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Autore: LaTuM    15/10/2009    9 recensioni
"Ti avevo chiesto di non svegliarmi… Odio i saluti della partenza"
"Già, fanno troppo Signorina Miniver..." commentò Justin, sapendo che in questo modo avrebbe attirato l'attenzione del compagno che, come da programma, non si astenne dal fulminarlo con lo sguardo "Lascia perdere"
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Genere: Generale, Romantico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: I personaggi di Queer as Folk non mi appartengono, benché meno lo sceneggiato. Da questa storia non ci ricavo assolutamente nulla ù_ù

That Day

 

 

Di tutti i modi in cui Brian Kinney amava essere svegliato, solo uno in quel momento era l'ultimo che avrebbe scelto per tornare alla realtà. Perché la bocca di Justin era così tanto abile nel farlo cadere in uno stato d’incoscienza tale per cui Brian non sarebbe riuscito ad arrabbiarsi col biondo per averlo svegliato proprio quel giorno, quando l’unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stato dormire. Magari fino alla fine dei tempi.

Così, ancora in quello stato comatoso dovuto al traumatico risveglio e all’appagante orgasmo, aprì leggermente gli occhi e con la voce impastata dal sonno salutò Justin con un esausto ma triste ‘buongiorno’.

“Ciao…” gli rispose il ragazzo con un sorriso mentre gli carezzava dolcemente la fronte, scostandogli alcune ciocche castane leggermente umide.

"Cosa diavolo ci fai qui?" gli chiese l'uomo cercando di tornare a respirare normalmente nel più breve tempo possibile. Non aveva più vent'anni, e tutte le sigarette che fumava di certo non lo aiutavano a recuperare le forze e il fiato come accadeva quando aveva l’età di Justin..

"Ho dormito qui, non ti ricordi?" rispose l'altro ricevendo da parte di Brian un'occhiata particolarmente scocciata, irritata e anche profondamente triste.

“Sì, mi ricordo che hai dormito qui” mormorò l’uomo afferrando un lembo del lenzuolo e coprendosi. La fresca aria del mattino aveva cominciato ad infastidirlo.

Justin, vedendolo, non riuscì a tranne re un debole sorriso.

"Perché lo hai fatto?" chiese Brian sapendo che il biondo avrebbe capito che si riferiva al fatto di averlo svegliato..

"E' mattino."

"Ti avevo chiesto di non farlo. Di non salutarmi…" mormorò il moro tuffando la testa nel cuscino e cercando di ritrovare il sonno perduto. Non voleva svegliarsi per salutare Justin. Sarebbe stato molto meglio se il ragazzo fosse partito lasciandolo da solo a macerarsi nel suo dolore e nella sua taciuta tristezza che mai e poi mai avrebbe mostrato a qualcuno. Avrebbe preferito che neanche Justin lo vedesse in quello stato, ma evitarlo gli era stato impossibile "Odio i saluti della partenza" biascicò poi con il volto ancora premuto contro il cuscino.

"Già, fanno troppo Signorina Miniver..." commentò Justin, sapendo che in questo modo avrebbe attirato l'attenzione del compagno che, come da programma, non si astenne dal fulminarlo con lo sguardo "Lascia perdere" si affrettò poi a dire il biondo "E comunque non ci sarà nessuna partenza fino al diciannove, quindi oggi non c’è nessuno da salutare".

Brian corrugò le sopracciglia distendendo leggermente il volto prima ci accigliarsi e realizzare cosa gli aveva appena detto il ragazzo.

"Non è molto carino da parte sua scappare a New York il giorno in cui saremmo dovuti partire per Milano in viaggio di nozze" gli fece notare Brian calcando particolarmente il tono sulle ultime parole, come a fargli capire a che sceneggiata si era prestato solo per renderlo felice, per ricevere cosa in cambio? Un calcio nel culo.

"Io invece trovo che sia un'ottima idea" rispose Justin rotolandosi sul letto e avvicinandosi al corpo dell’uomo.

“Lo fai apposta?” chiese Brian con una nota triste nella voce.

“Cosa?” replicò Justin sorpreso.

“Sai di aver distrutto il Brian Kinney che ero quando mi hai conosciuto cinque anni fa, quello arido di sentimenti, sicuro di sé! Perché devi continuare? Hai vinto, di cos’altro hai bisogno adesso?” sbottò l’uomo irato davanti ad un Justin apparentemente teso, ma che non aveva smesso per un secondo di sorridere.

“Non eri arido di sentimenti” spiegò il biondo dolcemente “semplicemente avevi solo paura di essere ferito nel momento in cui li avessi mostrati” gli fece notare scostandogli una ciocca di capelli dagli occhi.

“Fanculo, e così è successo! Prima ero ancora abbastanza forte da sopportare quegli stronzi dei miei amici perché – checché tutti ne dicano – solo Emmett è l’unico ad essere sincero e a comportarsi sempre allo stesso modo col sottoscritto. A Michael voglio bene, ma non ci ha impiegato nulla a voltarmi le spalle quando non gli sono più andato a genio. Ted sarebbe anche ok, ma la gelosia e l’invidia lo rendono pessimo quanto Michael, anche se ovviamente ciò che pensa e fa Theodore m’interessa fino a un certo punto. Gli altri sono sempre tutti pronti a criticarmi, ma nessuno si è mai guardato allo specchio per giudicare se stesso. Che cazzo volete di più da me?! Stavo meglio senza i miei fottutissimi sentimenti!” replicò il moro alzando il tono di voce a prendendo stizzito una sigaretta dal pacchetto che aveva abbandonato sul comodino la notte precedente.

“Non hai del tutto torto.”

“L’ho mai avuto?” domandò Brian retorico.

“Forse” replicò Justin rubando la sigaretta dalle mani dell’uomo per aspirarne una boccata mentre lo guardava, aggrottando le sopracciglia, notevolmente perplesso.

“Il diciannove ci aspetta un aereo sul quale saliremo tutti e due e che ci porterà – dopo uno scalo – a Milano. Non New York” disse Justin con un sorriso sincero stampato sul volto. L’uomo notò solo in quel momento che il ragazzo non aveva fatto altro che fremere tutto il tempo in attesa di potergli dare la notizia. Quello che Brian non capiva era come e perché Justin avesse deciso di tornare sui suoi passi. Il compagno – per quanto Brian l’avrebbe sempre negato, ma fu lieto della capacità del ragazzo di comprendere ciò che stava pensando in quel momento – sembrò infatti comprendere i suoi dubbi e aprì la bocca per dargli le risposte di cui l’uomo necessitava.

“Tutti non hanno fatto altro che ripetermi per anni che tu non eri la persona adatta a me, che avrei dovuto cercare qualcun altro che sarebbe stato in grado di amarmi perché tu non l’avresti mai fatto e non l’avresti mai neanche voluto”.

“Però l’ho fatto” ci tenne a fargli presente l’uomo.

Infatti! Se Brian Kinney è sceso a patti con se stesso per me… Perché diavolo dovrebbe fregarmene qualcosa di New York?!”

“Forse perché è la tua grande occasione per diventare un artista famoso e fare strada?!”

“Quello che nessuno riesce a capire – nemmeno tu, dopo tutti questi anni – che non me ne frega niente del resto. Tu sei la mia occasione e così è sempre stato. Ho rinunciato alla famiglia, a delle promesse e delle proposte per te ma non ho nessun rimpianto per quello che mi sono lasciato alle spalle. Io ho sempre e soltanto voluto stare con te. E per quanto ridicolmente romantica possa sembrarti come dichiarazione, le cose stanno così.”

Brian si ritrovò completamente senza parole davanti all’affermazione di un ragazzo che, davanti la possibilità di diventare il nuovo Andy Warhol, era intenzionato a rinunciare per poter stare con lui.

“Devi fare quello che ti rende felice. Come quando invece di andare a studiare economia per far felice i tuoi hai deciso di entrare all’Accademia di Belle Arti” cercò di farlo ragionare Brian, combattendo con quella vocina dentro di lui che gli suggeriva di chiudere la bocca per una volta tanto e accettare senza batter ciglio le scelte del ragazzo invece che provare a spingerlo ad andare per non condannarlo ad una vita con un uomo di dodici anni più vecchio di lui. Checché ne dicessero non era così un fottuto egoista come la maggior parte dei suoi amici amava dipingerlo e come lui stesso alla fine si era abituato ad apparire. Era un pubblicitario: se alla gente piaceva considerarlo in questo modo e così lo volevano, allora lui così sarebbe stato.

“Ed è quello che faccio anche adesso: tu sei la mia Accademia e New York… è un qualcosa che non farei per non deludere la mia famiglia adottiva. Ma come dice Emmett, fanculo al mondo. Me ne fotto della massa.”

“Ma quella massa è quella che è disposta a peso d’oro i tuoi quadri e farti diventare ricco e famoso…” cercò di farlo ragionare Brian, sempre meno convinto delle sue parole.

“La recensione l’ho avuta. Gli esperti e gli appassionati del settore sanno già chi sono. Se mi vogliono, possono sempre cercarmi. Alan, il tizio che ha preso il posto di Linz alla Sidney Bloom Gallery, ha tutti i miei contatti e si è offerto di farmi da intermediario in caso di necessità” spiegò Justin coprendosi a sua volta col lenzuolo e avvicinandosi maggiormente al corpo dell’uomo. Brian gli lanciò un’occhiata penetrante e il ragazzo già sapeva cosa gli avrebbe chiesto.

“A che prezzo?”

Justin rise.

“E’ vecchio. Ha voluto solo farmi un pompino”.

“Quanto vecchio?”

“Ehm… Trentott’anni?” mormorò il biondo con un sorriso avvicinandosi al volto dell’uomo e lasciando un umido bacio sulle labbra del compagno. Uno scappellotto fu l’unica risposta che il moro gli diede prima di spingerlo con la schiena verso il materasso.

“Ho dimenticato di dirti… ho già chiamato la Liberty Air, in modo da riconfermare il nostro volo, il giudice di pace per farlo presenziare al nostro matrimonio e il catering” mormorò Justin mentre l’uomo si ere già avventato sul suo collo e iniziato a lasciargli baci lascivi sulla pelle, facendo intanto scontrare provocatoriamente i loro bacini già nudi.

“Dove sta la fregatura?” chiese Brian mordendogli sensualmente il lobo.

“Ho lasciato a te l’onore di dire agli altri che ci abbiamo ripensato e il matrimonio si far- ahhhh” gemette Justin inarcando la schiena quando l’uomo spinse con forza l’erezione contro il suo bacino.

“Questo ti costerà molto caro Taylor. E non sperare di cavartela con un pompino…” sussurrò l’uomo lascivo all’orecchio del ragazzo.

“Ho tutto il tempo per pagare il mio debito. Non devo andare da nessuna parte” rispose Justin perdendosi nella bocca e tra le braccia dell’uomo. Sarà stata una dichiarazione patetica e ridicolmente romantica, ma al ragazzo non importava assoluto nulla. Quel giorno, in cui avrebbe dovuto perdere tutto, era quello in cui forse poteva dire di aver iniziato a vivere e fatto l’unica scelta che davvero aveva mai voluto fare.

Non sapeva come avrebbero reagito gli altri o cosa sarebbe successo domani, la prossima settimana o il prossimo mese, quel che gli interessava era che aveva finalmente deciso ed iniziato davvero a vivere la sua vita con Brian. Quel giorno il resto non contava.

 

 

Note dell’autrice:

L’idea era segnata sulla mia agendina da un sacco di tempo – probabilmente quando scrissi Fairytales gone mad – ma non ho mai avuto modo (…diciamo pure voglia -.-‘) di metterla nero su bianco. Avendo ripreso in mano qualche settimana fa un fandom su cui non scrivevo da eoni, ho pensato che se ero riuscita a scrivere una nuova kaulitzest avrei anche potuto dedicarmi un po’ a Queer as Folk.

Non mi dispiace il risultato: è fluff, romantica, totalmente l’opposto delle post 5x13 da me sinora scritte. Però talvolta bisogna sperimentare cose nuove u.u

Il titolo è – vergognosamente – l’omonimo di una canzone dei Tokio Hotel (no comment u.u)

   
 
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