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Autore: Evilcassy    02/10/2009    4 recensioni
Il 6° Torneo del Pugno d'Acciaio finisce con la morte dei Mishima e di Jin Kazama, e il crollo dell'impero della Mishima Zaibatsu e della G.Corp. Nina Williams è ora braccata da varie fazioni che cercano di ucciderla, ma inaspettatamente, il suo destino cambierà radicalmente. - EPILOGO E DOVUTI RINGRAZIAMENTI.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nina Williams, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Chilling Saga'
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Two Pairs of Chilling Eyes

 

11: Isn’t cold, in your little corner of the world?

Tre mesi dopo, Nina lasciò Dublino quasi con sollievo. Passeggiare per la sua città, sui ponti del Liffey, tra le note degli U2 e i pub di Guinness che si affacciavano sulle strade umide di pioggia, aveva fatto riaffiorare una nuvola grigia di ricordi spiacevoli.

Si era allenata nell’ex palestra di sua madre, la cui foto autografata campeggiava all’ingresso. Si meravigliò nel ricordare come poco l’avesse frequentata, al contrario di Anna, cresciuta praticamente tra quelle quattro mura di legno.

Dove si trovava la scuola elementare cattolica che aveva frequentato durante l’infanzia, sorgeva un nuovo complesso commerciale. Niente più bambine in uniforme a scacchi blu, niente più pinguine severe.

Aveva ritrovato il palazzo in cui viveva, ed era riuscita ad entrare e a salire la tromba delle scale, le cui pareti erano molto più grigie di quanto se le ricordasse. Passando davanti all’unica finestra che dava sulla strada, le tornò alla mente il ricordo di quando aveva dieci anni e sua madre, dopo un furioso litigio con suo padre, era uscita sbattendo la porta e portando Anna, in lacrime, con sé. Aveva fatto per rincorrerle, ma suo padre l’aveva richiamata indietro.

E lei era rimasta davanti a quel vetro, a vedere sua madre che camminava veloce sotto la pioggerellina autunnale, trascinando la sua figlia più piccola. Anna si era voltata, scorgendola attaccata a quella finestra, lanciandole uno sguardo implorante.

Ma lei aveva ubbidito a suo padre, era restata al suo posto, seguendole solo con lo sguardo finché non scomparvero da dietro l’angolo. Scavò nella sua memoria, alla ricerca di un qualche particolare del litigio, senza successo. Com’era finta, poi?

Ah, si: erano tornate a tarda notte, dopo tutta la giornata passata in palestra. Anna era entrata nella camera che condividevano, gli occhi gonfi di pianto e le nocche delle mani pelate: era stato il suo primo allenamento di Aikido con sua madre.

Ricordò di averla presa in giro per quelle vesciche scoppiate, mostrandole le sue, affinate da anni di allenamento paterno, e chiamandola con il soprannome sprezzante che le aveva affibbiato loro padre, bambolina mollacciona, mentre la sorella si soffiava sulle mani per alleviare il bruciore, senza ribattere alle battute crudeli. Provò un qualcosa di vagamente simile ad una fitta di rimorso per quello che le aveva detto: che razza di bambina stronza che era stata.

Forse era stata quella l’origine dell’astio tra di loro.

 

Aveva poi contattato Steve, un giorno, da un telefono pubblico. Suo figlio si trovava in Norvegia, aveva appena vinto un incontro la sera prima. Nina si complimentò con lui, sinceramente orgogliosa. Durante quell’ultimo anno e mezzo le volte che l’aveva sentito si potevano contare sulla punta delle dita di una mano, sempre cercandolo lei per prima, senza mai lasciare recapiti per essere rintracciare.

Nonostante questi contatti rari, Steve sembrava sempre contento di sentirla, di raccontarle dei suoi incontri, dei suoi allenamenti e di Julia.

“Adesso faccio qualche mese di Stop e volo in Arizona.” Decretò, infine. “Ci alleneremo un po’ insieme, anche.” Aggiunse, con una nota divertita e birbante nella voce.

“Bravo, resta sempre in allenamento, non smettere. A proposito” La voce di Nina si fece più cupa. “Non avrai mica intenzione di partecipare al Torneo del Pugno d’Acciaio, vero?”

Dall’altro capo del telefono Steve rimase un attimo in silenzio. “Beh, ecco…”

“Provaci soltanto, e questa volta non esiterò a schiacciare il grilletto, siamo intesi?”

“Ma mamma!” protestò il ragazzo, come un adolescente davanti al diniego del genitore per un’uscita “Sono 100 milioni di dollari! Posso sistemarmi per tutta la vita! Ne vale la pena, non credi?”

“La tua vita vale molto più di 100 milioni di fottutissimi dollari” sibilò Nina, prima di salutare e riattaccare.

Uomini. Tutti uguali. Tutti sciocchi ed avventati.

A costo di gambizzarlo, suo figlio non sarebbe andato al macello contro Lars Alexanderssons e soci.

 

Alla fine del terzo mese, Nina ricevette via mail l’ordine di partire per il Giappone, come previsto. Si imbarcò sull’aereo con un biglietto acquistato su internet, senza voltarsi indietro.

Mentre l’Hostess di volo le augurava buon viaggio, dopo averle controllato il passaporto falso, Nina si rese conto che per quei tre mesi, a parte la telefonata a Steve e una ricevuta al comando, non aveva parlato praticamente con nessuno.

Come la pioggerellina insistente, capricciosa e fredda della capitale Irlandese, qualcosa si insinuò tra i suoi vestiti e le penetrò la pelle. Una cosa ugualmente gelida, fastidiosa ed insistente: una sensazione di vuoto.

Mentre l’aereo decollava, Nina sentì  il peso della solitudine piombarle sulle spalle: non l’aveva mai sentito prima, ma lo poteva riconoscere come se fosse la sensazione a cui lei era più abituata al mondo.

In quei tre mesi non aveva fatto altro che allenarsi, bighellonare in giro per Dublino scavando nei propri ricordi, cercando con ogni mezzo di scacciare qualsiasi pensiero su Sergei Dragunov, per non cadere preda di quella sottospecie di nostalgia che l’avrebbe distratta dal raggiungere i propri obbiettivi.

Il suo obbiettivo era partecipare al torneo, facendo una figura credibile, come alibi alla sua attività investigativa.

Poi avrebbe sistemato i conti con Anna, ammesso e non concesso che partecipasse.

Infine, a missione ultimata, allora avrebbe potuto rivedere Sergei, passare altre notti di passione con lui, e magari trovare una risposta ai mille quesiti che le affollavano la mente.

 

L’atterraggio all’aeroporto di Tokio era stato abbastanza brusco. Lo stomaco di Nina si torse fastidiosamente al rimbalzo del carrello anteriore sull’asfalto.

E’ l’ultima volta che prendo il posto davanti si ripromise, slacciandosi seccata la cintura di sicurezza.

Un sole malato illuminava una città dove rovina e ricostruzione si incrociavano in un paesaggio spettrale: accanto a gru e cantieri in funzione, intenti ad erigere nuove sfavillanti costruzioni, si trovavano gli scheletri abbandonati di case martoriate dai bombardamenti, scoperchiate, ridotte a cumuli di macerie. Si domandò con quale cognizione dell’ordine fosse stata pianificata la ricostruzione urbana.

Un messaggio sul telefono di servizio l’avvisava del nome dell’Hotel Supreme, con l’indirizzo e addirittura il numero di camera, il 134. Dopo averlo letto, la donna prese un taxi e vi si fece portare, rimanendo stupita nel riconoscere la facciata, ridipinta e ristrutturata, dell’Hotel Imperial. Il suo stupore fu ancora maggiore nel constatare, quando il facchino aprì la porta della 134 scortandole i bagagli, che era la stanza che, un anno e mezzo prima, aveva condiviso per la prima volta con Dragunov.

Il dubbio gentile che ci fosse lui, dietro a quella prenotazione, e che sarebbe comparso da un momento all’altro le allietò la giornata e le fece spuntare un sorrisetto sulle labbra rosee. Lasciò una cospicua mancia al facchino, prima di rovistare nel suo bagaglio alla ricerca di quel completino di pizzo con cui voleva farsi trovare dall’uomo.

Dedicò la successiva ora alla toeletta personale. Non era una donna vanitosa che passava ore allo specchio e che non si presentava ad un uomo se non perfettamente truccata e pettinata, ma quella era un’occasione speciale. Dopo tre mesi di lontananza aveva pure il diritto di trovarsi davanti ad una donna che si potesse definire tale.

Quando ebbe finito accese la televisione. Guardò qualche programma a caso, un paio di proclami eclatanti di Alexanderssons e le previsioni meteo, che mettevano pioggia in serata e sereno per il resto della settimana.

Si sedette sulla poltroncina rossa vicino alla finestra, ricordandosi che lui e la sua sigaretta erano seduti proprio lì, con il vetro appena aperto per far uscire il fumo e le persiane chiuse, che avevano chiuso fuori la guerriglia del post-Mishima. Gettò un’occhiata dalla finestra: era una posizione ottimale per tenere la strada sottostante sotto controllo. Un taxi parcheggiò davanti all’ingresso, e Nina allungò il collo per scorgere l’occupante che stava scendendo, riconoscendo Paul Phoenix e il suo amico Marshall Law. Sbuffò, guardando l’orologio.

Il telefono della camera suonò e la donna scattò per alzare la cornetta. La voce della receptionist l’avvisò che c’era una persona per lei al bancone.

Indossò una corto vestito nero e i suoi stivali di pelle del medesimo colore, avendo cura, per abitudine, di nascondere una pistola sotto la gonna.

Attraversò la hall dell’esercito ancheggiando, guardandosi attorno attraverso le lenti scure degli occhiali da sole che si era infilata. La hall era affollata di  persone, molte delle quali erano membri di troupe televisive.

“E’ attesa nella sala riunioni, l’accompagno.” Le sorrise la receptionist.

Era strano. Troppo strano.

Il comando non poteva incontrarla senza avvisarla in una sala riunioni. Tantomeno Sergei. Ci doveva essere qualcos’altro sotto. Scosse la testa all’indirizzo della ragazza, facendo scivolare le dita verso la pistola. “Vado da sola, grazie.” Disse, incamminandosi verso il corridoio delle meeting rooms.

Arrivando davanti a quella che le era stata indicata, sfilò la pistola dalla fondina e tolse la sicura.

Aprì la porta di scatto e balzò dentro, la pistola spianata.

 

Un sorriso smagliante le rispose dall’altro lato di un piccolo tavolino nero. “Mi aspettavo una cosa simile Nina… non cambi proprio mai!”

Lentamente, la donna abbassò la pistola, meravigliata, ma determinata a non mostrane quanto. “Anna… mi aspettavo che tu partecipassi al torneo… ma questa tua mossa proprio non l’avevo prevista”

Di nuovo, la sorella le rispose con un sorriso. C’era qualcosa di diverso in Anna, qualcosa di strano. Il suo viso, leggermente abbronzato, le sembrava più tondo, gli occhi le brillavano e quel sorriso così… genuino non ricordava di averglielo mai visto.

“Puoi mettere via la pistola, non sono affatto armata.” Continuò la sorella, giocherellando con la stoffa leggera del suo svolazzante vestito rosso, senza alzarsi dalla sedia. Sembrava quasi nervosa.  “Avevo solo bisogno di parlarti”

“Che diavolo vuoi?” domandò dura la bionda, nascondendo nuovamente la pistola ed incrociando le braccia sul petto.

Anna rispose con un risolino, prima di spostare la sedia e alzarsi. “Non l’hai ancora notato?”  Mentre si alzava faticosamente, il vestito di chiffon in stile impero le scivolava lungo il corpo, arrivando alle ginocchia coperte da leggings neri, delineando un ventre perfettamente tondo e grosso.

Nina rimase di stucco, non riuscendo a trattenere oltre le braccia al petto, lasciando che le cadessero lungo i fianchi, l’espressione inebetita come mai prima d’ora.

“Tu… tu sei…”

Senza smettere di sorridere Anna alzò le braccia, come se fosse stata la cosa più semplice del mondo. “Incinta. Incintissima direi.” Fece aderire il vestito alla pancia. “Sorpresa!” esclamò. “E’ un maschietto, sono ormai alla fine, tra 10 giorni è previsto il termine. Volevo vederti prima e sapevo di trovarti qui, così ho insistito per venire. Ci tenevo a dirtelo di persona e a renderti partecipe.”

Nina scosse appena la testa, incredula.

“Noi non siamo mai state amiche, e non ci siamo mai comportate veramente da sorelle. Ma ora ho uno scopo nella mia vita che non c’entra niente con l’annientarti o il dimostrare di esserti superiore. Dopo il sesto torneo, ho vissuto un periodo molto buio della mia esistenza, da cui ne sono uscita solamente grazie ad una persona che mi è stata vicino e che mi ha aiutata a capire di cosa avessi veramente bisogno, e cosa stessi realmente cercando. Io non voglio odiarti, né ucciderti, né umiliarti. Questo momento che sto vivendo ora, è meraviglioso, incredibile. E voglio condividerlo con la mia famiglia. Che sei tu.”

Nina fu sorpresa da come le splendevano gli occhi, da come le guance ripiene si fossero appena arrossate mentre parlava. Si ritrovò a domandarsi se quello che dicesse fosse realmente vero, senza doppi fini o tentativi di raggiro. Tuttavia, non poteva essere davvero possibile una cosa del genere da sua sorella.

“Vuoi farmi credere che questo discorso strappalacrime sia vera?”

Anna annuì. “Forse sono gli ormoni” commentò sorridendo, mentre l’altra voltava la testa sprezzante dall’altra parte. “Hai una vaga idea di chi possa essere il padre?”

La mora scoppiò in una risata squillante: “Ma certo!” alzò la mano sinistra, dove all’anulare splendeva una fede dorata. “E’ mio marito, Lee Chaolan.”

Nuovamente, le braccia di Nina si rifiutarono di restare incrociate.

 

EEEET VOILAAAA!

Troviamo una Anna lievemente cambiata… quasi OOC, direi. Se non fosse che ho un’idea del personaggio e dei suoi comportamenti ben precisa….

La storia sta entrando nel vivo…

Come finirà tra Nina e Anna?

E quando si degnerà di tornare in scena Dragunov??? (con calma, mi raccomando… fatti pure i comodi tuoi…)

Grazie mille per le recensioni… non avete idea di come sia importante questa storia per me e sapere che vi piace…

 

Attendo commenti alla notizioooona. (non preoccupatevi… ci saranno altri colpi di scena)Ah, a proposito: il titolo è tratto dalla canzone Nikita di Elton John.... se l'ascoltate, e vedete il video... non vi ricorderà Nina?

EC

   
 
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