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Autore: LubaLuft    20/03/2024    1 recensioni
“Che cosa desideri davvero, Tooru?... Te lo sei mai chiesto con sincerità?” chiese piano Tetsurō.
“Desidero ciò che mi riempie ma anche ciò che mi svuota… l’idea di essere l’unico e anche quella di essere un capriccio. Amo tutto questo, anche le lacrime che ho appena pianto.”
Tooru incrocia il suo destino con quelli di Wakatoshi e Hajime. La sua indole sensibile e vorace verrà messa a dura prova ...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Ciao! Avevo terminato la storia ma alcuni lettori mi avevano chiesto di non "lasciare indietro" Hajime... e quindi è nato questo epilogo :-)



Addio alle armi

«Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di vedere le cose anche dal suo punto di vista. Devi cercare di metterti nei suoi panni …»
(Harper Lee - Il buio oltre la siepe)
 
«Now I'm not looking for absolution
Forgiveness for the things I do
But before you come to any conclusions
Try walking in my shoes
Try walking in my shoes»
(Depeche Mode - Walking in my shoes)
 

Una mattinata rovente.

Fuori il sole squagliava l’asfalto e dentro, in officina, i condizionatori e gli aeratori andavano alla massima potenza. Hajime avrebbe di gran lunga preferito lavorare all’aperto ma le condizioni esterne erano davvero proibitive, e se fosse uscito sul piazzale la tuta e i guanti da lavoro si sarebbero trasformati velocemente in una tortura insopportabile.

Pensava e ripensava al mare ma per come si sentiva gli sarebbe andata bene anche la piscina. O una doccia fredda nel bagno di servizio… ma poi si sarebbe dovuto rivestire di nuovo.

Era da solo. ll suo socio, nonché ex capo, era impegnato in un giro di prova su una Jaguar che faceva i capricci Lui aveva poco da fare, a parte l’inventario dei pezzi di ricambio e gli ordini della settimana. 

Iniziò a pensare alle vacanze. Tooru voleva fare una specie di interrail in Australia, a lui invece non sarebbe dispiaciuto restarsene in Giappone e fare un giro in moto in Hokkaido. Il dibattito era ancora aperto, anche se la fazione australiana, con Tetsurō e Kōtaro a metterci il carico, sembrava al momento avere la meglio.

Si appoggiò alla parete di cemento. Era fresca, almeno quella. Poi un rumore che si avvicinava lentamente lo strappò alle sue elucubrazioni.

Un rumore basso. Un ringhio.

Qualcosa di freddo e, nonostante l’afa, spiacevole, gli scivolò lungo la spina dorsale. Quel ringhio gli era familiare.

Si staccò dalla parete e si avvicinò con circospezione alle saracinesche aperte sul piazzale, che sembrava ricoperto di neve per quanto brillava al sole. Il biancore era ancora più abbacinante per via del contrasto con la macchia di metallo nero che si era appena parcheggiata sul cemento.

Non si era sbagliato. Il tridente sul radiatore la identificava come una Maserati.

Il ringhio del motore, come la Maserati di Wakatoshi Ushjima.

La sua magnifica Ghibli, che scivolava sulla strada come sull’olio.

Il suo proprietario scese, vestito di tutto punto come al solito. Occhiali scuri.

Tooru, tu non c’entri, vero? Perché se c’entri qualcosa giuro che ti ammazzo.

Sentiva ancora freddo, nonostante il sudore che gli scivolava lungo la schiena. 

Wakatoshi intanto si era tolto gli occhiali e li aveva infilati nel taschino della giacca. Lo sguardo era il suo solito sguardo indagatore. Lo sguardo verde che non faceva sentire trasparenti.

“Buongiorno.”

Ma Hajime non ricambiò la cortesia. “Che cosa vuoi?”
“Ho bisogno di un meccanico.”
“A Tokyo hai l’imbarazzo della scelta. O forse devi fare la fila anche tu…? Come i comuni mortali.”
“Mi serve un meccanico… bravo.”

“Se vuoi ti do un paio di numeri di telefono ma non è detto che ti rispondano al volo… e comunque noi non lavoriamo su raccomandazione.”
“Non cerco raccomandazioni ma solo un meccanico che conosca bene la mia macchina.”

Un rilancio continuo, senza esitazioni. Neanche Hajime avrebbe esitato. Quella era casa sua, non era il garage di casa Ushijima. 

“Nella tua macchina io non ci salgo neanche se mi paghi il triplo. E poi ti do una notizia: questo posto è mio al 50%, per cui i miei clienti me li scelgo io. Il mio socio è fuori con una Jaguar. Puoi restare sul piazzale, se vuoi, e aspettare il suo ritorno… ma a motore spento. Riflettici bene perché fa caldo.”

Gli voltò le spalle, imbestialito con se stesso perché stava scappando. Non poteva fare altrimenti perché la vergogna e l’imbarazzo gli premevano addosso come l’afa di mezzogiorno.

Si sentiva di nuovo alla mercé di quell’individuo e del suo narcisismo patologico, di uno che collezionava trofei a buon mercato. Si sentiva di nuovo spogliato e usato come un uomo di strada. 

Era riuscito a evitarlo per mesi, come una brutta canzone alla radio, ed ecco che lo veniva a cercare. La rabbia sì, era sbollita, ma senza di quella non avrebbe avuto lo spirito per affrontare il resto. E il “resto” non sembrava avere alcuna intenzione di andarsene perché alle spalle ora sentiva i suoi passi che si avvicinavano.

Si rassegnò. Non poteva certo buttarlo fuori, era pur sempre un cliente. E che cliente…! Il suo socio se la sarebbe coccolata, quella Maserati, altroché.

E lui l’avrebbe gestita sul professionale, era l’unica soluzione.

“Vedo che sei irremovibile. Allora, intanto ti do qualche informazione …”

Ma Wakatoshi scuoteva la testa. “Ho riflettuto a lungo prima di venire qui. Per un po’ ho anche pensato che non avrei dovuto… perché avrei parlato per conto di una persona che in realtà non esiste più.”

Ah, no. Hajime alzò le mani. “Guarda, non me frega nulla. Facciamo anche che te ne torni nella tua macchina perché io ho da lavorare.”

Wakatoshi, allora, fece un gesto che probabilmente non aveva mai fatto in vita sua.

Abbassò lo sguardo.

“Hajime. Mi dispiace.”

Hajime si accorse di aver messo su un’espressione stupida, era troppa la sorpresa al suo nome pronunciato così, senza preavviso, con un tono di voce sconosciuto. Era uno sconosciuto, quello?

Ma fu solo un istante e rispose a tono. 

“Ascolta. Eravamo consenzienti, giusto? Tu sapevi che avresti ottenuto da me ciò che volevi, e io sapevo che avevo a che fare con un malato di mente, sadico e infantile, uno che poteva comandarsela come e quando voleva. Come vedi le scuse non sono necessarie. Basta che giri i tacchi e te ne vai da dove sei venuto.”

Ma l’altro non arretrava di un passo.
“Quella sera, sotto casa di Tooru… ti ho fatto credere che avevo avuto la meglio su di te. Che ti avevo battuto. Non era così, Tooru mi aveva appena dato il benservito.”

E in quel momento, Hajime capì che se gli avesse risposto lo avrebbe anche legittimato a continuare quella conversazione assurda. Ma non riusciva a tenersela dentro e per la prima volta nella sua vita capì anche lui aveva qualcosa di animale che si era solo assopito in un angolo del recinto, bastonato e incattivito.

“Però te lo sei portato comunque a letto, alla fine!... “ esclamò rabbioso. “Lui ci credeva ancora, nonostante tutto!... E io…”

E lui era stato settimane alla larga da Tooru quando avrebbe semplicemente voluto dirgli che lo amava. A farsi mille e un problema, tutto per causa sua. 

La rabbia non era sbollita, ritornava anzi. Lo avrebbe volentieri appiccicato al muro. E poi gli avrebbe anche rigato la macchina.

“Mi dispiace anche di questo.” Il serial killer sollevò lentamente lo sguardo.

Era tutto assurdo: Wakatoshi che veniva a chiedergli scusa e lui che si accorgeva che era ancora incazzato nero e che quelle scuse abbastanza goffe soffiavano sul fuoco.

Respirò a fondo, per riprendere il controllo.

“Wakatoshi” - Ma sì, poteva chiamarlo anche lui per nome, a quel punto - “Davvero… tutto questo non ha senso. È Tooru che lavora per te, è lui che ha a che fare con te. Io non c’entro. Non c’è bisogno di… discutere…”


Ma quelle scuse inaspettate in realtà lo avevano colpito. Una persona che non esiste più, così Wakatoshi aveva definito il suo alter ego animale e notturno: a proposito ma tutto quel sole non gli dava fastidio??

“Se non fosse stato per te, ora Tooru non lavorerebbe per me. Ci hai mai pensato?”
“Non capisco che cosa intendi. Tooru fa le sue scelte, io non le condiziono affatto.”
“Se gli avessi chiesto di non accettare, lui non avrebbe accettato.”

“Non glielo avrei mai impedito.”

“Non era scontato. Per cui, ti ringrazio.”

Wakatoshi Ushijima che si scusava e ringraziava. 

Una persona che non esiste più. Persone che non esistono più.

Suo malgrado, per una qualche insana e spontanea associazione mentale, Hajime ripensò allora alla sua famiglia. 

Ripensò a momenti confusi e intensi durante i quali aveva ritrovato suo padre, sua madre, i suoi fratelli, che conosceva da sempre, che sembravano uguali in tutto e per tutto a come li aveva lasciati ma che invece erano profondamente cambiati. 

Ripensò anche a se stesso, a come era profondamente cambiato anche lui. Si era finalmente liberato dai suoi assurdi sensi di colpa per aver scombinato i piani della sua famiglia e dato il cattivo esempio, ed era stato solamente perché grazie a Tooru il suo cuore si era alleggerito ed era riuscito ad ascoltare e perdonare. Soprattutto, aveva messo gli altri in condizioni di chiedere perdono.

Mentre rimuginava sulla sua vita realizzò che stava fissando il pavimento e stava completamente ignorando Wakatoshi, il quale ora era visibilmente a disagio… e Wakatoshi a disagio era un’esclusiva assoluta.

“Beh… se proprio ci tieni… accetto le tue scuse.” Disse poi gettando finalmente la spugna. Il pugile arrabbiato tornò al suo angolo, l’incontro era finito e forse avevano vinto entrambi. 

Wakatoshi si produsse in una specie di sorriso.

“Ti ringrazio. Ora ti saluto… e scusami per il disturbo.” fece per andarsene ma a quel punto Hajime aveva qualcosa di pratico da chiedergli.

“Il meccanico ti serviva veramente?” Glielo chiese con una specie di sorriso anche lui, germogliato spontaneamente dopo quell’ammissione di responsabilità.

“Sì.”

“Qual è il problema?”

Wakatoshi provò a spiegarglielo per grandi linee (non era un granché come meccanico, nonostante tutti i suoi aerei) e Hajime ipotizzò un problema al servomotore.

“Se la vuoi lasciare… ma non abbiamo auto di cortesia disponibili in questo momento.”

“Non è necessaria. Grazie.”

Gli lasciò le chiavi e gli voltò le spalle senza altri convenevoli, e se ne andò nella calura.

Hajime la portò dentro.

La Ghibli che aveva inseguito con la sua moto, geloso alla follia, come uno stalker.

Lo specchietto retrovisore rifletteva ora un angolo neutro, un sedile vuoto, palcoscenico di uno spettacolo ormai terminato e che non avrebbe avuto mai più repliche.

Una cosa lo colpì, prima di scendere: un minuscolo pezzo di vetro infilato nel vano laterale del lato guida. 

Lo tirò fuori e lo osservò: era un frammento di parabrezza. Forse un difetto di fabbricazione ne aveva provocato la rottura ed era stato quindi sostituito.

Del resto un attimo di cedimento poteva capitare anche alle auto migliori.

 

****

 

Per Wakatoshi, parlare con Hajime  non era stata una passeggiata. Forse era stato addirittura più complicato che imparare a mostrarsi pubblicamente con Satori accanto, in atteggiamenti sicuramente sobri ma inequivocabili. Prenderlo per mano, ad esempio, che era una cosa che amava fare e che lo riportava con la mente al loro primo giorno insieme a Parigi.

Complicato anche perché, a differenza di Tooru, Hajime per lui era stato solo un diversivo, il soddisfacimento di un mero istinto. La sua parte peggiore era emersa con la persona in assoluto meno adatta.

In azienda, non gli erano sfuggite certe telefonate di Tooru al suo compagno piene di sollecitudine, il suo tono tranquillo e allo stesso tempo attento. Aveva capito che per dargli il suo appoggio incondizionato, Hajime aveva dovuto ingoiare il rospo e forzarsi a sopportare l’idea di avere ancora a che fare con lui, anche se indirettamente. 

E a distanza di un anno, che nella sua mente pesava più di un secolo, Wakatoshi era ormai capace di valutare appieno le sue azioni e le relative conseguenze. 

Aveva capito che la remissività e la debolezza che Hajime aveva mostrato con lui non erano difetti congeniti da stigmatizzare e disprezzare ma sintomi di un malessere che anche lui aveva contribuito ad alimentare. 

Con il suo malessere. 

Aveva tentato di rimediare e forse c’era riuscito. 

Non c’era riuscito con Reiko, che pure aveva incontrato in un’occasione ufficiale e che si era rifiutata anche di parlargli. Era al braccio di un rampollo dell’industria informatica che conosceva bene, magari a modo suo era felice.

Non c’erano ricette o proverbi per diventare migliori ma solo capacità di mettersi in discussione. 

Con buona pace del nonno.

 

****

Tetsurō, allungato indolentemente sullo schienale della sedia, piegò la testa all’indietro e sfoggiò i suoi occhi taglienti.

“Mi stai dicendo che Wakatoshi ha fatto pace con Hajime? E tu c’entri ovviamente qualcosa?”

“No. Ha stupito anche me. E, soprattutto, Hajime sembra stare meglio. E non è una questione di orgoglio, è come se si fosse tolto l’ultimo cerotto. Sì sente di nuovo integro.”

“Beh, molto hai fatto anche tu. L’amore è anche questo, prendersi cura degli altri. Hajime non ha più quello sguardo diffidente e nervoso perché tu glielo hai proprio cancellato dalla faccia. È felice.”

Tooru sorrise.

“E per te, che cos’è l’amore?” Chiese all’amico con uno sguardo sornione.

Per tutta risposta, Tetsurō tirò fuori una fragola dal suo parfait, la guardò con attenzione e poi le diede un morso.

“Per me è mangiare proprio questa fragola e non volerne un’altra.”

La sua bocca completò l’assalto e il frutto scomparve fra le sue labbra. Socchiuse gli occhi, il gatto nero, producendo con la lingua un suono prolungato e oscenamente erotico. 

“Tu mi farai morire…” mormorò Tooru prima di allungargli anche la fragola sul suo dessert. 

“Questa però è un’altra fragola...”

“Ti prego…! Ah, ma perché sei così…”

“… Dannatamente etero? Sono anni che me lo chiedi!”

“Te lo chiederò per tutta la vita. Chissà…”

“Mai dire mai…”

(Fine)

 
   
 
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