Fianchi rotondi
Capitolo 2
Vergognosa.
Quella situazione non era
altro che vergognosa.
L’unica nota positiva
in quel putiferio di umiliazione era che non erano state presenti le orecchie
di Narda.
Quella donna così intelligente e sprecata
nella sua condizione di serva non avrebbe accettato di rimanere al suo fianco
dopo che avesse udito la discussione tra lui e il re.
Ma chi avrebbe avuto
pietà di lui, se nemmeno la sua coscienza si abbassava a guardarlo con
compassione? E cos’era quella strana sensazione di stordimento che
pervadeva le sue vene da quando aveva visto i fianchi
rotondi di quella bella persiana, strega e fata insieme?
Quale sguardo da quel momento in avanti gli avrebbe riservato il re qualora si fosse
presentato al suo cospetto? Quale appellativo? Soldato, come l’aveva chiamato poco prima, o semplicemente Efestione?
E gli altri compagni del re come avrebbero
interpretato la cosa? Avrebbero fatto domande? Avrebbero saputo della sua
viltà? Non poteva perdere la faccia davanti ai suoi amici di sempre.
Ma per quello no, non
c’era alcun pericolo. Alessandro non avrebbe parlato, se lo conosceva bene. Alessandro non si abbassava a tali forme di
sottile vendetta morale.
D’altronde, aveva ragione lui.
Come avrebbe potuto vomitare
la verità in faccia al suo amante di sempre in un quarto di secondo come
il re si aspettava? Era una cosa delicata, quella. E
altrettanto inevitabile.
Perché quando quel demone di Eros scaglia le sue frecce, non c’è vittima
che possa sottrarsi alla sua volontà.
- Non voglio vedere nessuno.
Ci fu un attimo di silenzio dietro la porta.
– Mio signore…
Aveva bussato con incertezza, sapeva che il re
non aveva alcun interesse a farsi vedere con gli occhi rossi e gonfi di pianto,
da un servo, per giunta.
- Ah, sei tu, Bagoas. – si passò
velocemente le mani agli occhi per asciugarli delle ultime lacrime e gli disse
di entrare.
Il servo persiano entrò col suo passo
impalpabile e serpentino e non guardò negli occhi il re finché
Alessandro non glielo permise.
- Sai cos’è successo,
Bagoas?
Bagoas sentì il cuore spiegare le ali e
gli occhi illuminarsi. Era la prima volta che il suo re si confidava con lui di
sua iniziativa su cose tanto personali. Dell’amore nei confronti di Efestione, poi, non avevano quasi mai parlato. Era un
mondo a parte, pensava Bagoas, un mondo del quale lui
purtroppo non avrebbe mai potuto fare parte. Cercando di nascondere la sua
eccitazione, si sedette accanto ad Alessandro e con voce
più argentina del solito chiese: - No, signore. Cosa?
Alessandro sospirò e fissò la
sua immagine nel grande specchio di fronte a lui. Poi, con voce atona, come se
ancora non fosse in grado di rendersene conto, sputò: - Efestione non mi
ama più.
Bagoas rimase veramente senza parole. Quelle parole scandite e pronunciate in maniera quasi metallica
piombarono su di lui come cinque macigni. Sapeva perfettamente che
Efestione non l’amava più, lo sapeva da più tempo di lui,
eppure non aveva preparato risposte a simili confidenze. Sentiva che ogni
considerazione sarebbe stata superflua e avrebbe contribuito solo ad
appesantire ulteriormente l’umore del suo re. Da bravo servo e amante,
l’unica cosa che si sentì di fare fu distendere il suo re e coricarglisi accanto, massaggiandolo con le sue mani calde
e sottili, col suo tocco ardente e passionale, come se
volesse trasmettergli un po’ del calore e dell’amore che
incendiavano il suo cuore, e di cui adesso il re era completamente privato.
Alessandro si voltò, e l’azzurro cangiante
dei suoi occhi si perse nelle tenebre di quelli di Bagoas, e si accorse che non
gli erano mai sembrati tanto grandi e penetranti, parevano quasi di fumo tanto erano mobili.
Sentiva che in quell’esatto momento quel
fumo avrebbe potuto fuoriuscire dai suoi occhi e
avvolgere il suo corpo, stregarlo e fare di lui qualsiasi cosa avesse voluto.
Ne ebbe paura.
Chiuse gli occhi.
- Le tue mani, Bagoas…
Bagoas sorrise.
- Queste mani divine… - socchiuse la
bocca e respirò profondamente – Chissà di quale strega sono
doni.
Bagoas sentì la sua testa girare in un
vortice di inquietudine.
Al suo re non sfuggiva mai niente.
- E’ andato via?
Narda era avvolta da un abito in lino che
nulla aveva a che fare con la sua condizione di serva, quando entrò
silenziosamente nella stanza di Efestione.
- Sì, è andato via.
Abbassò lo sguardo, incerta sul da
farsi: - Mi dispiace. Ma almeno gliel’hai detto?
Una pugnalata al cuore. – Sì,
gliel’ho detto.
- E come l’ha
presa?
- Come vuoi che l’abbia presa…
- Alessandro è un uomo di grande animo.
– gli si sedette accanto e passò una mano tra i suoi corti ricci
castani – Non mi sorprende che tu l’abbia amato
per tutto questo tempo, sai?
-
E’ stato un amore doloroso.
- Perché ne
parli così?
- Perché
è la verità. Amare un uomo come Alessandro non
è affatto semplice. – la guardò dritta negli occhi e
non scorse neanche un po’ di quella devozione assoluta che era solito notare negli occhi delle donne innamorate –
Amare Alessandro significa comprenderlo completamente. E
non è semplice. Non è semplice capirlo. Non è semplice
stargli sempre al fianco. – e si fermò
per un istante - Non è semplice sopportare le sue relazioni parallele.
Non è semplice amarlo senza dormire sonni agitati.
- Ti senti sollevato, quindi?
- In un certo senso, sì.
- Pensi che il tuo amore per me potrebbe
essere altrettanto doloroso?
- No, se tu non lo vorrai.
- E il mio per te?
Efestione sospirò. – Sono un
soldato.
- Queste parole dicono tutto. – disse
con un pizzico d’ironia.
- Amare un soldato è difficile.
Significa comprenderlo completamente.
- Amare è difficile. Significa
comprendere completamente. Non mi amerai mai finché non avrai compreso,
Efestione.
- Compreso cosa?
Narda si alzò e si spogliò di
fronte a lui. Efestione sorrise: - Questo?
- Quando Eros scocca
la sua freccia, nessuna vittima può sottrarsi. – lo guardò
intensamente
- E’ vero.
- Ma purtroppo spesso l’amore costa
dolore e spasimi che per valide ragioni devono essere
soffocati. – si adagiò sul letto accanto a lui in
attesa di una risposta.
- E’ vero.
- Perché Eros
è un demone, e come ogni demone non si occupa totalmente degli affari
degli uomini.
Quella donna sapeva dannatamente troppo per
essere una semplice ancella.
- E’ vero.
- E le sue frecce
sono distribuite alla rinfusa, non si curano delle leggi divine. –
cominciò a baciargli il collo e le orecchie.
- E’ vero.
- E allora può
capitare che più di una persona s’innamori di un solo individuo.
– la sua bocca scese a tormentargli il petto e i capezzoli.
- E’… vero.
- Ma nel cuore di una
persona, per quanto ci si possa ridicolmente sforzare, c’è posto
per un solo amore. – la sua lingua era calda e infuocata come il tono
della sua voce.
- E’ vero.
- Certe persone non si fanno scrupoli ad
accaparrarsi l’amore della persona che a loro volta amano
tanto intensamente. E magari il cuore di quella
persona è occupato dall’amore per un’altra persona ancora.
– si staccò dal suo petto per guardarlo negli occhi –
Compreso?
Efestione era affascinato dalle parole di
quella donna misteriosa e sensuale, ma non si sforzò troppo di capirne
il significato.
Quella sensazione di stordimento che aveva
provato la prima volta che l’aveva vista ora si era
acuita più che mai.
Decise di non pensare troppo, le
abbassò la testa sul suo ventre e si gustò il tepore dei suoi
capelli sparsi per tutto il suo torace.
- Mio signore…
- Dimmi.
Trasse un lungo
respiro – Devo… devo dirti una cosa…
- Sì.
Si strinse al suo ampio petto, non aveva mai
osato tanto, eppure quando erano così vicini avvertiva una speciale
empatia, qualcosa di simile ad una scintilla che però
non riusciva a diventare fuoco.
- Non dovrei dirtelo, perché non sono
altro che un servo. – ora sì, poteva dirglielo. – Ma non mi
era mai successo… con te posso parlare, mio signore… ti sento
così vicino a me.
Alessandro sorrise, ma Bagoas, che aveva gli
occhi serrati dall’emozione, non se ne accorse.
Proseguì:
- Io… ti ascolto sempre, mio signore. E
quello che dici mi affascina sempre così tanto.
Nessuno mi aveva mai parlato di sé come fai tu. Un re, per giunta…
i re non parlano mai con i servi. Sono sempre stato
trattato con rispetto e benevolenza ma non sono mai servito ad altro che…
- Sentì una mano possente e delicata che si aggrovigliava tra i suoi
lunghi e setosi capelli corvini. Spalancò gli occhi. – Mio
signore… da quando i soldati di Dario mi hanno rapito, io sono sempre
vissuto qui, in questo palazzo, e non ne sono mai uscito. Quando
tu mi parli della tua Macedonia… delle montagne della lontana
Illiria… delle tue battaglie, dei tuoi soldati… mi sembra tutto
così fiabesco. Mi incanti. Con Re Dario non
accadeva mai. Lui non mi parlava mai dei suoi piani, dei luoghi che aveva
visto, delle esperienze che aveva vissuto. Preferiva parlarne
con persone, diceva, più competenti.
Ma io non me la prendevo, mio signore. Dario era un
semplice re. Ma tu, signore… non avrei mai pensato
che… - un altro lungo, faticoso sospiro – Io credo che… io ti
cerco, mio signore. Ti cerco in continuazione. Credo… credo di essermi innamorato
di te, signore… ecco… ecco l’ho detto, adesso mi
disprezzerai, ti sdegnerai, rifiuterai l’amore di uno schiavo. Ma vorrei
ricordarti, signore, che prima di essere uno schiavo, io sono una persona, e
sono sconvolto da questo sentimento che mi invade il
cuore, fino a farmelo scoppiare, signore, quando sento la tua voce, quando
incontro l’immensità dei tuoi occhi, io… ho osato troppo,
vero?
Gli venne un tuffo al cuore
quando sentì la sua mano sfiorargli il mento e sollevargli
dolcemente il capo fino a fargli incrociare i suoi occhi grandi, chiari e
scuri; e lo vide sorridere. Immediatamente abbassò lo sguardo, come
abbagliato da quei lineamenti meravigliosi.
- Guardami, Bagoas…
Obbedì. Alessandro passò
delicatamente una mano sulla sua guancia d’ambra.
- Sei così dolce, Bagoas… -
sospirò – Come si fa a non amarti? – e
lo strinse a sé sul suo petto, Bagoas
si perse in mezzo a quel calore così umano, così vicino a
lui, e si ritrovò ad ascoltare il battito regolare e cadenzato del suo
cuore.
Impazziva in quei momenti. Sempre, dopo che
avevano fatto sesso, si addormentava tra le sue braccia, sul suo
petto, e si sentiva invincibile. Nessuno mai l’aveva tenuto stretto
così. Quando c’era Dario, solitamente, dopo che l’aveva
usato lo lasciava dormire accanto a lui ma non si
abbassava a toccare quel servo, oppure, quando era di pessimo umore,
addirittura lo cacciava dalla stanza. Ma Bagoas era abituato, e pensava che lo scopo
della sua vita sarebbe stato quello di dare infinito piacere ad ogni re che
l’avesse desiderato, e non avere nulla in cambio. Per questa ragione gli
sembrava così irreale quell’atmosfera, così incantata che
non si azzardava a respirare un poco più forte per non romperla. Con
Alessandro sentiva di avere un’identità, e di non essere un
semplice eunuco adibito al piacere.
La brezza estiva che penetrava nella stanza ondeggiando le tende di velo
azzurrino e gli accarezzava la pelle bruna non era
capace di regalargli gli stessi brividi del tocco della mano di Alessandro che
scorreva lenta e inesorabile sulla sua schiena.
Aristandro si faceva lentamente spazio tra arazzi e decorazioni nella
sala dei banchetti, avvolto dal suo mantello bianco ricamato in oro, e si
stupì dell’efficienza dei servi di quel palazzo.
Dopo quel pantagruelico banchetto di alcuni giorni fa, a cui aveva preso parte lui stesso
sebben di controvoglia, sembrava che la grande sala fosse da ricostruire
completamente, bruciata dalla passione di quei giovani soldati ebbri di alcool
ed eccitazione. E invece, ora splendeva di pulito.
Si fermò ad osservare le colonne lisce
e marmoree che circondavano l’enorme vano circolare
e appoggiò una mano ad una di esse. Era tremendamente fredda nella sua
perfezione artistica.
Attraversò tutto il salone e si
fermò nella cucina, una stanza attigua. Si ergeva una mobilia di gran
pregio in cui riposavano, tra un banchetto e l’altro, coppe, anfore,
piatti e vassoi, ornati dai migliori cesellatori e decoratori di ceramica di ogni parte del mondo.
Venne irresistibilmente
attratto da una coppa in bronzo, una di quelle in cui aveva bevuto anche lui. La
prese e la osservò attentamente, dopodichè la
accostò al naso.
Non ricordava che il vino che era stato
servito avesse un retrogusto così aromatizzato.