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Autore: EffyBk    21/10/2009    1 recensioni
“Dillo ancora” “Che cosa?” “Dimmi che mi ami”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Sam

Correvo. La vista appannata dalle lacrime, ma correvo; non sapevo dove stavo andando, trovai delle scale e scesi per un po’, finché il pianto non si fece così forte da costringermi ad accasciarmi a terra su un pianerottolo a metà rampa. Sì, avevo avuto il mio minuto, gli avevo detto che lo amavo; ma lui cosa avrà pensato?
‘Dio, che figura…’ dissi tra me e me. Ero talmente presa dal desiderio di dirglielo e dall’ansia di non riuscirci, che non avevo pensato alle conseguenze. Insomma, gli capita lì una sconosciuta che si butta tra le sue braccia in lacrime dicendo di amarlo.
‘Cosa penseresti ora se fossi al suo posto?’ cercai una risposta confortante. 'Patetica..' fu tutto ciò che mi venne in mente. Mi immaginai Bill che raccontava tutto a Tom, Georg e Gustav, me li immaginai tutti e quattro piegati in due dalle risate, mi immaginai Bill che mi compativa dicendo “Poverina, mi faceva pena…”
No, non era quello che volevo. Perché non pensavo mai? Perché agivo così d’impulso? Era una cosa terribile: essere derisa e compatita dalla tua band preferita e dal ragazzo che ami.
‘Bè, Sam, complimenti! Te la sei proprio cercata!’ pensai, tirando una leggera testata al muro dietro di me.
Mi sentivo ferita nell’orgoglio e le lacrime non volevano saperne di cessare, ma in fondo aveva ragione la mia coscienza: me l’ero cercata. Era solo colpa mia, di nessun altro.
Appoggiai la testa sulle ginocchia come per isolarmi, per fuggire da tutto, da quella situazione che avevo creato da sola.
Rimasi così per un po’, fino a quando sentii qualcuno avvicinarsi a me. Lentamente sollevai il viso e mi trovai davanti quegli occhi contornati di nero che tanto amavo. La prima cosa che pensai fu di essere in un sogno. Ma presto mi resi conto che c’era davvero Bill inginocchiato di fianco a me e mi fissava. Mi asciugai un po’ gli occhi, cercando di nascondere la mia debolezza e gli chiesi “Che ci fai qui?”
Lui mi ignorò completamente, come se non avessi aperto bocca.
“Mi ami davvero?” mi chiese.
La sua domanda mi suonò strana; lo guardai diffidente, ma sul suo viso non c’era ombra di scherno o pietà. Era serio e aspettava una risposta.
“Ha davvero importanza?” la mia voce era piatta. Mi fece impressione.
“Sì” fu la sua unica risposta. Senza esitazioni, senza giri di parole. Non mi prendeva in giro.
Mi sorprese non poco, non capivo dove volesse arrivare, ma conclusi che ormai non avevo più nulla da perdere e la cosa migliore era essere completamente sincera, almeno con Bill.
“Sì, ti amo davvero, ti amo anche se non ti conosco. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche se è assurdo, malsano, stupido e completamente irrazionale. Ti amo pur sapendo che non sarai mai mio; ti amo da tre anni e mezzo, nei quali non ho mai smesso di pensare a te. Ti amo, e ora che lo sai non cambierà assolutamente nulla.”
Abbassai lo sguardo e ricominciai a piangere, non so perché. Non volevo che mi vedesse ancora così, non volevo mostrargli ancora quella parte di me, ma non riuscivo a trattenermi. Il mio più grande desiderio si era trasformato nel mio più grande incubo. Sapevo che era sbagliato, non avrei mai dovuto fare quella stupidata di confessargli tutto; avrei potuto godermi quel meet&greet, avrei potuto parlare con Tom, Gustav e Georg. Invece mi ero bruciata tutto per un dannato sogno insensato. Mi sentivo solo una grande idiota.
Bill si sedette di fianco a me senza parlare. Mi cinse le spalle e mi fece appoggiare la testa sul suo petto. Lì continuai a piangere ininterrottamente per qualche minuto, mentre lui mi cullava un po’, come una bambina.
Anche quando mi calmai, non ci muovemmo. Bill mi tenne lì, accanto a sé stringendomi un po’.
All’improvviso disse “Dillo ancora”
“Che cosa?”
“Dimmi che mi ami”
“Ti amo” gli dissi senza pensarci. Ma poi realizzai che non aveva senso e, quando stavo per replicare, lui attaccò a parlare, come se niente fosse.
“Sta notte ho fatto un sogno troppo buffo…” iniziò.
Decisi di lasciar perdere e ascoltarlo. Alla fine non aveva così tanta importanza.
“Sì? Perché?”
“Ero in una stanza enorme e circolare e al centro c'era una mano gigante con una boccetta di smalto rosso alta 50 centimetri…”
“Una mano gigante? E dello smalto rosso??” gli chiesi ridendo.
“Sì!! E io iniziavo a mettere lo smalto a questa mano, anche se non era facile perché aveva delle unghie grandissime e il pennellino pesava tantissimo. Però poi succedeva una cosa stranissima…” la sua voce prese una piega divertita.
“Cioè?”
“Non so come mai, ma quando avevo finito di mettere lo smalto, le unghie dell'indice e dell'anulare diventavano gialle brillanti…”
Esplosi in una risata “Gialle?!”
“Sì” rise anche lui “e a me non piacevano! Quindi provavo a rimettere sopra lo smalto rosso, ma all'improvviso sono diventate tutte blu e la mano ha iniziato a sciogliersi come se fosse stata fatta di burro”
“Addirittura?”
“Già… e non era bello! Era tutto unticcio...”
Mentre Bill andava avanti a raccontare il suo sogno divertente, io me ne stavo tra le sue braccia, a volte ridendo, a volte ascoltandolo curiosa. Avevo capito che le mie preoccupazioni erano infondate, lui non mi avrebbe mai derisa, mi aveva presa davvero sul serio. Ne ero felice e gli ero grata per tutto quello che stava facendo. Evidentemente aveva capito che mi sentivo umiliata e ferita, e stava facendo di tutto per tirarmi su di morale. Come potevo non adorarlo?

*****

Bill

Appena fui di nuovo dentro alla camera, mi trovai nove paia di occhi puntati addosso.
“Allora?” mi chiese Tom “Cosa voleva chiederti?”
“Ma lei dov’è?” domandò Georg.
“Non lo so…” risposi, ancora un po’ shockato.
“Come non lo sai?! Bill, dov’è Sam?” la sua amica, Niky, era preoccupata. Ovviamente.
“Io… non so. E’ andata via” capii che non potevo rovinare tutto anche a Niky. “Ha detto che ti aspetta nella hall”
Sentendo quella bugia sembrò calmarsi un po’, ma io non mi sentivo per niente tranquillo. Continuavo a ripensare a quei pochi minuti lì fuori dalla stanza, continuavo a pensare a quel “Ti amo” sussurrato in quel modo, così sentito, così sofferto, così sincero. Quella ragazza mi aveva colpito. E l’immagine del suo viso devastato dalle lacrime mi balenava continuamente nella testa. Non potevo far finta che non fosse successo niente, non potevo lasciarla andare così. Non potevo lasciarla affogare in quel dolore. Presi un foglietto stropicciato e, con l'indelebile vi scarabocchiai due righe; poi mi diressi verso la porta, appallottolando quel pezzetto di carta e infilandomelo in tasca.
“Ehm, dovete scusarmi, davvero, ma devo andare. E’ un’emergenza” annunciai a tutti, lasciando di corsa la camera e andando in cerca di Sam.
Corsi giù per le scale, era l’unica via per cui poteva essere passata. Infatti al pianerottolo del secondo piano la vidi, accovacciata per terra, la testa tra le ginocchia. Piccola, debole, fragile… bellissima. Mi avvicinai piano, senza far rumore e mi inginocchiai di fianco a lei. Restai lì per un po’, osservando i suoi capelli scuri e lisci, contando i suoi respiri e i suoi singhiozzi. Piangeva ancora; mi faceva male vederla così e sapere che era colpa mia, non migliorava di certo le cose.
Passò un po’ di tempo prima che si accorgesse che ero lì. Sollevò il viso e mi guardò negli occhi un po’ incredula. Quando si rese conto che ero io, cercò di asciugarsi le lacrime, come se volesse far finta di non aver mai pianto. Era molto orgogliosa. Mi chiese cosa ci facessi lì; tentò di simulare un tono un po’ scocciato, ma il risultato non fu un gran che.
Io la ignorai, principalmente perché non avrei saputo cosa rispondere. Volevo domandarle altro. “Mi ami davvero?”
In fondo al mio cuore sapevo che era vero, ma dovevo sentirmelo dire ancora, avevo bisogno di un’ulteriore conferma.
“Ha davvero importanza?”
La sua risposta fu piatta, la voce stanca forse per la troppa sofferenza. Avrei voluto stringerla forte, ma da bravo egoista, prima dovevo esaudire quella voglia, quel bisogno di certezza. Perciò le dissi un “Sì” secco e convinto, in modo da farle dire ancora una volta quelle parole che volevo sentire.
“Sì, ti amo davvero, ti amo anche se non ti conosco. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche se è assurdo, malsano, stupido e completamente irrazionale. Ti amo pur sapendo che non sarai mai mio; ti amo da tre anni e mezzo, nei quali non ho mai smesso di pensare a te. Ti amo, e ora che lo sai non cambierà assolutamente nulla” i suoi occhi brillavano mentre parlava e mi lasciò senza parole. Era molto più di quello che mi aspettavo.
Di nuovo molte lacrime iniziarono ad uscire dai suoi occhi, ma questa volta era diverso. Non si tratteneva più, non cercava di nascondersi. Si era arresa, mi aveva rivelato tutto, mi aveva donato sé stessa. Non si vergognava più di essere debole davanti a me. In quel momento non riuscii più a frenarmi. Mi misi seduto e la abbracciai, la tirai a me e la tenni lì cullandola piano. Non ce la facevo più a vederla in quello stato; sì, era solo una ragazza che non avevo mai visto prima, ma sentivo che era speciale, lei era quella che cercavo. E non l’avrei lasciata andare. Volevo starle accanto e volevo vederla sorridere. Basta lacrime, basta dolore: volevo farla felice.
La cullai come fossi suo padre fino a quando non si fu calmata completamente.
“Dillo ancora” le dissi in tono di supplica.
“Che cosa?”
“Dimmi che mi ami”
“Ti amo” sussurrò lei, senza chiedermi altro, senza replicare, senza arrabbiarsi.
Ero felice che me l’avesse detto ancora. Ormai lo sapevo, e sapevo anche che era vero. Ma la verità era che mi piaceva sentirmelo dire. Mi piaceva che fosse lei a dirmelo.
Senza aspettare altro, iniziai a raccontarle di un sogno strano e buffo che avevo fatto quella notte. Non so perché, mi venne naturale raccontarglielo. E lei sembrava interessata. Era curiosa di sapere, a volte rideva di gusto per quello che dicevo ed era meraviglioso. Ero riuscito a farle dimenticare tutte le sue sofferenze, ero riuscito a farla sorridere.
Ero fiero di me.
  
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