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Autore: Ghen    26/10/2009    5 recensioni
Quando hai tredici anni, non hai amici e sei solo una vampira sfortunata e un po' cozza, ti devi pur arrangiare in qualche modo, no?
"Ve ne rendete conto??
Un apparecchio!
Un vampiro con l’apparecchio… è… è umiliante, insomma!"

La storia di Milly, giovane vampira alle prese con l'adolescenza e una famiglia fuori dai canoni.
AGGIUNTO IL 1. Capitolo: Le giornate storte si vedono dal mattino
Genere: Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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“Avete presente quando siete talmente tesi che vorreste scomparire? Diventare invisibili? Sparire per non tornare mai più?
Ecco, questa è la mia vita.”

 
1. Capitolo
Le giornate storte si vedono dal mattino
 
 
Quella forte luce negli occhi non le dava problemi, non era abbastanza fastidiosa e non irritava, era il suo minore dei problemi, quando su quel lettino come ogni volta le infilavano in bocca arrangi meccanici di ogni tipo. La paura saliva, perché in fondo era codarda e sapeva che doveva fare male, glielo suggeriva la sua testa, per cui le faceva male per forza.
Stava seduta lì ormai da minuti su minuti, una volta al mese da quando aveva iniziato la cura. Un vampiro che aveva problemi ai denti, ma dove si era mai sentito?! Perché solo lei doveva nascere così storta?
Già, Mildred, tredici anni da poco compiuti, vampiro.
Probabilmente l’unico vampiro con un apparecchio ai denti. Apparecchio dorato, per giunta, che quando sorrideva lo si vedeva da lontano un chilometro. Beh, d’altronde Mildred era un vampiro, e come tutti loro non tollerava l’acciaio, o meglio, l’argento doveva essere, prima che questa sottospecie di fobia si sviluppasse negli anni.
Le fobie “vampiresche” erano cambiate nei secoli come i vampiri stessi; non esisteva più il Dracula di una volta. Prima quando si pensava ai vampiri si aveva paura; si pensava ad un uomo dalla forza sovraumana, in grado di spezzare una lamina di metallo come burro, in grado di saltare e come un supereroe vedere dall’alto una città, in grado di nutrirsi del sangue di giovani vergini che a loro volta divenivano vampiri, come una malattia contagiosa, e soprattutto… si trasformavano in pipistrelli e volavano nella notte, lontano dalla luce solare che li abbrustoliva a dovere.
I tempi erano cambiati. Ora non si aveva più paura dei vampiri, che sono come uomini con i denti a punta. Specie se il vampiro in questione era una ragazzina bassa e brutta.
Tutto era cambiato.
Certo però esisteva ancora chi credeva alle storielle sciocche degli antenati vampiri credendo siano uguali a quelli odierni, sempre se credevano davvero alla loro esistenza. C’era chi diceva che erano tutte fantasie, e chi invece convinto credeva di poter davvero diventare una loro vittima, un giorno.
Il problema di essere un vampiro oggi, era che si doveva aver paura degli uomini. Quelli normali, sì. Sia che loro ci credano ai vampiri sia che invece non gli importi nulla.
Se scoprono che sei un vampiro, devi trasferirti. Per questo devi avere paura di loro. Questo era successo a Mildred e alla sua famiglia, già cinque volte da quando era nata.
 
La luce blu e poco dopo la voce del dentista che diceva di stringere i denti, la fecero tornare alla realtà, svegliandola dai suoi pensieri, quelli che sperava la allontanassero da lì il più a lungo possibile. 
Anche il dentista era un vampiro. Era un vecchio amico della madre di Mildred, diventato dentista come volevano i suoi genitori. Non erano strane aspirazioni per i vampiri così detti “moderni”, erano tutti così oggi. E lui essendo appunto un vampiro, era l’unico che potesse prendersi cura dei denti di Mildred, che ad un dentista normale gli si sarebbero rizzati i capelli.
La loro vera identità era un segreto: per tutti, loro erano persone esattamente come le altre.
«Bene… Per oggi abbiamo finito, Mildred!», disse mentre risistemava i ferri e le toglieva il bavaglio. «Puoi alzarti!».
Un altro che la chiamava Mildred. Certo era il suo nome, ma lei l’odiava.
Uscendo dallo studio, una signora un po’ bassa e robusta corse loro incontro.
«Come sta andando la cura, Albert?», domandò la donna, con il portafoglio in mano.
«Sì, bene… I denti sono dritti e stanno curando. Lentamente la cura sta avendo i suoi effetti.».
Lentamente… Era quel lentamente a darle fastidio. Per quanto ancora avrebbe dovuto mantenere quei ferri dorati in bocca?
Era sfigata già prima che l’apparecchio arrivasse, ma da allora le cose erano ancor più peggiorate. Dal primo giorno… 
Abitava in un’altra contea ed aveva undici anni. A quel tempo Mildred si era infatuata di un compagno di classe, il rappresentante, Michael, il classico ragazzino che tutte volevano.
Quello che Mildred non sapeva, era che anche Michael seguiva una cura da questo suo stesso dentista, anche se non portava l’apparecchio; ma l’aveva scoperto presto: uscendo dall’ambulatorio le era sbattuta addosso, e nel vederlo, con la bava alla bocca lo aveva sorriso, scoprendo poco dopo di aver involontariamente sputato contro la sua t-shirt.
Da quel giorno Michael non l’aveva più parlata, anzi, voltava lo sguardo disgustato ogni qual volta la vedeva.
Era una delle sue prima cotte Michael, ed ora era solo un ricordo.
 
 
Al rientro a casa in macchina, Mildred non faceva altro che pensare al giorno che sarebbe cominciato circa alle otto dell’indomani mattina. Il giorno che sarebbe stato e t e r n o, già lo sapeva in partenza. Doveva entrare nella sua nuova scuola, ad anno già cominciato, in una nuova classe, con nuovi compagni. Già tremava all’idea.
Ma non poteva studiare a casa?
Un giorno l’aveva chiesto a sua madre, che quasi la fece esplodere con il solo sguardo. Effettivamente aveva scelto un cattivo momento: aveva le bollette da pagare in mano ed aveva appena litigato con il marito, ergo da sola, dato che lei urlava e lui stava zitto in un angolo.
«Non è abbastanza quello che dobbiamo pagare ogni giorno per vivere?», urlò la donna, in preda a mille furie. «Non mi sembra che tu sia un supergenio che ha bisogno di un docente privato! O mi sbaglio, forse? O magari lavori…», agitava le mani, accostandosi pericolosamente alla figlia che indietreggiava. «Certo, perché tu lavori e quindi ti puoi pagare gli studi! E’ così?», urlò ancora, davanti al suo viso. «Dimmi, è così?».
«N… No…».
«E allora andrai a scuola come tutti gli altri! Non vedo nulla di speciale in te! Non mi sembra di aver mai sentito tua sorella lamentarsi!».
E fu proprio in quell’istante che comparve da un angolo la lunga chioma castana, le tette che sembravano siliconate e le natiche a papera di sua sorella maggiore.
«A me piace andare a scuola!», sorrise accostandosi.
La madre le sorrise a sua volta, come se ogni energia negativa le fosse misteriosamente volata via. «Ma certo, cara!».
«Mammina, ascolta, ho bisogno di soldi! Ho un visto un paio di jeans all’ultimo grido in un negozio proprio qui accanto! Non immagini l’occasione!», sventolava le mani e a Mildred sembrava tanto una gallina pronta per fare l’uovo.   
«Oh, sicuro, tesoro mio!», sotto gli occhi stupefatti della figlia minore, aprì il portafoglio pronta per esibire un paio di dollari fino ad arrivare alle mani della gallina in questione. Come poteva essere così assurdamente felice di regalare soldi alla figlia quando appena un secondo prima si stava lamentando proprio di questo? Ma perché succedeva sempre così? «Divertiti pure!», rise, osservandola soddisfatta mentre sventolava il sedere per andarsene. «Mammina», rise ancora la donna, piacevolmente divertita da come l’aveva chiamata. Non capiva che era solo il termine usato impropriamente di una ruffiana?
«Mam… Mamma?», si azzardò a chiamarla e la donna si voltò a lei come se l’inferno si fosse impossessato del suo corpo tutt’un tratto.
«Cosa c’è, ancora? Il discorso non era forse chiuso?».
«S-Sì…», decise di non dire più una parola.
 
Era ovvio che la sorella amasse la scuola.
Per lei quel luogo era molto simile ad un vero Paradiso, con la P maiuscola. Insomma, come poteva non amare il posto in cui mille ragazzi le chiedevano un appuntamento, arrivando a fare la fila, e le ragazze la invidiavano fino ad imitarla?
Lei era la star della scuola, brava nello studio come nello sport, e nessuno arrivava ad odiarla. Appena metteva piede in una scuola subito ne diveniva la padrona. Come faceva era un segreto, un mistero. L’unica cosa di cui Mildred poteva divenire padrona appena ci metteva piede poteva forse essere un bagno, e forse, mica detto.
Ma d’altronde vi poteva essere dietro la teoria del vampiro magnetico ed affascinante.
Quando Mildred da bambina leggeva, o le leggevano e raccontavano le fantastiche storie sui vampiri ottocenteschi, vi era sempre menzionato quel fantastico potere della bellezza e fascino assoluto che imponeva alle vittime di fare qualunque cosa li chiedessero di fare. Forse, si diceva Mildred, questo potere non era andato del tutto perso nei secoli, e sua sorella ne era la prova; ma dato che lei era stata benedetta di bellezza e tutto il resto, alla secondogenita non ne era rimasto a sufficienza. Ecco perché lei era brutta e sfortunata. Tutto tornava.
 
 
 
Ed infine l’infausto giorno era arrivato.
Come se una bomba fosse esplosa in camera sua, la madre la buttò letteralmente giù dal letto, consegnandole la roba da indossare direttamente sulla testa.
«E muoviti!», le urlò. «Non farmi aspettare, o ci andrai a piedi a scuola!».
A piedi? Le mancava solo questo. Già doveva andare in una nuova scuola che aveva visto a malapena il giorno dell’iscrizione, solo l’idea di arrivare in ritardo era ancora più umiliante.
Si svestì immediatamente del pigiama rosa a pallini, e in un battito di ciglia indossò svelta quella… lurida gonna bianca? Perché le aveva dato la gonna? Sbuffò. La madre sapeva benissimo che Mildred odiava portare la gonna. Non certo perché non era carina, amava le gonne in quel senso, ma indossarle per lei era un incubo, soprattutto con quelle gambe pseudo-storte che si ritrovava. Tuttavia non aveva tempo per cercare altro da mettersi.
Indossò svelta anche una maglietta a maniche corte e correndo entrò in cucina, dove suo padre seduto beveva caffè attaccato al corriere e al televisore, nelle ultime notizie riguardando le corse dei cavalli; sua madre faceva colazione con i soliti cereali che sponsorizzavano alla tv per dimagrire, e sua sorella lentamente sorseggiava una tazza di caffelatte.
Era la tipica mattina prima di scuola e lavoro, o qualunque cosa facesse sua madre.
 
Nessuno avrebbe sospettato di loro come vampiri, a meno che non si mettano a frugare le riserve di cibo nel congelatore: questo nel fondo conteneva il sangue raccolto in anni, da quando i genitori di Mildred si erano sposati.
Era una tradizione regalare ai vampiri novelli sposi una quantità di sangue, e spesso era proprio dei parenti stessi che ne donavano la quantità che si sentivano di regalare. Il resto proveniva solitamente da animali oppure da persone morte, prima che i cadaveri si decompongano: ma dovevano essere sinceri, quel sangue non era più così buono, quello fresco restava sempre il migliore. Ma di certo non potevano essere scoperti ad azzannare le persone normali, ed ormai questa era diventata una cosa che i vampiri di oggi non si sognavano più di fare, per tranquillità di vita soprattutto.
Il sangue per i vampiri moderni non era più “vitale”. Tuttavia serviva.
Il sangue manteneva la pelle giovane, rendeva più forti e vitali, e una quantità alla mattina, seppur piccola, come le vitamine per gli umani ti teneva in piedi durante la giornata.  
La madre di Mildred scongelava un piccolo sacchetto di sangue al giorno, e dopo colazione, prima che tutti si sparpagliassero fuori di casa, ne scendevano un bicchierino di caffè.
 
«Tieni!».
Aveva appena finito di bere il suo latte e cereali al cacao, quando la madre le porse dinanzi il bicchierino rosso.
La faccia disgustata di Mildred era una cosa che sua madre proprio non tollerava.
«Bevi senza storie! E comportati da vampiro quale sei, una buona volta!», le pose nelle mani innervosita il bicchierino, mentre ne passava un altro alla sua primogenita, che ne era invece entusiasta.
Lo mando giù in sol boccone.
I vampiri odierni sopravvivevano comunque senza il sangue, e perché lei, a cui il sangue proprio non piaceva, doveva berlo per forza ogni santa mattina?
Era proprio il vampiro più diverso, differente, strano, anormale di tutti i tempi, lei. Se lo diceva ogni volta. A volte non credeva neppure di essere nata veramente vampiro.
L’odore del sangue la disgustava nel profondo, e il gusto non le piaceva per niente.
Al contrario, sua sorella ne era ghiotta.
 
«Pete!», urlò al marito. «Hai il bicchiere a fianco, bevi!», ordinò.
Gli aveva poggiato il piccolo bicchiere rosso sul tavolo, ma lo sguardo dell’uomo era troppo concentrato sul giornale fra le mani per bere.
«Sì…», fece svogliato. «Un attimo…».
La donna sbuffò e tirando in avanti Mildred, che ancora doveva riprendersi, e chiamando la prima figlia, afferrò tutte le giacche dall’appendiabiti e le chiavi della macchina.
«Vestitevi, prendete gli zaini e salutate vostro padre… Usciamo!», fece rapida, indossando la sua e lanciando le loro.
Mildred afferrò la borsa e mettendosela in spalla salutò di sbieco suo padre, che ancora era fisso su quelle pagine.
Uscendo di casa oltrepassarono il vialetto e dopo il cancello, che la sorella, l’ultima, chiuse alle sue spalle. Veloce sorpassò sua sorella, dandole una spallata e rapida s’infilò al sedile al fianco dell’autista, dove era già seduta sua madre.
Mildred sbuffando si accomodò ai sedili posteriori, cominciando a tremare. Questa sensazione la conosceva bene: significava scuola.
 
«Mi cercherò un lavoretto! Così potrò comprarmi la macchina, quella sportiva, quella che tutte le ragazze sognano!».
Sua sorella non faceva altro che miagolare sui suoi progetti dell’anno, come già fossero realtà, e soprattutto, pensava Mildred, come se riuscisse davvero a lavorare.
«E poi, mammina…», miagolò ancora. «Nel caso dovessi trovarmi in difficoltà con i soldi… tu e papà…».
«Ma certo, tesoro!», la sorrise la donna, felice. «Ogni cosa, piccola mia… Ma vedrai che andrà bene…».
«Lecchina…».
 «Come, scusa?», si voltò subito ai sedili posteriori. «Mi è sembrato che dicessi qualcosa! Puoi ripetere?!».
«Non ho detto niente…», planò in alto il sguardo. Sapeva che era meglio finirla lì, o la madre l’avrebbe messa in punizione per settimane.
«Ti conviene!».
Oddio, quanto non la sopportava. La sua aria da superiore poteva solo farle salire maggiormente i nervi.
 
La macchina si fermò davanti al liceo e già felice come una pasqua, sua sorella afferrò la borsa, salutando la madre.
«Scendi anche tu, Mildred!», ordinò la donna, voltandosi indietro.
«Ma siamo davanti al liceo!», protestò.
La sorella scese dalla macchina e aprendole lo sportello fece «Hai sentito la mamma? Non farla arrabbiare, scendi!».
«Ma… Non è la mia fermata, la mia scuola sta più avanti!».
«Mildred!», tuonò la donna. «Certo che sei scansafatiche! La tua scuola è a due passi, quanto ti costa camminare a piedi? Scendi!».
Era vero, la sua grammar school stazionava esattamente ad una strada di distanza dalla high school della sorella, ma non stava qui il punto: doveva solo fare altri due giri di ruota con la macchina e l’avrebbe accompagnata all’ingresso, cosa le costava?
«Va bene!», sbuffò, scendendo dalla macchina. Richiuse lo sportello forse però con troppa forza, dato lo sguardo assassino di sua madre.
«Mammina, quando usciamo non c’è bisogno che tu venga a prenderci! Mi farò accompagnare da qualcuno!».
«Io però no… Mamma, vieni a prendere me!».
Venne totalmente ignorata, mentre la donna rispondeva alla figlia più grande. «Va bene, tesoro… Buona giornata ad entrambe! Ci vediamo a casa, così mi raccontante tutto! Ciao, ciao!». La macchina prese moto e se ne andò di corsa, lasciando Mildred stupefatta.
Furiosa si voltò alla sorella.
«Perché hai parlato per tutte e due? Sei un’egoista!».
«Egoista?», rise. «Ma che dici, sorellina? Appunto che non ho parlato solo di me non posso essere egoista! Non ti pare?», fece la mano per andarsene, sfoggiando un beffardo sorriso. «Ci vediamo, tappeto!».
Mildred strinse forte i pugni. Come faceva ad avere una sorella così? Non poteva nascere figlia unica?
«Ti odio, gallina!». Se solo avesse avuto il coraggio di dirglielo prima che sparisse dalla sua vista per mescolarsi fra li studenti liceali…
 
Innervosita attraversò la strada, pronta per affrontare il suo primo giorno di scuola.
Beh, proprio pronta forse non era la parola adatta, ma d’altronde non aveva scelta. Prima si toglieva il dente, e prima il dolore sarebbe passato. Anzi, forse era meglio non parlare di denti.
 
Vedeva tutte le macchine parcheggiate o fermate davanti all’ingresso, i ragazzi che scendevano afferrando il loro zaino in spalla, salutando i genitori con un sorriso. E poi li vedeva entrare lì, nel cancello di quella grande scuola dai mattoni un po’ sporchi che le si prospettava dinanzi.
Sentì un formicolio da qualche parte, non sapeva neppure dove, e non voleva scoprirlo.
Uno dei suoi maggiori problemi era sempre stato quello di farsi degli amici.
Mildred non era molto simpatica, e quando si vergognava parlava sempre molto poco, e non dava così l’opportunità alla gente di conoscerla. Altre volte faceva delle brutte figure, che se si accompagnavano al suo aspetto orrendo e alla sua vergogna, ecco che la gente non si faceva una bella opinione di lei dal principio.
Sapeva già in partenza che sarebbe andato male il suo primo giorno di scuola, e il formicolio era lì giusto per avvertirla.
 
Cominciò ad avanzare lentamente verso l’edificio, ma ad ogni passo in più che faceva poteva scorgere le ombre in agguato dei suoi prossimi incubi.
Sentiva qualche ragazzino ridere e sapeva già che un giorno non molto lontano quelle risate sarebbero state dedicate a lei, come una vecchia signora paranoica. Cominciava ad avvertire gli occhi di tutti addosso, i loro sguardi concentrati, a squadrarla come carne fresca. Lei laggiù, in una scuola, non era mai stata la cacciatrice, bensì sempre una preda.
Una preda facile: ragazzina cozza e gracile, per di più ora era una novellina spaventata.
«Ehi! Guarda un po’ dove metti i piedi!».
Ecco, la sua prima figuraccia e probabilmente collegata, la sua prima nemica.
Le era andata addosso ovviamente, qualcosa doveva succedere.
«Emh… Scusami…», fece immediatamente, ma la ragazzina dai capelli biondo cenere davanti ai suoi occhi si limitò schifata ad un’occhiataccia, per poi dirigersi al suo gruppetto.
Ogni tanto però continuava a voltarsi a lei.
Sì, Mildred ne era certa, aveva appena conosciuto uno dei suoi prossimi incubi. Bastava darle uno sguardo per accorgersene, se ne ricavavano tutte le informazioni necessarie: sguardo condito di disprezzo, occhi malvagi, la risposta alle scuse non pervenuta, visetto che sembrava appena uscito da una scatola targata Barbie, appena qualche spruzzo di trucco, borsetta all’ultima moda, capelli appena rifiniti dal parrucchiere, e per concludere, ma non meno importante, l’aveva indicata al suo gruppo di quelle che sembravano ochette per fare cenno di disgusto tutte insieme.
 
 
Con coraggio riuscì ad entrare nella scuola, dando una rapida occhiata a tutto ciò che le stava intorno: dai quadri appesi alle pareti, alle piante finte che davano un tocco di classe, anche se per Mildred parevano solo brutte. 
Si fece dare da una signora delle pulizie l’indicazione per la segreteria, e lentamente bussò alla porta semiaperta, dove una donna al telefono dietro una scrivania le fece cenno di entrare.
«Chiudi la porta, per favore!», indicò tappando per un attimo la cornetta.
Mildred dopo aver chiuso la porta come le era stato chiesto, si accomodò alla sedia, prendendo subito una delle caramelle sul vassoio della scrivania.
Appena la donna riattaccò il telefono, pose i gomiti sulla scrivania, guardando per qualche attimo senza dire una parola alla nuova alunna.
«Tu devi essere Mildred, vero?», sorrise ad un certo punto, tirando fuori una cartella con delle scartoffie, esaminandola. «Mildred Patel…», continuava, leggendo.
«Sì, sono io…».
«Piacere!», le avanzò la mano per stringerla, anche se la giovane donna continuava a stare fissa sui fogli, concentrata. «Cognome inglese, eh?! Io sono la tua vicepreside, Clarissa Manson!».
Così giovane e già vicepreside, pensava Mildred, doveva avere un futuro roseo davanti a sé.
«Piacere…», in verità non sapeva cosa rispondere. Solitamente non stringeva la mano ai professori, figurarsi ai vicepresidi.
Nella sua ultima scuola la vicepreside era una donna altissima e grassa con le mani sempre sudice, che se anche le avrebbe chiesto di stringerle la mano non l’avrebbe fatto per nulla al mondo.
«Sì, inglese…», si ricordò la domanda. Ma non aveva in verità tutta questa voglia di raccontarle la storia del suo cognome inglese: la storia di un vecchio e ubriaco vampiro americano senza nome che uccise una persona rubandole l’identità, almeno cento anni fa. Il suo trisnonno oramai se l’aveva pure dimenticata questa faccenda.
«Bene, Mildred! Ho dato una breve occhiata alla tua scheda e mi sembra tutto a posto. Benvenuta in squadra!», la sorrise. «Per qualunque divergenza vieni pure da me, che sarò sempre disponibile. Il preside è fuori oggi, ma già domani se vuoi potrai conoscerlo. Purtroppo è spesso assente. Ma grazie a me gli studenti sanno sempre a chi rivolgersi per ogni cosa, perciò non fare complimenti!».
«Va bene, grazie!». Finalmente una persona gentile e normale, si diceva. Forse con una vicepreside così, trovarsi in questa scuola sarebbe stato diverso che con le altre. Magari vi erano altre persone come lei, come la signora delle pulizie che le indicò la strada, e non come quella Barbie incrociata in cortile. Forse c’era un barlume di speranza.
«Allora, settimo grado… La tua classe è la 7° D! Spero ti troverai bene, sono ragazzi simpatici.», chiuse la cartella, per stringere ancora la sua mano. «E prendi pure un’altra caramella, se vuoi!».
Ne prese un’altra molto volentieri, che amava le caramelle gommose alla frutta, e prima di aprire la porta le raccomandò «Fatti accompagnare dalla bidella in classe! Mi raccomando, 7° D! a presto! ».
«Grazie mille, arrivederci!».
«Chiamami pure Clarissa!», fece masticando una caramella.
«E lei mi chiami pure Milly!».
Chiuse la porta.
 
 
Avete presente l’Inferno di Dante Alighieri?  
Milly ne era sempre rimasta affascinata, in un modo o nell’altro di quel posto, ma aveva sempre creduto che trovarsi laggiù era impensabile, ma si smentì di punto in bianco, quando la bidella aprì la porta della sua nuova classe e vide le fiamme roventi e calde che circondavano i dannati.

 

 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
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Ri-benvenute e ri-benvenuti a tutti! =)
Siccome sono passati mesi da quando ho postato il prologo, mi sembra più giusto ri-presentarmi xD
D’altronde questo primo capitolo è un vero e proprio inizio, che è possibile leggerlo anche senza il prologo (quello alla fine è solo una piccola presentazione della protagonista).
Non so se avete notato infatti, ma dall’inizio non ho mai chiamato Mildred Milly, da quando lei stessa ha detto di voler essere chiamata Milly, come la citerò da ora in poi.
Come se il prologo “non esistesse”, Mildred non aveva ancora espresso come voleva essere chiamata fino a quel momento.
 
Ma non so perché, mi sembra di aver dato molto spazio alla narrazione e agli altri personaggi piuttosto che a Milly stessa. Me ne dispaccio =(
Dal prossimo capitolo in poi spero di poter fare meglio.
 
Clarissa mi piace =) Questo è un personaggio che è nato proprio nella stesura: carattere, storia personale e nome. Si è fatta da sola, e mi piace. Mi sta molto simpatica.
Credo di volerla far comparire spesso.
La sorella di Milly invece, di cui non sappiamo ancora il nome (della famiglia sappiamo solo quello del padre, per ora), mi sta un po’ sulle scatole, ma come personaggio mi piace. Ha carisma xD
 
Ma come posso dirvelo, i personaggi saranno tanti (come sono solita fare) e mi piaceranno tutti o quasi, alla fine xD
 
 
 
Grazie mille per le recensioni <3 Sono rimasta sorpresa, in un certo senso, per quel prologo bruttino. Grazie mille *____*
 
IceWarrior --> *///* Grazie mille!
Eh, sì, come hai visto la sorella è davvero insopportabile da un punto di vista…
 
Kahoko-chan --> *O* Che bello, sei anche qui! Beh, l’idea del vampiro con l’apparecchio mi è venuta un giorno semplicemente guardandomi allo specchio (ehh, purtroppo ho l’apparecchio ù__ù) e mi son detta: “cess, chissà se ero un vampiro!”, e così la frase “Il vampiro con l’apparecchio”, dopo essermi messa a ridere da sola come una scema. Certe idee mi vengono così ù.ù
Grazie per averla messa fra le seguite =)
 
Come vi sembra il primo capitolo?
 
 
E vorrei anche ringraziare Gin_ookami97 e meris per aver messo la storia di Milly fra le seguite. Un vostro commento, se vorrete, sarà il benvenuto! ^^
 
 
 
Bene, ed ora vi lascio…
Non so quando finirò il secondo capitolo, ma abbiate fede xD
Ciao, ciao da Ghen =^_____^=
 
   
 
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