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Autore: Evilcassy    11/10/2009    6 recensioni
Il 6° Torneo del Pugno d'Acciaio finisce con la morte dei Mishima e di Jin Kazama, e il crollo dell'impero della Mishima Zaibatsu e della G.Corp. Nina Williams è ora braccata da varie fazioni che cercano di ucciderla, ma inaspettatamente, il suo destino cambierà radicalmente. - EPILOGO E DOVUTI RINGRAZIAMENTI.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nina Williams, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Chilling Saga'
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Two Pairs of Chilling Eyes

 

13: Luck of The Irish

Quello non era uno dei normali terremoti che scuotevano il Giappone quasi quotidianamente:  La terra vibrava a colpi, come se fosse calpestata da un gigante, e i latrati che squarciavano l’aria, alzandosi sopra le urla della gente terrorizzata, non facevano di certo parte di un evento sismico.

Nina corse fuori dall’arena, schivando i vari detriti che le cadevano davanti. Vedeva Lee pochi metri più avanti, anche lui impegnato in quella corsa accidentata verso la salvezza. Si dovette fermare perché qualcuno le afferrò un braccio: era Steve, trafelato e con gli occhi azzurri spalancati dal panico. Gli fece cenno di venire con lei, ma il ragazzo scosse la testa: “Devo trovare Julia!”

Gli avrebbe rifilato volentieri un paio di ceffoni, per poi trascinarlo via con sé, ma si trattenne, cercando di essere comprensiva verso l’eroismo, per lei alquanto stupido, del figlio: “Corri verso l’hotel, ci vediamo li!” Steve annuì, lasciandola andare, per poi precipitarsi anch’egli verso le uscite di emergenza.

 

Per prima cosa Nina riuscì a recuperare le armi nascoste. Dentro alla cassa vi era anche uno zaino militare, che riempì con i fucili e le munizioni, per poi infilarselo in spalla. Un altro latrato attraversò l’aria, e la donna si chiese nuovamente che diavolo stesse succedendo.

Che fosse?

Oddio, l’Arma X di Alexandersson? Che fosse il suo amichetto Deimos? Magari era scappato dal loro controllo.

Le venne in mente che Jin Kazama annoverava, tra i suoi film preferiti, anche Cloverfield, un’insulsa storia americana su un mostro misterioso che distruggeva New York.

No, non poteva essere così: Neppure il più deficiente dei Mishima avrebbe lanciato un mostro scatenato a distruggere la città.

Gettò un’occhiata  fuori dalla porta, prima di uscire dal suo nascondiglio e attraversare le strade ormai deserte, intasate di auto abbandonate dai proprietari.

Da megafoni agli angoli delle strade, una voce femminile squillante consigliava un’evacuazione veloce ma ordinata, senza panico. Nina ne fece saltare uno con un colpo di fucile, giusto per sfregio verso il regime.

Si precipitò verso l’Hotel Supreme, correndo a perdifiato: aveva tentato di mettersi in contatto con il Comando Russo, ma il cellulare non aveva campo e nell’attrezzatura Pavlov si era dimenticato di fornirle una radio.

Quando arrivò davanti al lussuoso albergo, ciò che vide le mozzò il fiato:

Una gigantesca orma a tre dita, grossa quasi quanto un autobus, era impressa sull’asfalto sfondato della strada, proprio davanti all’entrata dell’hotel. Ne seguivano altre due, dirette dalla parte opposta all’Arena. Un grosso segno orizzontale sfregiava il palazzo restaurato dell’albergo, attraversando i due balconi all’angolo, che erano crollati a terra insieme all’elegante insegna.

“Cazzo” mormorò tra sé e sé, riconoscendo uno dei due balconi come quello della camera di Lee e Anna. Girò attorno all’orma, e per passare l’entrata di vetro, crollata, dovette stare molto attenta ai detriti. Entrò nella hall deserta, calpestando i cocci delle vetrate infrante per terra guardandosi attorno.

“STEVE!” chiamò. Nulla.  “ANNA!” niente. “LEE!”

Con un vago senso di panico che le faceva tremare il respiro, corse sulle scale, raggiungendo il corridoio della stanza di sua sorella.

Le lussuose applique alle pareti erano cadute, insieme a molti calcinacci e alle rifiniture di pregio.

“ANNA!” chiamò nuovamente.  Udì un rumore di passi veloci dietro all’angolo del corridoio, e la figura impolverata di Lee Chaolan che faceva capolino. “La porta della camera è bloccata, non riesco ad entrare. Ho sentito la voce di Anna, sta bene, ma non riesce a spostare quello che c’è davanti all’uscita.” Spiegò tutto d’un fiato.

Nina camminò velocemente verso di lui, superandolo e dirigendosi verso la porta. “Hai visto Steve Fox?” domandò, mentre si avvicinava alla loro camera. Lee scosse la testa bianca.

“Stai sanguinando dalla fronte” lo informò, mentre appoggiava lo zaino a terra. L’uomo si toccò la testa, ma non sembrò dargli molto peso. “E’ un taglietto.”

Nina provò a dare due spallate alla porta. Niente da fare. Doveva esserci qualcosa di molto grosso a bloccarla. “Anna, mi senti?”

“Nina?” La voce ovattata della sorella aveva una nota incredula. “Che ci fai qui?”

“Ti tiro fuori, imbecille.” Rispose, acida. “Che diavolo c’è davanti a questa porta?”

“Un pezzo della balaustra.  E’ in cemento, non riesco a spostarlo.”

“C’è una parte di legno libera?”

Dall’altro lato, la donna rispose affermativamente, picchiettando sulla superficie lignea, in alto.

“Bene, spostati di li, devo farci un buco” Avvisò, imbracciando il fucile. Quattro colpi ridussero il pannello superiore della porta ad un colabrodo, e un paio di calci di Lee e di spinte aprirono un varco. L’uomo si inerpicò al suo interno, seguito da Nina. Abbracciò la moglie sollevato, trovandola sana e salva.

“Alla televisione si è visto tutto. Sembrava subito un terremoto, nel panico generale il cameraman ha inquadrato l’esterno dell’Arena, e si è visto questo mostro sbucare da uno dei padiglioni e far crollare tutto l’edificio. Quando ho sentito che si stava avvicinando stavo per uscire, ma la maniglia si era bloccata, nel panico, sapete com’è…” prese un bel respiro, controllando la ferita di Lee sulla fronte. “Mi sono chiusa nell’armadio. Ho sentito un rumore assordante, pensavo crollasse tutto, e quando sono uscita, ho trovato tutto questo macello.” Concluse, con un cenno alla breccia che si era aperta sulla porta finestra e all’arredamento distrutto dai detriti.

“Sei stata fortunata Principessa.”

Luck of the Irish, te l’ho sempre detto.” Si rivolse poi a Nina con un sorriso grato. “Un armadio resistente, un marito veloce e una sorella attrezzata.”

Seppur si sentisse lusingata e rinfrancata, Nina le voltò la schiena, alzando le spalle. “Non ero qui per te.”

Spostò un paio di calcinacci dalla porta, aiutata da Lee, e poi, dopo essere riusciti ad aprire la porta, si diresse verso la sua camera senza dare ulteriori spiegazioni.

 

Ritornò nella hall dell’hotel imprecando tra sé e sé: aveva tentato di connettersi ad internet dalla sua camera, ma nulla da fare, la rete era completamente fuori uso. Aveva bisogno di una radio. Che diamine doveva fare?

Tenne premuto il bracciale al polso per dieci secondi: almeno l’avrebbero localizzata. Uscì in strada, sentendo dei rumori di aerei che sfrecciavano al di sopra dei palazzi. Cercò di focalizzarne uno: americani.

La sua attenzione fu catturata da una mano che spuntava da un cumulo di macerie dei balconi. Spostò un pezzo di macerie, notando disgustata che era il corpo, pressoché maciullato, di uno dei bodyguard che le avevano impedito di uscire dall’hotel due sere prima. Notò che indossava ancora l’auricolare di servizio, e ne tirò il filo, per raggiungere la radiolina, fortunatamente ancora intatta.

Luck of the Irish.

 

“Sai potenziare quest’affare?” disse, lanciando la radiolina in direzione di Lee, entrando dentro uno dei salottini. L’uomo la prese, guardandola come se fosse un gioco da ragazzi. “mi serve un cacciavite e qualche altra piccola stupidatina elettronica.” Rispose, iniziando a gironzolare qua e là alla ricerca di qualcosa di utile, non prima di essersi raccomandato con Anna di rimanere seduta sui divanetto. Per tutta risposta, lei alzò un braccio in segno affermativo. Nina notò che era impallidita quasi improvvisamente. “Stai male?”

Anna sospirò. “Il bambino è molto grosso e pesante. E ho avuto un paio di contrazioni nell’ultima mezzora”

“Non avrai mica intenzione di partorirlo ORA.”

“E’ normale avere qualche contrazione al nono mese.” Rispose la sorella, cercando di trovare una posizione più comoda. “E anche dolori qua e là.”

Rimasero un istante in silenzio, con Nina appoggiata al muro di fronte all’altra, il fucile appoggiato al suo fianco. Fu Anna a parlare nuovamente per prima. “Ho paura” quasi bisbigliò.

“Avresti dovuto pensarci prima, idiota.” Sbottò Nina acidamente. “Quando imparerai gli effetti delle tue azioni stupide?”

La sorella le rivolse il suo sguardo azzurro, innervosito e rabbuiato. “Quando tu imparerai gli effetti delle tue parole.”  Voltò la testa dalla parte opposta, posando lo sguardo per terra.

Nina rimase senza parole: cercò qualcosa da replicare, senza riuscirci, e rimase con le labbra schiuse per qualche secondo, prima di voltare anche lei gli occhi gelidi da un’altra parte.

 

“HEY!” una voce maschile, che Nina riconobbe immediatamente, provenne dalla Hall attigua. La donna lasciò il muro, avvicinandosi all’entrata del salottino. “Steve!” chiamò.  Vide il ragazzo muoversi in mezzo ai detriti, vederla e sorridere sollevato, prima di chiamare Julia, che sbucò da uno dei corridoi laterali.

I due le si avvicinarono, mano nella mano. “Immagino che voi due vi conosciate già” disse il pugile, grattandosi la testa impolverata, un po’ imbarazzato.

Dietro di sé, Nina sentì la sorella emettere un verso incuriosito. “Si, l’ho lanciata fuori dal quarto torneo” ricordò.

Anche Julia sorrise imbarazzata. “E’ un piacere vederti in una circostanza diversa”

“Si, gli incontri casuali in città distrutte da un mostro sono sempre i migliori” ironizzò la donna. “Come mai ci avete impiegato così tanto?”

“All’arena c’era il caos. È crollato tutto. Ci siamo salvati per miracolo, e non riuscivamo a trovarci. Ci abbiamo messo un po’.” Spiegò Steve. Nina gli chiese se fosse ferito. “No, mamma, va tutto bene.”

…Mamma?”

Lee Chaolan sbucò proprio in quel momento, la radiolina in mano e gli occhi spalancati. “In che senso Mamma?”

Steve si sbatté la mano sulla fronte, Julia scosse la testa. “L’ho sempre detto che parli troppo…

 

Nina cercò di sintonizzarsi sulle frequenze utilizzate dai russi. Sapeva poche parole della lingua di Sergei, quanto bastava per farsi riconoscere. “Agente Williams all’ascolto, rispondete.” Ripeteva ad ogni frequenza, tra i sibili e i fruscii fastidiosi. Aveva intercettato qualche messaggio americano, che parlava di massicci bombardamenti e della Cosa che li respingeva. Pareva che liberasse anche dei parassiti, grandi quanto un bue, che attaccavano qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Persino Julia, che si trovava vicino a lei, trovò lampante la somiglianza con Cloverfield.

Nina le domandò come fosse finito il film

“Hanno bombardato New York, i protagonisti sono morti, ma da una frase detta velocemente durante i titoli di coda si capisce che il mostro è ancora vivo.”

…voi americani e i vostri stupidi film…” sbuffò Nina. “Agente Williams all’ascolto, rispondete.”

 

“Non posso davvero crederci che tu sia mio nipote.” Continuava a mormorare Anna, scrollando la testa. “E’ davvero terribile quello che vi hanno fatto.”

“Già, però ho avuto la fortuna di essere adottato da un’ottima famiglia, non mi hanno fatto mancare davvero nulla, per quanto fosse loro possibile”

“E io due anni fa ho tentato addirittura di sedurti!”

“Beh, si, in effetti quello è stato un po’ traumatico…

…mio dio, ti ho anche messo la mano sui pantaloni…

“A pensarci bene, è stata una delle cose più imbarazzanti della mia vita…

…Potrai mai perdonarmi…?”

“Non sapevi di essere mia zia e...”

“AH!”

Lee scattò in piedi, come se avesse ricevuto una scossa elettrica, guardando Anna come se fosse una boma ad pronta ad esplodere da un momento all’altro. “Che cosa c’è?”

La donna si era afferrata la pancia tra le mani, gli occhi spalancati e il respiro affannoso. “E’ ufficiale, tesoro. Sto per partorire.”

Il marito sembrava sull’orlo di uno svenimento. “Stai scherzando, vero?”

“E’ la quinta contrazione nell’arco di mezz’ora. Il bambino sta arrivando.”

Anche Julia era scattata in piedi, ordinando a Steve di correre a prendere dell’acqua calda. “Nina, tu devi chiamare un dottore!”

Agente Williams all’ascolto, rispondete. PER FAVORE”

 

Doveva ammetterlo: Lee era sorprendete. Dopo lo spavento iniziale aveva mantenuto il suo self control, aiutando Anna a stendersi, fornendole dei cuscini come supporto e andando a recuperare, dalla loro stanza, una piccola busta dove aveva preparato, da bravo futuro genitore molto previdente, lo stretto necessario nel caso sua moglie avesse deciso di partorire con dieci giorni d’anticipo.

“Tuo figlio ha un tempismo perfetto per nascere, non c’è che dire…” cercò di sdrammatizzare. Un’altra contrazione aveva lasciato Anna senza fiato. “Anche se ci hai messo solo la parte divertente, ti ricordo che è questo è TUO figlio.”

Agente Williams all’ascolto, rispondete.”

“WILLIAMS!” Quella voce rara l’avrebbe riconosciuta tra mille, alta e chiara sopra ai rumori dei bombardamenti e dei latrati del mostro. Sergei Dragunov, proprio lui. Un caso? Luck of the Irish.

WILLIAMS, DOVE SEI?”

Era in mezzo ai combattimenti, in prima fila. Il suo posto, il suo ruolo perfetto, tra le sue armi e i suoi uomini da comandare. “Mi trovo all’Hotel Supreme, ho con me altri quattro civili.” Rispose, sempre in russo, voltandosi verso Anna, che cercava di controllare il respiro, pallida come un cencio. “Quasi cinque, per la precisione.”

Feriti?”

Negativo” Pensò un attimo alla parola corretta da utilizzare, ma non ricordandosela in russo, rispose in inglese: “Una partoriente.”

Seguì un istante di silenzio dall’altro capo della radio. “In che senso partoriente, Williams?”

“Mia sorella Anna ha deciso che questo fosse il momento più opportuno per scodellare il primo figlio.”

Dal tono della voce ne dedusse che a Dragunov fosse scappata una imprecazione ben definita nella sua lingua madre. “Gli americani non vi hanno recuperato?”

“Negativo, non si è visto nessuno”

“L’ho sempre detto che sono dei buoni a nulla.” Dragunov imprecò nuovamente: “State fermi dove siete. Mando una pattuglia a recuperarvi con un medico, se riesco.”

Tra sé e sé Nina sorrise: “Grazie, comandante.”

 

“Va bene. Facciamo così: nell’attesa che vengano a prenderci, Steve e Julia controlleranno la hall. Rimanete nascosti dietro al bancone, e se sentite il mostro avvicinarsi… beh, scappate alla svelta. Io pattuglierò l’entrata sul retro. Lee a te l’ambito ruolo di ostetrico.”

Vide Anna tirare un braccio del marito, per farlo chinare verso di sé, e bisbigliargli qualcosa nell’orecchio. “Sicura?” Anna annuì. L’uomo si rivolse a Nina “Vado io sul retro, per ora. Rimani qui con Anna. Tornerò al momento opportuno.”

La donna fece per protestare, ma Lee, dopo averle soffiato il fucile di mano, corse fuori dalla stanza.

 

“Non vuoi la tua dolce metà in questo momento?”

Anna scosse il caschetto castano, un piccolo sorriso tirato sul viso candido. “Le contrazioni possono durare ore, quando sarà il momento decisivo, richiamerò Lee.” Le fece segno di avvicinarsi. Tra il riluttante e il curioso, Nina acconsentì, sedendosi sulla poltrona più vicina. “Fa male?”

Sforzandosi di sorridere Anna annuì. “Mi sento aprire in due. E il peggio deve ancora venire.” Sospirò, accarezzandosi la pancia. “Non me lo immaginavo così: avevo già prenotato in una clinica privata di Nassau un bel parto in acqua con epidurale. Il sogno di ogni donna.”

“Dovevi pensarci nove mesi fa.”

“Ne vale la pena. Questi mesi sono stati i più belli della mia vita.”

Nina titubò qualche istante sulla domanda che voleva farle. Alla fine, si decise: “In che senso hai avuto un periodo buio?”

Il sorriso di Anna si spense lentamente. Spostò gli occhi azzurri sul soffitto, poi a terra, imbarazzata. “Dopo il sesto torneo, io e Lee siamo scappati insieme alle Bahamas. Però io… io non riuscivo più a provare nulla. Avevo fallito di nuovo nel mio obbiettivo, mi sentivo vuota. Non c’era nulla che mi interessasse, nulla che riuscisse a scuotermi. Cercavo di non darlo a vedere, ma avevo praticamente smesso di mangiare, e poi sono arrivati gli attacchi di panico.” Si terse la fronte madida di sudore, sospirando. Non riusciva a guardare Nina negli occhi. “Capitavano di continuo. Avevo il terrore di uscire, ma stando sempre in casa non riuscivo a reagire e mi deprimevo sempre di più. Lee ha cercato subito di aiutarmi, ma non glielo permettevo. Finché una sera, è tornato a casa da una cena d’affari e mi ha ritrovato nella vasca da bagno con un vetro in mano e il polso tagliato” alzò l’avambraccio: il polso, a pochi centimetri dalla mano, era sfregiato da una lunga cicatrice bianca, Nina rimase a bocca aperta. “Hai davvero fatto una cosa così stupida?”

“Non riuscivo a vedere nessuna altra via d’uscita. Cercavo di impedire a me stessa di fidarmi di Lee, di aggrapparmi a lui, conoscendolo. Ma da sola non riuscivo a riprendermi. Alla fine mi sono resa conto di essere lo spettro di me stessa, e di aver davvero bisogno di aiuto. E lui me l’ha dato. In pieno.” Recuperò un poco di sorriso. “Ho conosciuto il suo lato migliore. Quando ho scoperto di essere incinta… ero al settimo cielo! Avrei avuto una persona da amare, che non mi avrebbe mai lasciata sola in ogni caso. Sinceramente, pensavo che Lee non la prendesse bene. In fondo, da amante della bella vita com’era, avrebbe preso il bambino come un intralcio, no? Ma io l’avrei tenuto comunque. E invece… Beh, ci siamo sposati in spiaggia. Ti rendi conto? IO che mi sposo con LEE in spiaggia, in un romantico tramonto, solo noi due con l’ufficiale?”

“Fantascienza”

“L’avrei detto anche io!” Un’altra contrazione incrinò la voce della donna. “E tu? Cosa hai fatto in questo tempo?”

“Lavoro per i russi” spiegò brevemente. “Agente segreto.”

“Cavoli, è un bel passo avanti da sicario a pagamento, no?”

Nina annuì. Non di certo una professione invidiabile, ma comunque di gran lunga più remunerativa ed interessante.

“E nient’altro?”

“Una sottospecie di relazione”

“Oh, questa è una cosa …” la bocca di Anna si aprì ad O. “Nina, chiama Lee… mi si sono rotte le acque!” Nina balzò in piedi, pronta a scattare verso l’uscita sul retro, ma Anna la bloccò nuovamente. “Ti prego, dovresti controllare la dilatazione.”

Oh, no… non questo… Pensò Nina disgustata. Gliel’avrebbe fatta pagare cara a sua sorella, figlio o no.

“Quanti centimetri è?”

“so che non è la prima volta che te lo dico” rispose alla sorella dolorante e preoccupata. “Ma ce l’hai larga”

 

Dopo un’ora intera passata tra urla e imprecazioni varie, dove Anna, nell’ordine, aveva maledetto di essere nata donna, mandato il marito a quel paese ed invocato l’intervento di una ventosa sturalavandini, Nina le comunicò che si vedeva la testa del neonato.

Lee chiese come fosse.

“Come diavolo vuoi che sia, razza di idiota, quadrata?” fu l’acida risposta di Nina. “Avanti, Anna, un’altra spinta, forza!”

Anna era allo stremo, sembrava sul punto di collassare da un momento all’altro. Stringeva convulsamente la mano di Lee, che ormai doveva avere anche qualche osso rotto, ed era paonazza in volto. “Non ce la faccio più!”

“TSK! Me l’aspettavo, bambolina mollacciona.”

Fu come dar fuoco ad una tanica di benzina. Anna strinse ancora di più la mano di Lee, che accusò la stretta in silenzio, con le lacrime agli occhi e strinse i denti così forte che la mascella si contrasse come se si stesse spezzando.

E un istante dopo, un piccolo essere sporco e strillante era tra le mani di Nina.

 

No, non era bello.

Aveva la faccia schiacciata e sembrava quasi un rospo. Non riusciva a trovare la somiglianza tra di loro come stavano facendo i due neo genitori, commossi.  “Oh, gli occhi sono i tuoi!” “Le labbra sono le tue!”

Quella sua vocetta rauca che dava sui nervi.

E poi era davvero grosso. Come diavolo faceva un bambino a nascere cosi? Non era normale!

Per non parlare del nome: “James Patrick Chaolan – Williams” aveva enunciato orgoglioso Lee, pronunciando il lungo nome del suo primogenito come se fosse il principe d’Inghilterra. Come mai James?

“Abbiamo scoperto che ci piacciono a tutti e due i film di James Bond” aveva spiegato semplicemente l’uomo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Patrick invece come il patrono d’Irlanda. E Patrick Swayze, che piaceva molto ad Anna. E ci piaceva mettere il doppio cognome.”

Il destino era stato proprio inclemente con il piccolo Chaolan. Nascere brutto, con una voce atroce, in mezzo ad una catastrofe, e con due genitori del genere.

Davvero un destino infausto.

E allora perché non riusciva a smettere di guardarlo, senza poter impedire alle sue labbra di stendersi in un sorriso?

Anna glielo rifilò in braccio senza che lei potesse opporre resistenza. “Ti presento tua zia.”

Nina era impacciata, quasi non respirava per paura di farlo cadere. Come diavolo faceva sua sorella a maneggiarlo con tanta naturalezza?”

“Rilassati, è un bambino, non una bomba”

“Appunto.” Si, gli occhi erano proprio quelli di sua sorella. Azzurri, chiari, limpidi.

Forse erano come quelli di Steve, quando era nato.

Si sentì una morsa al cuore al pensiero di quel momento mancato tra lei e suo figlio: nessuno l’aveva incoraggiata a farlo nascere, nessuno gliel’aveva appoggiato al cuore mentre gli tagliavano il cordone ombelicale. Non si era nutrito tramite lei e non era stato scaldato dal calore delle sue braccia. Nessuno aveva notato le sue somiglianze, o il suo peso, o la sua lunghezza.

Non c’era stato nulla di ciò per suo figlio.

Lo vide avvicinarsi a lei e sedersi accanto. “Ma che bello che è il mio cuginetto!” esclamò, come se fosse rimbambito, fotografandolo con il cellulare. “Non è vero mamma?”

Nina annuì lievemente, prima di restituirlo ad Anna. “Grazie, davvero” mormorò. “Nostro padre non avrebbe mai pensato a quanto potesse essere utile quel nomignolo così stronzo.”

Lee le passò un braccio attorno alle spalle. Appoggiò la testa contro la sua, gli occhi persi sul proprio figlio che si stava addormentando. Si baciarono, si sorrisero.

Con la coda dell’occhio vide Julia avvicinarsi a Steve, e il ragazzo guidarla dolcemente a sedersi sulle sue ginocchia, abbracciandola.

Si sentì inadeguata, fuori posto, circondata da tutte quelle persone che si volevano bene. Si alzò dal divano, un groppo in gola, prendendo il fucile. Teneva lo sguardo abbassato, celato dietro il ciuffo di capelli biondi. “Vado a pattugliare l’ingresso” riuscì solo a mormorare.

 

Si concesse qualche lacrima. Sola, nella Hall distrutta, avvolta nell’oscurità della notte che aveva inghiottito la città, con i latrati e i rumori dei combattimenti in lontananza, abbracciata al fucile. Tutto quello che si era meritata nella vita.

Le persone attorno a lei avevano avuto una loro vita, si erano costruiti una storia ed una famiglia, potevano contare sull’aiuto di qualcuno, sull’affetto di qualcun altro.

Lei era sola.

 

E fu proprio mentre si stava asciugando le lacrime dagli occhi che il fascio di luce di una jeep fermarsi pochi centimetri prima dall’entrata dell’hotel, e tre figure scure entrare nella vetrata.

“Agente Williams?”

La sua voce. Avrebbe voluto vederlo in faccia, avvicinarsi a lui, ma rimase al proprio posto, conscia che in quel momento, lui era il suo comandante.

Un comandante che era venuto personalmente a prenderla, insieme a due suoi uomini.

 

Il medico non aveva potuto far altro che constatare le buone condizioni di Anna e del bambino. Aveva disinfettato il taglio sulla fronte di Lee e controllato la sua mano, che stava assumendo un certo color viola.

L’altro soldato che era con loro aveva controllato l’uscita sul retro.  “Andremo verso il nostro campo base” riferì, rispondendo alla domanda di Julia.

“Meglio prima controllare che gli scontri siano a debita distanza” . Era la prima frase che aveva spiaccicato dal suo ingresso nella Hall. Dragunov sembrava molto stanco. Si era appoggiato al muro, più pallido del solito, massaggiandosi il collo. La sua tuta da combattimento era lacera in più punti e sporca, e i capelli sudici erano attaccati alla testa e alla faccia.

“Williams, andiamo a pattugliare il tetto.” Si scostò stancamente dal muro, riprendendo il mitragliatore e posandoselo sulla spalla, avviandosi verso le scale.

Nina lo seguì: Non le aveva rivolto nessuno sguardo, nessun cenno di interesse, come se fosse davvero un soldato come un altro. Forse in quei tre mesi era cambiato qualcosa. Che gli avessero ordinato di tagliare tutti i ponti con lei? Non disse nulla, limitandosi a seguirlo sulle scale sino al tetto, all’aria aperta e fresca di quella notte infernale.

Solo quando la porta antincendio si chiuse alle sue spalle, Sergei Dragunov si voltò verso di lei. Si avvicinò di un passo. Nina riusciva a malapena a sostenere il suo sguardo intenso. Quando si trovò a pochi passi da lei, alzò il braccio, sfiorandole il volto, scivolando sulle sue labbra, stringendola contro il metallo della porta dietro di sé.

Nina lasciò che il fucile le cadesse di mano, per poi avvolgere le braccia attorno al collo dell’uomo: Il profumo del suo dopobarba era appena percettibile, sotto l’odore di sudore e polvere da sparo. Si sentì sollevare e stringere, prima che le lasciasse la bocca. “Buonasera, Nina.”

“Ciao Sergei.”

Forse non era sola.

Luck Of The Irish.

 

Benvenuto, James Patrick Chaolan-Williams! (O, meglio, il piccolo Jamie.)

Eccomi di nuovo con un luuungo capitolo. Preparatevi al peggio!

Grazie mille per le recensioni a Miss Trent, AngelTexasRanger e Sackboy97 (scusa per l’errore nel titolo del cap. precedente). E anche a Nila Gor_kj e Goth girl, che non ho mai citato personalmente nei miei ringraziamenti (scusate la maleducazione)

I vostri commenti sono la mia linfa vitale!

Piccole note:

NASSAU, la città dove Anna aveva programmato di “scodellare il primo figlio” è la capitale delle Bahamas.

LUCK OF THE IRISH: (la fortuna dell’Irlandese) è un comune modo di dire, probabilmente nato negli USA ai tempi della corsa all’oro: i primi minatori e cercatori d’oro erano Irlandesi. Quanto pare, i primi erano anche molto fortunati.

Non ho mai visto Cloverfield. Ma ho visto Godzilla.

Alla prossima!

EC

   
 
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