CAPITOLO 12
Quannu
la vita mia finisci e mori
Sicilia, Isola
di Santo Stefano
Agosto 1999
Claudia
rallentò fin
quasi a guidare a passo d’uomo la vecchia Ford rossa di Nino
e varcò il
cancello di ferro battuto del baglio. Era pomeriggio inoltrato e il
caldo
accumulatosi nel corso dell’intera giornata sembrava
addensare l’aria. Quanto
tempo erano stati via esattamente lei e Stefano? Non ne aveva la minima
idea.
Aveva perso del tutto il senso del tempo. Ora le sembrava di muoversi
in un
sogno, la vista le si appannava e tutti i suoi movimenti erano
rallentati. Non
era più se stessa. Cosa era diventata?
Parcheggiò
la macchina
sotto la tettoia incandescente per il sole e scese lentamente,
combattendo un
improvviso capogiro. Prese un respiro profondo e l’aria calda
le riempì i
polmoni mentre si guardava intorno. Il cortile era deserto, a eccezione
della
cuoca, Anna Maria, seduta su uno sgabello appena fuori la porta ad arco
della
cucina. Pelava un mucchio di patate e intanto cantava a mezza voce.
Claudia
riconobbe le parole: era una vecchia canzone d’amore in
siciliano. Sua nonna
gliela cantava spesso, quando era bambina.
Mi votu e mi
rivotu
suspirannu
passu li
‘nteri
notti senza sonnu
e li biddizzi
tòi
vaiu cuntimplannu
li passu di la
notti
finu a ghiornu.
Pi tia non pozzu
n’ura arripusari
paci nun havi
chiù
s’afflittu cori.
Lu vo’
sapiri quannu
t’aju a lassari?
Quannu la vita
mia
finisci e mori.[1]
Un brivido le
percorse
la schiena sudata. Anna Maria l’aveva vista e alzò
un braccio per salutarla da
lontano. Claudia rispose con un cenno debole della mano, cercando di
sorridere,
ma le venne fuori una specie di smorfia.
«Claudia!»
Si
voltò di scatto.
Enrico stava scendendo a passo svelto la scala del ballatoio con un
sorriso
ampio. Lei provò l’assurda tentazione di scappare,
ma fu solo per un attimo.
Recuperò il controllo, rimase dov’era e si
costrinse a trasformare la smorfia
in un sorriso più o meno accettabile. Non era affatto sicura
di aver avuto
successo, ma subito dopo il ragazzo le era accanto e le stringeva la
vita con
un braccio.
«Ti
stavo cercando,
dov’eri andata a finire?»
Le
stampò un bacio
delicato, a fior di labbra, sulla bocca. Claudia fece per tirarsi
indietro
istintivamente, ma ancora una volta riuscì a controllarsi e
bloccò il movimento
appena in tempo, evitando un gesto che sarebbe stato difficile da
spiegare. Un
fiotto di ansia le invase lo stomaco e quasi non sentì il
bacio di Enrico. Cosa
diamine le succedeva? Perché faceva così?
Perché era tutto sbagliato. Trasalì.
Aveva baciato Stefano, si era stretta a lui nell’erba alta
che le pungeva la
pelle, aveva sentito il sapore della sua pelle quando gli aveva baciato
una
spalla, lo aveva lasciato entrare di sé e adesso era
lì, con il braccio di
Enrico che le cingeva la vita e la bocca che premeva gentile sulla sua.
Sbagliato… Non
sarebbe mai riuscita a
cancellare quelle immagini dalla sua testa? Lì accanto Anna
Maria continuava a
cantare a bassa voce e a Claudia parve che le rispondesse. Quannu
la vita
mia finisci e mori… Fece un respiro e si
scostò di qualche centimetro
appena.
«Sono
andata a fare un
giro.»
Enrico non parve
troppo
interessato. Era evidente che aveva qualcosa da dirle.
«Hai
saputo? Stefano arrivò.
L’hai visto?»
Claudia non
seppe mai
come fosse riuscita a mantenere un’espressione accettabile in
quel momento. Era
assurdamente certa che tutto quello che era successo fosse scritto sul
suo viso
e che Enrico avrebbe scoperto la verità. Lo
fissò, spaventata, ma lui sembrava
tranquillo. La guardava con le sopracciglia un po’
aggrottate, forse perché lei
non rispondeva. Claudia deglutì, lottando contro la gola
secca e arida per dire
qualcosa.
«No…
Cioè, sì, l’ho
visto» disse con un filo di voce.
«Avete
parlato?»
Claudia
alzò le spalle.
Il panico stava diventando così forte che quasi le toglieva
la sensibilità e
non percepiva più la stretta del suo fidanzato intorno al
corpo. «Qualche
parola… Ci siamo salutati e basta. Andava di fretta, non
aveva molto tempo.»
«Davvero?»
Lei
annuì in fretta.
«Mi ha detto… doveva prendere il
traghetto.»
Un’espressione
di
assoluta sorpresa comparve sul volto di Enrico, sempre un po’
pallido, anche in
piena estate. La sua era una di quelle carnagioni delicate che non si
abbronzano mai e sotto il sole rischiano solo una scottatura. La
osservò come
se non riuscisse a capire. «È andato
via?»
Claudia strinse
le dita
di una mano a pugno, l’altra poggiata con delicatezza sul
braccio di Enrico.
«Penso di sì.»
Il disagio era
una
presenza viva e pulsante che le si attorcigliava su per la schiena e le
bloccava le braccia e le gambe. Se anche avesse voluto scappare via,
non ci
sarebbe riuscita. Stefano ed Enrico non si sarebbero rivisti, quel
giorno, per
colpa sua. Era una coltellata allo stomaco.
«Strano»
mormorò
Enrico. Abbassò gli occhi sulle pietruzze bianche e grigie
del cortile, la
fronte contratta. L’azzurro luminoso dei suoi occhi sembrava
essersi incupito.
«Dovevamo parlare. Ci siamo incontrati, stamattina, me lo ha
chiesto lui.»
Claudia sentiva
il
coltello rigirarsi nella pancia. La colpì
un’ondata di nausea mista a senso di
colpa e il bisogno quasi fisico di allontanarsi da lì, di
mettere spazio tra sé
ed Enrico, diventò impellente, simile a una
necessità vitale.
«Non
lo so, Enrico…
Forse ci ha ripensato.» Bugiarda. La
parola quasi le affiorò alle labbra
insieme alla nausea. Inghiottì e le rimandò
giù entrambe. «Mi dispiace»
aggiunse, la voce bassissima.
Enrico
raddrizzò la
testa. La sua espressione si era indurita, ma quando parlò
il suo tono era
neutro, indifferente. «Non fa niente. Probabilmente non ne
aveva voglia.»
Tacque per qualche secondo, mentre le accarezzava la schiena con la
mano, e a
Claudia parve che la sua delusione si comunicasse a lei attraverso quel
tocco
leggero. Il comportamento del fratello lo aveva ferito e lei lo
conosceva
troppo bene per non capirlo. «Allora… dove andiamo
a cena, stasera?» chiese lui
all’improvviso, cambiando bruscamente argomento. Lo faceva
sempre quando stava
male per qualcosa. «Non abbiamo ancora deciso»
disse e la guardò con un sorriso
incerto, ma dolce.
Claudia
sussultò. La
cena… Ne avevano parlato quella mattina, lei era andata al
baglio proprio per
quello, ma poi lo aveva completamente dimenticato. Strinse i denti e
provò a
immaginare di uscire con Enrico, passare tutta la sera con lui,
sedergli di fronte
al ristorante e mandare giù del cibo e sorridere davanti ai
suoi occhi
trasparenti come l’acqua di una piscina. Sentì che
le si rivoltavano le
viscere. No, non poteva farcela. Strinse il braccio di Enrico.
«Scusa,
ma… preferirei
lasciar perdere, oggi. Non mi sento bene.»
Lui la
scrutò con più
attenzione, aumentando la pressione della mano sulla schiena di lei.
«Che c’è?
Sembri nervosa.»
«Niente
di particolare.
Non lo so… Stanca sono. Solo questo. In settimana ho avuto
un sacco di lavoro.»
Enrico
annuì
lentamente. Una linea di preoccupazione gli solcava la fronte chiara.
«Ok,
allora posso venire da te e ce ne stiamo tranquilli. Guardiamo un film,
magari.»
Mentre parlava,
la
avvicinò a sé ancora di più e
accostò il viso al collo di lei. Posò le labbra
che sorridevano tra il mento e la gola, rafforzò la presa
intorno alla sua
vita. Claudia sentiva il suo desiderio che le scivolava sulla pelle.
Chiuse gli
occhi. Quando erano ragazzini e avevano appena iniziato a uscire
insieme,
usavano sempre la scusa di un film quando volevano vedersi per fare
sesso ed
era certa che lui non avesse usato a caso quella frase. Le sembrava di
soffocare. Sarebbe stato così da allora in poi? Come avrebbe
potuto
sopportarlo? Chiuse gli occhi.
«È
meglio che me ne
stia da sola. Mi devo allupiari[2]
un po’» balbettò. Mise una
mano sulle spalle di Enrico, forti e ben definite per le nuotate che
faceva da
maggio a ottobre. Sembrava che cercasse di avvicinarlo a sé,
in realtà voleva
essere pronta a tirarsi indietro se fosse stato necessario. Non poteva
superare
un certo confine, non quel giorno, non di nuovo, non con lui. Non
poteva fargli
questo.
Lui iniziava a
percepire la sua tensione, ma forse la attribuì
semplicemente alla stanchezza o
a un lieve malessere, perché il suo sorriso contro il collo
di lei si allargò,
suscitandole un brivido. «Va bene, allora…
lasciamo stare le attività
stancanti. Solo per oggi» mormorò con voce roca.
Claudia si
irrigidì.
«Davvero, ho bisogno soltanto di una doccia rilassante e
andare a letto presto.
Recuperiamo la cena nei prossimi giorni. Te lo prometto»
disse, annaspando un
poco, e gli strinse la spalla.
Cercava di
rassicurare
lui e se stessa, ma sapeva di non essere altro che una bugiarda. Non
aveva la
più pallida idea di cosa sarebbe successo nei giorni
seguenti, ma doveva
assolutamente tranquillizzare Enrico. La cosa più
importante, in quel momento,
era che lui non sapesse di Stefano. Il pensiero di quanto si sarebbe
sentito
tradito, non solo dalla sua ragazza, ma anche dal fratellastro, le
rivoltava lo
stomaco più di tutto il resto.
Enrico si
ritrasse lentamente,
controvoglia, e annuì con un sospiro lieve. «Come
vuoi. Ti accompagno a casa.
Vado a prendere le chiavi della macchina.»
La
baciò rapidamente
sull’angolo della bocca e si allontanò.
****
Enrico
entrò in casa,
trovandola piacevolmente fresca e ombrosa dopo il sole abbagliante e il
caldo
opprimente del cortile. Andò a passo svelto nella sua
stanza, al secondo piano,
e prese le chiavi dalla scrivania, di fronte al balconcino aperto da
cui entrava
una brezza lenta e bollente. Faceva pensare al respiro di una fornace.
Al piano
di sotto, in salotto, trovò suo padre, in piedi accanto alla
portafinestra. Era
quasi avvolto nelle lunghe tende bianche che oscillavano pigre, come in
un
bozzolo. Era immobile e fissava intensamente qualcosa fuori, nel
cortile.
Enrico si avvicinò.
«Accompagno
Claudia a
casa» lo informò, mentre gli passava accanto in
fretta.
«Non
dovevate andare a
cena fuori?»
Le parole di
Edoardo
sembravano buttate lì, quasi con noncuranza, ma Enrico si
fermò prima di uscire
sulla terrazza. Guardò suo padre.
«Non
si sente molto
bene» rispose, con tono secco e neutro.
«Abbèru?»[3]
commentò Edoardo, ironico.
Enrico iniziava
a
sentire la familiare sensazione di gelo che lo avvolgeva spesso quando
era in
presenza del padre. Strinse i denti, ma si sforzò di non far
trapelare troppo
il suo disagio.
«Cosa
c’è?»
Edoardo non
rispose
subito. Rimase in silenzio per qualche istante, continuando a guardare
fuori
con aria indecifrabile. Perplesso, Enrico seguì la direzione
del suo sguardo e
si ritrovò a fissare Claudia: era appoggiata alla Ford di
Nino, le braccia abbandonate
lungo i fianchi e un’espressione assente che lo
sconcertò. A cosa stava
pensando?
«Stefano
se ne andò»
aggiunse improvvisamente Edoardo, come se la risposta alla precedente
domanda
del figlio fosse quella.
Lui
tornò a guardare
suo padre, senza capire. «Lo so» disse, poi ebbe un
attimo di esitazione.
Trovava difficile dare voce alle sue sensazioni con Edoardo,
perché si
aspettava sempre che fossero svalutate o ridicolizzate.
«Ma… non so perché.
Avremmo dovuto parlare prima che prendesse il traghetto»
aggiunse, quasi senza
accorgersene, e subito dopo ne era già pentito. Non sapeva
se a suo padre
facesse piacere o meno che lui parlasse con Stefano, ma sospettava di
no.
Edoardo non
rispose
immediatamente neanche stavolta e si limitò ad assorbire la
notizia in
silenzio. O almeno così parve. Poi parlò di
nuovo. «Puoi chiederlo a Claudia, ‘u
pirchì.[4]
Sono andati via insieme, un paio d’ore fa» disse
con tono tranquillo. Enrico
sentì uno strattone allo stomaco, come se avesse mancato un
gradino mentre
scendeva le scale. «Li ho visti da qui. Hanno preso la
macchina di Nino.» Fece
una breve pausa. «Forse è con lei che voleva
parlare.»
Enrico aveva
l’impressione che il suo cuore non battesse più.
Guardò di nuovo Claudia, come
se in quel modo potesse trovare una conferma o una negazione alle
parole del
padre. Stefano non aveva mantenuto la sua promessa. Non lo aveva
cercato, non
voleva parlargli. Aveva cercato Claudia, la sua Claudia. Erano stati
insieme. E
lei non gli aveva detto niente. Gli aveva mentito. Perché
gli aveva mentito?
Calmati,
pensò, con un sussulto. Non era
solo. Non poteva mostrare a suo padre quanto fosse confuso e ferito.
Non
abbassare mai le difese insieme a lui era la regola che gli permetteva
di
sopravvivere. Mantenne il viso impassibile, ma quando spostò
di nuovo lo
sguardo su Edoardo, l’espressione di suo padre, a
metà tra l’ironia e il
compatimento, gli disse che lui aveva capito. Allora gli
sembrò di odiarlo. Che
stupido era stato a fidarsi di Stefano. Serrò le mani a
pugno, voltò le spalle
a Edoardo e uscì a passo deciso, senza parlare. Non
c’era altro da dire.
****
Sicilia,
Isola di Santo Stefano
Ottobre
1999
«Sono
tornata!»
Claudia
trasalì quando
sentì la porta di casa che si apriva e distolse lo sguardo
assente dai libri
aperti davanti a sé, sul tavolo della cucina-soggiorno. Rosa
entrò trasportando
due buste della spesa, con le guance arrossate e il respiro affannato.
«Ciao»
disse.
Si
spaventò lei stessa
nel sentire quanto suonasse spenta la sua voce. Si schiarì
la gola
precipitosamente, sperando di non farsi notare, ma Rosa era ancora
troppo
trafelata per badare a qualsiasi cosa. Lasciò cadere le
buste sul pavimento e
la fissò.
«Ricordami
perché
cavolo abbiamo preso in affitto un appartamento al terzo piano senza
ascensore»
disse, esausta, la voce affaticata.
Claudia
inarcò le
sopracciglia. «Perché costava poco.»
Rosa la
fissò ancora
per un attimo, mentre nei suoi occhi balenava un lampo di
consapevolezza che
mise Claudia a disagio. Poi sbuffò e annuì.
«Ah, già.» Si sfilò piano il
giubbotto di jeans, mentre il respiro tornava alla
normalità. «Dopo il turno
sono passata al supermercato e ho preso l’occorrente per fare
la pizza. Perciò
ho fatto tardi. La facciamo in casa, che dici? Stamattina sentivo due
colleghe
che ne parlavano, in reparto, e mi è venuta
voglia.»
«Sì,
ok» assentì
Claudia, sforzandosi di sembrare allegra e tranquilla.
Afferrò la matita che
aveva lasciato scivolare giù dal libro, pensierosa, e
iniziò a giocherellarci.
Rosa
sbuffò. «Che
entusiasmo, Claudia. Datti una calmata…»
esclamò, ironica, da sopra la spalla,
mentre si lavava le mani nel lavandino della cucina.
Claudia
sgranò gli
occhi, stupita. Eppure credeva di aver avuto un tono abbastanza
normale, questa
volta. Il problema era Rosa, che la conosceva troppo bene ed era troppo
perspicace per farsi ingannare così facilmente. Si
raddrizzò sulla sedia e
scrollò la testa, come cercando di scuotersi.
«Scusami.
Non sono
dell’umore adatto per pensare alla pizza.»
«Lo
so» rispose Rosa
semplicemente e Claudia la guardò, sorpresa. Si era
aspettata un altro
rimbrotto ironico, perché di solito era così che
l’amica gestiva le cose. Rosa
si appoggiò al tavolo, di fronte a lei, e la
studiò con aria seria. «Lo vedo
che sei triste, ultimamente. Qualcosa non va. È
così da almeno un mese. Vorrei
aiutarti, ma non so come fare se non mi dici niente. È per
Enrico? Non mi hai
raccontato nemmeno cos’è successo con
lui.»
Claudia
abbassò gli
occhi e fissò la pagina del libro senza leggere nemmeno una
parola. Era tutto
il pomeriggio che cercava di preparare l’esame di critica
d’arte contemporanea,
ma era come leggere una lingua straniera e sconosciuta. Non riusciva a
concentrarsi e per capire una frase doveva leggerla tre volte. Di
questo passo
sarebbe stata miseramente bocciata. Anzi, era meglio non presentarsi
all’esame.
Restò in silenzio e Rosa aspettò per un
po’. Quando fu chiaro che non era in
arrivo nessuna spiegazione, Rosa emise un sospiro.
«Non
devi parlare per
forza, se non ti va, però… non pensi che sfogarti
ti farebbe bene?»
Claudia non
parlò,
ancora. Un nodo le ostruiva la gola e lasciò che il silenzio
riempisse lo
spazio tra loro come qualcosa di vivo e tangibile. Non riusciva a
guardare la
sua amica e intanto stringeva fortissimo la matita nella mano,
tormentata
dall’incertezza. Il problema non era nascondere le sue paure
a Rosa, aveva
sempre parlato di tutto con lei, ma se avesse dato voce a
ciò che la tormentava
lo avrebbe reso reale e questo la spaventava troppo. Non sapeva se
avrebbe
avuto la forza di affrontarlo. Fino a quando restava confinato dentro
di lei,
un pensiero martellante che le girava e rigirava nella testa in ogni
momento
della giornata, poteva sempre illudersi che il problema non esistesse.
Se
avesse parlato, sarebbe cambiato tutto. Eppure, sapeva anche che non
poteva
continuare così ancora per molto. Allora che cosa doveva
fare? Cosa?
Rosa si mosse.
«Ho
capito» mormorò con tono rassegnato. Claudia
avvertì che non era arrabbiata
oppure offesa, ma solo dispiaciuta per lei. All’improvviso
qualcosa scattò
dentro di lei.
«No,
Rosa, aspetta»
esclamò, angosciata. Si morse il labbro ricambiando lo
sguardo confuso della
sua amica. «Non è per te… Vorrei dirti
tutto, ma non riesco a… Ho paura che…
Non ho il coraggio» balbettò alla fine, alzando
appena le spalle come per
scusarsi.
Rosa sembrava
sinceramente sorpresa dalla sua agitazione. Scostò una sedia
dal tavolo con un
gesto energico e sedette accanto a lei, guardandola dritto in faccia
con
espressione franca. «Lo sai che mi puoi dire tutto. Prometto
che non
giudicherò. Tu non mi hai giudicato quando mi sono fatta
quel taglio di capelli
orrendo, l’anno scorso» aggiunse con voce un
po’ più leggera e un piccolo
sorriso.
Suo malgrado,
Claudia
lo ricambiò. Era tipico di Rosa sdrammatizzare e scherzare
su tutto. «È una
cosa grossa. Enorme» mormorò cercando
disperatamente le parole giuste. «Non so
nemmeno io come ho fatto a trovarmi in questa situazione.» Si
interruppe, la
voce troncata da un’ondata di panico che la travolse
all’improvviso. Poi guardò
Rosa, la sua espressione attenta e affettuosa, e di colpo
lasciò uscire fuori
quello che la tormentava. «Penso di essere
incinta.» Rosa restò immobile e
zitta. Solo un leggero contrarsi delle sopracciglia indicò
la sua sorpresa.
Forse non si aspettava una cosa del genere. In ogni caso, non disse
nulla e le
lasciò il tempo di cui Claudia aveva bisogno. Lei continuava
a tormentare la
matita con le mani. Prima o poi l’avrebbe spezzata.
Abbassò lo sguardo. «Ho un
ritardo di dieci giorni. E di solito sono regolare.»
Rosa
annuì con un gesto
lento e calmo. Inspirò profondamente. «Ecco
perché sembrava che avessi sempre
la testa su un altro pianeta» commentò sottovoce,
rivolta più a se stessa che a
Claudia. Si passò una mano tra i capelli, come per
sistemarli o forse per
tentare di schiarirsi le idee. Poi lanciò
un’occhiata veloce e indagatrice
verso l’amica. «Enrico lo sa?»
Claudia
sentì un colpo
alla pancia e si chiese ansiosamente se potesse essere un sintomo di
gravidanza. Scosse la testa. «No.»
«Be’,
per prima cosa
devi fare il test.» Mentre parlava, Rosa si mise a sedere
più dritta. Aveva
l’espressione risoluta che le veniva quando prendeva in mano
una situazione. «E
poi, se sei davvero incinta… Io penso che dovresti
dirglielo. So che vi siete
presi una pausa di riflessione, ma ha il diritto di saperlo.»
Claudia scuoteva
di
nuovo la testa. «Non è per questo»
sussurrò con voce soffocata. Sentiva che le
stava venendo da piangere e che la voce le si piegava sotto il peso
delle
parole che stava per pronunciare. «È
che… non so di chi è.» Si
portò una mano
alla bocca, come per fermarle, ma ormai era troppo tardi.
Questa volta
Rosa non
riuscì a nascondere lo stupore e spalancò gli
occhi di un verde intenso. Lei
diceva sempre che erano l’unica cosa bella che avesse e
puntualmente Claudia
protestava con forza.
«Cosa…»
mormorò. Si
interruppe e la fissò in silenzio, cercando di metabolizzare
la notizia, forse
per evitare di dire qualcosa di inappropriato. Quello proprio non se lo
aspettava e lo aveva scritto in faccia. «Chi è? Lo
conosco?» chiese di getto.
Subito dopo si tirò indietro sulla sedia e distolse lo
sguardo. «No, scusa, non
devi dirmelo per forza. Lascia perdere.»
«È
Stefano Ruggero»
rispose Claudia tutto d’un fiato, prima ancora che la sua
amica avesse finito
di parlare, ed ebbe la sensazione che una pietra le scivolasse via dal
petto.
Prese aria. Era sorpresa dallo scoprire che parlandone ad alta voce non
stava
affatto peggio, come aveva temuto, anzi: forse soltanto adesso avrebbe
potuto
iniziare a risolvere il problema.
Rosa ci mise
qualche
istante ad afferrare. «Il fratellastro di Enrico?»
domandò, incredula. Aveva
un’espressione così buffa che Claudia
faticò a reprimere una risata isterica.
Annuì. Rosa la fissò a bocca aperta ancora per un
po’, poi si lasciò andare contro
lo schienale della sedia, guardandosi intorno come per cercare una
spiegazione.
«Minchia, Claudia…»
«Lo
so, hai ragione»
sussurrò Claudia. Le guance le si bagnarono di lacrime che
non poteva più
trattenere e le sfuggì un singhiozzo. «Sono una
persona orribile.»
«No,
non è vero»
esclamò Rosa con forza, scattando di nuovo in avanti.
«È un casino, questo sì,
ma… capita a tutti di fare casini.» Le prese la
mano, fissandola intensamente,
e la strinse forte. «Quando è successo?»
Claudia si
asciugò le
guance e prese aria. «Ad agosto. Quando Stefano è
venuto per vedere Edoardo
prima che si operasse, ti ricordi?»
Rosa
assentì,
pensierosa, e Claudia non aggiunse altro. Non era necessario. Rimasero
in
silenzio per un po’, ascoltando il ticchettio
dell’orologio a parete e il
ronzio del vecchio frigorifero che si rompeva una volta al mese. Lo
chiamavano
“l’appuntamento”.
«Enrico
lo sa?» chiese
Rosa all’improvviso. «Perciò vi siete
presi questa pausa che non finisce più?»
«Non
lo so» mormorò
Claudia stancamente, passandosi una mano sulla fronte. Le sembrava
più calda
del solito. Poteva essere un sintomo di gravidanza anche quello? O era
solo
perché aveva pianto? L’angoscia le
strizzò lo stomaco. Stava impazzendo. Tirò
su col naso e si sforzò di parlare con chiarezza.
«Io non gliel’ho detto e non
so come avrebbe potuto scoprirlo. Non credo che lo sappia.
Però… dopo che è successo…
non è più stata la stessa cosa. Non riuscivo a
guardarlo in faccia, figurati
andare a letto con lui.» Rosa annuì, comprensiva.
«Ci siamo spartiti[5]
sempre di più. Lui ha
capito che c’è qualcosa che non va, ma
forse… non lo so, magari pensa che sia
solo una fase. Stiamo insieme da sei anni ed è la prima
volta che ci
allontaniamo così» concluse con tono abbattuto.
«Ma in
questo periodo
vi state sentendo, no? A volte parlate al telefono.»
«Sì,
ma come se fossimo
amici, niente di più.» Claudia tacque e
fissò a lungo il ripiano del tavolo.
«Non so che devo fare, Rosa.»
Rosa non le
aveva mai
lasciato la mano. Adesso la strinse ancora più forte,
sporgendosi verso la sua
amica con un’espressione seria. «Sì che
lo sai: il test. Magari non sei incinta
ed è solo lo stress che ti ha fatto saltare il
ciclo.» Le diede un’ultima
stretta alla mano, poi si alzò e prese il giubbotto che
aveva lasciato su
un’altra sedia. «Vado a prenderlo subito. Ti devi
togliere questo pensiero.»
Per un momento
Claudia
pensò di fermarla, di ribattere che non se la sentiva, che
aveva il terrore di
affrontare la verità. E aveva paura sul serio, ma al tempo
stesso, stranamente,
si sentiva più leggera ed era quasi sollevata che qualcuno
prendesse quella
decisione per lei, che la spingesse sulla strada giusta. Era esausta,
come se
avesse corso per tutta l’isola. Guardò verso il
soffitto e si asciugò gli
occhi.
«Hai
una vaga idea di
quante chiacchiere faranno in paese quando ti vedranno andare in
farmacia a
comprare un test di gravidanza? Sconvolgerai tutta
Portosalvo.»
Rosa aveva
appena
indossato la giacca. Afferrò le chiavi dal mobile accanto
alla porta
d’ingresso, si girò a metà e
lanciò un’occhiata divertita in direzione
dell’amica. «Non potevi darmi una notizia
migliore.»
[1]
Mi
giro e mi rigiro sospirando
Passo
le notti intere senza sonno
E
le tue bellezze vado contemplando
Mi
passa dalla notte fino al giorno.
Per
te non posso più riposare
Pace
non ha più questo cuore afflitto.
Lo
vuoi sapere quando ti lascerò?
Quando la mia vita finisce e muore.
Potete
ascoltarla qui.
[2]
Riposare.
[3]
Davvero?
[4]
Il
perché.
[5] Allontanati.