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Autore: Evie08    19/10/2009    1 recensioni
Prendete un ragazzo ed una ragazza e fateli incontrare per la prima volta in assoluto nella peggiore delle situazioni possibili.
Fateli innamorare follemente l'uno dell'altra e molto perfidamente mettete tra di loro un destino avverso che pretenderà la loro separazione ad ogni costo...Anche se questo potrebbe portarli alla morte...O almeno così sembra...
In salsa un pò malinconica ma molto romantica, prende vita la mia primissimissima fanfiction su questo splendido libro che spero vi piacerà.
Se questa prefazione vi ha incuriositi almeno un pò leggete e se vi va fatemi sapere cosa ve ne pare della mia trovata!
Dopo pochi attimi Marco si staccò dal mio abbraccio e si diresse verso Edward.
“Benvenuto in famiglia cognato”
“Grazie mille”
“Sapete una cosa?”dissi abbracciandomi ad Edward
“Cosa?”
“Tutto sommato ora non mi dispiace più essere un vampiro”
“E perché mai?” mi chiese Edward interrogativo.
“Bè adesso ho tutta l’eternità per amarti”

CONTINUA...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Voice Of Heart'
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27. La Corte degli Aranci

Eravamo sposati esattamente da due settimane e un giorno.
Mi trovavo sul ponte della grande nave che ci avrebbe portato a destinazione.
Destinazione a me ignota.
Fissavo l’acqua torbida accarezzata dalla prua della nave, mentre due delfini ci precedevano nel camminino.
Edward chiacchierava allegramente con il comandante Niles. Aveva proibito a chiunque a bordo di rivelarmi la nostra destinazione. Doveva essere una sorpresa.
Mi godevo il venticello fresco, quando mio marito ed il comandante si avvicinarono:
“Cara, il capitano mi ha appena detto che ci vorranno al massimo altri due giorni di navigazione per arrivare a destinazione” mi annunciò entusiasta.
“Bene, dopo un po’ la nave stanca.” dissi sorridendo al capitano.
“Signora Masen, se fosse per me non la farei scendere mai dalla mia nave. E’ una piacevole compagna di viaggio.”
“Grazie capitano. E’ molto galante.”
Il capitano si allontanò lasciandoci soli a goderci quello splendido crepuscolo.

Dopo esattamente due giorni di navigazione, giungemmo finalmente a destinazione e sorpresa delle sorprese quello era il porto di Messina!
Non potevo crederci ma ero tornata nella mia amata Sicilia dopo quattro anni di assenza.
Mi voltai a guardare Edward emozionatissima. Lui mi sorrideva guardandomi raggiante.
“Sorpresa!” disse baciandomi sulla guancia.
“Oh Edward…” riuscii a dire solo quelle due parole.
“Mi sono documentato da Marco e ho scoperto un po’ di cose sulla tua infanzia.” disse mentre scendevamo la scaletta della nave.
Ma certo! Ecco perché passavano tutto quel tempo a confabulare quei due!
“E adesso? Dove andiamo?”.
“Prendiamo una macchina. Ah eccola lì! Ci sta già aspettando” indicò un tizio che si sbracciava a bordo di una decapottabile rossa.
Ci avvicinammo e l’uomo scese dall’auto.
“Il signor Masen immagino. Salve, questa è l’auto che ha richiesto. Buona vacanza. Signora..” disse consegnando le chiavi a Edward.
Un altro uomo si avvicinò e caricò i nostri bagagli sull’auto.
Salimmo a bordo e partimmo.
“Mi togli una curiosità?” chiesi mente lasciavo che il vento mi scompigliasse i capelli.
“Tutto quello che vuoi”
“Come hai fatto?”
“A fare cosa?”
“Tutto questo! E’ meraviglioso e l’organizzazione… hai tutti ai tuoi piedi anche oltreoceano! Come fai?”
“E’ tutta questione di organizzazione - come hai detto tu-  e… carisma!”
L’auto sfrecciava veloce appena fuori la campagna Messinese.
 Edward era un matto!
Spingeva l’auto al massimo della velocità. Pareva che la cosa lo eccitasse molto.
Dopo un paio d’ore arrivammo nei pressi di un casale bellissimo.
“Ti piace?” mi disse mio marito non appena imboccammo il viale che portava all’ingresso.
“Molto…” mi guardavo intorno sempre più sbalordita.
“L’abbiamo preso in affitto a tempo indeterminato” mi comunicò Edward scaricando i bagagli dall’auto.
Improvvisamente uscì una signora dalla porta della piccola cucina rustica.
“Oddio siete arrivati!” disse quasi urlando.
La signora sulla quarantina, saltellava qua e là presa dal panico.
Entrò ed uscì dalla piccola porta di legno una decina di volte, fin quando un ragazzino venne a prendere le nostre valigie.
“Salve!” salutò sorridente.
Io risposi con un cenno del capo, mentre mi avviavo con Edward all’interno della casa.
Raggiungemmo la nostra stanza al secondo piano.
La camera affacciava su un aranceto immenso, sul retro del casolare.
Il balcone era spalancato e le tende bianche svolazzavano all’interno della stanza; il grande letto a baldacchino si trovava al centro esatto e si rifletteva nella specchiera dell’armadio.
La stanza era arieggiata e fresca. Mi avvicinai al balcone per ammirare gli aranceti; d’un tratto mi tornarono alla mente le splendide arance della Corte degli Aranci, la tenuta estiva dei miei nonni materni.
Si trovava a qualche chilometro da Taormina. Chissà se c’era ancora?
“A cosa pensi?” mi chiese Edward con un pizzico di frustrazione nella voce.
“Alle arance. Mi piacerebbe rivedere quelle dei miei nonni…”
“La Corte degli Aranci?” domandò abbracciandomi dalla vita.
“Si. Sarei curiosa di sapere se c’è ancora qualcuno da quelle parti.”
“Se vuoi ci possiamo andare domani”, propose Edward facendomi voltare.
“Sarebbe magnifico!” dissi buttandogli le braccia al collo.
Lui mi baciò teneramente prendendomi in braccio.
“Adesso.. abbiamo da fare…però!” disse tra un bacio e un altro portandomi verso il letto.
“Dopo tutto siamo in viaggio di nozze”, mi posò sul letto delicatamente accarezzandomi la guancia.
Io lo attirai a me facendolo letteralmente sdraiare sul mio corpo.
In un attimo mi ritrovai con solo la sottoveste azzurra addosso, mentre cercavo di sbottonare la camicia di Edward.
Ma lui si muoveva troppo!
Così presi un iniziativa: con una mossa veloce ribaltai le nostre posizioni, mettendomi a cavalcioni su di lui.
Edward dapprima mi guardò stupito, poi esibì il suo sorriso sghembo che adoravo alla follia.
“Almeno così stai fermo” dissi finendo di sbottonare la camicia, scostandola per ammirare il petto granitico al di sotto.
“Bè… questa prospettiva mi piace..” disse lui sempre con quel sorriso stampato in volto.
A me venne da ridere.
Edward si fece serio e lentamente si sollevò, poggiandosi sui gomiti, per baciarmi.
Sentivo distintamente le sue labbra morbide sfiorare le mie spalle, il collo, la gola fino a salire verso il mento e a trovare la bocca.
Fu una sensazione meravigliosa.
Le sue mani gelide si posarono sulle mie cosce, mentre lui continuava a riempirmi di baci.
Sospirai per il piacere che il suo tocco mi provocava.
Lo spinsi nuovamente verso il letto.
Vedevo nei suoi occhi amaranto il desiderio crescere, come quando il cacciatore si avvicina pericolosamente alla sua preda.
Lui era il cacciatore ed io la preda.
Mi avvicinai sbottonandogli i pantaloni.
Lui sospirò dicendo: “Un giorno di questi mi farai diventare matto”, e mi avvicinò a sé aggrappandosi ai miei fianchi.
Il suo profumo era forte e inebriante, e mi piaceva.
Chiusi gli occhi e lentamente iniziai a muovermi su di lui, aumentando sempre di più la velocità con il crescere dell’eccitazione.
All’improvviso fu Edward a cambiare le carte in tavola e io mi ritrovai con la schiena immobilizzata al materasso, mentre lui mi entrava dentro.
Fu bellissimo, più del solito.
Sarà stato per l’atmosfera sicula, per il forte profumo di arance che riempiva la stanza… ma fatto sta che quello fu speciale.

L’indomani mattina partimmo alla volta della Corte degli Aranci.
Lasciammo la casa nella mani della custode, che ci aveva preparato un pranzo al sacco, non sapendo ovviamente che noi non ci nutrivamo nella maniera convenzionale.
La strada era lunga, e per ingannare il tempo cantai qualcosa per Edward, o chiacchieravamo come al solito.
Raccontai ad Edward delle mie estati passate nella campagna siciliana, tra gli aranceti dei miei nonni e i bagni a mare a fine agosto.
La mia infanzia fu davvero felice.
Gli raccontai tutto, fino a quell’estate di quattro anni prima, quando il dottor Rivelli mi diagnosticò la mia brutta malattia, la stessa che mi fece incontrare prima Carlisle Cullen, e poi mio marito.
Ma fu anche per colpa sua – della malattia-  e del mio egoismo che persi la mia famiglia.
Secondo Edward non dovevo farmene una colpa.
Era destino e di certo non sarei stata io a cambiarlo.
Sarebbe stato come lottare contro i mulini a vento: una battaglia persa in partenza.
Finalmente nel pomeriggio giungemmo a destinazione: in lontananza, tra uliveti e gelsomini, si ergeva maestosa la Corte degli Aranci, la tenuta estiva della famiglia di mia madre.
Edward imboccò il viale di ciottoli e parcheggiò la nostra auto di fronte l’ingresso.
Scesi e iniziai a guardarmi intorno: non era cambiato nulla, a parte il fatto che la casa sembrava disabitata.
D’impulso corsi verso il retro, seguita da Edward, per vedere l’aranceto.
Era lì, bello e verde come sempre.
Era lì e sembrava aspettasse qualcuno, magari il mio ritorno.
D’un tratto sentii dei passi alle mie spalle; passi strascicati e molto lenti.
“Chi va là?” gridò la voce gracchiante di una donna in là con gli anni.
Entrambi ci voltammo a guardare la “padrona” di quella voce e con mio grande stupore era una persona di mia conoscenza.
In un sussurro, non riuscii a fermare quella parola che uscì spontanea e nostalgica dalle mie labbra, mormorai: “Nonna!”
Edward mi guardò allarmato.
La donna rimase a bocca aperta.
“Josephine? Se tu?”





   
 
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