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Autore: Clay92    06/03/2024    1 recensioni
Ho 28 anni, sono una ragazza come tante, niente caratteristiche particolari, niente successi da ricordare, non ci saranno opere o monumenti dedicati in mia memoria. Non vincerò un nobel o un oscar. Di ragazze come me, con una storia come la mia o forse peggio ce ne sono a migliaia, eppure oggi sento il bisogno di raccontarmi. Quando hai una vita come la mia, pensi sempre di esserti ormai abituata al peggio, sei convinta che niente possa più ferirti, deluderti o spezzarti. La vita però, così come la mia famiglia, è sempre pronta a sferrarti dei potenti ganci. Quando ormai pensavo che non si potesse toccare di più il fondo, quando ormai pensavo di aver sconfitto i fantasmi che mi portavo dietro ecco che proprio come una soap opera scadente, arriva l’ennesimo colpo di scena. Gli scheletri sembrano infiniti e alcune rivelazioni fanno più male che altre. Sono nata e cresciuta in un covo di vipere, circondata da tanto fango, le persone che mi hanno aiutato ad uscirne si contano sulle dite di una mano. È per me e per loro che oggi voglio raccontare la mia storia e soprattutto perché sono stanca che gente come “i Forrester dei poveri”, così
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il primo ricordo che ho è mia nonna Matilde che mi dice che da lì a breve sarei andata all’asilo. Mi racconta che è un bel posto, che avrei conosciuto tanti bambini, avrei fatto nuove amicizie e imparato tante cose.
Io all’asilo non ci volevo andare, volevo restare a casa con lei. Non volevo fare nuove amicizie, mi bastava la sua di amicizia ma dovevo arrendermi, mia madre aveva deciso che sarei dovuta andare all’asilo e il mio parere non contava niente.
Il secondo ricordo è sempre di nonna Matilde che mi fa sedere sulle sue gambe mentre mi spiega che quando andrò all’asilo non dovrò sentirmi diversa dagli altri bambini, che non mi manca niente e che non dovrò rimanerci male quando faremo dei lavoretti per la Festa del Papà.
Io un papà non ce l’ho, non l’ho mai avuto. Quel giorno la nonna mi spiegò che il mio papà era volato in cielo prima che io nascessi, un incidente sul lavoro per colpa di una macchina impazzita e che lui ora era un angelo. Mi disse che ovunque io andassi e qualunque cosa facessi lui sarebbe stato sempre con me, non l’avrei visto ma l’avrei sentito. Non avrei potuto chiamarlo ma se fossi andata fuori al balcone a guardare le stelle avrei potuto trovare il mio papà perché per mia nonna, suo figlio, ovvero mio padre, era la stella più luminosa che ci fosse.
A quel tempo ero troppo piccola per capire fino in fondo cosa volessero dire le parole di mia nonna, così come ero troppo piccola per sapere che mio padre fu ucciso si dà una macchina impazzita ma non era un’automobile ma bensì un macchinario che lo prese dal colletto e lo soffocò in una busta di plastica. Il collega che era insieme a lui non riuscì a bloccare il macchinario e mentre chiamava aiuto, mio padre smise di respirare, aveva solo diciannove anni. Nonostante fossi troppo piccola per capire appieno quel discorso una cosa la capii, mio padre sarebbe stato sempre con me. Ogni sera andavo fuori al balcone, non cercavo la stella più luminosa, chiudevo gli occhi e come se qualcuno mi chiamasse riaprivo gli occhi puntando su un determinato punto e iniziavo a parlare.
Parlavo tanto con il mio papà e sapevo che anche se non mi poteva rispondere lui mi stava ascoltando. La sensazione di non essere mai da sola, la consapevolezza di avere un angelo custode tutto mio, la felicità di sapere che anche se gli altri non potevano capire io un padre ce l’avevo era ciò che mi faceva andare avanti.
Se da una parte questo è il mio primo e secondo ricordo e sono estremamente dolci e belli, ricordi indelebili nel mio cuore in contemporanea ho anche un altro ricordo. Quello meno piacevole.
Ho tre anni, l’asilo non mi piace, preferisco rimanere a casa a vedere i cartoni animati, la mattina faccio i capricci e mia nonna Genoveffa, nonna materna, deve sempre prendermi sulla spalla e urlare come se fosse al mercato che sta trasportando un sacco di patate. Io rido e mi lascio vestire, per pettinare i miei lunghissimi capelli mi mette davanti allo specchio e poi inizia ad imitare la voce della strega di Biancaneve, dice la filastrocca mentre mi pettina e io non sento dolore dovuto ai nodi nei capelli, sono troppo su di giri aspettando la risposta dello specchio anche se ogni mattina, per lo specchio, la più bella del reame è sempre la nonna Genoveffa. Ci sono mattine in cui a furia di piangere mi viene il vomito ma le nonne non si impietosiscono e mi portano lo stesso all’asilo. Quando torno a casa ho sempre paura. Preferisco quando vado a dormire e a mangiare da nonna Matilde e nonno Marco, con loro mi diverto sempre, non mi sgridano mai e non mi picchiano. Quando invece sono a casa di nonna Genoveffa e nonno Armando ho paura e piango sempre.
Mia madre ed io viviamo con loro e i miei due zii, zia Angela e zio Simone. Loro mi proteggono sempre. A volte vengono a mangiare a casa nostra anche i loro compagni, Zio Matteo, il fidanzato di zia Angela, super divertente con una certa somiglianza ad Alex Del Piero, zia Giselle invece è una tosta, che tiene testa a zio Simone e il modo in cui si prende cura di me, come se fossi sua nipote di sangue me l’hanno fatta amare fin dal primo giorno in cui l’ho conosciuta.

La sera è il momento in cui ho più paura. Psyco torna sempre la sera, stanca da lavoro, ho perso il conto di tutte le volte che mi urla contro, di tutte le volte che mi picchia, di tutte le volte che scappo e mi nascondo dietro le gambe dei miei zii. Ogni volta dicono a Psyco di lasciarmi stare, che sono solo una bambina, che è normale fare i capricci alla mia età ma che non è normale essere picchiata come vengo picchiata io. Psyco si arrabbia anche con loro ma a loro non li picchia, a volte sbraita e urla ma sono solo io quella che viene picchiata.
Questa routine va avanti per tre anni, ora ho sei anni, ogni sera dopo le urla, le sgridate e i vari schiaffi che prendo da Psyco mi chiudo in bagno. Mio nonno non è molto contento, dice che se mi succede qualcosa poi non possono entrare ma io continuo a chiudermi. Passo tutte le sere dopo mangiato, quando i miei zii non mi portano fuori con loro, a piangere raggomitolata per terra in bagno.
Ho sei anni e negli ultimi tre anni non ho fatto altro che chiedere a Dio perché mi ha portato via mio papà, perché al posto suo non si è preso Psyco. Mi sento in colpa, sono una bambina e ho questi pensieri bruttissimi. Nonna Matilde mi ha insegnato la differenza tra bene e male e desiderare queste cose non è un bene. Lo so sono una bambina cattiva, io mi impegno ad essere brava ma sembra che qualsiasi cosa faccia sia sempre sbagliata.
Sono stanca, sono arrabbiata con Dio, sono arrabbiata con Psyco e vorrei arrabbiarmi anche con il mio papà perché mi ha lasciato da sola, lui avrebbe dovuto proteggermi e invece non c’è. Quando penso questo di mio padre mi sento ancora di più in colpa e piango fino a stare male eppure io lo sento, sento quella carezza sulla testa, la stessa delicatezza che usa nonna Matilde quando dormo da lei e mi racconta le favole.
Mio padre è sempre con me e allora mi ricordo di non essere sola, prometto che quando sarò grande farò le valigie e me ne andrò via.
Quando sarò grande Psyco non potrà più picchiarmi, non avrò più lividi, non avrò più paura. Sarò così forte che sconfiggerò Psyco, sarò libera e felice. Mi asciugo le lacrime ed esco dal bagno. I miei nonni dormono, i miei zii sono usciti e Psyco come ogni sera mi dice: - vieni a letto amore.   Mi accarezza la testa, vorrei spostarmi ma non lo faccio, so che la farei arrabbiare ancora, infine mi stampa un bacio in fronte e si addormenta tranquilla, io controllo un’ultima volta il livido sul braccio, domani all’ asilo dovrò inventarmi una buona scusa con le mie amiche.
   
 
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