Pt. 2
Era
da un bel po’ che non metteva piede in biblioteca,
pensò Ron facendo scorrere
lo sguardo quasi smarrito in mezzo a tutti quegli scaffali.
Precisamente da
quando aveva baciato per la prima volta Lavanda, anche se pure prima
non era
stato un assiduo frequentatore di quel luogo silenzioso e come staccato
dal
resto del mondo. Di solito quello era il dominio di
Hermione… Questo pensiero
affiorò quasi spontaneamente tra i tanti altri, come una
costatazione ovvia ed
innocente, ma non appena il ragazzo si accorse quale era il soggetto
della
frase si affrettò a cancellare il tutto in un battibaleno.
Inspirò a fondo e
scosse la testa per tentare di scacciare quel pensiero e si
avviò lungo il
reparto che doveva fare al caso suo. Quasi senza rendersene conto,
mentre
cercava di capire in che ordine fossero disposti quei dannati libri, in
un
gesto quasi automatico si passò distrattamente una mano sul
braccio sinistro,
facendo affiorare oltre l’orlo della manica i segni che
ancora portava dei
becchi acuminati dei canarini infuriati della sua migliore amica.
Continuavano
a dargli fastidio e a causargli un insopportabile prurito, senza
contare che
sembravano non voler sparire per nulla al mondo, quasi fossero profonde
cicatrici.
Tra
sbuffi e imprecazioni sussurrate tra i denti alla fine Ron
riuscì a trovare
qualcosa che forse gli si sarebbe potuto rivelare utile, ovvero un
vecchio
librone polveroso la cui copertina minacciava di saltare via da un
momento
all’altro. Ok, ci aveva messo tipo il doppio di tempo
rispetto a se qualcuno di
sua conoscenza fosse stato lì ad aiutarlo, ma con
un’alzata di spalle si disse
che se la sarebbe potuto cavare benissimo anche da solo. In fondo che
ci voleva
a scrivere una maledetta ricerca di Erbologia sulla Tentacula Velenosa?
Va
bene, magari non sarebbe stata perfetta, però avrebbe fatto
di tutto per
renderla almeno sufficiente. Anche perché per questo genere
di cose non poteva
contare su Lavanda. Si lasciò cadere su una sedia a uno dei
tanti tavoli e
sospirò di sollievo sbattendo il libro sul piano di legno
lucido e, così
facendo, alzando una piccola nuvoletta di polvere. Anche se la
prospettiva
delle prossime due o tre ore sarebbe stato uno studio estenuante, si
sentiva
quasi rilassato. Per una buona volta non aveva Lavanda appiccicata al
colletto
della camicia, intenta a sussurrargli all’orecchio ogni
genere di pensierini
dolci e melensi. Troppo melensi. Per una volta non doveva rendere conto
di
niente a nessuno e soprattutto non doveva sopportare quella piattola
della sua
fidanzata e farsi bello ai suoi occhi. Non bisognava fraintendere,
però; gli
piaceva stare con Lav, lo faceva sentire in qualche modo realizzato,
soprattutto dal punto di vista fisico, e alla stessa altezza degli
altri, anche
se a volte aveva bisogno di starsene un po’ per conto suo. O,
almeno, era così
che la pensava.
Spulciò
quel vecchio libro per una mezz’ora circa, arrovellandosi su
paroloni ricercati
di cui ignorava del tutto il significato ed arcaismi che non rendevano
la sua
impresa certo più facile. Così alla fine
scoprì di non aver fatto molti
progressi, anzi di non averne proprio fatti. E, per
l’ennesima volta, si
ritrovò a pensare quanto sarebbe stato facile se solo
lei… No, si disse
risoluto, lui non doveva dipendere da Hermione solo perché
lei era più
intelligente, più brillante, più riflessiva,
più geniale, più… Oh, accidenti!
Avevano
litigato, va bene, ma non per questo lui doveva sentirsi in colpa! In
fondo lui
non c’entrava niente con gli squilibri ormonali di Hermione,
no? E se il fatto
che lui ormai stesse con Lavanda non le era ancora andato
giù, be’, tanto
peggio per lei: tanto sapeva bene che era solo invidia. Invidia
perché lui
poteva abbarbicarsi a Lavanda in pubblico e lei, invece, non poteva
fare
altrettanto con il suo adorato Vicky. Quindi non aveva per niente
intenzione di
farsi rovinare l’umore dall’ennesima delle loro
liti; prima o poi sarebbe
passata anche questa e, in caso contrario, Hermione non sapeva che
genere di
persona si stava perdendo. Dopotutto anche lui aveva diritto ad avere
una
fidanzata. Era rimasto lo sfigato del gruppo per troppo
tempo… Con un mezzo
ringhio di esasperazione si alzò così velocemente
che per poco non fece cadere
la sedia e, senza un ordine preciso, saccheggiò i primi
scaffali di tutti i testi
di Erbologia che potevano avvicinarsi all’argomento che gli
interessava. Quindi
buttò l’intera bracciata di libri sul tavolo senza
molta delicatezza, facendo
vibrare nell’aria un tonfo sordo che per fortuna Madama Pince
non udì. Quindi
si gettò a capofitto su quella montagna di carta, estraendo
dal mucchio un
libro a caso. E non appena i suoi occhi si posarono sulla copertina
scura e il
titolo a lettere dorate le sue sopracciglia si corrugarono in
un’espressione
perplessa.
«Ma
che diavolo…?».
Di
certo quel libro non avrebbe dovuto trovarsi lì: questo fu
il primo pensiero
che gli attraversò al mente. E men che meno tra una catasta
di noiosi e inutili
libri di Erbologia. A ben pensarci non ricordava nemmeno di averlo
preso da uno
degli scaffali che aveva appena selvaggiamente rapinato, quindi
concluse che
doveva trovarsi già da prima su quel tavolo, senza che lui
se ne fosse accorto.
Ma era proprio sicuro che era il libro a cui stava pensando? Nel senso,
sarebbe
mai stato possibile che fosse un’altra copia del tutto
identica a quella, di
proprietà della biblioteca o magari di qualche altro
studente? Ma alla fine si
arrese all’evidenza di conoscere più che bene quel
volume della nuova edizione
di Storia di Hogwarts: tutto
sommato
chi altri a parte Hermione se ne sarebbe mai portato uno dietro? E
subito lo
colse il pensiero vertiginoso che, se quel libro era lì,
voleva dire che anche
Hermione era stata seduta a quello stesso tavolo non molto tempo prima
di lui.
Poteva quasi vederla lì seduta china su qualche libro
importante, la fronte
corrugata dalla concentrazione, gli occhi attaccati alle pagine
stampate che
scorrevano sulle righe e i ricci castani che le ricadevano in qualche
ciocca
sul viso. E mentre pensava a quest’immagine così
scontata si ritrovò a
sorridere come un’ebete. Ma subito si riscosse, dandosi dello
scemo e mettendo
il libro da parte: avrebbe deciso in seguito sul cosa fare al riguardo,
anche
perché al momento aveva cose più importanti a cui
pensare.
Per
tutta l’ora seguente cercò di concentrarsi su
definizioni complesse e concetti
aggrovigliati, scarabocchiando di tanto in tanto qualche breve appunto
sul
foglio di pergamena che aveva davanti. Provò più
volte a stendere qualche frase
di senso compiuto, ma niente: un troll schiantato sarebbe stato molto
più
lucido di lui. Il tutto per colpa di quella dannata Storia
di Hogwarts. Anche lui, come Hermione, ricordava benissimo
tutto l’accaduto legato a quel libro: la gran confusione alla
libreria Il Ghirigoro e quel
qualcosa di
indefinito che, però, ogni volta che gli ritornava in mente
lo faceva arrossire
violentemente. Quindi era più che ovvio che il suo cervello
non riuscisse a
concentrarsi; la sua attenzione rimbalzava continuamente dal tema al
ricordo del
dolce peso di Hermione su di lui, il profumo dei suoi capelli, il
calore del
suo respiro, il tremore delle sue mani, il luccichio dei suoi occhi,
il… Stop!
Accidenti, lui aveva una fidanzata! Una F-I-D-A-N-Z-A-T-A! Non avrebbe
mai
dovuto pensare a qualcuna, men che meno alla sua migliore amica, in
quei
termini. E poi, non avevano forse litigato? Non avrebbe dovuta avercela
con lei
per la sua cocciutaggine? Ma no, la presenza del libro lo insidiava da
vicino,
come il fiato glaciale di un fantasma sul collo, che lo faceva
rabbrividire.
Concluse che non sarebbe mai approdato a nulla di buono se non si fosse
prima
tolto quel peso. Anzi, quella scocciatura. Forse se avesse riportato il
libro a
Hermione tutto quel ronzio insopportabile se ne sarebbe andato insieme
a quello
e lui avrebbe finalmente potuto riprendere la sua ricerca in santa pace.
Ma
Ron, mentre usciva di fretta dalla biblioteca con quel fatidico libro
tra le mani,
alla ricerca della proprietaria, non si interrogò sul
perché di quei pensieri
frustranti ed insistenti.
Il
rosso non perse tempo a girare per tutto il castello e, visto che era
ormai ora
di pranzo, si diresse quasi di corsa verso la Sala Grande, sicuro che
lì
avrebbe trovato Hermione insieme a Harry, Ginny e tutti gli altri. E
così fu. Scorse
Harry e Ginny, troppo vicini l’uno all’altra per i
suoi gusti, che facevano
capannello con Neville, Seamus e Dean. C’era anche Hermione,
ma, come faceva
spesso nell’ultimo periodo, se ne stava in disparte e in
silenzio. Aveva il
capo chino sul piatto di pasticcio di carne che stava mangiucchiando
svogliatamente, mentre il suo sguardo andava dal piatto ancora quasi
del tutto
pieno a una pila di appunti che teneva di fianco al tovagliolo, in
apparenza in
un ultimo frettoloso ripasso prima delle lezioni successive.
Osservandola meglio,
Ron notò che ogni tanto i suoi occhi si alzavano dal livello
del tavolo per
soffermarsi sugli altri che chiacchieravano allegramente e per carpire
qualche
parola della loro conversazione. Ma la sua espressione era malinconica
e
nemmeno una battuta idiota di Seamus riuscì a far trasparire
un timido sorriso
sul suo volto. Ron salutò frettolosamente gli altri
(sorvolò perfino sul fatto
che Harry avesse osato passare un braccio attorno alle spalle di sua
sorella) e
fece per sedersi anche lui un po’ in disparte vicino a
Hermione. Ma quella, a
giudicare dalla sua espressione improvvisamente inaspritasi, non pareva
molto
felice di vederlo arrivare e Ron si chiese se non fosse il caso di
mollare lì
il libro e correre ai ripari. Lo fissava come se lo volesse uccidere.
Ma
nonostante tutto si fece coraggio, si sedette e si servì
abbondantemente come
al solito, il tutto sotto lo sguardo guardingo e severo della ragazza.
Alla
fine, però, quando sentì di non poter proprio
più reggere quel cipiglio
accusatorio, si sforzò di parlare.
«Hermione…».
«Cosa
c’è?». Il tono della riccia lo
colpì in pieno volto come una sassata,
lasciandolo per un attimo spaesato.
Abbassò
gli occhi e si fece piccolo piccolo. «Io volevo…
volevo solo… be’…».
E,
non trovando le parole adatte, decise di passare al concreto, tirando
fuori
dalla borsa dei libri Storia di Hogwarts.
«È
tuo, no? Devi averlo dimenticato in biblioteca…».
Hermione
rimase basita e sorpresa nel vedersi sventolare sotto il naso
l’oggetto delle disperate
ricerche di quella mattina, che l’avevano portata quasi
sull’orlo della
disperazione. Era una delle cose a cui teneva di più e non
si era capacitata di
essere stata così stupida da lasciarlo in giro. E ora,
invece, eccolo lì nelle
mani dell’ultima persona in cui si sarebbe aspettata di
vederlo.
«Come…
come l’hai trovato?» balbettò Hermione
alla fine.
Ron
fece spallucce, ora più sicuro. «Ero lì
per una ricerca».
Intanto
Hermione prese il libro con cautela, come se non credesse che quello
fosse sul serio
ritornato da lei. Quale fortuna! Però, mentre passava una
mano sulla copertina
levigata, quasi come se fossero trasudati attraverso quello stesso
cuoio, i
ricordi che l’avevano sorpresa la sera precedente le
ritornarono in mente in un
botto. Arrossì leggermente e, mentre sperava che Ron non
avesse notato il suo
rossore, si chiese se anche lui, trovando quel libro, si fosse mai
ricordato di
quel giorno in libreria. Probabilmente sì:
arrossì un po’ di più.
«G-Grazie»
sussurrò alla fine, impacciata.
E,
forse in un goffo tentativo di svicolare da una possibile conversazione
e non
dover rendere conto del suo rossore, aprì il libro ritrovato
e ci ficcò il
naso. Ron sospirò disarmato, mentre si soffermava ad
osservarla. Rimase come
incantato dal riflesso vagamente rossiccio dei capelli di Hermione
quando
venivano colpiti dai raggi del sole e di quanto fossero lucidi e
morbidi alla
sola vista: si disse che Lavanda si era sbagliata di grosso ogni volta
che
aveva avuto qualcosa da dire sui capelli di Hermione. Ma quella,
sentendosi
osservata, alzò di scatto lo sguardo e beccò
l’amico che la fissava come
ipnotizzato. Questa volta arrossì così
violentemente che Ron non poté non
accorgersene.
«Che
c’è?» mormorò lei con un
leggero tremito nella voce.
Ron
scosse la testa con un movimento troppo repentino per sembrare
naturale.
«N-niente… Niente tranquilla».
Ma
Hermione non ne era molto convinta, scrutandolo di sotto in su mentre
lui assumeva
un sorriso troppo tirato. Appena lei si risolse a non indagare oltre e
riabbassò
lo sguardo sul libro aperto in grembo, Ron iniziò a parlare
di getto.
«Mi dispiace».
«Come?».
Hermione
rimase per un attimo senza fiato, cercando di capire a cosa si
riferisse quella
frase, mentre era il turno di Ron di diventare bordeaux.
«Mi…
mi dispiace» si sforzò di ripetere quello.
Non
sapeva bene perché ma quelle due parole gli erano salite
spontaneamente alle
labbra con un’urgenza che sulle prime non era riuscito a
comprendere. Non
sapeva per cosa di preciso si dovesse scusare, ma qualcosa dal profondo
gli
imponeva di farlo. E il suo sesto senso gli diceva che quello era il
momento
migliore.
«Per
cosa, scusa?».
Quella
domanda più che legittima lo lasciò spiazzato. Si
tormentò le mani prima di
provare a rispondere balbettando: «Per cosa? Be’, a
dir la verità non saprei…
forse per il fatto di essere uno stupido Ronald Weasley,
credo».
Anche
quella risposta bizzarra gli sgorgò direttamente dal cuore,
ma per quanto
strana fosse sentì vibrare in quelle parole il suono della
sincerità. Intanto
Hermione uscì in una breve risata che, però,
cercò subito di dissimulare con un
colpo di tosse.
«E
cosa avrebbe fatto Ronald Weasley per essere definito
stupido?».
E
mentre lei cercava con tutte le sue forze di non scoppiare a ridere,
Ron assumeva
l’espressione più seria che era riuscito a trovare
nel suo limitato repertorio.
All’improvviso si era sentito in dovere di dire qualcosa di
importante che
teneva dentro ormai da troppo tempo, anche se non sapeva di preciso di
cosa si
trattasse. Sentiva di stare parlando a vanvera. O forse era il suo
cuore che
stava parlando al suo posto.
«Be’,
credo che abbia fatto troppe cose stupide per elencarle
tutte».
«Del
tipo?».
«Continuare
a litigare con… la sua migliore amica».
La
risata che Hermione stava cercando di trattenere svanì di
botto, lasciando un
fondo di sorpresa e di qualcosa che forse si poteva avvicinare al
disagio. Le parole
“migliore amica” stonavano quasi nel contesto della
frase, forse perché Ron nel
formularla aveva pensato a ben altro termine. Ma non fu solo questo a
lasciare
di stucco la ragazza: il fatto stesso che il rosso ammettesse di sua
spontanea
volontà di aver agito stupidamente e di essere un perfetto
cretino, be’, aveva
già di per sé qualcosa di incredibile. Quando mai
nelle innumerevoli volte che
avevano litigato lui si era venuto a scusare con una frase di quel
tipo? Un
confortante calore si sprigionò dal cuore di Hermione nel
capire che una
piccola parte del cervello di Ron la riteneva importante; si
sentì quasi
lusingata… anche se tutta la faccenda non aveva un senso
logico.
«Io
e Lavanda… be’, non credo sia giusto costruire la
mia felicità sull’infelicità
di qualcun altro».
In
sintesi era quello che pensava, si disse Ron, distogliendo subito gli
occhi
dall’amica e mettendosi a grattare nervosamente la piano
ruvido del tavolo. O,
almeno, era quello che credeva di pensare: non era sicuro che
felicità fosse la
parola giusta.
«Non
voglio che tu stia male per causa mia… Voglio… Io
voglio…».
La
verità era che nemmeno lui sapeva cosa voleva davvero. Aveva
Lavanda, sì, che
era tutto ciò che un comune ragazzo di diciassette anni
potesse desiderare, ma
le immagini di quel lontano pomeriggio al Ghirigoro continuavano a
punzecchiarlo
con brevi flash che lo lasciavano sempre più confuso. Ma al
momento doveva
pensare all’amicizia con
Hermione.
«Ho
capito» intervenne lei, quasi lapidaria. «Vuoi che
accetti che il mio migliore
amico si sia venduto alla prima ragazza-oca che gli è
passata sotto al naso».
Ron
alzò lo sguardo e incontro quello duro come il diamante
della riccia. I suoi
occhi parevano lanciare dardi infuocati di indignazione in sua
direzione,
mentre la fronte corrugata e le labbra tirate urlavano
all’ingiustizia.
«No»
esclamò Ron. «Cioè…
sì, in un certo senso sì…».
Hermione
scosse la testa e con un movimento repentino si alzò ed
afferrò la borsa dei
libri, intenzionata a non trattenersi un minuto di più. Era
come chiederle di
rinunciare a cambiare le miserevoli condizioni di vita degli elfi
domestici.
«Sei
sempre il solito, Ronald».
«No,
aspetta!».
Anche
Ron si era alzato fulmineamente, spostando con un rumore fastidioso la
panca, e
così attirando l’attenzione degli altri, che
smisero subito con il loro vocio
di sottofondo e si misero a fissarli in silenzio ed incuriositi. Era
convinto
che Hermione non avrebbe prestato ascolto alle sue parole, invece si
sbagliava,
poiché lei si bloccò all’improvviso
come pietrificata. Forse sperava che Ron la
implorasse ancora di restare e che si scusasse ancora una volta per
averla
fatta soffrire.
«Non
era quello che intendevo dire» sussurrò il rosso.
La
ragazza si morse il labbro inferiore. «Ron… ci
conosciamo da anni, ne abbiamo
passate di tutti i colori insieme, ci siamo sostenuti a vicenda e te e
gli
altri ormai per me siete una seconda famiglia. Ci tengo a te
e…. e non voglio
che ti butti via così. Lavanda non ti merita, lo sai bene. E
per quante volte io
ti abbia dato dell’idiota credo che tu valga molto di
più di quel che potrebbe
sembrare. Lei non ti potrà mai dare niente di
più…».
Ron
abbassò il capo e si ficcò le mani in tasca.
Socchiuse un poco gli occhi,
inspirando profondamente, mentre cercava di rallentare la corsa
sfrenata del
suo cuore e tenere a bada quella specie di piccolo attacco di panico
che l’aveva
improvvisamente colto. Era quello che aveva pensato fin
dall’inizio, più
precisamente dal giorno dopo di quando aveva baciato Lavanda per la
prima volta.
Quando, una volta che l’adrenalina della novità
l’aveva abbandonato, si era
chiesto quale sarebbe stato il suo passo successivo. Lavanda era
carina, va
bene, aveva il senso dello stile e poteva risultare quasi piacevole
nelle
conversazioni da salotto. Ma non era brillante, sveglia, profonda,
matura e
sensibile come sarebbe dovuta essere la ragazza con cui gli sarebbe
piaciuto
condividere tutto di se stesso e magari la sua stessa esistenza.
Lavanda era un’avventura,
lo aveva saputo fin dal principio. Un bel fuoco d’artificio
che, nonostante lo
splendore, l’eleganza e la scoppiettante esuberanza, sarebbe
stato in ogni caso
destinato a finire in niente: pochi secondi di spumeggiante
divertimento, ma
solo pochi secondi senza significato.
«Lo
so» sussurrò. «Lo so che sarebbe
potuto… dovuto
andare diversamente».
E
mentre diceva ciò l’immagine della libreria con
tutti i libri sparpagliati sul
pavimento non sarebbe potuta essere più vivida nella sua
mente. Così capì quale
avrebbe dovuto essere il suo posto in quel momento: seduto
tranquillamente di
fianco a quella ragazza che ora considerava solo un’amica e
che era infuriata
con lui, magari a sfogliare ridendo proprio quel libro che aveva fatto
capire
loro molte cose. Ma la visione era come disturbata e tra
quell’immagine di
perfezione se ne infiltrava un’altra in bianco e nero di lui
legato con pesanti
catene a un’altra ragazza. E cercava di liberarsi ma non ci
riusciva, finché
non si arrendeva e la luce della prima fotografia spariva del tutto.
Hermione,
come le era capitato spesso in quegli ultimi dieci minuti di
conversazione,
rimase senza fiato e si chiese se per caso… No, ma Ron non
avrebbe mai potuto
pensare una cosa del genere o anche soltanto prendere in considerazione
l’idea
che lui e lei… Eppure… No, no, siamo sinceri, lui
aveva Lavanda. LAVANDA. Era a
sua totale disposizione, quindi cosa gli sarebbe mai potuto interessare
se lei…?
Socchiuse le labbra per dire qualcosa che sbloccasse
l’improvviso silenzio che
era calato su di loro, ma qualcosa, o meglio qualcuno, la precedette.
Un turbinio
di trecce ben ordinate e qualche spilla troppo rosa per essere
sopportabile
alla vista entrò nel campo visivo di Hermione, accompagnata
dal solito risolino
un po’ da pettegola che annunciava ogni volta la sua entrata
in scena. Senza neanche
che se ne accorgesse subito, Ron si ritrovò la sua gioia e
la sua croce appesa
al braccio destro come un koala.
«Ron-Ron,
sei qui! Ti stavo cercando…» interloquì
Lavanda senza mostrare minimamente di
essersi accorta della presenza di Hermione.
Ron
sbiancò e si chiese se per caso la sua fidanzata gli avesse
appiccicato addosso
qualcuno di quegli strani congegni che i Babbani usano per spiare e
seguire la
gente. Ovunque lui andasse poteva essere sicuro che Lavanda prima o poi
l’avrebbe
trovato: si aspettava sempre di vederla comparire a sorpresa nei bagni
dei
maschi.
«Sei
sparito per tutta la mattina, cucciolotto. Mi sei mancato
tanto».
Così
dicendo Lavanda allungò le braccia a mo’ di
tentacoli per carpire il collo del
malcapitato fidanzato, che, però, prima che lei arrivasse
alla sua faccia, si
scansò prontamente, trattenendo fermamente quella
sottospecie di sanguisuga.
«Ehm,
sì, anche tu…» balbettò il
povero Ron. Se non gli importava che il resto di
Hogwarts lo vedesse abbarbicato a quella che lui chiamava fidanzata,
non voleva
dire che davanti a Hermione fosse la stessa cosa. E mentre sentiva il
fiato
caldo di Lavanda salirgli pian piano lungo il collo vedeva le
possibilità di
chiarire le faccende in sospeso con Hermione allontanarsi sempre
più. Inesorabilmente.
Sapeva che non avrebbe mai più avuto un’altra
occasione come quella per parlare
con lei. Anche perché lei prendeva alla lettera uno dei suoi
principi
fondamentali: meno respirava la stessa aria di Lavanda meglio era.
Infatti…
«Ciao,
Ron. Ci vediamo a lezione».
Come
aveva previsto lo straordinario tempismo di Lavanda aveva rovinato
tutto e, se
prima era riuscito a trattenere Hermione con le parole, ora nessuna
promessa l’avrebbe
fermata. Così non poté fare altro che vederla
alzarsi, raccogliere i suoi libri
e incamminarsi lungo la Sala Grande, mentre lui restava lì
impassibile tra le
braccia di Lavanda, che non aveva occhi che per lui e probabilmente
anche la
sua mente stava sfornando a velocità record certe
particolari fantasie sul
rosso.
Ma,
mentre scompariva dalla sua vista tra la massa caotica di studenti, a
Ron
sembrò di scorgere gli occhi di Hermione farsi leggermente
lucidi prima di dare
le spalle a lui e Lavanda, che continuava a sorridere come
un’ebete. Avrebbe perfino
giurato di veder brillare una lacrima appesa alle sue ciglia e un nuovo
dardo
infuocato gli colpì il cuore nel rendersi conto per
l’ennesima volta di averla
fatta soffrire suo malgrado. Non aveva neanche avuto il tempo di
salutarla… Si sentiva
uno schifo: gli sembrava di essere stato programmato per portare dolore
a una
delle persone a cui teneva di più. Anzi, alla persona a cui
teneva di più in
assoluto.
«Allora,
Ronnino, andiamo? Devo dare una ripassata a Incantesimi prima della
lezione: mi
aiuteresti? Ho trovato un posto carino carino… e anche
abbastanza appartato».
La
risatina acuta e maliziosa di Lavanda non gli arrivò nemmeno
alle orecchie,
tanto era impegnato a fissare con insistenza il punto in cui Hermione
era
scomparsa tra la folla, forse nella speranza di vederla ricomparire e
che
ritornasse tra le sue braccia al posto della sua fidanzata ufficiale.
Ma ufficialmente
Hermione era la sua migliore amica e quello non sarebbe stato il suo
posto.
Così,
come una marionetta nella mani del suo padrone, seguì
Lavanda, dopo aver
salutato sbrigativamente Harry, Ginny e gli altri, che ovviamente
avevano
seguito per filo e per segno tutto l’accaduto e, ne era
certo, non appena si
fosse allontanato avrebbero ricominciato a sparlare al riguardo. Non
sapeva
dove diavolo volesse andare Lavanda, anche se quello che voleva fare
gli era
abbastanza chiaro. Ma sapeva ancora più nitidamente che
quello non era il suo
posto, anche se l’aveva scelto, anche se l’aveva
cercato. Ma ora sentiva di non
potere più tornare indietro e anche se l’avesse
fatto… No, la sola idea di
farlo era inconcepibile.
Uscirono
per mano dalla Sala Grande, ma la mente di Ron era ben lontana da
Hogwarts. Più
precisamente si trovava nella libreria più famosa di Diagon
Alley, sotto una catasta
di libri sparpagliati, con in mano il libro che stava cercando e sopra
di sé la
ragazza che in quel momento avrebbe voluto tenere per mano. Ma
quell’istantanea
era lontana anni luce dalla situazione attuale e sapeva che sarebbe per
sempre
rimasto un bel sogno ad occhi aperti. Però, per quanto
leggera e fluttuante che
fosse, quell’immagine non sarebbe mai scolorita tra i suoi
ricordi,
indipendentemente da come sarebbero andate le cose.
E sapeva benissimo in che modo sarebbero dovute andare. Anche perché avrebbe fatto di tutto per farle andare in quel senso.
Visto il numero di richieste di continuare la one-shot, eccomi qui con un capitolo in più. Ma non illudetevi: il racconto era stato progettato per avere un solo chap, poi l'ho modificato aggiungendone un secondo (giusto per far contenti i miei lettori), ma comunque non diventerà una ff vera e propria. Motivi: 1) non ho progettato una storia a lungo termine, in poche parole era una cosa che doveva "finire lì", una specie di parentesi nel rapporto Ron/Hermione trattano nei libri dalla Rowling; 2) non saprei come continuare, visto che, come già detto, il racconto finirebbe per sovrapporsi a quello originale; 3) in questo periodo sono molto impegnata e per il momento non voglio impegnarmi con ff vere e proprie.
Bene, chiarito questo, spero comunque che questa integrazione sia all'altezza della prima parte, anche se posso dire che sia stato un vero e proprio parto, sia per lunghezza di tempi (scusate) che per difficoltà, visto che l'ispirazione e la voglia di scrivere davano sempre forfait. Personalmente questa parte non mi convince molto, forse anche perchè vedo la coppia Ron/Herm molto complessa e anche un romanzo di 1000 pagine mi sembrerebbe insufficiente a descrivere ciò che li lega. Quindi, sperando che le recensioni siano positive come le altre, ringrazio chi ha recensito la prima parte: dragondream, marzy93, Ambiguo, hele.