giulia, ancora in attesa.
Lei era la mia unica vera amica di università. Avevo stretto diverse amicizie durante il mio percorso, la maggior parte di esse perse si erano affievolite o erano andate perse, ma lei era l’unica che condivideva ogni singolo corso con me e sarà stato il suo modo di fare, simile ma anche così diverso dal mio, sarà stata la nostra passione per i romantasy, sarà stato per tutte le bestemmie tirate insieme dopo ogni singolo esame dato…
«Ho incontrato un ragazzo.»
Giulia mi fissò in silenzio, per poi sbattere lenta gli occhi.
«…senti, non vorrei deluderti, ma, ecco, non credo si possa definire una cosa stranissima. Insomma, eri a una festa-»
«Sei proprio simpatica, sai?» la interruppi sarcastica.
Giulia sbuffò.
«Questo lo so già.» replicò con finta noia «Tu però continui a perderti nel discorso. Vai al punto, dai!» mi spronò.
«È per il climax.»
«E ‘sti cazzi il climax. Muoviti.»
Alzai gli occhi al cielo, ma mi sbrigai a continuare prima che Giulia mi tormentasse ulteriormente.
«Come ti ho già detto, sono andata in bagno per riprendermi, e sono finita al piano di sopra di questo palazzo – un vero labirinto, lasciami dire, poi era tutto buio…»
«Iris…»
«Sì, va bene, arrivo al punto!» dissi e iniziai a dondolare le gambe sulla panchina «Il punto è che da una delle porte del bagno vedo uscire una ragazza e allora non mi sono messa a guardare se quello fosse il bagno delle donne o meno, capisci no?»
«Oddio, era quello degli uomini?»
Giulia sembrava combattuta tra la pietà e la più crudele derisione.
«Esatto. Il punto è che io sono entrata e mi sono messa a piangere – era davvero una scena orribile. Avevo il vestito distrutto, pieno di vino, il trucco sciolto dalle lacrime… Facevo davvero pena.» lo dissi ricordando il riflesso che mi aveva restituito lo specchio quella sera.
«Fammi indovinare, c’era il ragazzo che mi dicevi?»
Annuii.
«Esatto.» confermai «E, devo proprio ammetterlo, questo qua era…» mi interruppi nuovamente e ripensai al ragazzo di cui non avrei mai saputo il nome.
Giulia però mi guardava fremente.
«Com’era? Bello? Brutto? Un cesso a pedali?» mi incalzò mentre si girava un’altra sigaretta presa dall’ansia «Ti prego dimmi che era bello perché se no rovini tutto il film mentale che mi sonno fatta finora.» piagnucolò.
Scoppiai a ridere.
«Bello?» iniziai retorica. Ripensai al viso cesellato, alla figura alta e proporzionata, alla bocca disegnata e l’espressione che oscillava tra la noia e la malizia.
«Cazzo, era stupendo.» ammisi, ancora persa tra i ricordi.
«Oddio!» Giulia ce la mise tutta a evitare di strillare concitata, notai, ma non aveva avuto troppo successo «Descrivilo!»
«Anche se te lo descrivessi non rende l’idea.» replicai «Comunque era alto, parecchio – un metro e ottanta, ottantacinque forse, non so con esattezza.» risposi cercando di mettere più a fuoco i ricordi «Capelli neri, arruffati, abbastanza lunghi.» aggiunsi.
«E gli occhi? Com’erano?»
Il ricordo di quegli occhi rossi e della pesantezza di quello sguardo era ancora estremamente vivido. Peccato che non conoscessi il reale colore delle sue iridi.
«Non lo so. Cioè, portava delle lenti a contatto rosse. Non so di che colore abbia gli occhi per davvero.» lo dissi scrollando le spalle, come se non mi importasse. Giulia parve delusa.
«Che palle.» borbottò, ma non si crogiolò troppo in quella delusione e mi incitò ancora «Ma quindi che è successo?»
«È successo che ha fatto lo stronzo.»
«Stronzo affascinante o stronzo stronzo
«Stronzo stronzo.» risposi ironica.
«Oh, che delusione.»
«Sì, beh, però ecco, sai che io sono la tipa che non risponde mai o che comunque non vuole fare casino…»
«Intendi dire che ti fai mettere i piedi in testa? Sì, lo so.» intervenne asciutta la mia amica, e per quanto volessi dirle che non era vero, in tutta coscienza sapevo che sarebbe stato stupido negare l’evidenza. Era la verità, mi facevo spesso mettere i piedi in testa.
«Beh, in quel momento non ce l’ho proprio fatta. Forse sarà stato perché ero incazzata e delusa e amareggiata da tutta la situazione, o saranno stati gli spritz, non lo so, fatto sta che gli ho risposto.»
Giulia mi guardò con tanto d’occhi.
«No, dai! Non ci credo, l’hai fatto davvero?»
Una parte di me era leggermente irritata che fosse così sorpresa, ma la ignorai.
«Sì.» replicai «Comunque sia, per fartela breve dato che la sto tirando avanti per le lunghe, gli ho fatto così pena che mi ha chiesto cosa fosse successo e, sempre per i motivi di prima, ho finito per raccontargli tutto.»
«Cosa intendi per tutto?»
«Intendo tutto. Ero tipo un fiume in piena, ho fatto un monologo.» arrossii al ricordo, ma Giulia di fronte a me scrollò le spalle.
«Hai fatto bene, sfogarsi è sempre meglio.»
«Di fronte a uno sconosciuto?»
«Sì, se è figo.»
Decisi di ignorare la totale mancanza di senso della sua risposta, dato che anche io ero capace di fare frasi del genere, e continuai.
«Comunque, la parte stranissima arriva ora.»
Giulia si mise sull’attenti.
«Era ora.»
«Il mio racconto deve essere stato davvero patetico, perché dopo che ho finito ed ero pronta ad andarmene – e, come ti dicevo, a tornare a casa per scolarmi una bottiglia di vino e piangere tutte le mie lacrime – questo tipo mi dice che la serata non deve per forza finire così.»
Le parole che mi aveva rivolto erano straordinariamente vivide nella mia mente e mi sembrava di sentire ancora l’odore di fumo che aveva addosso.
O forse era solo Giulia che si era accesa un’altra sigaretta.
«No, vabbè, ma davvero? Cioè, come te l’ha detto? Voglio la dinamica.»
«Non c’è nessuna dinamica da spiegare.» mentii spudoratamente, sorvolando su come si fosse avvicinato a me e mi avesse sorriso in quel modo che mi aveva fatta sentire come la protagonista di un romance «Dopo questo in pratica si è proposto di sistemarmi il vestito.» snocciolai veloce, pregando che non insistesse sul punto precedente.
Ed evidentemente la mia ultima frase aveva sortito l’effetto sperato, perché Giulia parve essersene dimenticata in un secondo.
«Sistemarti il vestito?» ripeté. Il suo sguardo incredulo mi fece sorridere e ripensai a come in effetti dovesse suonare il racconto ad orecchie esterne.
Più ci penso, più mi rendo conto di quanto sia assurda tutta la situazione.
«Esatto. Immagino studi o lavori nel campo della moda o qualcosa del genere, perché sapeva esattamente cosa fare e non ci ha pensato troppo.» considerai.
Giulia alzò gli occhi pensierosa.
«Che sia uno studente dello IUAV?» propose «O forse dell’Accademia.» aggiunse.
«Non saprei. Non gliel’ho chiesto e lui non mi ha detto niente, ma considerando che era pieno di studenti ieri sera non è da escludere.» risposi «Poi, ha anche detto qualcosa su come l’hanno fatto lavorare gratis, quindi magari era lì per dare una mano con i costumi.» ponderai.
Era un pensiero che mi si era già fatto largo nella mia mente la notte prima, mentre mi rendevo conto di come ci fossero inservienti di vario genere – ballerini, camerieri, baristi e non solo ­– dai costumi e trucchi elaborati.
«Quindi, mi stai dicendo che questo sconosciuto, esperto di moda, dopo averti sentito lamentare della serata di merda che avevi appena passato si è volontariamente proposto per dare una sistemata al tuo vestito?» ricapitolò Giulia, il tono che si era fatto meno incredulo e più curioso.
«E il trucco.» aggiunsi.
«Anche quello?!»
Scoppiai a ridere.
«Ti giuro, per un attimo mi sembrava di essere dentro a un film.»
«O dentro un libro.» aggiunse Giulia e il sorriso che ci scambiammo in quel momento era sia ammiccante che complice.
«Adesso voglio vedere il vestito!»
Presi il telefono dalla tasca.
«A dire il vero non so se ho delle foto decenti del vestito modificato. Forse quelle fatte in bagno con Veronica.» dissi più tra me che verso Giulia, che nel frattempo si era seduta di fianco a me e sbirciava lo schermo del mio telefono.
Notai appena l’ombra che si era poggiata su di me, concentrata com’ero sul telefono, e sobbalzai al sentirmi chiamare.
«Iris! Non ti ho vista prima a lezione.»
Avevo perso il conto di quante volte avessi desiderato ardentemente che Giacomo si fermasse e pronunciasse quelle parole, e per un attimo temetti di essermele immaginata. Invece lui era proprio lì, di fronte a me, le mani infilate nelle tasche del giubbotto nero, un cappello calcato tra i riccioli neri e gli occhi castano-verdi fissi su di me.
Di fianco a me, anche Giulia sembrava a corto di parole, ma dopo qualche istante di confusione mi affrettai a rispondere.
«Ehi!» la voce mi uscì appena un po’ strozzata dalla sorpresa e arrossii «Ero seduta in fondo.» risposi mentre mi alzavo dalla panchina, troppo agitata per rimanere seduta.
«Ecco perché non ti ho vista. Di solito ti siedi nelle prime file, no?» la domanda era retorica ma mi venne spontaneo annuire «Ciao Giulia.» disse poi verso la mia amica che si limitò a un rapido ‘ciao’ di risposta.
Si ricorda dove mi siedo!
Doveva pur significare qualcosa, no? Eppure, nonostante tutte le volte che l’avevo fermato e avevo cercato di fare conversazione, non si era mai preso la briga di rivolgermi la parola per primo.
«Non ero proprio in forma oggi, era meglio rimanere in fondo all’aula.» scherzai abbozzando una risatina nervosa.
«Ti capisco, mi sono dovuto trascinare a lezione a forza.»
Dentro la mia testa, i miei neuroni sembravano impegnati nella lotta del secolo: sentivo i pensieri correre da una parte all’altra, analizzare ogni singolo dettaglio di Giacomo, a partire da com’era vestito, per poi passare allo strato di barba che iniziava a infoltirsi, per finire al ricciolo che sfuggiva al cappello e gli sfiorava il sopracciglio scuro.
Lo guardai, incerta su cosa dire.
Parla, Iris!
Aprii la bocca – per dire qualcosa che non sapevo nemmeno io, a dire il vero, ma qualsiasi cosa sarebbe andata bene per riempire quel vuoto imbarazzante.
«Questo sabato hai da fare?» mi anticipò di un secondo, salvandomi dal disagio di non sapere cosa dire. Di certo, tuttavia, non mi aspettavo proprio quella domanda.
«Eh?» non riuscii a fare a meno di emettere quel suono e, di fianco a me, Giulia mi diede un colpo attenta a non farsi notare da Giacomo che aveva spostato lo sguardo per prendere una sigaretta dal pacchetto.
«Dici domani?» mi affrettai ad aggiungere per non fare la figura della stupida.
Mi vuole invitare ad uscire?
L’idea mi sembrava assurda. Ieri sera mi sembrava abbastanza coinvolto da Veronica dato che era stato in nostra compagnia tutta la sera – avevamo parlato anche noi due, questo era ovvio. Possibile che…
«Sì. Sto organizzando una cena con amici e Veronica non era sicura di venire, ma se siete insieme non ci sono problemi, no?»
La presa sulla mano da parte di Giulia fu decisa e improvvisa, ma fu l’unica cosa che mi permise di rimanere ancorata alla realtà e stamparmi un sorriso sul volto mentre dentro di me la voglia di scoppiare a piangere, per la seconda volta in un giorno e mezzo, si faceva prepotente.
«…penso di no. Non ci siamo ancora sentite, però.»
La mia voce era più fievole di quanto volessi, ma Giacomo non parve accorgersene.
In realtà, sembrava che non si accorgesse proprio di niente, nemmeno di Giulia che continuava a stare di fianco a me in silenzio – non potevo vedere la sua espressione, troppo presa dal continuare a sorridere scioccamente mentre fissavo Giacomo. Quest’ultimo, evidentemente, si rese conto in ritardo della sua presenza e si affrettò a estendere l’invito.
«Puoi venire anche tu, se vuoi.»
Il suo tono non era assolutamente forzato, ma qualcosa stonava – qualcosa che, se fossi stata io la destinataria di quell’invito, mi avrebbe impedito di accettare senza problemi. Giulia, per sua fortuna, non era quel genere di ragazza e non sembrò minimamente turbata dalla scena.
«Purtroppo ho già un impegno, sarà per la prossima volta.» si limitò a rispondere in maniera piuttosto asciutta.
Giacomo non insistette e si voltò di nuovo verso di me, un sorriso leggero stampato in faccia.
«Beh, allora fatemi sapere tu e Veronica.» mi disse «Dillo pure a lei, ha il mio numero.» aggiunse.
«Sicuro.» mi limitai a rispondere.
«Beh, allora ci vediamo domani!»
Sia io che Giulia ci limitammo a un saluto poco entusiasta mentre lui si allontanava e raggiungeva il suo solito gruppo di amici.
«Io lo ammazzo.»
Se la situazione non mi avesse fatto venire voglia di piangere, sarei scoppiata a ridere al tono funereo usato dalla mia amica.
«Giulia…» sospirai.
«Non dirmi ‘Giulia’ in quel modo! Avanti, ma che cazzo di modi sono? Praticamente ti ha invitata solo per assicurarsi che venga anche quella tua amica!»
«Si chiama Veronica e lo sai.»
«Sai quanto me ne frega di come si chiama! È stato uno stronzo.» borbottò mentre le sue guance prendevano sempre di più il colore dei suoi capelli «‘Puoi venire anche tu, se vuoi’.» lo scimmiottò abbassando la voce in un vago borbottio «Sai quanto me ne frega del tuo invito a cena, coglione.»
«Giulia.» ripetei, questa volta un po’ più convinta.
«Hai davvero intenzione di andarci?»
Ci riflettei.
Veronica non era la tipa da dire cose come ‘se non vai tu non vado nemmeno io’, quindi pensavo che la sua indecisione fosse reale e non limitata a una semplice questione di imbarazzo. In pratica, anche se io non ci fossi voluta andare, lei ci sarebbe andata lo stesso se quella era la sua intenzione.
Non andarci implicava che mi sarei risparmiata la scena di Giacomo che flirtava con lei tutta la sera – ovvero mi sarei risparmiata una notte di lacrime. Ma una parte di me, la più masochista molto probabilmente, mi spingeva ad andare: volevo vedere con i miei occhi il ragazzo per cui avevo una cotta provarci con la mia amica, anche se questo avrebbe significato sentire quel fastidioso macigno sul petto tutta la sera, che conoscendomi avrei cercato di ignorare scolandomi un paio di bicchieri in più.
«Penso di sì.» mi limitai a rispondere.
Giulia mi guardò desolata.
«Senti, non tenterò di convincerti a fare il contrario perché so che molto probabilmente farei la stessa cosa.» iniziò con un sospiro «Ma perlomeno, perché non provi a spiegare a Veronica la situazione?»
Scossi la testa così velocemente che mi feci male.
«Assolutamente no!»
«Perché?»
«Perché non voglio incasinare la situazione. Veronica sembrava interessata a Giacomo e so che se le dicessi qualcosa lei smetterebbe di rispondergli, ma non voglio fare la stronza della situazione.»
«Sì, ma ci stai male tu.» puntualizzò Giulia.
Sbuffai.
«Non voglio fare la martire della situazione, non preoccuparti. È solo una semplice cotta, non è l’amore della mia vita, mi passerà presto. Perché rovinare una possibile relazione tra due persone per una cosa del genere?» il mio tono voleva essere retorico, ma Giulia mi rispose ugualmente.
«Perché ci rimarrai di merda e lo sai anche tu.»
Non aveva tutti i torti e lo sapevo, ma da una parte ero sicura che dirlo a Veronica non ne valesse la pena.
Non stavo cercando di fare l’eroina o qualcosa del genere, ma riconoscevo che la mia era una solo una cotta che mi portavo avanti da qualche mese, e sapevo anche che era nei confronti di una persona che non conoscevo davvero. Di Giacomo mi piaceva l’idea che mi ero fatta nella mia testa, e non ero sicura che corrispondesse alla realtà – certo, sarebbe stato bello conoscerlo e capire se la mia idea fosse reale o meno, ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe.
«Possibile, ma almeno così pago la psicologa per qualcosa.» ironizzai.
Il colpo in testa mi arrivò prima che potessi evitarlo.
«Sei un’idiota.»
«Grazie mille!»
«Non era un complimento.»
Non risposi e mi limitai a scoppiare a ridere. Mi diressi verso l’uscita del campus assicurandomi che Giulia fosse dietro di me, e dopo il suo sguardo incerto le feci un sorriso luminoso.
«Andiamo. Ho davvero bisogno di uno spritz ora come ora. Non vorrai abbandonarmi così.»
Lei si affrettò a raggiungermi.
«Mai.»
  
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