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Autore: stuck93    12/10/2009    0 recensioni
fict che ha partecipato al contest Tserith indetto da ValyChan fict che parla del rapporto complicato tra il freddo capo dei Turks e della bella fioraia dei bassifondi. Amore e odio, i pensieri, le parole mai dette, i ricordi indelebili e i sentimenti nascosti. I loro sentimenti introspettivi e i loro punti di vista di un amore silenzioso e passato senza lasciare traccie...
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Tseng
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap2



Ti sentivo sempre più lontano, non solo fisicamente. Eri diventato freddo, distaccato, insensibile. Non ti riconobbi più. Una volta la tua presenza era una fonte di piacere per me, ma in quei momenti... no. Eri soltanto un tormento. Se prima ti limitavi solamente a pedinarmi alla chiesa, in quel momento mi seguisti fino a casa. Esasperasti mia madre nel lasciarmi andare, di portarmi via con te, alla ShinRa. “La tratteranno come una principessa, sarà rispettata da tutti”. Non eravamo due stupide, lo sapevo quello che ero, e sapevo cos'era la ShinRa. False promesse, falsi sorrisi. Pensavo che almeno tu fossi diverso. Ma mi sbagliai. Eri il solito cane scodinzolante e festoso pronto a mordermi la mano. Sono rimasta delusa. Qualcosa di più della delusione. Dispiacere immenso nel vedere che una persona che ritenevo migliore di altre non era quello che dimostrava di essere.


Gli anni passano, e il tempo cambia le persone. Rimango pur sempre un Turks, anche se a volte preferirei mollare tutto per poterti stare accanto. Non mi importava che il tuo amore non fosse corrisposto, avrei voluto passare insieme a te momenti felici, ed essere sincero, sorriderti, abbracciarti. Ma non mi era possibile, era mio compito portare a termine la missione, per quanto schifo mi facesse. Se ci ripenso ora, dopotutto era merito del mio lavoro se ti conobbi.

Venne il giorno. Era ormai stato stabilito, la Cetra doveva essere portata a tutti i costi alla ShinRa, con o senza il suo consenso, e capii che ormai la seconda opzione era inevitabile, in quanto tu ti unisti alla causa dell'AVALANCHE. Reno mi disse che eri scappata con uno di loro, dalla chiesa e dai tuoi fiori.


Ero nel bar di Tifa insieme a Marlene, la figlia di Barret. Sapevo di non essere al sicuro, non lo ero da sempre, in qualsiasi posto in cui mi trovassi, nemmeno accanto a Cloud. Infatti tu varcasti quella soglia poco dopo, impeccabile nella tua divisa blu notte, lo sguardo di ghiaccio, quello stesso sguardo di cui mi innamorai tempo prima. I capelli corvini molto più lunghi e il viso più duro. Non ebbi paura. Volevo proteggere Marlene, non ero una ragazzina indifesa, non più, e volevo dimostrartelo.


Le informazioni erano chiare, ti nascondevi in un bar dei bassifondi, e fu proprio lì che ti ritrovai insieme ad una bambina. Lei era spaventata a morte da me, avrà avuto sì e no quattro anni. In un certo senso mi ricordava te, non solo nell'aspetto. Quando eri una bambina, anche tu ti attaccavi alla sottana di Elmyra nello stesso modo in cui lei si teneva stretta alla tua veste rosa. Eri cresciuta. Eri più donna ormai. Ti ho vista quasi crescere, e ho visto i tuoi lineamenti maturi, il tuo viso dolce, i capelli molto più lunghi, e di un castano più scuro di quando eri ancora una ragazza. Il seno visibilmente più sviluppato, un seno bellissimo, né troppo piccolo né enorme, i fianchi sinuosi e i vestiti un po' meno fanciulleschi del solito. E i tuoi occhi color smeraldo fieri, decisi, senza un velo di paura, mi guardavano in tono di sfida, senza però essere superbi. Ormai non eri più né una bambina, né una ragazzina. Per la prima volta nella mia vita ti parlai, anche se avrei voluto dirti tutt'altre parole, avrei voluto usare tutt'altri toni. Ero così vicino stavolta da poter sentire il tuo profumo: avevi lo stesso odore dei gigli della tua chiesa. “Devi venire con me, la ShinRa ti vuole, ora” dissi impassibile, duro, ma senza un velo di emozioni, freddo. “No” risposi tu semplicemente, fredda. La tua voce era bellissima, l'ascoltavo sempre. Desideravo che il nostro primo dialogo fosse nato in un diverso contesto, che la tua voce che tanto amavo mi rivolgesse parole senza astio. Ma non fu così, tutto quello che avrei voluto accadesse non si realizzò mai.


Devi venire con me!” ripetesti seccato, mentre io non ti risposi, tanto sapevi la mia risposta, non sarebbe cambiata così facilmente. Tu feci qualche passo in avanti verso di me, ma io non arretrai. Mi prendesti il mento con due dita e lo alzasti verso di te, per guardarmi negli occhi, io arrossì spaventata quando poco dopo sentii il tuo respiro sul mio collo e per un attimo mi sembrò che tu volessi assaporare il profumo della mia pelle, mentre io non sapevo che fare. Ero totalmente pietrificata dall'imbarazzo, mai un uomo mi era stato così vicino, nemmeno colui che avrei chiamato padre, nemmeno Zack. Le mie mani tremavano, mentre sentivo che sussurravi nel mio orecchio come un amante lussurioso poche parole impercettibili che però io riuscii a capire benissimo. “Non vorrai che i Turks facciano del male alla bambina?”


Avrei voluto baciarlo quel collo così pulito e perfetto, ma non mi era consentito, ero ligio al dovere, come sempre. Tu mi guardasti spaventata, mentre la piccola si nascondeva dietro alle tue gambe. Fuori dal bar c'erano i SOLDIER, scappare era inutile. Avevi le mani legate, e ne eri consapevole. “Verrò con te, ma lascia stare Marlene” finalmente la mia tortura era finita. Ormai il mio compito era stato portato a termine, una volta all'Edifico ShinRa, tu non saresti stata più un mio problema. Non ti avrei più rivista. La cosa mi sollevava, ma allo stesso tempo mi metteva in ansia. Non rivederti più... per un attimo nella mia mente balenò l'idea di scappare con te, mettere fuori gioco i SOLDIER e portarti in un posto sicuro, disertare, abbandonare i Turks, diventare un traditore. Io stesso odio i traditori. Ma come fare altrimenti?

Signor Tseng” mi chiamò un soldato preoccupato, anche se era suo dovere non mostrare sentimenti “La bomba esploderà tra poco, Reno è già sul posto” “Bomba? Quale bomba?!” Mi chiesi spaventata, più per la salute della piccola Marlene che per la tua probabilmente. “La bomba che distruggerà il Settore Sette e i membri dell'AVALANCHE” risposi io impassibile, come se ti avessi comunicato nulla di particolare. Stringesti la bambina al tuo seno, preoccupata sia per lei che per i tuoi nuovi amici. Senza nemmeno pensarci ti indicai l'elicottero privato che noi Turks abbiamo in dotazione. “Possiamo portare la bambina in un posto sicuro se vuoi”


Non rimasi particolarmente sorpresa del fatto che tu mi volessi aiutare. In fondo a quell'animo da Turk so che batte un cuore d'oro, me lo hai dimostrato più volte in passato. E nonostante tu volessi fare il duro rapitore di donzelle in pericolo, anche in quei momenti hai saputo essere un uomo dolce e comprensivo. Non solo mi aiutasti a portare Marlene a casa di mia madre, dove l'esplosione non avrebbe arrecato danni, ma mi hai anche portata sul luogo in cui si trovavano Cloud, Tifa e Barrett. Mi dicesti, che era per far vedere all'AVALANCHE che stavolta avevate vinto voi, e per farti beffe di loro. Non ci credetti.


Erano lì i tuoi compagni. Ti portai in cima al pilastro con l'elicottero, e come sospettato Reno aveva compiuto la sua missione, e loro erano impegnati a disinnescare la bomba che avrebbe raso al suolo l'intero settore. Tu eri fianco a me, inginocchiata, stanca, sconfitta, ma al contempo preoccupata per la salute dei tuoi compagni. Ero nervoso. Non avrei mai dovuto portarti da loro. Il modo in cui guardavi Cloud, il biondo vestito da SOLDIER, mi ricordava troppo il modo in cui guardavi Zack. Ero geloso. “Non preoccupatevi per me! Scappate! Mettetevi al ripar...” ti tirai una sberla violenta, tanto da farti cadere riversa al suolo, digrignai i denti furioso e accecato dalla rabbia. Solo quando tu ti rialzasti, e continuasti a dire ai tuoi amici di cavarsela senza di te mi resi conto della cazzata che avevo fatto. Ma tu non mi dissi nulla, non ti massaggiasti nemmeno la guancia arrossata violentemente. Non te la meritavi... ordinai al pilota di tornare all'Edifico, mentre gli AVALANCHE gridavano il tuo nome, non disperati, ma quasi.


Rientrammo all'interno dell'elicottero, mi rannicchiai in un angolo mentre tu guardavi la tua mano destra confuso e spaventato. Già, la guancia mi faceva male, ma sapevo che in qualche modo ti eri pentito. Non riuscivo ad odiarti dopotutto. Ti sorrisi. Tu mi guardasti allibito. Ma non mi importava. Tu eseguivi gli ordini, eri pagato per mostrare al mondo che eri un Turk, malvagio e senza cuore, ma io in fondo sapevo che i sentimenti li provavi anche tu, altrimenti non avresti fatto nulla per me, mi avresti portato alla ShinRa senza storie e giri di parole, senza mentirmi. Per un attimo vidi il tuo volto illuminarsi, e anche tu accennasti un lieve sorriso di contraccambio.


Mi piaceva il tuo sorriso. Lo guardai, come se fosse una stella in un universo buio e vuoto. L'idea di disertare era ancora vivida nella mia mente. Potevo tramortire il pilota, prendere l'elicottero e portarti fuori Midgar, in un posto sicuro dove nessuno ti avrebbe ritrovata. Ma ero sicuro che tu non saresti mai stata felice lontano da casa, dai tuoi fiori, dai tuoi nuovi amici. Eri fatta così, ti conoscevo ormai, anche senza leggere i numerosi files, schede e rapporti sul tuo conto. Ti alzasti improvvisamente, e ti avvicinasti fiera e spavalda a me, che al contrario avrei dovuto spaventarti. Tu non sei stata mai impaurita da me, non ci sono mai riuscito, per un attimo mi viene da ridere. Ti sedesti al mio fianco. Non capisco ancora il perché, ma tu mi abbracciasti. Mi strinsi a te, come feci con Marlene, materna e protettiva. Poi mormorasti un lieve grazie quasi impercettibile. Appoggiasti il tuo mento sulla mia spalla e mi guardasti, sorridente. Non lo sapevi ancora, ma il tuo sorriso mi illuminava l'animo.


Eri sorpreso quanto me, ma in quel momento io non feci altro che seguire gli impulsi che mi provenivano da dentro. Finalmente ti abbracciai, lo sognavo da tempo di farlo. Avrei voluto che anche le tue braccia mi stringessero. Non ho mai avuto un padre né un fidanzato che mi coccolassero. Tu, come se avessi sentito le mie preghiere, ricambiasti stringendomi i fianchi e unendo il tuo corpo al mio in una stretta calda, pur consapevole che se il pilota, o qualcun altro, ci avessero visto, la tua reputazione sarebbe andata a farsi fottere. Cullata dall'ondeggiare del veicolo che era ormai giunto a destinazione, mi assopii inebriata dal tuo profumo. Sapevi di zenzero. La tua fragranza mi ricordava i biscotti di Elmyra. Avrei voluto che quel momento durasse per sempre. Ma ti vidi arrossire sul tuo volto pallido, e ti staccasti da me di netto, continuandomi però a rimanere vicino. “Scusa.” mi mormorasti impacciato, come un ragazzino alla sua prima esperienza. “Non mi fa tanto male!” ribattei fingendo indicando la guancia che si stava pian piano gonfiando, donandomi di sicuro un espressione buffa. “E poi sono sicura che nei casini ci finirai tu!” Mi guardasti confuso dopo questa mia strana affermazione, che io mi affrettai a spiegare “Hai osato colpire un Antica! I tuoi superiori saranno molto contrariati!” Inspiegabilmente tu scoppiasti in una fragorosa risata. Una risata roca, da vero uomo, mi sorpresi nel sentirla, ma allo stesso tempo mi sentii molto sollevata. Vederti felice era così raro.


Era così strano e inusuale quel momento, quasi magico. Dopo tutti questi anni passati a guardarti da lontano, nonostante io fossi un Turk e tu un'Antica, mi trovavo bene al tuo fianco. Avrei conservato quel momento magico per sempre. Sentivo l'elicottero scendere di quota: non ti avrei mai più rivista. Presi di nuovo il tuo mento tra il pollice e l'indice, poi lo alzai incrociando il tuo sguardo. Le tue palpebre si chiusero timidamente, e io ti baciai, sentendo le tue morbide labbra carnose sotto le mie. Ti rubai il tuo primo bacio. Accarezzai la tua pelle mentre tu, un po' impaurita, mi accoglievi e ricambiavi quel sentimento proibito. Il mio nero e sporco corpo da assassino era entrato in contatto col corpo di un angelo in terra. Mi staccai da te ancora, accogliendo di nuovo l'idea di scappare con te, ma non potevo, mi ero spinto anche troppo oltre. “Tutto bene signor Tseng? Siamo quasi arrivati!” esclamò il pilota, probabilmente preoccupato nel non sentire più le nostre voci. Accarezzai la tua guancia che poco prima avevo offeso e giocherellai coi tuoi capelli castani con fare materno, mentre tu traevi felicità da quelle coccole. “Alla ShinRa... andrà tutto bene, ne sono sicuro!”



Venni subito separata da te. Non feci niente per fermare quegli scienziati che mi avevano circondata, ma in fondo non mi sarei mai dovuta aspettare che tu mi venissi a salvare su un cavallo bianco. Non eri un principe, lo sapevo. Ma ero così scombussolata e confusa, era tutto accaduto così in fretta. Solo la mattina prima me ne stavo tranquilla nei bassifondi a raccogliere fiori, mentre in quel momento avevo ricevuto il mio primo bacio. Arrossì violentemente, gli scienziati non capirono nulla di quello che provavo. Vidi il Presidente ShinRa, quello stesso uomo grassoccio, baffuto e quasi calvo, insieme ad uno scienziato stempiato, dalle guance infossate e l'espressione sadica e contorta, rimproverarti per via del mio gonfiore. Non dovevano farti questo, tu mi avevi portata qui, avevi compiuto la missione... ti guardai sparire tra la folla di scienziati che mi stavano portando lontano, e non ti rividi più...


Fissavo il cielo scuro sopra Midgar, di un verde malsano e sporco, immerso nei miei pensieri, mentre il vento caldo proveniente dalla Costa del Sol mi accarezzava i capelli, facendoli nuotare nell'aria, mentre alcune ciocche ribelli mi cadevano sul volto, dandomi fastidio. “Yo, Capo.” riconobbi quella voce, non c'era nemmeno bisogno di girarmi. La testa rossa del mio compare fece capolino da dietro la mia posizione, e si appoggiò alla ringhiera della terrazza con disinvoltura, mentre anche il suo codino dal colore bizzarro danzava cullato dal vento. Estrasse una sigaretta e me la porse senza nemmeno chiedermi se la volevo. Io la presi, una bionda era la migliore soluzione per distogliere i miei pensieri da te. Dov'eri? Che ti stavano facendo? Accesi la mia compagna e la fumai insieme a Reno. “Hai sentito di quella novellina, pare abbia una cotta per te, zo to. È la sorella di Gun...” mi disse sperando di iniziare una conversazione, un paio di chiacchiere tra colleghi, tra amici. Reno sapeva della mia infatuazione per te. Lo aveva intuito senza che gli dicessi nulla. È una persona straordinaria. E anche in quel momento aveva capito che di Elena non mi importava un granché. “Ah, sei preoccupato per l'Antica” esclamò ispirando una boccata di fumo. “Hai qualche notizia?” chiedetti io, consapevole del fatto che il rosso non avrebbe spifferato nulla sul mio, nemmeno a Rude. “Beh, so che poche ore fa si sono introdotti a palazzo gli AVALANCHE, ma tu e Rude li avete presi no, zo to?” Nessuna novità su di te, anche se ero il capo dei Turks non mi era consentito accedere ai piani riservati del Reparto Scientifico, e che le cavie di Hojo erano intoccabili. “Beh, io penso che quegli attaccabrighe in qualche modo riusciranno a scamparla, quindi non ti preoccupare, sarà libera come un fringuello molto presto” disse dandomi amichevoli e sarcastiche pacche sulla testa, come se fossi un bambino, dimenticandosi invece che ero il suo Capo.


Ero riuscita a fuggire insieme a Cloud, Tifa, Barrett e Red XIII, ma sapevo che non ti avrei rivisto tanto presto. E comunque, dopo che quelli della ShinRa ebbero constatato che i miei poteri da Antica erano ancora sopiti non pensavo che mi avrebbero ricercata così presto. Solo dopo moltissimo tempo ti ritrovai. Di nuovo tra le mie braccia. In un lago di sangue. Ti scendeva copioso dal petto e dalla fronte. Avevo paura, paura veramente. Paura di perderti. Tutti mi guardavano, pensando che stessi provando compassione per un nemico. Ma non era così, non era compassione.


Non avevo mai visto così sangue in vita mia. Ovviamente, non il mio sangue. Quello dei miei nemici era sempre sceso copioso dopo i miei colpi di pistola. Ma adesso, la mano che reggeva sempre l'arma, la mano con cui ti avevo colpita, e poi abbracciata, era sporca del mio sangue scarlatto. Non avevo la mente abbastanza lucida per ragionare. Sapevo che non sarei sopravvissuto a lungo. Sapevo che la morte era vicina. Ti dissi tutto. Perché sapevo che non avrei avuto altre occasioni per dirti quanto ti amavo veramente. Tu piansi. no... non volevo che le tue lacrime venissero versate per un uomo come me, che più di altri si meritava la morte. Mi stringevi ancora mentre pian piano la mia vista si annebbiava. Pronunciai il tuo nome in un soffio, prima di perdere completamente i sensi. “Aerith...”


Non ci potevo credere. no... non potevi essere morto, eri un Turk, non potevi morire così facilmente. “Aerith?” mi chiamò Yuffie mentre io stringevo ancora il tuo corpo freddo e versavo lacrime amare. “Ormai è morto, dobbiamo andare o...” “Arrivo!” Risposi, mentre Cid come al suo solito, pronunciava parole poco fini a proposito dei Turks. Per loro la tua morte non significava niente. Eri solo un nemico in meno, un problema in meno. Ma io sapevo com'eri veramente, ti conoscevo, sapevo che sotto al tuo scudo gelido batteva un cuore capace di amare. Perché tu mi hai sempre guardata da lontano, e i tuoi sguardi freddi mi facevano sentire meno sola, in quella chiesa enorme, in questo Pianeta enorme. Sentii la mano di Tifa stringermi la spalla, probabilmente l'unica che mi capiva, o che cercava di capirmi, una vera amica. “Dobbiamo andare”



non sapevo che sarei andata incontro alla morte quel giorno. Sentivo la spada fredda di Sephiroth trapassarmi l'addome. Mi faceva male, male. In confronto al tuo schiaffo era un dolore atroce. Sentivo le grida degli altri, poi il mio sangue scorrere nonostante volessi fermarlo. Piano piano tutto sparì, il rumore cessò. Sorrisi, nessuno mi avrebbe impedito di farlo. Avrei voluto dire addio a tutti, a Tifa, la mia migliore amica, a Yuffie, compagna inseparabile, a Barrett, rude, ma che era sempre stato gentile con me, a Vincent, anche se non lo conoscevo bene, era sempre rimasto in disparte, a Cid, che nonostante fosse rozzo era sensibile e paterno, a Nanaki, a Cait Sith, che seppur diversi da me erano veri amici, a Cloud, che somigliava a Zack, che mi ricordava lui e aveva i suoi stessi occhi. A te, che forse ti avrei rivisto nel Lifestream. Avrei potuto dirti anche io che ti amavo...



Mi risvegliai in un ospedale che non riconoscevo, avevo gli arti intorpiditi e una flebo al braccio. Chiamai l'infermiera, ero confuso, non sapevo che cosa fosse successo mentre ero svenuto. Davvero, credevo di essere tornato al flusso vitale. Ma infondo se ero vivo significava anche che Sephiroth e Meteor erano stati in qualche modo debellati. Ero rasserenato. Non che mi aspettassi che tu saresti venuta a trovarmi in ospedale, ma almeno avrei potuto rivederti. Chiamai di nuovo qualcuno, la mia voce era secca, non la riconobbi e anche la gola mi bruciava. Segno che era da tanto tempo che non bevevo. Non riuscivo ad alzarmi. Nella stanza entrarono poco dopo un infermiera e i miei compagni Turks in borghese, Reno, Rude e Elena. Tutti felici di sapere che ero ancora vivo, ma non abbastanza. “Sigaretta?” chiese il rosso porgendomi un pacchetto della sua marca preferita e un accendino. “Sai, di questi tempi è raro trovare di che fumare capo” “Non dovresti offrirgli certe cose! Fumare fa male e il capo è in convalescenza!” ribeccò la bionda, che spesso si comportava come se fosse la madre di tutti noi, mentre come al solito Rude se ne stava in disparte, impacciato in abiti che non era solito portare. “Che vuol dire, ''di questi tempi''?” Domandai incerto e confuso, mentre Reno strascinava una sedia vicino al letto dalla parte della finestra, con la sigaretta in bocca, che io gli rubai svelto lasciandolo a bocca aperta sbalordito. “Beh... la ShinRa è stata distrutta, il Presidente Rufus é stato ricoverato d'urgenza in questo ospedale. Meteor ha raso al suolo Midgar, quindi se vogliamo qualcosa dobbiamo importarla. Ah anche questo luogo è fuori città, laggiù adesso ci sono solo macerie, zo to. Però la gente continua ad abitarci e a ricostruire un posto chiamato Edge, o Neo Midgar che dir si voglia” “Quindi anche AVALANCHE... è a Edge e sta rimettendo a posto le cose che noi della ShinRa abbiamo rovinato” ammisi io contento buttando fuori il fumo, e sollevato del fatto che ormai nulla mi legasse più alla Compagnia, che potevo passare con te tutto il tempo che volevo. Lo ammisi “Sono contento” Rude intervenne nella discussione coi suoi modi bruschi “Devi dirglielo, Reno!” Mi preoccupai. Dirmi che cosa? Reno fissò il pavimento bianco della camera tristemente. Non riuscivo a capire, ma al contempo sapevo che era successo qualcosa. Pregai soltanto che non c'entrassi tu...
“Aerith... è stata uccisa da Sephiroth...”

Non pensai a nulla. Non dissi nulla. I miei compagni capirono che era meglio lasciarmi solo.


Piansi, semplicemente piansi. Stringendo le lenzuola e nascondendo le lacrime col palmo della mia mano, come se qualcuno potesse vedermi.

Non potevo crederci.

Non potevi essere tornata al Lifestream.

Non tu.


  
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