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Autore: Cyanide_Camelia    06/10/2009    1 recensioni
Irlanda, in un liceo privato si incontrano e si intrecciano le vite di alcune personalità eterogenee, quali Shelly, una diciassettenne americana con un passato burrascoso, tutta mascolinità e vitalità; Mia, una dolcissima ragazza vittima degli errori degli altri; ed a seguire Daphne, Ginger, Weed, Emerien, Kurt e molti altri personaggi emblematici, a raccontare quanto dolore si possa sopportare, quali sono le ferite nascoste di ognuno e le singole aspirazioni, la difficoltà nel rapportarsi, fino a dipingere un quadro complessivo, cantato dalle voci di Mia e Shelly, di una generazione che balla sul precipizio.[Ripubblicata a seguito di un'accorta revisione della precedente "Memories of a Toxicdoll and of a Broken Dream" ed arricchita]
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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…La ragazza alternativa…

…La Donna che osò sfidare la Dea…

 

Il mondo si divide sostanzialmente in due categorie di esseri umani: i puntuali ed i ritardatari. Nemmeno a dirlo, io sono una ritardataria. Mia, invece, è una puntuale a morte: farla arrivare tardi equivale ad assicurarle un’ipossia. Questa mattina non fa eccezione, sono le otto e trentacinque ed io corro come Forrest Gump nella speranza di arrivare alla fermata dell’autobus prima che quello delle otto e quaranta passi, lasciandomi a piedi o facendomi aspettare quello delle nove meno dieci.

Tanto ormai la prima ora me la sono giocata.

Stringo con una mano il bordo della gonna che scivola, scivola giù lungo l’inguine, e con l’altra mi tengo il cappuccio del bomber in testa, cercando di mantenere in equilibrio sulla spalla la borsa.

Magicamente, riesco a prendere l’autobus appena in tempo. Spiaccicata tra una vecchia con i capelli cotonati che puzza di cucinato in una maniera allucinante, ed un energumeno di centottanta chili, tiro fuori lo specchietto da una tasca e mi guardo: ho delle occhiaie pazzesche ed un colorito cadaverico impressionante.

Ieri sera io e Ginger siamo andate via dall’ospedale all’una e quaranta, quando era arrivata mia madre. Lei è rimasta lì tutta la notte, prendendosi oggi come giorno di ferie, ma noi due siamo arrivate a casa alle due e mezza circa. Ginger sarà sicuramente già arrivata a scuola.

Tiro un bel sospiro prima di farmi strada tra la gente per scendere alla mia fermata.

Entro a scuola sgattaiolando per i corridoi senza farmi vedere, e mi infilo dritta dritta nella “sala punizioni”.

Farebbero prima a chiamarla la “sala Shelly”, ci vivo praticamente, qua dentro.

Oh, cucù! Sembra che avrò un ospite per questo quarto d’ora prima della seconda ora.

Una ragazza con una massa di capelli ricci, neri e lunghi se ne sta seduta ad un tavolo, leggendo un libro.

 

“Ciao…vengo in pace.”dico, alzando le mani in segno di resa.

 

“Ciao. Devi essere Shelly, tu.” Alza appena gli occhi dal libro prima di ri-immergersi nella lettura.

 

Solleva un angolo della bocca in una specie di sorriso diffidente.

 

“Wow, ti hanno già inviato il mio curriculum! Che fai, mi assumi o devo parlare con i miei amici importanti?” mi sdraio sul tavolo, davanti a lei.

 

“Ti sei fatta una fama…Io sono in classe con Daphne.”

 

“Ah! E siete amiche?” domando, stupita: Daphne non me ne aveva mai parlato.

 

“Daphne non mi piace. Mi è più simpatica Theresa, ma in linea di massima io sto da sola. Non mi trovo bene con nessuno in particolare.”

 

D’improvviso mi accorgo che ha uno sguardo bellissimo. Due occhi grandi, dal taglio orientale, passano velocemente dal mio viso al libro, e dal libro al mio viso.

 

“Come…come ti chiami?”

 

“Emerien”

 

Resto senza parole.  E la guardo andare via con un’espressione soddisfatta, mentre io resto impalata lì, con la gonna che cala e le occhiaie alle ginocchia.

 

Entro in classe al suono della campanella, e mi trascino fino al mio posto, facendo un cenno di saluto a Mia. Ho ancora la rabbia latente, all’altezza del diaframma sento un pulsare quasi insopportabile.

 

“Buongiorno Thucker, devi darmi la giustificazione del ritardo.”

 

“Tah-dah! Visto che non sono una prestigiatrice, indovini un po’? E già, non ce l’ho!” canterello io.

 

“Che è successo? Oggi sembri più terribile del solito.” Sussurra Mia. Rispondo con un grugnito.

 

Prendo il mio astuccio e un quaderno a righe, e controllo dal cellulare chi è connesso su MSN. Twinkle è su “occupato” e potrebbe non rispondere. Twinkle, il soprannome di Daphne. Le invio un messaggio istantaneo: Daph sono io. Vieni in bagno tra mezz’ora?ho un po’ d’erba dall’altro ieri. Stringo il cellulare in mano finché non avverto la vibrazione.

Twinkle scrive: dolce mamma Maria!.

Sorrido, ed aspetto.

 

***

 

Oggi Shelly è strana.

Accucciata sul banco, col cappuccio della felpa sugli occhi e il “quaderno degli scarabocchi” davanti, fa quasi paura per quanto sembra una lupa.

Che ci devo fare, lei è così. Indisponente e umorale. Io lo so, che di certe cose ne parla solo con i suoi amici, mentre io mi devo raggranellare i discorsi che facciamo insieme, e sono costretta ad assaporare solo un lato di Shelly, ma mai la sua autentica essenza.

Un po’ frustrante, a pensarci bene. Ma alla fine può andare anche così.

Non sono una che esige chissà cosa.

Oggi pomeriggio dovrei uscire con Mag, e la cosa oltre che impaurirmi mi distrae dalle lezioni e dall’arrabbiatura di Shelly.

 

“Mia? Ohi, Mia! Ma ci sei?” chiede insistentemente la mia compagna di banco,strattonandomi.

 

“Che…che c’è?” le chiedo io di rimando, anche abbastanza seccata.

 

“Mentre entravo in classe un tipo mi ha dato questo per te.” Mi allunga un biglietto piegato e stropicciato, che le strappo dalle mani.

 

“Un tizio chi, di grazia?”

 

“Un tizio alto e magro, con i capelli chiari…biondo cenere, più o meno. Il nome non gliel’ho chiesto.”

 

“Shelly mi spieghi come diavolo fai? Cioè, uno ti dà un biglietto per me, uno che non hai mai visto né conosciuto, e tu nemmeno gli chiedi come si chiama? Io non ho parole…”la guardo negli occhi, prima di distogliere lo sguardo, arrabbiata come sono.

 

“Ehi…e grazie dove lo metti?” bisbiglia lei da sotto il cappuccio.

 

“Guarda, è meglio se non te lo dico.” Occhiataccia.

 

Afferro il foglietto e lo infilo nel diario, col proposito di aprirlo dopo.

Mag si sarebbe ricordata tutto: com’era vestito, che taglio di capelli aveva, la forma degli occhi e l’esatta sfumatura di colore, se i pantaloni avevano la piega o meno e da quanto erano stirati, e senza dubbio gli avrebbe chiesto nome, cognome, data di nascita, codice fiscale, cognome da nubile della madre e delle nonne e analisi del sangue recenti.

Mag è divertente. È pettegola, sicuramente, e decisamente civettuola, ma ha un non so che di accattivante, che me la fa andare a genio.

La verità è che siamo due anime sole. Due pezzi spaiati di puzzle diversi che si sono magicamente riusciti ad incastrare.

Io ho paura di parlarle di questo bigliettino.

È pericoloso, questo bigliettino.

Devo fare finta che non mi interessi, devo reprimere l’eccitazione, e non devo assolutamente conoscere questo ragazzo.

Non mi posso innamorare di questo lui, non potrò mai avere figli, e Dio solo sa quanto mi resta da vivere. Perché far soffrire qualcun altro?

Bene, tempo cinque minuti ed un ragazzo che corrisponde più o meno alla vaga descrizione fattami da Shelly bussa educatamente alla porta della nostra aula con un mazzo gerbere rosse.

 

“Mi scusi, professoressa, sono qui per consegnare questi fiori alla signorina Mia O’Connor.”

 

“Oh…beh…Prego, Peterson, faccia in fretta.”La bocca della professoressa si contrae in una fessura.

Il ragazzo arriva a lunghe, eleganti falcate verso il banco di Shelly e mio. Shelly lo saluta con un cenno della mano, articolando le dita, mentre io sento il cuore scoppiarmi e la bocca secca, che cerco di forzare in un sorriso.

Si inginocchia davanti a me e mi allunga i fiori, che tento di accogliere protendendo, tremanti, le braccia. Lui sorride, dolcissimo, e mi manda un bacio.

 

“Signorina O’Connor, mi chiamo Robert Peterson  e vorrei che accettaste questi fiori in segno di affettuosa simpatia. La prego di perdonare la mia presunzione nello sperare che lei voglia venire a cena con me venerdì alle 19:00.”mi sussurra all’orecchio.

 

“S-sì…grazie…grazie…L-le farò sapere s-signor Peters…” non riesco a finire la frase, che mi lascio cadere in avanti, stringendo ancora il mazzo di gerbere, e appena capisco di star svenendo sento l’abbraccio di Robert stringermisi attorno.

 

 

 

  
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