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Autore: Cathy Holland    09/04/2024    1 recensioni
Sicilia, 1988. Tre bambini, Stefano, Enrico e Claudia, giocano insieme nella campagna bruciata dal sole estivo. Sono amici per la pelle, ma non sanno che tra loro c'è un segreto che può dividerli per sempre.
Milano, 2015. Stefano ha cambiato vita completamente e crede di essere libero dal passato, fino a quando non riceve una telefonata che lo riporta indietro, dove tutto è iniziato. E se ciò che si è lasciato alle spalle distruggesse il suo presente?
[Un nuovo capitolo ogni martedì]
A causa di un problema tecnico, l'aggiornamento della storia è sospeso fino a martedì 21 maggio, poi riprenderà regolarmente.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 12
Quannu la vita mia finisci e mori

 

 

 
Sicilia, Isola di Santo Stefano
Agosto 1999

 

 

Claudia rallentò fin quasi a guidare a passo d’uomo la vecchia Ford rossa di Nino e varcò il cancello di ferro battuto del baglio. Era pomeriggio inoltrato e il caldo accumulatosi nel corso dell’intera giornata sembrava addensare l’aria. Quanto tempo erano stati via esattamente lei e Stefano? Non ne aveva la minima idea. Aveva perso del tutto il senso del tempo. Ora le sembrava di muoversi in un sogno, la vista le si appannava e tutti i suoi movimenti erano rallentati. Non era più se stessa. Cosa era diventata?

Parcheggiò la macchina sotto la tettoia incandescente per il sole e scese lentamente, combattendo un improvviso capogiro. Prese un respiro profondo e l’aria calda le riempì i polmoni mentre si guardava intorno. Il cortile era deserto, a eccezione della cuoca, Anna Maria, seduta su uno sgabello appena fuori la porta ad arco della cucina. Pelava un mucchio di patate e intanto cantava a mezza voce. Claudia riconobbe le parole: era una vecchia canzone d’amore in siciliano. Sua nonna gliela cantava spesso, quando era bambina.

 

 

Mi votu e mi rivotu suspirannu

passu li ‘nteri notti senza sonnu

e li biddizzi tòi vaiu cuntimplannu

li passu di la notti finu a ghiornu.

Pi tia non pozzu n’ura arripusari

paci nun havi chiù s’afflittu cori.

Lu vo’ sapiri quannu t’aju a lassari?

Quannu la vita mia finisci e mori.[1]

 

 

Un brivido le percorse la schiena sudata. Anna Maria l’aveva vista e alzò un braccio per salutarla da lontano. Claudia rispose con un cenno debole della mano, cercando di sorridere, ma le venne fuori una specie di smorfia.

«Claudia!»

Si voltò di scatto. Enrico stava scendendo a passo svelto la scala del ballatoio con un sorriso ampio. Lei provò l’assurda tentazione di scappare, ma fu solo per un attimo. Recuperò il controllo, rimase dov’era e si costrinse a trasformare la smorfia in un sorriso più o meno accettabile. Non era affatto sicura di aver avuto successo, ma subito dopo il ragazzo le era accanto e le stringeva la vita con un braccio.

«Ti stavo cercando, dov’eri andata a finire?»

Le stampò un bacio delicato, a fior di labbra, sulla bocca. Claudia fece per tirarsi indietro istintivamente, ma ancora una volta riuscì a controllarsi e bloccò il movimento appena in tempo, evitando un gesto che sarebbe stato difficile da spiegare. Un fiotto di ansia le invase lo stomaco e quasi non sentì il bacio di Enrico. Cosa diamine le succedeva? Perché faceva così? Perché era tutto sbagliato. Trasalì. Aveva baciato Stefano, si era stretta a lui nell’erba alta che le pungeva la pelle, aveva sentito il sapore della sua pelle quando gli aveva baciato una spalla, lo aveva lasciato entrare di sé e adesso era lì, con il braccio di Enrico che le cingeva la vita e la bocca che premeva gentile sulla sua.

Sbagliato… Non sarebbe mai riuscita a cancellare quelle immagini dalla sua testa? Lì accanto Anna Maria continuava a cantare a bassa voce e a Claudia parve che le rispondesse. Quannu la vita mia finisci e mori… Fece un respiro e si scostò di qualche centimetro appena.

«Sono andata a fare un giro.»

Enrico non parve troppo interessato. Era evidente che aveva qualcosa da dirle.

«Hai saputo? Stefano arrivò. L’hai visto?»

Claudia non seppe mai come fosse riuscita a mantenere un’espressione accettabile in quel momento. Era assurdamente certa che tutto quello che era successo fosse scritto sul suo viso e che Enrico avrebbe scoperto la verità. Lo fissò, spaventata, ma lui sembrava tranquillo. La guardava con le sopracciglia un po’ aggrottate, forse perché lei non rispondeva. Claudia deglutì, lottando contro la gola secca e arida per dire qualcosa.

«No… Cioè, sì, l’ho visto» disse con un filo di voce.

«Avete parlato?»

Claudia alzò le spalle. Il panico stava diventando così forte che quasi le toglieva la sensibilità e non percepiva più la stretta del suo fidanzato intorno al corpo. «Qualche parola… Ci siamo salutati e basta. Andava di fretta, non aveva molto tempo.»

«Davvero?»

Lei annuì in fretta. «Mi ha detto… doveva prendere il traghetto.»

Un’espressione di assoluta sorpresa comparve sul volto di Enrico, sempre un po’ pallido, anche in piena estate. La sua era una di quelle carnagioni delicate che non si abbronzano mai e sotto il sole rischiano solo una scottatura. La osservò come se non riuscisse a capire. «È andato via?»

Claudia strinse le dita di una mano a pugno, l’altra poggiata con delicatezza sul braccio di Enrico. «Penso di sì.»

Il disagio era una presenza viva e pulsante che le si attorcigliava su per la schiena e le bloccava le braccia e le gambe. Se anche avesse voluto scappare via, non ci sarebbe riuscita. Stefano ed Enrico non si sarebbero rivisti, quel giorno, per colpa sua. Era una coltellata allo stomaco.

«Strano» mormorò Enrico. Abbassò gli occhi sulle pietruzze bianche e grigie del cortile, la fronte contratta. L’azzurro luminoso dei suoi occhi sembrava essersi incupito. «Dovevamo parlare. Ci siamo incontrati, stamattina, me lo ha chiesto lui.»

Claudia sentiva il coltello rigirarsi nella pancia. La colpì un’ondata di nausea mista a senso di colpa e il bisogno quasi fisico di allontanarsi da lì, di mettere spazio tra sé ed Enrico, diventò impellente, simile a una necessità vitale.

«Non lo so, Enrico… Forse ci ha ripensato.» Bugiarda. La parola quasi le affiorò alle labbra insieme alla nausea. Inghiottì e le rimandò giù entrambe. «Mi dispiace» aggiunse, la voce bassissima.

Enrico raddrizzò la testa. La sua espressione si era indurita, ma quando parlò il suo tono era neutro, indifferente. «Non fa niente. Probabilmente non ne aveva voglia.» Tacque per qualche secondo, mentre le accarezzava la schiena con la mano, e a Claudia parve che la sua delusione si comunicasse a lei attraverso quel tocco leggero. Il comportamento del fratello lo aveva ferito e lei lo conosceva troppo bene per non capirlo. «Allora… dove andiamo a cena, stasera?» chiese lui all’improvviso, cambiando bruscamente argomento. Lo faceva sempre quando stava male per qualcosa. «Non abbiamo ancora deciso» disse e la guardò con un sorriso incerto, ma dolce.

Claudia sussultò. La cena… Ne avevano parlato quella mattina, lei era andata al baglio proprio per quello, ma poi lo aveva completamente dimenticato. Strinse i denti e provò a immaginare di uscire con Enrico, passare tutta la sera con lui, sedergli di fronte al ristorante e mandare giù del cibo e sorridere davanti ai suoi occhi trasparenti come l’acqua di una piscina. Sentì che le si rivoltavano le viscere. No, non poteva farcela. Strinse il braccio di Enrico.

«Scusa, ma… preferirei lasciar perdere, oggi. Non mi sento bene.»

Lui la scrutò con più attenzione, aumentando la pressione della mano sulla schiena di lei. «Che c’è? Sembri nervosa.»

«Niente di particolare. Non lo so… Stanca sono. Solo questo. In settimana ho avuto un sacco di lavoro.»

Enrico annuì lentamente. Una linea di preoccupazione gli solcava la fronte chiara. «Ok, allora posso venire da te e ce ne stiamo tranquilli. Guardiamo un film, magari.»

Mentre parlava, la avvicinò a sé ancora di più e accostò il viso al collo di lei. Posò le labbra che sorridevano tra il mento e la gola, rafforzò la presa intorno alla sua vita. Claudia sentiva il suo desiderio che le scivolava sulla pelle. Chiuse gli occhi. Quando erano ragazzini e avevano appena iniziato a uscire insieme, usavano sempre la scusa di un film quando volevano vedersi per fare sesso ed era certa che lui non avesse usato a caso quella frase. Le sembrava di soffocare. Sarebbe stato così da allora in poi? Come avrebbe potuto sopportarlo? Chiuse gli occhi.

«È meglio che me ne stia da sola. Mi devo allupiari[2] un po’» balbettò. Mise una mano sulle spalle di Enrico, forti e ben definite per le nuotate che faceva da maggio a ottobre. Sembrava che cercasse di avvicinarlo a sé, in realtà voleva essere pronta a tirarsi indietro se fosse stato necessario. Non poteva superare un certo confine, non quel giorno, non di nuovo, non con lui. Non poteva fargli questo.

Lui iniziava a percepire la sua tensione, ma forse la attribuì semplicemente alla stanchezza o a un lieve malessere, perché il suo sorriso contro il collo di lei si allargò, suscitandole un brivido. «Va bene, allora… lasciamo stare le attività stancanti. Solo per oggi» mormorò con voce roca.

Claudia si irrigidì. «Davvero, ho bisogno soltanto di una doccia rilassante e andare a letto presto. Recuperiamo la cena nei prossimi giorni. Te lo prometto» disse, annaspando un poco, e gli strinse la spalla.

Cercava di rassicurare lui e se stessa, ma sapeva di non essere altro che una bugiarda. Non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo nei giorni seguenti, ma doveva assolutamente tranquillizzare Enrico. La cosa più importante, in quel momento, era che lui non sapesse di Stefano. Il pensiero di quanto si sarebbe sentito tradito, non solo dalla sua ragazza, ma anche dal fratellastro, le rivoltava lo stomaco più di tutto il resto.

Enrico si ritrasse lentamente, controvoglia, e annuì con un sospiro lieve. «Come vuoi. Ti accompagno a casa. Vado a prendere le chiavi della macchina.»

La baciò rapidamente sull’angolo della bocca e si allontanò.

 

 

****

 

Enrico entrò in casa, trovandola piacevolmente fresca e ombrosa dopo il sole abbagliante e il caldo opprimente del cortile. Andò a passo svelto nella sua stanza, al secondo piano, e prese le chiavi dalla scrivania, di fronte al balconcino aperto da cui entrava una brezza lenta e bollente. Faceva pensare al respiro di una fornace. Al piano di sotto, in salotto, trovò suo padre, in piedi accanto alla portafinestra. Era quasi avvolto nelle lunghe tende bianche che oscillavano pigre, come in un bozzolo. Era immobile e fissava intensamente qualcosa fuori, nel cortile. Enrico si avvicinò.

«Accompagno Claudia a casa» lo informò, mentre gli passava accanto in fretta.

«Non dovevate andare a cena fuori?»

Le parole di Edoardo sembravano buttate lì, quasi con noncuranza, ma Enrico si fermò prima di uscire sulla terrazza. Guardò suo padre.

«Non si sente molto bene» rispose, con tono secco e neutro.

«Abbèru[3] commentò Edoardo, ironico.

Enrico iniziava a sentire la familiare sensazione di gelo che lo avvolgeva spesso quando era in presenza del padre. Strinse i denti, ma si sforzò di non far trapelare troppo il suo disagio.

«Cosa c’è?»

Edoardo non rispose subito. Rimase in silenzio per qualche istante, continuando a guardare fuori con aria indecifrabile. Perplesso, Enrico seguì la direzione del suo sguardo e si ritrovò a fissare Claudia: era appoggiata alla Ford di Nino, le braccia abbandonate lungo i fianchi e un’espressione assente che lo sconcertò. A cosa stava pensando?

«Stefano se ne andò» aggiunse improvvisamente Edoardo, come se la risposta alla precedente domanda del figlio fosse quella.

Lui tornò a guardare suo padre, senza capire. «Lo so» disse, poi ebbe un attimo di esitazione. Trovava difficile dare voce alle sue sensazioni con Edoardo, perché si aspettava sempre che fossero svalutate o ridicolizzate. «Ma… non so perché. Avremmo dovuto parlare prima che prendesse il traghetto» aggiunse, quasi senza accorgersene, e subito dopo ne era già pentito. Non sapeva se a suo padre facesse piacere o meno che lui parlasse con Stefano, ma sospettava di no.

Edoardo non rispose immediatamente neanche stavolta e si limitò ad assorbire la notizia in silenzio. O almeno così parve. Poi parlò di nuovo. «Puoi chiederlo a Claudia, ‘u pirchì.[4] Sono andati via insieme, un paio d’ore fa» disse con tono tranquillo. Enrico sentì uno strattone allo stomaco, come se avesse mancato un gradino mentre scendeva le scale. «Li ho visti da qui. Hanno preso la macchina di Nino.» Fece una breve pausa. «Forse è con lei che voleva parlare.»

Enrico aveva l’impressione che il suo cuore non battesse più. Guardò di nuovo Claudia, come se in quel modo potesse trovare una conferma o una negazione alle parole del padre. Stefano non aveva mantenuto la sua promessa. Non lo aveva cercato, non voleva parlargli. Aveva cercato Claudia, la sua Claudia. Erano stati insieme. E lei non gli aveva detto niente. Gli aveva mentito. Perché gli aveva mentito?

Calmati, pensò, con un sussulto. Non era solo. Non poteva mostrare a suo padre quanto fosse confuso e ferito. Non abbassare mai le difese insieme a lui era la regola che gli permetteva di sopravvivere. Mantenne il viso impassibile, ma quando spostò di nuovo lo sguardo su Edoardo, l’espressione di suo padre, a metà tra l’ironia e il compatimento, gli disse che lui aveva capito. Allora gli sembrò di odiarlo. Che stupido era stato a fidarsi di Stefano. Serrò le mani a pugno, voltò le spalle a Edoardo e uscì a passo deciso, senza parlare. Non c’era altro da dire.

 

 

 

****

 

 

Sicilia, Isola di Santo Stefano
Ottobre 1999

 

 

«Sono tornata!»

Claudia trasalì quando sentì la porta di casa che si apriva e distolse lo sguardo assente dai libri aperti davanti a sé, sul tavolo della cucina-soggiorno. Rosa entrò trasportando due buste della spesa, con le guance arrossate e il respiro affannato.

«Ciao» disse.

Si spaventò lei stessa nel sentire quanto suonasse spenta la sua voce. Si schiarì la gola precipitosamente, sperando di non farsi notare, ma Rosa era ancora troppo trafelata per badare a qualsiasi cosa. Lasciò cadere le buste sul pavimento e la fissò.

«Ricordami perché cavolo abbiamo preso in affitto un appartamento al terzo piano senza ascensore» disse, esausta, la voce affaticata.

Claudia inarcò le sopracciglia. «Perché costava poco.»

Rosa la fissò ancora per un attimo, mentre nei suoi occhi balenava un lampo di consapevolezza che mise Claudia a disagio. Poi sbuffò e annuì. «Ah, già.» Si sfilò piano il giubbotto di jeans, mentre il respiro tornava alla normalità. «Dopo il turno sono passata al supermercato e ho preso l’occorrente per fare la pizza. Perciò ho fatto tardi. La facciamo in casa, che dici? Stamattina sentivo due colleghe che ne parlavano, in reparto, e mi è venuta voglia.»

«Sì, ok» assentì Claudia, sforzandosi di sembrare allegra e tranquilla. Afferrò la matita che aveva lasciato scivolare giù dal libro, pensierosa, e iniziò a giocherellarci.

Rosa sbuffò. «Che entusiasmo, Claudia. Datti una calmata…» esclamò, ironica, da sopra la spalla, mentre si lavava le mani nel lavandino della cucina.

Claudia sgranò gli occhi, stupita. Eppure credeva di aver avuto un tono abbastanza normale, questa volta. Il problema era Rosa, che la conosceva troppo bene ed era troppo perspicace per farsi ingannare così facilmente. Si raddrizzò sulla sedia e scrollò la testa, come cercando di scuotersi.

«Scusami. Non sono dell’umore adatto per pensare alla pizza.»

«Lo so» rispose Rosa semplicemente e Claudia la guardò, sorpresa. Si era aspettata un altro rimbrotto ironico, perché di solito era così che l’amica gestiva le cose. Rosa si appoggiò al tavolo, di fronte a lei, e la studiò con aria seria. «Lo vedo che sei triste, ultimamente. Qualcosa non va. È così da almeno un mese. Vorrei aiutarti, ma non so come fare se non mi dici niente. È per Enrico? Non mi hai raccontato nemmeno cos’è successo con lui.»

Claudia abbassò gli occhi e fissò la pagina del libro senza leggere nemmeno una parola. Era tutto il pomeriggio che cercava di preparare l’esame di critica d’arte contemporanea, ma era come leggere una lingua straniera e sconosciuta. Non riusciva a concentrarsi e per capire una frase doveva leggerla tre volte. Di questo passo sarebbe stata miseramente bocciata. Anzi, era meglio non presentarsi all’esame. Restò in silenzio e Rosa aspettò per un po’. Quando fu chiaro che non era in arrivo nessuna spiegazione, Rosa emise un sospiro.

«Non devi parlare per forza, se non ti va, però… non pensi che sfogarti ti farebbe bene?»

Claudia non parlò, ancora. Un nodo le ostruiva la gola e lasciò che il silenzio riempisse lo spazio tra loro come qualcosa di vivo e tangibile. Non riusciva a guardare la sua amica e intanto stringeva fortissimo la matita nella mano, tormentata dall’incertezza. Il problema non era nascondere le sue paure a Rosa, aveva sempre parlato di tutto con lei, ma se avesse dato voce a ciò che la tormentava lo avrebbe reso reale e questo la spaventava troppo. Non sapeva se avrebbe avuto la forza di affrontarlo. Fino a quando restava confinato dentro di lei, un pensiero martellante che le girava e rigirava nella testa in ogni momento della giornata, poteva sempre illudersi che il problema non esistesse. Se avesse parlato, sarebbe cambiato tutto. Eppure, sapeva anche che non poteva continuare così ancora per molto. Allora che cosa doveva fare? Cosa?

Rosa si mosse. «Ho capito» mormorò con tono rassegnato. Claudia avvertì che non era arrabbiata oppure offesa, ma solo dispiaciuta per lei. All’improvviso qualcosa scattò dentro di lei.

«No, Rosa, aspetta» esclamò, angosciata. Si morse il labbro ricambiando lo sguardo confuso della sua amica. «Non è per te… Vorrei dirti tutto, ma non riesco a… Ho paura che… Non ho il coraggio» balbettò alla fine, alzando appena le spalle come per scusarsi.

Rosa sembrava sinceramente sorpresa dalla sua agitazione. Scostò una sedia dal tavolo con un gesto energico e sedette accanto a lei, guardandola dritto in faccia con espressione franca. «Lo sai che mi puoi dire tutto. Prometto che non giudicherò. Tu non mi hai giudicato quando mi sono fatta quel taglio di capelli orrendo, l’anno scorso» aggiunse con voce un po’ più leggera e un piccolo sorriso.

Suo malgrado, Claudia lo ricambiò. Era tipico di Rosa sdrammatizzare e scherzare su tutto. «È una cosa grossa. Enorme» mormorò cercando disperatamente le parole giuste. «Non so nemmeno io come ho fatto a trovarmi in questa situazione.» Si interruppe, la voce troncata da un’ondata di panico che la travolse all’improvviso. Poi guardò Rosa, la sua espressione attenta e affettuosa, e di colpo lasciò uscire fuori quello che la tormentava. «Penso di essere incinta.» Rosa restò immobile e zitta. Solo un leggero contrarsi delle sopracciglia indicò la sua sorpresa. Forse non si aspettava una cosa del genere. In ogni caso, non disse nulla e le lasciò il tempo di cui Claudia aveva bisogno. Lei continuava a tormentare la matita con le mani. Prima o poi l’avrebbe spezzata. Abbassò lo sguardo. «Ho un ritardo di dieci giorni. E di solito sono regolare.»

Rosa annuì con un gesto lento e calmo. Inspirò profondamente. «Ecco perché sembrava che avessi sempre la testa su un altro pianeta» commentò sottovoce, rivolta più a se stessa che a Claudia. Si passò una mano tra i capelli, come per sistemarli o forse per tentare di schiarirsi le idee. Poi lanciò un’occhiata veloce e indagatrice verso l’amica. «Enrico lo sa?»

Claudia sentì un colpo alla pancia e si chiese ansiosamente se potesse essere un sintomo di gravidanza. Scosse la testa. «No.»

«Be’, per prima cosa devi fare il test.» Mentre parlava, Rosa si mise a sedere più dritta. Aveva l’espressione risoluta che le veniva quando prendeva in mano una situazione. «E poi, se sei davvero incinta… Io penso che dovresti dirglielo. So che vi siete presi una pausa di riflessione, ma ha il diritto di saperlo.»

Claudia scuoteva di nuovo la testa. «Non è per questo» sussurrò con voce soffocata. Sentiva che le stava venendo da piangere e che la voce le si piegava sotto il peso delle parole che stava per pronunciare. «È che… non so di chi è.» Si portò una mano alla bocca, come per fermarle, ma ormai era troppo tardi.

Questa volta Rosa non riuscì a nascondere lo stupore e spalancò gli occhi di un verde intenso. Lei diceva sempre che erano l’unica cosa bella che avesse e puntualmente Claudia protestava con forza.

«Cosa…» mormorò. Si interruppe e la fissò in silenzio, cercando di metabolizzare la notizia, forse per evitare di dire qualcosa di inappropriato. Quello proprio non se lo aspettava e lo aveva scritto in faccia. «Chi è? Lo conosco?» chiese di getto. Subito dopo si tirò indietro sulla sedia e distolse lo sguardo. «No, scusa, non devi dirmelo per forza. Lascia perdere.»

«È Stefano Ruggero» rispose Claudia tutto d’un fiato, prima ancora che la sua amica avesse finito di parlare, ed ebbe la sensazione che una pietra le scivolasse via dal petto. Prese aria. Era sorpresa dallo scoprire che parlandone ad alta voce non stava affatto peggio, come aveva temuto, anzi: forse soltanto adesso avrebbe potuto iniziare a risolvere il problema.

Rosa ci mise qualche istante ad afferrare. «Il fratellastro di Enrico?» domandò, incredula. Aveva un’espressione così buffa che Claudia faticò a reprimere una risata isterica. Annuì. Rosa la fissò a bocca aperta ancora per un po’, poi si lasciò andare contro lo schienale della sedia, guardandosi intorno come per cercare una spiegazione. «Minchia, Claudia…»

«Lo so, hai ragione» sussurrò Claudia. Le guance le si bagnarono di lacrime che non poteva più trattenere e le sfuggì un singhiozzo. «Sono una persona orribile.»

«No, non è vero» esclamò Rosa con forza, scattando di nuovo in avanti. «È un casino, questo sì, ma… capita a tutti di fare casini.» Le prese la mano, fissandola intensamente, e la strinse forte. «Quando è successo?»

Claudia si asciugò le guance e prese aria. «Ad agosto. Quando Stefano è venuto per vedere Edoardo prima che si operasse, ti ricordi?»

Rosa assentì, pensierosa, e Claudia non aggiunse altro. Non era necessario. Rimasero in silenzio per un po’, ascoltando il ticchettio dell’orologio a parete e il ronzio del vecchio frigorifero che si rompeva una volta al mese. Lo chiamavano “l’appuntamento”.

«Enrico lo sa?» chiese Rosa all’improvviso. «Perciò vi siete presi questa pausa che non finisce più?»

«Non lo so» mormorò Claudia stancamente, passandosi una mano sulla fronte. Le sembrava più calda del solito. Poteva essere un sintomo di gravidanza anche quello? O era solo perché aveva pianto? L’angoscia le strizzò lo stomaco. Stava impazzendo. Tirò su col naso e si sforzò di parlare con chiarezza. «Io non gliel’ho detto e non so come avrebbe potuto scoprirlo. Non credo che lo sappia. Però… dopo che è successo… non è più stata la stessa cosa. Non riuscivo a guardarlo in faccia, figurati andare a letto con lui.» Rosa annuì, comprensiva. «Ci siamo spartiti[5] sempre di più. Lui ha capito che c’è qualcosa che non va, ma forse… non lo so, magari pensa che sia solo una fase. Stiamo insieme da sei anni ed è la prima volta che ci allontaniamo così» concluse con tono abbattuto.

«Ma in questo periodo vi state sentendo, no? A volte parlate al telefono.»

«Sì, ma come se fossimo amici, niente di più.» Claudia tacque e fissò a lungo il ripiano del tavolo. «Non so che devo fare, Rosa.»

Rosa non le aveva mai lasciato la mano. Adesso la strinse ancora più forte, sporgendosi verso la sua amica con un’espressione seria. «Sì che lo sai: il test. Magari non sei incinta ed è solo lo stress che ti ha fatto saltare il ciclo.» Le diede un’ultima stretta alla mano, poi si alzò e prese il giubbotto che aveva lasciato su un’altra sedia. «Vado a prenderlo subito. Ti devi togliere questo pensiero.»

Per un momento Claudia pensò di fermarla, di ribattere che non se la sentiva, che aveva il terrore di affrontare la verità. E aveva paura sul serio, ma al tempo stesso, stranamente, si sentiva più leggera ed era quasi sollevata che qualcuno prendesse quella decisione per lei, che la spingesse sulla strada giusta. Era esausta, come se avesse corso per tutta l’isola. Guardò verso il soffitto e si asciugò gli occhi.

«Hai una vaga idea di quante chiacchiere faranno in paese quando ti vedranno andare in farmacia a comprare un test di gravidanza? Sconvolgerai tutta Portosalvo.»

Rosa aveva appena indossato la giacca. Afferrò le chiavi dal mobile accanto alla porta d’ingresso, si girò a metà e lanciò un’occhiata divertita in direzione dell’amica. «Non potevi darmi una notizia migliore.»

 

 



[1] Mi giro e mi rigiro sospirando

Passo le notti intere senza sonno

E le tue bellezze vado contemplando

Mi passa dalla notte fino al giorno.

Per te non posso più riposare

Pace non ha più questo cuore afflitto.

Lo vuoi sapere quando ti lascerò?

Quando la mia vita finisce e muore.

Potete ascoltarla qui.

 

[2] Riposare.

[3] Davvero?

[4] Il perché.

[5] Allontanati.

   
 
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