Videogiochi > Zelda
Segui la storia  |       
Autore: Afaneia    03/03/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
III – Colline
 
Chi è in grado di dire che la natura umana sia in grado di sopportare una cosa simile senza impazzire?  A che serve una tortura così mostruosa, inutile, assurda? Può darsi che ci sia qualcuno a cui sia stata letta la sentenza di morte, gli abbiano fatto provare tutte le torture dell’attesa, e alla fine gli abbiano detto: “Va’ pure, sei stato graziato”.
Fëdor Dostoevskij, L’idiota.
 
    Non può funzionare. Link è grato ai suoi compagni, davvero, d’aver provato a salvarlo nell’unico modo possibile; se ce ne fosse stato un altro, quantomeno uno che potessero escogitare in così breve tempo, è certo che l’avrebbero trovato; ma non può funzionare. Nessuno ci crederà mai; ma ora Impa e Revali, e chissà chi altro, sono coinvolti in questa storia precisamente come lui; hanno mentito per salvarlo, e alla loro storia Link non può venir meno senza tradirli.
    Il re rimane in silenzio per un po’, sopraffatto dall’enormità della menzogna che ha appena sentito. Sta riflettendo sulla portata delle sue parole e su come smontarle, una per una, senza dichiaratamente accusare l’ambasciatore d’aver mentito.
    «Lady Impa» esordisce lentamente. «In Consiglio non avete detto niente. Voi lo sapevate?»
    «Se l’avessi saputo, l’avrei detto» risponde Impa prontamente. «Ma sono certa che Link abbia avuto i suoi motivi per tenerlo segreto persino a me.»
    «Ovviamente. Un matrimonio segreto. Ambasciatore Mazli, non vi pare, come dire… che questo presunto matrimonio salti fuori in un momento piuttosto opportuno?»
    Gli occhi dell’ambasciatore si fanno più stretti per un istante. Sceglie le parole con grande cura. «Non vi seguo, Maestà. Intendete forse dire che il difensore della mia gente, l’orgoglio dei Rito, il maestro Revali, starebbe mentendo?»
    Naturalmente il re non può dire nulla del genere; sarebbe gravissimo, contrario a ogni norma della diplomazia; ma quello che intendeva dire non lo sapranno mai, perché in quel momento l’aria si riempie di un frullare d’aria che Link riconoscerebbe anche in mezzo alla tempesta, e l’aria chiusa del cortile del Castello vortica improvvisamente di vento.
    Revali cala dall’alto come una freccia scoccata. È madido di sudore: se davvero è arrivato in volo dal Borgo dei Rito, deve aver volato per ore, forse tutta la notte, se è partito ieri dopo la condanna: Link non sa quand’è che possano aver escogitato questo folle piano.
    Revali s’inchina di fronte al re, porge all’ambasciatore un rotolo di pergamena, dopodiché si precipita su per i gradini del patibolo. Le guardie non sono rapide abbastanza da fermarlo, o piuttosto sono volutamente troppo lente e intendono favorirli in qualunque modo possano farlo: Revali lo stringe ostentatamente contro il proprio petto e chiede ad alta voce: «Stai bene?» E a voce bassissima, contro il suo orecchio, solo per lui, mormora: «Articulo mortis, quel giorno a Hebra sotto la tua tenda.»
    Forse è già morto, l’impiccagione è avvenuta, e quello è il più strano inferno in cui potesse capitare; oppure quelle sono le informazioni che ha bisogno di conoscere per salvarsi. Articulo mortis vuol dire un matrimonio celebrato in fretta da un ufficiale per qualcuno in punto di morte; persino lui ha dovuto celebrarne uno, una volta, pochi giorni dopo esser diventato capitano: è il ricordo più infelice della sua vita. Hebra, in punto di morte: quand’è che si è trovato a Hebra in punto di morte?
    È ironico che ci abbia pensato tutto quel tempo, quasi ininterrottamente, negli ultimi due giorni, a quelle cime aguzze, innevate, che baluginavano ai margini del suo campo visivo mentre lui agonizzava nei rimasugli sporchi di neve, nella pozza del proprio sangue, e Lelek teneva i suoi visceri con la mano. Mipha è arrivata a salvarlo, quella volta; ma Link è rimasto fuori gioco per due giorni, dopo che l’hanno portato al campo, in attesa di riprendere le forze e che il suo intestino tornasse a canalizzare regolarmente: ricorda soltanto, vagamente, che i Campioni si sono alternati al suo fianco, in quei giorni, per tenergli compagnia, e la presenza di Lelek, costante e confortante come i pali che sostenevano la tenda e la coperta sulla sua branda. Ricorda anche i brodi leggerissimi che Lelek gli preparava in quei giorni per nutrirlo, poiché non poteva ingerire cibi solidi, e poi le pappe di frutta schiacciata. Se c’è stata un’occasione in cui ha veramente rischiato di morire, a tal punto da giustificare un matrimonio d’emergenza celebrato da un ufficiale dell’esercito, è quella.
    «Maestro Revali, allontanatevi dal prigioniero» ordinano i soldati ai suoi fianchi senza eccessiva minaccia, vergognosamente in ritardo: nel tempo che hanno impiegato a reagire, Revali avrebbe fatto in tempo a portarlo via. Revali lo lascia andare e si ritrae da lui levando le braccia in segno di resa. Scende lentamente dal patibolo guardandolo negli occhi: vuole esser certo che abbia capito. Link sbatte le palpebre due volte. È come in guerra, adesso, circondati dal fragore della battaglia da ogni lato: non c’è bisogno di parlare. Basta solo capirsi; e in battaglia lui e Revali si sono sempre capiti. Capirsi, del resto, non richiede affatto andare d’accordo; e loro in questo sono sempre stati maestri.
    L’ambasciatore sta leggendo la pergamena che Revali gli ha portato. La sua voce si fa molto più sicura e baldanzosa ora che ha qualcosa di scritto a sostegno delle sue affermazioni.
    «Come stavo dicendo, Maestà» esclama trionfante porgendogli il foglio. «Un certificato di matrimonio datato alla scorsa primavera sulla piana di Hebra. Celebrato da un capitano Rito e controfirmato per convalida due giorni dopo dal capo del nostro Borgo. Questo invalida qualsiasi ordine successivo il vostro cavaliere abbia potuto ricevere. Non vi pare?»
    Il re prende il foglio che gli viene porto senza nemmeno degnarsi di guardarlo: è già convinto che sia falso. Non ha neppure bisogno di vederlo, il che è un bene, per loro, perché su quel documento non può esserci la vera firma di Link. È ragionevolmente certo di non essere sposato con nessuno, tantomeno con Revali: se c’è una firma, qualcuno deve aver firmato per lui.
    «Pare anche a me, ambasciatore» risponde. «Ma in tal caso il capitano Link dovrà spiegarci per quale motivo non ha mai fatto menzione di questo matrimonio preesistente quando gli è stato ordinato di sposare la principessa e neppure sotto processo. Volete spiegarci, Link?» chiede rivolgendosi verso di lui. «O forse vorrete dirci che di questo matrimonio vi eravate dimenticato fino a questo momento?»
    La menzogna gli sale alle labbra senza bisogno di cercarla perché in fin dei conti gliel’hanno fornita loro. Nessuno gli ha mai chiesto le motivazioni del suo ostinato rifiuto di sposarsi, prima; e durante il processo il tema del matrimonio non è mai stato sollevato perché nessuno voleva che venisse messo a verbale. Gli sono state poste unicamente domande dirette alle quali non poteva che rispondere di sì o di no; e per l’assenza di un pubblico in grado di ascoltare la sua difesa e le sue argomentazioni, di difendersi Link non s’è neppure preso la briga, visto che sapeva d’esser già condannato in partenza. Questo non depone a favore della sua difesa, naturalmente, perché se l’avesse detto fin dall’inizio non si sarebbe mai ritrovato con una corda al collo sul patibolo; ma non ha neppure mai detto nulla che contraddica la posizione di Revali. È una difesa stupida e incredibile, ma ora che c’è un certificato a provarla è anche piuttosto incontrovertibile.
    «Non mi è stato mai chiesto» risponde laconicamente Link.
    Il re sgrana gli occhi per un istante. Persino a lui questa risposta pare troppo oltraggiosa. «Prego?»
    Per quanto gli sia possibile con le braccia ammanettate dietro la schiena, col cappio ancora lasco attorno al collo, Link si sforza di rimanere sull’attenti. «Non mi è stato mai chiesto il motivo del mio rifiuto, Maestà, e legalmente io non ero tenuto a dirlo, perché quell’ordine, come ho ribadito più volte, esulava di per sé dalle ragioni del servizio. Neppure durante il processo mi è stato mai chiesto di motivare il mio rifiuto, e le mie argomentazioni mi sembravano sufficienti: l’ordine non rientrava del servizio. Il mio matrimonio è un affare che riguarda solo me.»
    «Ai vostri superiori però avreste dovuto dirlo subito!» tuona uno dei generali. «Questo vi rende, come minimo, colpevole d’omissione…»
    Revali sorride, perché tutti in questo cortile sanno che la sanzione per l’omissione è risibile; di certo non è la pena di morte. Link sostiene lo sguardo del generale senza chinare gli occhi.
    «Avete ragione sull’omissione, generale. Mi dichiaro colpevole, ma posso spiegare. Se avessi dichiarato il mio matrimonio come da regolamento, avrei dovuto prendere un congedo di una settimana. Non potevo permettere che la principessa restasse priva di scorta per tutto quel tempo ora che la minaccia della Calamità è così pressante. Avevo in programma di dichiararlo non appena la minaccia fosse stata rientrata. Sono colpevole di omissione e sconterò volentieri la pena prevista dai regolamenti, ma solo perché non volevo lasciare il mio posto al fianco della principessa.»
    «Tutto molto comodo, non trovate, cavaliere?» domanda il re. Non ha neppure badato all’ultimo scambio, perché di certo non è per omissione che voleva accusarlo; i suoi occhi cupi, infervorati, percorrono il foglio mentre lo stringe tra le mani. È furioso. «Un matrimonio che nessuno ha mai menzionato di cui vi ricordate opportunamente sul patibolo, certificato soltanto da un documento firmato da soli Rito, che potrebbe esser stato fatto stanotte…»
    Il petto dell’ambasciatore si gonfia di sdegno, fa per prendere la parola; il re ha appena insinuato che la sua gente si sia prestata a produrre un falso – il che è esattamente quello che hanno fatto; ma prima che possa parlare, una mano si alza tra i soldati schierati nel cortile e Lelek dice con voce incerta: «Perdonatemi Maestà, se posso… quella è la mia firma.»
    È almeno la terza volta che il suo attendente disobbedisce a un suo ordine. Non sa neppure come faccia a trovarsi lì in quel momento, perché ieri sera Lelek gli ha detto che gli ordini erano chiari, di non far passare nessuno; ma evidentemente questo non l’ha fermato. In qualche modo si dev’essere intrufolato tra i soldati del turno di guardia, senza che nessuno badasse a lui né alla sua presenza. Mentre gli occhi di tutti si appuntano su di lui, Lelek avanza tra i soldati e si mette sull’attenti. Il re lo guarda con enorme disappunto.
    «La tua firma?»
    «Sì, Maestà.» Lelek accenna col capo al certificato. «Ho firmato come testimone di nozze, quel giorno a Hebra. Sono l’attendente del Capitano.»
    «Mi ricordo di te» risponde il re cupamente, scorrendo il foglio cogli occhi. La firma è proprio dove dev’essere, immagina Link, perché non chiede oltre; ma com’è possibile che quella firma ci sia, se Revali è appena tornato dal Borgo dei Rito dove dev’essere andato a far falsificare il certificato? Tutti sanno che si stanno raccontando una menzogna, ma il certificato di matrimonio è stato firmato dal capo di uno dei domini protetti dalla Corona; e ora c’è un testimone Hylia che sicuramente non poteva trovarsi al Borgo dei Rito questa notte. I generali si scambiano sguardi e si accostano alle spalle del re per vedere il certificato coi loro occhi, solo per doversi arrendere al fatto che quel documento esiste ed è incontrovertibile; sono pallidi di rabbia ma impotenti. «Una medaglia per servigi resi durante la battaglia di Hebra. Mi ricordo. Hai salvato la vita del tuo capitano. Dunque tu avresti assistito a questo famoso matrimonio.»
    «Sì, Maestà. Posso confermarlo.»
    «E puoi anche raccontarmelo, immagino.»
    C’è uno scherno palese nella voce del re, e proprio quello scherno minaccia di far crollare tutto. Link si sorprende a trattenere il respiro, ma non cede alla tentazione di cercare lo sguardo di Revali. Ora che hanno iniziato, devono andare avanti a dispetto di tutto; ma il suo attendente è soltanto un ragazzo. Avrebbe preferito che non venisse coinvolto in tutto questo.
     Lelek esita un istante. «Raccontarlo, Maestà?»
    «Raccontarlo, soldato. Ne sei in grado?»
    Link china gli occhi perché non vuole vedere quello che sta per accadere: il suo attendente confondersi e impallidire sotto lo sguardo del re nel tentativo di salvarlo.
    «È stato un po’ più rapido dei normali matrimoni, Maestà» risponde Lelek con naturalezza. Link alza gli occhi di scatto perché non riesce a credere alla spontaneità di quella menzogna, eppure, in fondo, è ovvio, dice a se stesso: Lelek era con lui quando ha celebrato il suo unico matrimonio per un soldato in punto di morte. «L’ufficiale Rito ha chiesto soltanto se esistessero impedimenti alla celebrazione del matrimonio, il Capitano e il maestro Revali hanno giurato che non ce n’erano e io e un arciere dell’esercito Rito abbiamo testimoniato che non ne eravamo a conoscenza. Per il resto è stato tutto molto simile, tranne per il banchetto.»
    La sua descrizione è talmente semplice e naturale che per un attimo Link si domanda se quel matrimonio non sia avvenuto veramente e lui se lo sia semplicemente scordato.
    «Il banchetto?»
    «Intendo dire che non c’è stato, Maestà, mentre di solito nei normali matrimoni c’è» puntualizza Lelek. «Eravamo tutti molto preoccupati per il Capitano. Temevamo che non passasse la notte. Anche la principessa Mipha non era in grado di fare di più, data la condizione degli intestini, e anche quando il medico lo ha dichiarato fuori pericolo abbiamo dovuto continuare a dargli cibi liquidi per giorni. Io e il maestro Revali ci siamo dovuti alternare per imboccarlo.»
    L’enormità della sua bugia è tale che Link si sente avvampare; qualcuno, nel cortile, sorride. Revali, invece, è raggelato. Si volta verso Impa e l’ambasciatore come se dovesse giustificarsi di qualcosa, dopodiché si schiarisce la voce e dice: «Credo che questo esuli dall’argomento della domanda.» Impa deve trattenersi dal ridere.  
    Arrivati a questo punto, ne hanno tutti avuto abbastanza di quella pagliacciata, a quanto pare. Soprattutto il re.
    «Molto bene, allora» conclude restituendo la pergamena all’ambasciatore senza troppe cerimonie. «Non finisce qui. Lasciatelo andare» ordina ai soldati sul patibolo attraversando il cortile a grandi passi. «Mettetelo in congedo forzato, fate quello che volete. Non voglio vederlo mai più.»
 
    Lasciano il cortile in fretta, prima che il re cambi idea, mentre l’ambasciatore gli corre dietro per chiarire chissà cosa; Link si sente la vista oscurata a tratti, le gambe tremanti, l’illusione del cappio ancora attorno al collo, e mani che lo sostengono per i gomiti ogni tanto senza ch’egli sappia a chi appartengono. È solo vagamente consapevole della presenza di Lelek dietro di lui, vorrebbe dirgli qualcosa, ringraziarlo; ma non c’è tempo. Uscite di qui prima che il re cambi idea e aspettatemi fuori, ha detto l’ambasciatore prima di sparire, e a quanto pare è quello che stanno facendo. Link non obietta né osa far domande finché non saranno all’aperto. Revali ancora non gli ha rivolto la parola.
    I Campioni li attendono presso le stalle: hanno fatto sellare i cavalli nell’attesa. A giudicare dal sollievo che compare nei loro occhi quando li vedono, nessuno di loro era affatto convinto che il piano avrebbe funzionato: Daruk lo stritola tra le braccia mozzandogli il respiro, sollevandolo dal suolo, e la brusca carenza d’ossigeno al cervello forse è quello che gli occorreva per riportarlo al presente. Mipha lo guarda con occhi enormi di terrore come se neppure riuscisse a credere al fatto che è salvo davvero: Link le posa una mano sulla spalla, ma non osa fare di più. È a conoscenza dei suoi tormenti da tempo.
    «Stai bene, Link» commenta Urbosa mettendogli una mano sulla spalla. «Ci hai fatti spaventare sul serio, stavolta.»
    «Sei stato coraggioso, invece, roccia!» ribadisce Daruk. «Hai tenuto testa a quei generali con dignità. Nessuno avrebbe saputo fare di meglio.»
    Link non sa neppure come rispondere loro: si sente frastornato, confuso, e vorrebbe sapere cos’è successo e com’è accaduto tutto quanto; ma non possono correre il rischio di parlarne finché non saranno lontani dal Castello. Si limita a guardarli solamente e chiede, cercando di non sbilanciarsi troppo: «Devo ringraziare tutti?»
    L’ambasciatore arriva planando mentre stanno cercando una risposta da dargli. È il Rito più nervoso e fuori forma che Link ricordi d’aver mai visto, sebbene la maggior parte delle sue esperienze coi Rito, del resto, riguardi perlopiù guerrieri e arcieri: quando si posa a terra, ansima affannosamente. Ha l’aria di voler essere ovunque piuttosto che qui.
    «Ci siete tutti?» chiede nervosamente scorrendo gli occhi su di loro. «Cavaliere, ho parlato col vostro comandante… siete in congedo forzato a tempo indeterminato finché questa faccenda non sarà chiarita. Vi consiglio di lasciare il Castello al più presto. Ora siete sotto la tutela della mia gente, avete la mia parola.»
    «Non posso lasciare il Castello» protesta Link scioccamente. È l’unico pensiero logico che sia in grado di formulare al momento. «La principessa…»
    «Link» mormora Mipha. La sua voce è tenue e ragionevole come acqua. «Non puoi proteggere Zelda in questo momento. Resteremo noi con lei.»
    Link volge gli occhi sui suoi compagni senza capire. È l’Eroe che brandisce la Spada che esorcizza il male, è il cavaliere che protegge la principessa: non può semplicemente andare e lasciarla; ma Mipha ha ragione, l’ambasciatore ha ragione. Non può aiutarla in questo momento.
    «Maestro Revali» riprende l’ambasciatore. Gli porge il certificato che il re gli ha restituito: Revali lo guarda per un istante come se si fosse già dimenticato dell’esistenza di quell’oggetto. Il matrimonio deve costituire una discreta novità anche per lui. «Vi prego, ditemi che non dovrò pentirmene.»
    Revali sorride. «Pentire di cosa?»
    «Ditemi che non ho dichiarato il falso.»
    Revali prende la pergamena dalle sue mani e la ripone ordinatamente nei viluppi della propria tunica ricamata. «Il certificato è legalmente vero» risponde con calma. «L’ufficiale esiste davvero, lo conoscete, e del resto l’ha controfirmato il capo Kagan in persona.»
    «E per caso il capo Kagan è stato tirato giù dalla sua amaca in piena notte per firmare quel certificato?»
    Revali si stringe nelle spalle. «Lo sapete com’è con questi matrimoni in punto di morte… c’è sempre una gran fretta. Non c’è tempo di andare tanto per il sottile. Potrebbe essere successo, ma non saprei dire quando. Quanto alle nozze, naturalmente voi non c’eravate e non potete ricordarvele, no? In fondo voi avete solo fatto valere i diritti di un vostro concittadino. E comunque, per questo famoso matrimonio abbiamo anche un testimone che non sa tenere il becco chiuso» aggiunge accennando a Lelek in tono piuttosto seccato, e Lelek cerca disperatamente gli occhi di Link in preda al panico. Link gli sorride e gli fa cenno di lasciar correre.
    L’ambasciatore si sforza di sorridere senza troppa convinzione. «Va bene. Ma dopo questo siamo pari, maestro Revali, per quel vecchio fatto. Va bene?»
    Revali si posa una mano sul petto e risponde con grande serietà: «Dopo questo sono io a essere in debito con voi, ambasciatore. Credete che non lo dimenticherò.»
    «Ora non esageriamo» borbotta l’ambasciatore un po’ impacciato. «Non è stata proprio la stessa cosa. Ora andate» insiste facendo loro cenno di levarsi di torno. «Non sarò tranquillo finché non vi saprò nei nostri confini. Vi scriverò tra qualche giorno per aggiornarvi sulla questione, e subito se dovesse accadere qualcosa che vi riguarda, va bene?»
    A giudicare dai cavalli sellati, il piano prevedeva fin dall’inizio che si recassero presso il Borgo dei Rito: la sua cavalla porta bisacce col necessario per qualche giorno. Ben assicurata sotto la sella Link intravede l’elsa della Spada che esorcizza il male.
    «Ho preparato io i vostri bagagli, Capitano» mormora Lelek timidamente, accostandosi alle sue spalle. La presenza dei Campioni lo ha sempre messo in soggezione. «Alla solita maniera. Non dovrebbe mancare nulla rispetto al solito. Ho preso tutto quello che mi è venuto in mente…»
    Link impiega un po’ per rispondere perché la sua fedeltà pare stringere un nodo nella sua gola. «Grazie, Lelek. Hai fatto più di quello che dovevi.»
    «Scusatemi se non mi asciugo gli occhi» li interrompe Revali spazientito. «Decidiamo come muoverci. Link, la cosa più semplice è che tu vada a cavallo e io mi sposti in volo. Posso aspettarti direttamente al Borgo dei Rito, o forse è meglio che facciamo tappa allo stallaggio più vicino per...»
    Link non lo trova un piano poi tanto assurdo, dato che lui non può volare e Revali non cavalca, ma sui presenti cala un silenzio inorridito.
    «Revali, per l’amor del cielo» geme l’ambasciatore. «Se qualcuno vi vedesse…! Se si sapesse che viaggiate separati! Tanto vale strappare il certificato e consegnarci al re!»
    Revali lo fissa senza capire.
    «Il tuo amore coniugale è così travolgente, Revali» sospira Urbosa. «Sono quasi dispiaciuta di non essere io la fortunata. Davvero lasceresti tuo marito viaggiare per giorni da solo dopo che è appena scampato al patibolo?»
    Dall’espressione di Revali è piuttosto evidente che sì, lo lascerebbe senza problemi.
    «Medoh è in circolo solitario a tre ore da qui» interviene Impa indicando le colline in lontananza, verso nord-ovest. «Puoi aspettarci lì e portarlo alla quota più bassa possibile senza farlo schiantare. Io posso accompagnare Link a cavallo fin lì e da lì potete proseguire insieme per il Borgo dei Rito. Su Medoh sarete più lenti che se tu volassi da solo, ma almeno non sembrerà che abbiate appena divorziato» puntualizza in tono lieve di rimprovero, come se Revali si fosse appena dimenticato di essere legalmente sposato. Il che è, tecnicamente, quanto è appena accaduto.
    Persino Revali deve riconoscere a malincuore che è un buon compromesso.
    «Bene. Quand’è così, non perdiamo altro tempo» conclude. «Mi scuserete se non mi profondo in addii strappalacrime. Porgete i miei saluti alla principessa. Ambasciatore» conclude seccamente. Dopodiché, senza guardar nessuno, si abbassa a terra per un attimo e si leva in volo in un vortice.
    L’ambasciatore sembra sorprendentemente sollevato dalla sua partenza. La sua continua tensione sembra allentarsi un poco, forse perché la presenza dell’orgoglio e difensore della sua gente contribuisce, a dispetto di tutto, a metterlo sotto pressione. Fissa Link con un sospiro profondo.
    «Vi è andata bene, cavaliere» conclude a mo’ di saluto con aria esausta. Link apre la bocca per ringraziarlo, ma l’ambasciatore si affretta a metterlo a tacere come se temesse di sentire qualcosa di compromettente su cui potrebbe esser chiamato a giurare in un secondo momento. «Per l’amor del cielo, non ringraziatemi… per quanto ne so io, siete entrato a far parte della mia comunità col matrimonio, quindi era mio dovere legale difendervi. Non osate dire quello che penso.»
    Link rimane interdetto per un istante. «Vi siete comunque speso per me, ambasciatore. Grazie.»
    «Farò conto che mi abbiate ringraziato perché sono stato disturbato in piena notte» ribadisce Mazli, ben determinato a non udire, o a poter dire di non aver udito, niente di più compromettente di questo. «Addio, cavaliere. Con tutto rispetto, spero di non sentir più parlare di voi.»
    Non rimane più altro da dirsi. L’ambasciatore sembra piuttosto ansioso di rientrare a casa: i Campioni si offrono di scortarlo fino ai suoi alloggi presso il borgo che circonda il Castello. Si voltano a salutare Link in fretta.
    «Promettimi che starai attento» mormora Mipha abbracciandolo.
    «Prometto che cercherò di non farmi impiccare anche dai Rito» risponde Link, visto che è il massimo che ancora sia rimasto sotto il suo controllo, cercare; ma gli occhi di Mipha rimangono corrucciati e seri. Link le accarezza una guancia per un istante. «Andrà bene, Mipha, vedrai. Non possono più farmi nulla. Non avere paura per me. Me la caverò.»
    Urbosa e Daruk lo abbracciano senza parlare, poi è tempo di separarsi. Impa sale a cavallo per accompagnarlo per un tratto, come hanno stabilito, e Lelek fa lo stesso. Link lo guarda con disapprovazione senza riuscire davvero a prendersela. «Non vorrai disertare, spero. Per oggi mi pare che tu abbia già disobbedito a sufficienza.»
    «Non sarò di turno di guardia fino a stasera» si difende Lelek. «Posso almeno venire a salutarvi, Capitano. Non so neppure quando vi rivedrò.»
    Link sprona il cavallo evitando di rispondere, perché tecnicamente dovrebbe almeno provare a riprendere il suo attendente per tre interi giorni di mancanze al regolamento; ma, in fin dei conti, si dice prendendo le redini, è in congedo forzato, al momento. Non è tenuto proprio a far niente.
    «Mentre andiamo potresti spiegarmi come vi è venuto in mente il piano peggiore del mondo» propone a Impa che cavalca al suo fianco. Lelek li segue rispettosamente a qualche metro di distanza.
    Gli occhi di Impa si accendono dello spettro di una risata. «Credevo che per un militare i piani peggiori del mondo fossero quelli che falliscono.»
    «Ammetterai che questo ha rischiato di andarci molto vicino.»
    Non è una spiegazione avventurosa, e probabilmente, se non riguardasse lui direttamente e il fatto che è appena scampato alla morte, non sarebbe neppure tanto appassionante; ma Link l’ascolta beandosi dell’aria e dello spettacolo dell’erba che si flette nel vento dopo giorni di prigionia. L’ascolterebbe per ore.
    La principessa è ancora reclusa nelle sue stanze, proprio come aveva immaginato lui, e lo è rimasta per tutto il tempo. Impa e i Campioni hanno trascorso gli ultimi giorni a cercare di scoprire per che cosa esattamente Link fosse stato arrestato e processato, perché, se dovevano difenderlo, non potevano farlo che su basi legali certe; non è stato facile, perché fino al processo s’è trattato solo di voci. Tutto quello che i Campioni potevano fare, in attesa di scoprire l’esatto motivo della condanna ufficiale, era minacciare la Corona di ritirare il loro appoggio personale e quello dei loro popoli alla causa della Calamità se il Campione della principessa fosse stato condannato; l’hanno fatto, naturalmente, ma non è servito. Il re ha rifiutato di riceverli adducendo scuse e al loro annuncio ha mandato a dire che, semplicemente, non poteva obbligarli a combattere né pretendere da loro un aiuto che non erano disposti a dare in piena libertà. Se era disposto a spingersi fino a quel punto pur di risvegliare il potere di Zelda, era evidente che non si sarebbe fermato.
    Hanno avuto certezza della motivazione della condanna solo dopo il processo, quando i Consiglieri sono stati radunati in fretta per ratificarla; ed è stato grazie a Impa, che ha insistito perché la motivazione della condanna fosse dichiarata ufficialmente prima di procedere alla ratifica. È stato solo grazie alla sua ostinazione che hanno avuto conferma che la motivazione della condanna era proprio il rifiuto di Link alle nozze; e a quel punto non rimaneva loro che una manciata di ore per decidere il da farsi. Le hanno trascorse nella grande biblioteca del Castello, a compulsare regolamenti militari e leggi cadute in disuso da presentare come precedenti, più frustrati e disperati ogni minuto che passava, finché Impa non ha levato lo sguardo e ha realizzato che i regolamenti militari non c’entravano niente perché non contemplavano quel caso specifico. Che l’unica legge che poteva salvare Link era sempre stata ovvia, quasi scontata, talmente evidente che fino a quel momento non era venuta in mente a nessuno, nascosta in piena vista sotto gli occhi di tutti: quella, valida entro tutti i confini reali compresi i domini protetti dalla Corona, che proibiva la bigamia. A quel punto non restava che decidere a chi sarebbe toccato l’onore e l’onere; e, una volta scelto, l’unico ostacolo era rimasto il tempo. Cercate l’ambasciatore, ha detto Revali prima di lasciare la biblioteca, datemi tutto il tempo che potete. Il resto viene da sé.
    Link strizza gli occhi nell’aria frizzante del mattino. C’è qualcosa che non gli torna. «Ma tu e l’ambasciatore siete arrivati…»
    «Non appena l’ambasciatore s’è degnato di farsi trovare» risponde Impa, seccata al solo ricordo. «Lo abbiamo cercato per tutta la notte, ma non era nella sua residenza al borgo. È tornato vergognosamente tardi e, a sentire i suoi collaboratori, nessuno sapeva dove fosse. Ho avuto la sensazione che abbia qualche passatempo notturno, ma, francamente, ho preferito non indagare…»
    Su questo Link concorda perfettamente con lei. «E la firma?»
    Impa si gira sulla sella a guardare Lelek. «Penso che questo possa spiegartelo meglio il tuo attendente» risponde divertita. «A dire il vero, quella è stata una sorpresa anche per me.»
    Sentendosi chiamato in causa, Lelek sprona il cavallo fino a raggiungere i loro. È diventato tutto rosso in viso.
    «Non vi arrabbiate, Capitano» inizia con una certa esitazione. Link dubita che potrebbe trovare qualcosa per cui arrabbiarsi con lui questa mattina, ma decide comunque di non interromperlo. «È stato quando mi hanno detto che mi cercavano, ieri sera mentre ero con voi, ed entrambi abbiamo pensato che avessero scoperto che ero venuto a trovarvi.»
    Link rimane interdetto per un istante. Non si sarebbe mai aspettato che Revali si ricordasse del suo attendente in un frangente come quello. «Revali è venuto a chiedere di te?»
    Il fatto che non lo stia rimproverando sembra dare a Lelek un po’ di coraggio. «Così pare. Mi ha spiegato cosa intendeva fare e mi ha chiesto se sapessi imitare la vostra firma su una pergamena bianca. Ha detto che avrebbe fatto scrivere il certificato intorno alle firme. Che gli serviva il mio aiuto per salvarvi.»
    Link si è chiesto per tutto il tempo come potessero esserci la firma di Lelek e la sua su quel certificato: la risposta era talmente semplice che si vergogna di non esserci arrivato da solo. Le firme erano sul foglio prima del resto del certificato. Aggrotta la fronte per un momento. «Ma tu da quand’è che sai falsificare la mia firma?»
    Lelek si passa una mano dietro la nuca. «Non lo sapevo fare, ovviamente. Ho cercato tra i vostri documenti e l’ho ricalcata un paio di volte finché non è venuta fluida. Non è stato per niente facile con Revali che mi stava addosso.»
    Link non osa neppure immaginare quanto poco sia stato facile e non stenta a credergli sulla parola.
    Rimane in silenzio per un po’, pensierosamente, a osservare le colline che si fanno più imponenti e ravvicinate ogni minuto che passa; accarezza il collo della sua cavalla trattenendo nella mano la sua criniera lunga che s’annoda tra le sue dita. La realtà si sta facendo più concreta e tangibile a misura che si allontanano dal Castello: nella Hyrule che si allarga attorno a lui finché l’orizzonte non scompare: è ancora vivo.
    «Sarei terribilmente ingrato se ti facessi una domanda, vero?»
    Impa sorride come se quella domanda se l’aspettasse ormai da ore. «Devo essere io a indovinarla?»
    Link cerca ovunque le parole meno offensive e ingrate che gli vengano in mente, ma non è che ci siano molti modi per porre questa domanda. «Perché Revali?»
    «Perché arrivati a quel punto non c’erano molte scelte, Link. Sapevamo che non era la scelta ideale, ma era comunque l’unica possibile: non potevo essere io, perché non ne avevo fatto parola in Consiglio e dunque nessuno mi avrebbe creduta. Mipha e Urbosa avrebbero dovuto chiedere la ratifica delle nozze alla loro famiglia o alle consigliere Gerudo. E poi Mipha…» La sua voce vibra di una nota esitante di dolore: per l’amore non corrisposto di Mipha Impa nutre un’enorme comprensione e un’ancor più profonda compassione, e Link annuisce senza bisogno ch’ella dica niente perché ha compreso che cosa intende dire. Che Mipha avrebbe detto di sì, ma che non c’era bisogno di aggiungere al suo anche questo dolore senza fine, quest’ultima beffa al suo amore non corrisposto; e che entrambi sanno che piuttosto che dir di sì, di approfittare del suo dolore e del suo amore, Link avrebbe scelto la forca. «Quanto a Daruk…» Impa s’interrompe per un momento cercando le parole. Alla fine ci rinuncia. «Francamente non ci sembrava più credibile di Revali» conclude, e Link deve riconoscere che non ha tutti i torti. «Inoltre, Revali era l’unico che potesse andare dalla sua gente e ritornare qui in una dozzina di ore. Non hai torto sul fatto che fosse un piano disperato, ma era anche l’unico che avevamo.»
    «Grazie» risponde Link. Per qualche strano motivo, Impa scuote la testa e abbassa lo sguardo.
    «Aspetta a ringraziarmi» mormora.
    Non parlano più finché non arrivano sul crinale della collina che affaccia sul fiume e sopra di loro rimbombano i motori antichi di Medoh che sorvola la vallata. Quando appaiono sulla distesa di verde, il colosso inizia una planata lenta, metodica, verso il letto del fiume: Revali si abbasserà il più possibile finché Link non potrà planare con la paravela e incontrarne il ventre. Non ci sarà molto tempo per poter compiere la manovra senza che Revali debba tornare indietro e compiere tutti i movimenti di nuovo: i loro saluti dovranno essere concisi. Quando scendono da cavallo, Impa si getta al suo collo senza perder tempo.
    «Ti abbiamo fatto un bello scherzo, eh?» chiede a bassa voce.
    Link l’abbraccia senza capire. «Mi avete salvato, Impa. Non potrò mai ringraziarvi…»
    «Non dirlo» lo interrompe Impa. La sua voce suona immensamente triste. «Era la sola scelta che avevamo, ma ora non puoi fare altro. Non potrai sposarti o…»
    «Impa» dice Link. «Sono qui. Va bene così. Tutto è meglio dell’alternativa.»
    Impa si stacca dal suo collo senza convinzione. «Abbi pazienza con Revali» mormora. «Non lo conosco meglio di te, e so che non è perfetto… ma ha rinunciato a molto per fare questo per te, compreso un bel po’ del suo orgoglio. Tu non hai avuto ancora tempo per realizzarlo, ma avete sacrificato entrambi molte cose, e non era tenuto a farlo.»
    «Lo so» risponde Link, ma si rende conto di farlo quasi macchinalmente: Impa ha ragione su una cosa. Non ha avuto ancora tempo di realizzare quanto è accaduto. È stato tutto così rapido, confuso, indistinto come un movimento troppo veloce e dunque sfocato: il patibolo, la corda, Revali, le bugie, le bugie, le bugie. Ora sarà una bugia molto a lungo, forse per sempre; è una condanna definitiva quanto quella di prima, solo un po’ meno drastica, e si sorprende che quest’idea non lo spaventi tanto quanto dovrebbe. «Andrà tutto bene, Impa. Grazie di avermi salvato. Chiedi scusa alla principessa da parte mia» aggiunge. «Dille che avrei voluto restare, che mi dispiace per tutto. Che…»
    «Faremo di tutto per farti tornare» promette Impa separandosi da lui. «Ora però direi che hai qualcun altro da salutare.»
    Lelek è rimasto immobile, a qualche passo di distanza, a trattenere con la mano le redini dei loro cavalli. Link gli si avvicina senza saper che dire: è quello che ha rischiato più di tutti per lui, perché a differenza dei Campioni e di Impa non aveva nessuno a proteggerlo.
    «Farò condurre la vostra cavalla allo stallaggio dei Rito» propone Lelek. «Ci vorrà qualche giorno, ma almeno l’avrete a disposizione se vorrete spostarvi. C’è qualcosa che volete che vi mandi insieme a lei?»
    «Non mi servirà nulla» risponde Link, che di beni materiali ne possiede assai pochi: i suoi effetti personali sono già nei suoi bagagli, e ne è certo senza neppure bisogno di controllare perché Lelek prepara i suoi bagagli esattamente allo stesso modo ormai da anni. La domanda però gli fa venire in mente una cosa. «Nella mia armeria privata però c’è uno scudo blu, antico, che mi ha tramandato mio padre. Ce l’hai presente?»
    «Certo. Vi interessa solo quello?»
    «Voglio che lo prenda tu» risponde Link.
    Lelek arrossisce di vergogna come il giorno che Link gli ha donato la spada di suo padre. «Capitano…»
    «È l’unica cosa preziosa che io possieda, Lelek. Per favore. Voglio che l’abbia tu. È la seconda volta che mi salvi la vita, e spero che non ce ne sarà una terza, perché non mi rimane altro da regalarti per ringraziarti.»
    L’ha detto per scherzare, naturalmente, ma Lelek non sembra comprendere lo scherzo. «Lo sapete che non l’ho fatto per questo.»
    «Se avessero scoperto che hai mentito, avresti rischiato la condanna quanto me» lo interrompe Link. Posa le mani sulle sue spalle e la fronte contro la sua fronte: Lelek ha gli occhi pieni di lacrime e sbatte le palpebre più volte per scacciarle. «Poiché sei stato mio amico in quel momento, tu sei mio fratello per tutta la vita. Ti prego, Lelek. Non ho altro da darti, ma consenti che io ti dia almeno quello che ho. Sai che non potrò mai ringraziarti per quello che hai fatto per me.»
    Lelek annuisce asciugandosi gli occhi. Alzano lo sguardo su Medoh: è sempre più basso, sta per porsi in orizzontale sull’acqua, quasi di fronte a loro. Link apre la paravela che pende dalla sella, si allaccia ai fianchi il fodero della Spada e si assicura al petto le bisacce coi suoi pochi effetti personali: a occhio e croce, gli rimane circa un minuto prima di dover planare verso il colosso sacro. Impa, indietreggiata col suo cavallo per sottrarsi alle correnti d’aria provocate da Medoh, lo saluta con la mano sorridendo cogli occhi scuri e appena un poco tristi.
    «Capitano» mormora Lelek. «C’è un’altra cosa.»
    Ha l’aria di dovergli confessare un peccato innominabile. Link lo guarda con viva perplessità. «Che cosa c’è?»
    Lelek si guarda attorno come se ancora temesse che qualcuno possa essere in ascolto pronto a smentire le loro bugie, a ore di distanza dal Castello. «Potete porgere le mie scuse a Revali? So di aver parlato troppo prima, nella corte. Volevo solo essere convincente, ma temo che non abbia gradito. Per quella storia che vi ha imboccato quando eravate convalescente, sapete.»
    Link sente una risata sbocciargli in gola per la prima volta da ormai molti giorni. «Non credo che se la sia presa davvero, Lelek. Non preoccuparti. Anche se è stata una bugia un po’ azzardata.»
    Lelek lo fissa con occhi pieni di confusione.
    «Ma non era una bugia» risponde. «Quella è stata l’unica cosa che non ho inventato. Non ve lo ricordate?»
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Zelda / Vai alla pagina dell'autore: Afaneia