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Autore: SabrinaPennacchio    19/09/2009    2 recensioni
Dopo i vari avvenimenti a Fell's Church e la delusione da Katherine ed Elena, per Damon è arrivato il momento di affrontare un altro problema.
I sentimenti e l'umanità, non svaniscono solo perché lo si vuole.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Nuovo personaggio, Quasi tutti | Coppie: Elena Gilbert/Stefan Salvatore
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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--- Capitolo Primo ---




Era sdraiata su quel prato da ore ormai. Il crepuscolo illuminava il cielo di un dolce color arancio ma lei non aveva alcuna intenzione di muoversi da lì.
La foresta era un luogo che amava tantissimo e dove, sin da piccola, amava trascorrere la maggior parte del proprio tempo in solitudine e tranquillità.
Un leggero venticello autunnale le scompigliò i corti capelli castani, gelandole il collo scoperto e un brivido le percorse la schiena mentre si metteva seduta su quell'erba appena umida.
Aprì gli occhi marroni e si osservò attentamente:
maglia a strisce nere e fuxia a giro maniche, minigonna di jeans e stivali neri in pelle.
Certo non era un abbigliamento adatto al mese di settembre.
Si sgranchì le braccia per poi alzarsi lentamente, osservando il laghetto dinnanzi a sè.
Si era trasferita da poche settimane a Feel's Church e l’unico luogo dove si sentiva davvero a casa era quella foresta a pochi passi dalla villetta dove abitava con sua madre Rosalie e suo padre Joseph.
Non riusciva ancora a capire bene cosa ci avessero trovato di interessante in quella cittadina, i suoi genitori; una città dove negli ultimi tempi si erano solo manifestati incidenti, a quanto sembrava, molto pericolosi, a detta dei racconti  delle vicine - pettegole - di casa.
Ma dopotutto, per due scrittori di romanzi gialli, una città misteriosa come quella non poteva essere altro che un’ottima fonte d’ispirazione per i loro racconti.
I suoi genitori si erano conosciuti ad un concorso per aspiranti scrittori e da lì era nato il loro amore. Anche lei, come loro, aveva il dono della scrittura e un giorno avrebbe intrapreso la loro strada lavorativa.
Il cellulare le squillò improvvisamente, facendo risuonare una canzone degli Evanescence in tutta la foresta e qualche animale più sensibile si levò in alto, infastidito dal volume alto della suoneria.
Si sbrigò a premere il pulsante verde e a rispondere frettolosamente, aspettandosi già chi fosse dall'altro capo del dispositivo mobile
«Pronto?» rispose con voce flebile e dolce
«Sabrina, dove diavolo ti sei cacciata?» la voce dall’altra parte del telefono era furiosa e preoccupata al tempo stesso
«Mamma» sospirò ella «Tranquilla, ora torno a casa»
«Cerca di sbrigarti, lo sai che non voglio che passi troppo tempo da sola, fuori casa»
«Non sono sola» rise, guardandosi intorno: di certo non poteva ritenersi sola con tutti gli animali che abitavano quel bellissimo luogo
«Non dirmi che sei di nuovo in quella maledetta foresta» non rispose e sua madre continuò «Sabri, dove abitavamo prima non c’erano tutti i pericoli che ci sono qui»
«E allora perché mi avete trascinata qui, facendomi lasciare tutti i miei amici?» la risposta le venne spontaneamente con un pizzico di rabbia, se i suoi genitori sapevano che quel posto era pericoloso, non riusciva a comprendere il motivo per cui allora si erano voluti trasferire con tanta urgenza ed euforia.
D'accordo, era per il loro lavoro, ma lei a causa loro aveva abbandonato tutto e tutti
«Perché hai solo diciassette anni e non volevo lasciarti da sola»
«Ok, ok, la solita cantilena» gesticolò Sabrina, alzando gli occhi al cielo con una smorfia.
La madre, in tutta risposta, sospirò scocciata «Non ho voglia di litigare adesso. Torna a casa che domani ti inizia anche la scuola e devi andare a dormire ad un orario decente»
Si la scuola, si disse tra se e se, una stupida scuola dove non conoscerò nessuno.
Era sempre stata timida fin da piccola e i pochi amici che aveva nella città dove abitava prima se li era fatti solo perché erano stati loro ad avvicinare lei. Ora doveva ricominciare da capo e sapeva che sarebbe stato difficile.
«Va bene. A dopo!» il suo udito captò un lieve battito d’ali a pochi passi da lei. Si voltò alla sua destra e notò un gigantesco corvo appollaiato sul ramo di un albero
«Mi dispiace» furono le ultime parole di sua madre, prima di riagganciare, ma ella non ci fece molto caso, intenta com'era, ad osservare quello strano volatile che aveva un non so che d’ipnotico e di spaventoso allo stesso tempo.
Solo pochi istanti dopo si rese conto di avere ancora il telefono vicino all’orecchio e sussultò senza un motivo preciso, posandolo in tasca mentre il corvo scendeva cautamente dall’albero, avvicinandosi a lei.
Era strano come non riuscisse a muoversi, continuando ad osservarlo con spavento.
Aveva sempre odiato i corvi - per quel che si diceva facessero agli occhi o qualcosa di simile - ma non ne aveva mai avuto particolarmente paura. Quel corvo, però, aveva qualcosa di davvero strano.
Questi si levò in cielo per poi appoggiarsi sulle sue gambe nude.
Sabrina gettò un urlo impaurito, tirandosi appena indietro, ma l'animale non si mosse di un centimetro dalla sua posizione. Sembrava che la osservasse con attenzione e curiosità, come se fosse stato umano invece che un semplice animale della notte.
Cercò di cacciarlo via scuotendo la gamba ma senza risultato.
«Ah!» finalmente si decise a volare via, lasciandole sulla gamba un graffio non troppo profondo ma sanguinante.
Odiava il sangue, e la sola vista la faceva quasi sentir male. Si alzò lentamente, cercando di non barcollare.
Meraviglioso! Già non le piaceva quella città, e di certo quello che era appena accaduto non le faceva cambiare idea.
«Stupido animale» sussurrò infastidita, pulendosi la gonna e le gambe da alcuni pezzi d'erba.

Egli attese che lei se ne andasse, prima di mutare da corvo ad un giovane uomo dai capelli e gli occhi corvini.
Vestito di nero, come suo solito, era appoggiato ad un albero non poco distante da quello dove si era appollaiato poco prima. Portò una mano alla bocca, leccando le dita ancora sporche di sangue fresco, e sogghignò.
Quella fanciulla, bella e indifesa, sola in quella foresta così pericolosa e ignara di ciò che poteva accaderle, era una preda troppo succulenta per lui.
Ma dopotutto, da ciò che aveva udito, era appena arrivata in città e non poteva conoscere il rischio che correva nel trovarsi nel suo territorio.
Non voleva ucciderla e nemmeno spaventarla. Non sarebbe stato educato da parte sua comportarsi così con una nuova arrivata, ma quello non significava certo che non poteva assaggiare un po' del suo sangue.
L’aveva graffiata per questo, godendo della paura e la determinazione presente nei suoi occhi, - sguardo che aveva trovato solo in una persona prima di lei -, e ora che aveva assaggiato la dolce flagranza del suo sangue… beh, di certo non poteva farsi scappare una preda così succulenta.
Si sarebbe divertito un po’ con lei se fosse tornata, infondo non si divertiva da tempo, e se non l’avesse fatto… l’avrebbe cercata lui.
Le aveva letto nella mente, il suo Potere si era rafforzato sempre di più dopo il suo ultimo pasto, e poteva usare ciò che aveva scoperto per attirarla a sé,  poggiare delicatamente le labbra sul suo tenero collo, e farle provare così l’estasi, un’estasi eterna.
Sogghignò nell' allontanarsi per poi raggiungere la sua ferrari nera parcheggiata poco distante.
Se il suo fratellino l’avesse sentito! Di certo lo avrebbe odiato ancora di più, a dispetto di tutto ciò che aveva promesso ad Elena prima che tornasse in vita e prima di tutto quel casino con la Dimensione Oscura.
Il suo dolce, tenero… stupido fratello minore.
Meglio non pensare a lui o si sarebbe solo rovinato la serata.

Sabrina tornò a casa in pochi minuti. Aveva corso per tutta la foresta e il cuore le batteva velocemente, quasi a farle male il petto.
Non si sapeva nemmeno spiegare il motivo di quella strana agitazione, sapeva solo che improvvisamente un brivido le aveva percorso la schiena e qualcosa le diceva di correre via il più veloce possibile.
Correre via da cosa?! Non lo sapeva, ma doveva correre se non voleva essere presa.
Si fermò davanti al cancello di casa, sospirò e calmò il respiro.
Che stupida, pensò, che mi è successo improvvisamente?! Era come se avessi paura che qualcuno mi inseguisse. Sono proprio una stupida, quel maledetto corvo mi ha impressionato.
Si guardò intorno: non erano nemmeno le 20:00 ed era come se l’intera città fosse come morta.
Forse questa città finirà per farmi impazzire.
Percorse il vialetto alberato del giardino e raggiunse la porta d’ingresso. Frugò nelle tasche della minigonna. Maledizione! Aveva dimenticato le chiavi.
Suonò il campanello e si preparò mentalmente alla ramanzina che l’avrebbe attesa una volta entrata in quella nuova casa alla quale ancora doveva abituarsi.
Ad aprire la porta fu proprio sua madre.
Le sorrise, mettendo una ciocca dei capelli biondo rame dietro l’orecchio, e si tolse gli occhiali, guardandola attentamente con gli occhi uguali ai suoi.
Aveva ereditato gli occhi della madre e i capelli del padre, anche se come somiglianza era identica a Rosalie.
«Dai entra» le mise una mano sulla spalla mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Strano come non avesse fatto ulteriori storie.
Entrate in cucina, la ragazza potè sentire un invitante odore di cena: a quanto sembrava, sua madre stava cucinando una delle sue prelibatezze
«Scusa il ritardo» si scusò con voce flebile, approfittando del fatto che non sembrasse arrabbiata
«Non fa niente» la donna le diede un bacio sulla fronte e poi tornò ai fornelli «Scusami tu, ero solo preoccupata»
la figlia sorrise, facendo spallucce «Papà?!» si guardò intorno, stupita di non vederlo
«è nel suo studio, sta stampando il suo nuovo manoscritto» rispose la madre, aprendo il coperchio della pentola e buttando gli spaghetti nell’acqua che iniziava a bollire.
«E tu? Non hai ancora finito il tuo?»
«Mah, non so quando lo finirò, sono a mancanza di idee»
Quelle parole la fecero ridere «Tu senza idee? Mamma, io e te non siamo mai senza idee»
Rosalie sorrise «Beh, vorrei creare un finale davvero stupefacente e ci vuole tempo per fare le cose per bene»
«Lo so» annuì Sabrina, capendo perfettamente la situazione. Capitava molto spesso anche a lei, dilungarsi per fare le cose decentemente
«E tu? Non stavi scrivendo un libro?» le chiese improvvisamente la donna dai capelli ramati.
La figlia arrossì «Beh, si, ma da quando ci siamo trasferiti non l’ho ancora continuato»
«Di che parla?» le fece l’occhiolino, l'altra «Tranquilla, non ruberò la tua idea»
«Ci mancherebbe!» la bruna rise di nuovo «Di vampiri, comunque»
«Ormai tutti si stanno fissando con questi vampiri» Rosalie girò gli spaghetti nella pentola e si avvicinò a lei «Bah. Comunque sono sicura che farebbe successo, visto che è scritto da te. Perché, una volta finito, non me lo dai? Lo mostro al mio Editor»
«Ma no, mamma» ella mosse le mani in segno di disapprovazione, spostando una sedia dal tavolo al centro della stanza, per poi accomodarvisi «Che vergogna far leggere il mio libro a dei professionisti»
«Non eri tu quella che voleva fare la scrittrice?»
«Si ma… beh...» gesticolò, non trovando le parole adatte 
«Allora potremmo leggerlo prima io e tuo padre, darti il nostro parere professionale, ed infine decidere insieme se farlo vedere o no ad un Editor»
all'insistenza della madre, la ragazza, sentendosi quasi messa alle strette, sospirò, annuendo sconfitta
«Ma non prendetemi in giro» quasi l'ammonì e l'altra sorrise, mettendo una mano sul cuore
«Promesso!»
Sabrina si alzò dalla sedia e si avvicinò ad un mobile, aprendo uno dei cassetti «Inizio ad apparecchiare?»
Rosalie scosse il capo «Ci penso io. Tu va a chiamare tuo padre»

La ragazza dai capelli castani salì le scale a chioccia che portavano al secondo piano, dirigendosi nello studio del padre, in fondo al corridoio.
La maggior parte dei libri che scriveva sua madre parlava di delitti ed investigatori privati stile Sherlock Holmes mentre quelli di suo padre parlavano di cose soprannaturali tipo: alieni e streghe. Tutti e due però, si occupavano di libri gialli.
Sembrava che anche lei si stesse dirigendo su quella strada, dopotutto i romanzi che parlavano di vampiri non erano certo romanzi rosa, anche se i vampiri delle sue storie non erano i soliti mostri assetati di sangue, ma bellissimi ragazzi tormentati dalla loro natura che si innamoravano delle loro prede.
Aprì la porta dello studio, trovandosi di fronte un’uomo dai capelli castano scuro, mossi, che sistemava dei fogli in una cartella: sicuramente erano le fotocopie del suo manoscritto.
Nel sentire la porta aprirsi si voltò verso di lei, e nel riconoscerla allungò un sorriso, mentre i suoi occhi neri brillavano alla luce fioca della lampada sulla sua scrivania.
«Amore»
La figlia si avvicinò a lui, allungandosi sulle punte dei piedi per poi dargli un bacio sulla guancia «Papà, mamma ha preparato la cena»
l'uomo sorrise «Arrivo subito» posò la cartella sulla scrivania e si avvicinò nuovamente a lei «Emozionata per il primo giorno di scuola?» fece, poggiandole una mano sulla spalla mentre uscivano dalla camera.
«Non me lo ricordare, ti prego»
L’uomo sorrise, dirigendosi con lei al piano inferiore.

Dopo cena, la giovane si diresse nella sua stanza, dove preparò le ultime cose per la scuola, prima di sedersi alla scrivania posta vicino alla finestra ed illuminata dalla luce della luna, per iniziare a scrivere qualcosina.
Sorrise nel momento in cui le sembrò che l’ispirazione stava arrivando ed accese il pc portatile. Attivato il computer ed aperta la pagina Word, iniziò a scrivere le prime righe del nuovo capitolo del suo libro.

Minuti dopo, si bloccò di colpo, puntellando un dito sulle labbra con fare pensoso
«Un nome per il protagonista…» iniziò a pensare: un ragazzo vampiro, misterioso, bellissimo, dai capelli e gli occhi neri, - proprio come amava lei -, e da uno sguardo…
«Damon!» esclamò congiungendo le mani, entusiasta «Si! Damon è perfetto!»
tornò quindi a scrivere, senza accorgersi di essere osservata da un corvo appollaiato sul ramo di un albero poco distante dalla finestra della sua camera…
   
 
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