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Autore: aubrunhair    25/03/2024    9 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11
I cancelli di palazzo Jarjayes si aprirono all’avvicinarsi delle carrozze. Non era stato un viaggio semplice, lo avevano messo in conto. Ma finalmente erano di nuovo a casa e anche se non c’era il mare fuori dal balcone, quelle distese di prato che in pochi mesi sarebbero diventate di un verde brillante erano comunque perfette.

Aveva cominciato a nevicare un paio d’ore prima. Una sottile coltre bianca copriva il paesaggio, a perdita d’occhio. Il rumore delle ruote era attutito sulle strade e i cavalli erano stati fatti rallentare. Non un grande momento per spostarsi. Soprattutto con un bambino così piccolo.

La nonna si prodigava a calargli meglio la cuffietta e sistemargli lo strato più esterno di quel bozzolo stretto in cui il piccolo era stato avvolto.

- Credo sia coperto abbastanza. - puntualizzò Oscar in tono tranquillo. - Finirà per essere l’unico ad avere caldo in pieno inverno!

Lo cullava cercando di attutirgli gli scossoni del terreno dissestato. Cominciava a sentire le braccia intorpidite, ma erano quasi arrivati ormai e voleva essere lei a portarlo dentro.

I cavalli vennero fermati davanti i gradoni di pietra dell’ingresso. Scesero tutti e la servitù – Marie compresa – prese la strada per il portone sul retro.

Solo André rimase lì, ad attendere loro due. Non aveva viaggiato nella stessa carrozza, sua nonna era stata chiara. Con loro c’era una balia fatta arrivare direttamente da Parigi per poter sopperire alle necessità del bambino e lui, di certo, non era il benvenuto.

- È andato tutto bene? - Le domandò. Lei confermò.

Fece strada verso l’uscio, prestando attenzione che Oscar non scivolasse. Ci pensarono entrambi, senza dirselo. Sarebbero bastati dodici mesi perché ci finissero le impronte delle sue piccole mani nel bianco della neve. Ordini del generale nonna permettendo!

Il valletto aprì il portone e dall’interno arrivò il caldo del camino al pianoterra. Parevano esserci solo le cameriere in casa quella mattina. Arrivarono a salutare, a congratularsi ed erano elettrizzate alla vista di quel volto rotondo addormentato.

- Mio padre è a palazzo?

Una delle donne glielo confermò e tutte la lasciarono passare per tornare al proprio lavoro.

C’era qualcosa di strano nel ripercorrere in senso opposto la stessa strada di maggio. Ma non era sola. Non che lo fosse sette mesi e mezzo prima. C’erano tutti, proprio tutti e perfino il generale a modo suo, e forse erano stati perfino troppi. Solo che all’epoca la sorte era ignota. Nessuno sapeva come sarebbe andata a finire. Nemmeno se lei stessa sarebbe davvero ritornata. E con chi.

Invece adesso era di nuovo a casa ed era insieme al suo bambino. Saliva le stesse scale che aveva sceso quando lui ancora dipendeva in tutto dal suo corpo e lo sentiva muoversi dentro.

Gradino dopo gradino, un battito alla volta il cuore accelerava. Che pur avendoglielo già presentato, entrare nello studio del generale, loro due, segnava il vero inizio della nuova vita.

La porta era socchiusa, ma bussò ugualmente. Dall’interno una voce le diede il permesso di entrare e Oscar si infilò nella stanza, con attenzione a non disturbare nessuno.

Lo studio era illuminato dal chiarore dell’esterno più ancora che dalle candele sul lampadario. Il tepore del camino lo rendeva più accogliente, ma forse era solo una sua impressione.

Voleva pensarlo cordiale quel secondo incontro tra nonno e nipote. Dare a se stessa e a Frans l’illusione di un’esperienza normale – qualsiasi cosa significasse.

Il generale alzò la testa dalle carte che leggeva sulla scrivania. L’espressione sul suo volto si aprì in un sorriso soddisfatto.

- Siete arrivati, finalmente!

Quanto amava parlare al maschile senza doversi più preoccupare di sembrare senza speranze! Gli aveva risolto un bel problema, in effetti, anche se superficiale.

- Buongiorno, padre.

L’uomo si alzò e i suoi occhi impiegarono alcuni minuti ad abituarsi. Qualche giorno in agosto non era stato sufficiente per fare propria l’immagine dei due eredi insieme.

Le si avvicinò a grandi passi dandole il permesso di sedersi davanti la scrivania. Sfilò piano il bambino dalle sue braccia e lo prese per sé, studiandolo a distanza ravvicinata.

Era decisamente più grande di pochi mesi prima, più in forze. Lo sentiva che voleva provare a muoversi nonostante le coperte così strette.

- Ah, come avevo previsto! - Esclamò soddisfatto. Se ne intendeva di certe cose, lui. E riconoscere la tempra del soldato era una di queste. - Il sangue dei Jarjayes non mente mai: si è ripreso in fretta!

La figlia gli sorrise a labbra chiuse. - Non poteva che essere così.

Il generale osservò meglio il viso del nipote, serio. Sembrava tutto uguale all’ultima volta, a eccezione di qualcosa. C’era una macchiolina sotto l’occhio. Era certo di non averla notata ad agosto. Ci passò delicatamente un polpastrello sopra, ma quella rimase al suo posto. Spostò lo sguardo su Oscar, pretendeva spiegazioni.

- Sostiene il dottore che non sia niente di preoccupante.

Non lo aveva mai davvero visto avere a che fare con un neonato intorno e già questo la straniva. Per di più, quel piccolo mostrava una caratteristica che non sapeva se l’avrebbe considerata un difetto insormontabile o qualcosa di innocuo. L’estetica non era mai stata il suo cruccio, ma a quel punto tutto poteva essere. Bastava una minuscola scintilla per far scoppiare l’inferno.

- Lo faremo visitare da Lassonne appena smetterà di nevicare. – Concluse senza troppe formalità. - Tu come stai?

- Meglio, grazie. Ho ripreso gli allenamenti in autunno, a febbraio intendo ritornare a Versailles.

L’uomo annuì alla conferma di quei piani. Parole che bramava da tempo! Finalmente! L’aveva proprio cresciuta a sua immagine e somiglianza: impossibile da tenere troppo senza fare niente.

- Immagino ti sarai chiesta il motivo per cui non vi ho fatto raggiungere il resto della famiglia.

Mosse il capo per fargli capire che lo stava seguendo.

Penso non volesse metterti in difficoltà.

Le parole di André le risuonarono nella mente come una rete di salvataggio dopo un salto nel vuoto. Un tentativo un po’ controproducente di venirle incontro.

- È una situazione molto delicata e bisogna procedere con cautela. Io ti ho accettata perché hai ovviato a una mancanza che noi siamo riusciti a colmare. Ma le tue sorelle… Devi comprendere.

Oscar respirò profondamente. Aveva altre possibilità oltre a comprendere? Poteva rifiutarsi?

Suo padre le restituì il bambino, accorto nel non svegliarlo ma lui aprì gli occhi comunque e cominciò a piangere.

Si alzò per alzò per andare fuori e lasciarlo ai suoi impegni. L’uomo le fece un’ultima raccomandazione:

- Mi aspetto una condotta più che eccellente d’ora in poi. Non mi troverai ancora così disponibile, sappilo.

- Certamente, padre, grazie. - Lo salutò e se ne andò, facendo tornare il silenzio nella stanza.

Se la scrollò di dosso piano piano la sensazione di non avere avuto scelta. E poi di altre cose a cui pensare ce n’erano. Volle concentrarsi su quelle, mattino dopo mattino, perché erano una priorità assoluta.

Le mura di palazzo Jarjayes erano rimaste vuote e silenziose durante la sua assenza. Soltanto con l’ordine del generale di adibire una stanza per accogliere il nuovo arrivato l’atmosfera si era scaldata un poco.

Adesso, invece, tutto riprendeva a girare come al solito, nella rinnovata austera quotidianità della casa di un militare.

I primi tempi sembrava che Frans si fosse accorto di non essere più in Normandia. Gli ci volle un po’ per abituarsi, pur non essendone ancora conscio. Non sapeva dove fosse, non sapeva neanche chi fosse. Ma tutti avevano l’impressione che se ne fosse accorto che fuori dal balcone c’era una distesa di erba coperta di neve invece del mare.

Gli ci volle meno a diventare il motivo per cui il generale si trovò a ripetere le stesse identiche raccomandazioni di ventiquattro anni prima. A chiunque.

“Il bambino sarà un soldato.”

“Non dovete viziarlo troppo, o crescerà debole.”

A nulla serviva fargli notare che fosse ancora davvero molto piccolo. L’uomo non intendeva arretrare di un passo. Un eterno ritorno dell’uguale. Ma almeno adesso nessuno avrebbe dovuto mentire.

Si scontrava spesso con la governante, di nuovo. Perché lei non tollerava che ricominciasse con la solita nenia e l’altro ricordava che l’ultima volta aveva avuto ragione lui – nonostante tutto.

Non la prendevano neanche in considerazione l’opinione della madre. Oscar proseguiva nelle proprie giornate, con le proprie abitudini. E i propri dubbi, che a mano a mano cambiavano.

Alcuni si trasformavano in lezioni imparate, altri mutavano forma. Ma le pareva di conoscerlo meglio il suo bambino e di conoscere meglio se stessa. Continuavano a esserle sconosciuti, ad esempio, i meccanismi per cui aveva imparato a riconoscere il motivo della maggior parte dei suoi pianti. E adattava le strategie affinate in anni di addestramento militare per dar retta a ogni vagito in piena notte con la guardia sempre alzata. Che se avesse avuto bisogno di lei era pronta ad alzarsi come se l’avessero chiamata per correre dalla regina.

E poi gli allenamenti nei terreni intorno al palazzo erano diversi. C’era un’aria di quotidianità differente. E non perché conoscesse la posizione di ogni pietra e di ogni albero. Era lì che aveva imparato tutto e lì che avrebbe imparato tutto anche il suo bambino. Lì si era sbucciata le ginocchia, aveva rischiato di cadere di sella da César. Lì correva quando aveva bisogno di liberarsi di tutto.

- André, devo chiederti una cosa. - Gli disse un pomeriggio.

La neve aveva smesso di cadere da una settimana e lei voleva testare il controllo del cavallo sul terreno scivoloso.

- Dimmi pure, è successo qualcosa?

Si sentì all’improvviso agitata.

Temeva la risposta che avrebbe potuto darle. Se fosse stato ciò che sospettava, ci sarebbe rimasta molto male. Se ne avesse ricavato una bugia e lo avesse scoperto (le ci voleva davvero poco per farlo), non glielo avrebbe perdonato.

- Un anno fa, quando uscivi la sera e tornavi tardi... Dove andavi?

André mantenne lo sguardo sulla strada, come se non l’avesse neanche udita. Tirò piano le redini per rallentare e costringerla a fare lo stesso.

- In un posto.

Lo disse senza alcuna inflessione. Non pensava si ricordasse e lui stesso ci era andato molto meno.

- Quale posto? - Insistette Oscar, pur sapendo che lo avrebbe innervosito. Ma lo voleva sapere. Non c’erano mai stati segreti tra loro.

Lui sbuffò appena. - Da quando mi controlli se non sono con te, Oscar? È un posto!

- Beh, mi piacerebbe saperlo.

- Un giorno lo saprai.

- Mi sento dare questa risposta da tutta una vita. Non sono più una bambina, André!

Ma alle sue rimostranze lui replicava con una calma serafica. - Lo so. Ti devi fidare di me e avere pazienza. Una volta tanto…

Ripartì più rapido per farsi seguire, lanciandole un’occhiata divertita.

Non ne aveva ricavato niente e la cosa la infastidiva. Ma almeno aveva avuto la prova di non aver perso l’abilità di saper cavalcare in ogni condizione e ciò un po’ la confortava.



Era nello studio di suo padre che Oscar incontrava Girodelle. Finalmente di persona, le poteva sentire dalla sua viva voce le notizie. Pareva non essere cambiata troppo la situazione, almeno laggiù. La regina alienata, il re indulgente, la guerra dall’altra parte dell’Atlantico che infuriava, le feste, i balli, i nobili indispettiti e le dame con i ventagli.

A ogni colloquio assisteva anche il generale – così, per sicurezza. Non che non si fidasse più, però… Finché poteva tenerla davanti agli occhi dormiva sonni più sereni. E lei, che non aveva mai tollerato interferenze, dovette adattarsi.

Rimaneva in silenzio dall’altra parte della scrivania, ad ascoltare ciò che si dicevano. Studiava con attenzione il modo in cui la figlia gestiva la situazione. E non poteva che pensare bene del suo comportamento: sempre impeccabile. Stava attenta al dettaglio, alla minima parola che il tenente le riferiva. L’aveva addestrata a dovere, sì.

- Sua Maestà ha chiesto quando tornerete. Vuole il giorno esatto.

L’altro uomo spostò lo sguardo su di lei, attirando per un momento la sua attenzione. Anche lui avrebbe gradito una data precisa. Che “febbraio” significava allo stesso tempo tutto e niente.

La risposta non tardò ad arrivare. Decisa, come lo era sempre stata. - Il primo lunedì di febbraio. Fino ad allora, vi prego di porgere i miei omaggi alla regina.



Un sole non troppo caldo quello che batteva su Versailles. Era già stata tolta tutta la neve dalla strada che portava alla piazza d’armi. Soltanto alcune pozzanghere dei cumuli sciolti erano rimaste ai lati del viale.

Contò mentalmente da quanto mancasse. Otto mesi e mezzo. Era una strana sensazione. Come se ci fosse un racconto da riprendere dove la piuma era stata staccata dal foglio.

- Comandante, sarete contenta di essere ritornata dopo tanto tempo. - Esordì Girodelle affiancandola a cavallo.

Oscar annuì col capo e continuò a osservare la reggia diventare grande all’orizzonte. – L’ho lasciata che era primavera, mentre ora…

Non riuscì a finire la frase. Il rumore delle ruote di una carrozza lanciata a grande velocità alle sue spalle la sovrastò. Si dirigeva verso di loro, incurante del fatto che fossero ancora in centro al viale d’ingresso.

Riuscirono a salvarsi appena in tempo. Si divisero ai due lati della strada e lasciarono passare chi avesse tanta fretta.

Lanciarono entrambi un’occhiata veloce oltre le finestrelle, coperte dalle tendine bianche che volavano nel vento.

Conosceva fin troppo bene la persona seduta all’interno.

- Di nuovo lei! - Esclamò Oscar tirando le redini del cavallo - Sono passati mesi ma la contessa di Polignac ha mantenuto gli stessi metodi di sempre.

- Quella donna nell’ultimo periodo ha acquisito sempre più potere a corte ed è inspiegabile come ci stia riuscendo.

- Cosa intendete dire?

- Non c’è carica istituzionale che riesca a rimanere vacante per più di qualche giorno: ci pensa lei a riempirla.

Ogni parola che Girodelle aggiungeva definiva un quadro oscuro. Non pensava che la contessa si smascherasse così apertamente. Ma soprattutto, che nessuno le impedisse di essere tanto sfacciata. Si stava prendendo tutto per davvero. Perfino la libertà di insinuarsi nella volontà di sua maestà.

Giunti alla Court Royale vivi e vegeti, si divisero. Prima di tornare dai propri uomini, Oscar voleva recarsi dalla regina. Glielo doveva, più di ogni altra cosa.

Quando la vide seduta sul divanetto nel salottino da tè, così regale e splendida nella sua robe à l’anglaise azzurra a fiori gialli, non poté che provare un’immensa felicità. Aspettavano entrambe quel momento. Ritrovarsi fu una vera gioia.
 
-Madamigella Oscar, mi siete mancata!

La regina parlava e dalle sue labbra uscì un grande entusiasmo. Lo stesso di quando la chiamava per raccontarle di quanto fosse divertente essere amata da tutti. Anche se ora non era più così. Anzi.

Corse dalla sua amica e le strinse le mani. Il massimo di affetto che il suo ruolo le permettesse. Aveva gli occhi lucidi e le guance un poco più rosate del solito. Il suo grande sorriso le illuminava il volto. Averla davanti a sé era il primo vero momento felice dalla partenza di Fersen.

- Sono venuta a salutarvi per prima e a rinnovare il mio ringraziamento per la vostra magnanimità nei miei confronti.

Era mancata molto a Oscar la sua regina. Perfino i suoi capricci e i suoi malumori le erano mancati. Era bello poterle parlare di persona di nuovo.

- Vi prego, madamigella, raccontatemi tutto! -Esclamò Maria Antonietta tornando a sedersi sul divanetto imbottito. - Ho saputo da vostra madre che avete avuto un bel maschietto!

L’altra le sorrise, in piedi al centro della stanza. - Sì, Maestà, è un maschio. Si chiama Frans Auguste.

Non era sicura di volerglielo dire perché avesse scelto quel nome. Anche se era sicura sarebbe arrivata la domanda. Era una giovane donna curiosa, soprattutto quando si trattava di persone a lei care. E infatti non tardò.

- Oh, che bel nome! - Le sue mani diafane si unirono in un breve applauso. - Come mai avete scelto proprio questo?

- Lo ha scelto il destino, Maestà. Un libro di poesie e il mese in cui è nato.

- Madamigella, sono così contenta! Immagino che vi mancherà adesso che siete tornata…

- È il mio dovere servirvi, non potevo restare lontana a lungo.

Nonostante la serietà di quella risposta sincera, non poteva negarlo. Le mancava, eccome!

Lo aveva tenuto tra le braccia fino all’ultimo minuto prima di uscire di casa. Aveva voluto conservare ogni istante insieme per averne una scorta sufficiente per tutta la giornata. Si era congedata da lui con un bacio sulla fronte e aveva ricevuto in cambio un sorriso e uno sbadiglio. La faceva ridere quando reagiva così. Anche André lo aveva salutato. Una carezza sulla testa e la raccomandazione di comportarsi bene, mentre la nonna lo riportava nella culla.

- Oh, quanto sei stupido, André! Cosa pensi che possa fare? E poi è bravissimo lui, a differenza tua!

- Non lo so, nonna, è pur sempre figlio di Oscar!

- Mi raccomando, madamigella, non fatevi problemi di alcun tipo: potete domandarmi qualsiasi cosa e quando lo riterrete opportuno avete già il mio permesso di presentarmelo. Sono così curiosa di incontrarlo!

- Non mancherò alla vostra richiesta, grazie.

La porta alle sue spalle si aprì e nel salottino si palesò Yolande De Polignac. Finalmente di nuovo faccia a faccia. Le due donne più amate dalla regina. E dire che loro non si erano mai potute vedere!

La contessa finse di rimanere sorpresa in presenza del comandante delle Guardie Reali, con un gesto tanto teatrale quanto stucchevole.

- Oh, siete tornata a corte! Non vi ho vista nei corridoi… - Le si parò davanti per squadrarla meglio.

- Nemmeno il vostro cocchiere mentre vi stavate precipitando alla reggia. - La interruppe Oscar.

Fece un passo indietro per lasciarla proseguire, ma l’altra non si mosse. Strinse il ventaglio tra le dita, invece. Come si permetteva di farla fare una figura del genere davanti a Maria Antonietta? E per di più il primo giorno dopo otto mesi e mezzo di lontananza! Se non avesse agito in fretta, se la sarebbe vista molto brutta.

- Converrete che sia una questione che richiede una certa fretta essere al fianco di sua Maestà.

- Senza dubbio. Eppure siete arrivata adesso.

La disputa venne interrotta dalla regina. Non voleva negatività intorno quel giorno, solo animi distesi.  

Davanti all’imposizione dell’armistizio, Oscar decise che fosse giunto il momento di uscire. Si congedò da entrambe. Prima di uscire, però, la sua nemesi la fermò un’ultima volta:

- Madamigella, vi fa onore aver deciso di tornare tanto presto al vostro dovere sottraendolo al vostro bambino.

Era chiaro cosa intendesse. Lapalissiano. E in breve tempo lo avrebbero pensato tutti a corte.

Se Oscar avesse risposto ciò che veramente voleva, avrebbe cosparso sale su una ferita presumibilmente ancora aperta. E di passare per indelicata, oltre che maleducata, non le andava. Non per la contessa, quantomeno.

Si riparò dietro un imprecisato cenno del capo e un inchino alla sovrana, poi uscì dal salottino e chiuse la porta.

Rimase un istante in corridoio, ferma. A pensare che le trappole erano veramente ovunque là dentro e mai dove avrebbero dovuto essere.

Un’accoglienza meno aspra gliela riservarono i suoi soldati, seppur decisamente convenzionale e impettita. Il malumore scemò. Li trovò come li aveva lasciati: impeccabili. E siccome non voleva perdere altro tempo, mise fine in fretta alle cerimonie. Preferiva essere accolta da un’esercitazione perfetta, piuttosto che da tante (seppur sentite) felicitazioni.

Li osservò: praticamente perfetti a cavallo, agili con la spada. Tutto ciò che aveva impartito lei negli anni lo avevano messo in pratica nel periodo in cui non era stata con loro. E non poté che complimentarsi con Girodelle. Nulla era stato lasciato al caso: lo notò e se ne compiacque.

Ma ci fu qualcos’altro che catturò di più l’attenzione. O meglio: qualcun altro.

Tra i soldati, un volto duro, squadrato, assolutamente non familiare e sconosciuto si stagliava tra tutti. Era diverso dai suoi compagni, praticamente in ogni cosa. Non portava i capelli lunghi legati in un fiocco e nemmeno il tricorno blu. Oscar osservò la sua giacca. Aveva una spilla accanto alla fascia del titolo nobiliare ma non la vedeva bene da dov’era.

- Tenente, c’è un nuovo arrivato? - domandò cercando di riconoscere il suo grado.

- Sì, ho ritenuto opportuno aspettare a dirvelo perché dovevamo ancora ricevere la conferma del suo incarico. È il capitano Nicolas De La Motte. - Spiegò Girodelle cercando di tenere a bada il cavallo, stanco di rimanere fermo. - È amico del Cardinale De Rohan.

Lei continuò a guardare lo sconosciuto. Non gli tolse mai gli occhi di dosso, nemmeno per dare ordini all’intero gruppo. C’era qualcosa di strano in quell’uomo, qualcosa che non la convinceva, ma non sapeva ancora dire che cosa.

Lo avrebbe scoperto. Suo malgrado.
 
Note: grazie per essere arrivatə fino a qui! Gli slice of life sono conclusi. Un po’ veloci, lo so, ma non sottovalutiamo il potere dei flashback nel corso della storia, che inizia (alla buon’ora!) adesso. Nella mia testa li ho immaginati davvero come piccole scene di un film che ci fanno capire lo sviluppo precedente alla vicenda senza dilungarsi troppo, mi auguro vi siano piaciuti e questa strategia narrativa si adatti bene al complesso. Vi anticipo che i prossimi aggiornamenti saranno un po’ dilatati da adesso, ma ci saranno. A presto!
   
 
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