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Autore: act of blood    12/10/2009    0 recensioni
Il vento soffia forte sui prati irlandesi. Sovrasta i canti di guerra dei Freddi e dei Lupi senza curarsi della battaglia che sta per avere luogo. E tra i due gruppi c'è lei. Il Destino.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sede principale della rivolta silenziosa dei Venti non era altro che un intricato sistema di cunicoli e gallerie sotterranee, una sorta di piccola città parallela. Dalla botola nella capanna, si scendeva in una sorta di grotta, sulla cui entrata torreggiava un'incisione sul legno.
Fuarbhruite Aingeal.
Gli angeli dal cuore a metà.
Kayla non ne aveva capito il significato sino alla sua prima metamorfosi; il cuore l'aveva sentito spaccarsi davvero a metà. Ma era ancora convinta che "Angeli" fosse una parola troppo innocente. Lei si vedeva come un demonio, e sapeva per certo che era un sentimento condiviso.
Non aveva mai creduto davvero agli angeli, al Paradiso e a tutto ciò che esso implicava; era convinta che fossero solo frutto di una fervida immaginazione, ma l'umanità ha bisogno di qualcosa in cui credere, così evitava di smontare le speranze delle altre persone.
Silenziosamente, col passo deciso che la contraddistingueva, attraversò l'intero corridoio, sfogliando con gli occhi i vari cunicoli che si diramavano, come venature su una foglia.
Quel luogo non aveva un vero e proprio nome; alcuni lo chiamavano semplicemente il Tunnel, ed era diventato il nome convenzionale ormai. Il Tunnel era la via più breve per tuffarsi nel passato; l'unico arredamento nei corridoi era costituito da torce di legno appese alle pareti, e niente come quelle gallerie avrebbe ricordato un film medievale.
Ogni cunicolo portava a una zona precisa; i letti, il ritrovo, la sala armi, la cucina. In fondo alla galleria principale si aprivano altri tre rami che conducevano ai magazzini. E ad una grotta piccola, bloccata da un cancello, dove l'unica persona che poteva entrare era proprio lei.
Col passare degli anni, Kayla aveva assunto il ruolo di leader dei rivoltosi, nonostante quel ruolo non le calzasse per niente.Avere sulle spalle tanta responsabilità era sempre troppo, specialmente per una che perdeva la pazienza così facilmente.
Gli unici ad essere autorizzati a entrare, sotto il suo consenso, erano i suoi "vice"; Hartz, un giovane licantropo che più volte le si era dimostrato utile, e Nadine, quella che più si poteva definire come un'amica, per Kayla.
Era una donna francese che dimostrava appena trent'anni; era forse la donna più beòòa che Kayla avesse mai visto, e l'intero Tunnel la pensava così. Alta, formosa, con una chioma di capelli castani che sembrava fatta apposta per quegli occhi verdi.
Affianco a lei, col suo metro e sessanta scarso, le forme aspre di una ragazzina e i capelli tanto chiari da sembrare bianchi, Kayla si sentiva sempre una bambina. Nadine aveva un figlio, Jeremy. Era un cosino di otto anni, iperattivo e iper-stressante, ma nessuno riusciva a volergli male, lì dentro.
Se avesse dovuto salvare una ed una sola persona, probabilmente Kayla avrebbe salvato lui.
Era il genere di bambino che riesce a portare allegria anche nella culla stessa del diavolo; impossibile resistergli.
Fu proprio lui a venire in contro alla ragazza, correndo come una furia mentre lei attraversava l'androne della grotta.
Lei lo prese in braccio, al volo, sorridendo.
-Campione-
, lo salutò scompigliandogli i capelli. -Non dovresti stare a studiare, tu?-
-Marcel non è tornato ieri sera, e non si è visto stamattina-.
Ribattè il bambino, giocando coi capelli della ragazza.
Kayla lo fissò, turbata.
-Come, non è tornato?-
Il ragazzino fece spallucce, troppo impegnato ad intrecciare ciocche di capelli per certe questioni da grandi.
La ragazza lo lasciò a terra, voltandosi attorno, preoccupata.
Marcel era forse il ragazzo più buono di questo mondo, mai che avesse sgarrato una volta, mai che avesse dato problemi. Era diventato il maestro dei bambini della Resistenza; era troppo pericoloso frequentare le scuole del paese, e inoltre ultimamente i bambini si trasformavano sempre troppo presto.
Ormai si viveva al limite; ogni compito, anche il più piccolo e distratto impiego, assumeva un'importanza assurda per quella grotta. E questo Marcel lo sapeva bene, per cui Kayla non fu la prima a chiedere di lui.
In realtà i bambini erano gli unici a non sapere della scomparsa di Marcel; le "menti" della comunità erano già in riunione. Senza Kayla.
Imprecò, quando glielo comunicarono, e si diresse a grandi falcate verso il corridoio di quella che era stata adattata a Sala delle Riunioni, poco più che una grotta chiusa da una porta malandata.
Proprio quella porta sbattè violentemente al muro, quando Kayla la spalancò senza troppi problemi; entrò nella sala, furiosa, guardando negli occhi ognuno dei presenti. Su ognuno di quegli occhi si leggeva la stessa cosa:
Cazzo, ci ha beccato.
-Kayla, noi...-
Esordì l'uomo in fondo alla stanza, quello a cui tutti si rivolgevano come al "Capo".
Lei lo sapeva bene che non era altro che un subordinato. Erano anni che Dean tentava di fregarle il posto. Ora erano arrivati a quei livelli, e stava diventando una minaccia. Non solo per lei, ma per tutta quella storia.
-Taci, Dean.-
Gli ringhiò contro. -Dovevo sapere di Marcel da un bambino, perchè i miei consiglieri sono troppo impegnati a tramare alle mie spalle?-.
Guardarono in basso, tutti. Tranne Dean, ovviamente.
-Ti abbiamo cercata. Ti cerchiamo da stamattina.-
-Oh, sentiamo, Dean. Dov'è che vado ogni mattina da un po' di tempo a questa parte?-
Ribattè, afferrando uno dei fogli poggiati sul grosso lastrone di pietra che usavano come tavolo. -Se non andassi in perlustrazione ogni santa mattina, a quest'ora avresti il culo sotto terra, ricordatelo.-
Esaminò velocemente il foglio che si trovava davanti; date, frasi, tabulati telefonici. Tutto ciò che riguardava Marcel che fosse successo nelle ultime quarantott'ore.
Gli lanciò un'occhiata in cagnesco, prima di tornare a leggere. Nella sala era calato il silenzio più completo.
-Da chi le hai avute?-
, disse indicando il foglio, pieno di annotazioni.
-Adrian. Quello di Belfast.-
-Bene. Di' ad Adrian, quello di Belfast, che se si azzarda anche solo un'altra volta a passarti informazioni senza il mio consenso, gli stacco la testa. Chiaro?-

Annuì, alzandosi. Poi, come se non fosse successo nulla, riprese i suoi fogli e se ne andò, lasciando in quella caverna un clima che aveva tutto, tranne dell'amichevole.
-Chi l'ha visto per ultimo?-
,domandò Kayla, senza staccare gli occhi dal foglio.
Una mano si alzò dal fondo del tavolo; era una ragazza minuta, sommersa sotto a una cascata di riccioli rossi e nascosta dietro a una maschera di lentiggini. Quando capì che Kayla non l'aveva vista, si decise a parlare.
-Io. Dovevamo cenare insieme. Ha detto che sarebbe uscito a vedere se riusciva a rimediare una pizza.-
La ragazzina tratteneva le lacrime, e la voce, incrinata, faticava ad andare avanti. -Gli ho detto che sarebbe stato pericoloso...però, io...non ricordo cosa mi abbia risposto.-
Scoppiò in lacrime, e fu la ragazza che le stava accanto a consolarla.
Kayla volse lo sguardo al soffitto nero della caverna. Le fiamme delle torce disegnavano degli arabeschi cangianti sulla pietra, per un qualche gioco d'ombra e luce che sembrava così beffardo, in quel momento.
-Ho bisogno di due volontari.-
, annunciò. La prima ad alzarsi fu una ragazza, alta, dalla pelle scura e i capelli tanto scuri che risaltavano nell'ombra; poi, contemporaneamente, due ragazzi, uno alto e biondo, l'altro dalla corporatura massiccia e una cascata di capelli scuri. -Daniel, no.-, intimò al moro, che sembrò protestare. Lei lo fermò con un'occhiataccia prima che potesse ribattere qualcosa, e lo rimise a sedere, placido come un cagnolino.
-Andiamo a cercare Marcel. Voi occupatevi dei bambini, e se qualcuno si azzarda a chiedere qualcosa a Dean lo ammazzo.-
Uscirono senza un'altra parola, guardandosi dritti di fronte a loro, senza calcolare nemmeno i bambini che giocavano nei corridoi.
Era una delle regole dei Venti: Niente distrazioni. Quando hai una missione, pensa a quella.
Vai avanti per la tua strada e fregatene di tutto. Bella filosofia, duecento anni prima.
Non era come nei film; non c'era una musica epica a risuonarti nelle orecchie, nessuno sguardo comprensivo, nessun vento a fare effetti speciali. Kayla camminava con un peso nel cuore che, più che un kolossal, trasformava tutto in un horror.
I vampiri, c'erano anche loro.
Fuori dalla galleria, era già mattino inoltrato, ma il cielo era la solita cappa perlacea che pendeva su Dubh, riflettendosi sulla neve scintillante che si diramava sull'erba.
Bastò uno sguardo, a dividere i tre licantropi per la perlustrazione.
Kayla trovò riparo dietro a una grossa quercia spoglia, dal maestoso tronco scuro. Vi si acquattò dietro, e come il più naturale dei gesti, pian piano il suo corpo cominciò a mutare e ad assumere forme animali. Come animali sotto a una coperta, le ossa si spostavano, e dovette sforzarsi con tutta sè stessa per non urlare; era sempre la stessa sensazione.
Ti trasformavi che non te ne accorgevi nemmeno, e due secondi dopo desideravi morire.
Sentiva il corpo cambiare forma, il suo io selvaggio tornare a impadronirsi del suo istinto, sentiva il mondo diverso sotto i suoi piedi. Il pelo folto e argenteo del lupo la ricoprì completamente, lasciando della vecchia Kayla solo due scintille luminescenti al posto degli occhi. Con una zampata nascose i vestiti di cui si era spogliata prima nella neve, e senza esitare ancora corse.
La corsa era senza dubbio la parte che preferiva di più; prima era un salto, prendevi il ritmo, dovevi trovare il tuo appoggio. Poi cominciavi a familiarizzare col vento, con la terra, a sentire il mondo che ti passava attorno come se fossi tu al centro dell'universo.
E ti sentivi potente.
Corse per miglia, chilometri, prima di avere una minima percezione di dove si trovasse.
Il freddo delle nevi invernali inibiva ogni minima percezione di olfatto, in quel momento, per cui il lupo sobbalzò, quando la sua zampa sfiorò un qualcosa di liquido, e caldo.
Abbassò il muso lentamente, come se sapesse già cosa l'aspettava.
Una lunga striscia cremisi risaltava sul bianco candido, una slabbratura di vernice rossa sulla neve. Con il cuore in gola, la seguì dietro a un albero.
Gli occhi erano ancora aperti, vuoti come lo erano stati da vivo. Ma di Marcel non era rimasto che un pupazzo senz'anima.
Chiudendo gli occhi, il lupo ululò.




  
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